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03/7/19

 

Magaldi: dietro a Dugin (e Putin) c’è l’oligarchia più antica

 

Pensavate fosse amore, e invece era un calesse? Ma non serve ricorrere a Massimo Troisi per smontare la Quarta Via del filosofo Alexander Dugin, ideologo vicinissimo al Cremlino. Basta e avanza Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, di impronta keynesiana. Curiose coincidenze: Dugin gira l’Europa (e l’Italia) spacciando per nuovissima la sua ricetta obsoleta – il ritorno alla tradizione pre-democratica – proprio mentre Vladimir Putin, sul “Financial Times”, decreta il decesso del liberalismo. Messaggio di forza, da parte dell’autocrate russo? «Al contrario: dopo anni di ascesa costante, oggi il consenso di Putin è meno solido. E la sua uscita ricorda quella di Licio Gelli, che accettò di parlare al “Corriere” proprio alla vigilia del crollo della P2». Questo non significa che Putin stia per cadere. L’invito, semmai, è a leggere tra le righe: è davvero così invitante, la “democratura” di Mosca – magnificata da Dugin – dove i giornalisti vengono messi a tacere? Sul tappeto c’è davvero uno scontro geopolitico con l’Occidente, come ai tempi della guerra fredda? O per caso, invece, non sarebbe meglio inforcare gli occhiali giusti e ricordarsi che Putin, prima ancora che ai russi, risponde ai “fratelli” della Golden Eurasia, potente superloggia neoconservatrice nella quale milita anche Angela Merkel?

 

Vietato abboccare all’amo, si raccomanda Magaldi, di fronte alle recenti esternazioni provenienti dalla Russia: c’è ben altro, dietro alle suggestioni intellettuali di Dugin e l’apparente politologia di Putin. «Se si grattasse dietro la barba di Alexander Alexandr DuginDugin e dietro le dichiarazioni altisonanti di Putin si scoprirebbero trame massoniche: questo l’opinione pubblica dovrà imparare a capirlo», avverte l’autore di “Massoni”: «Per diradare la nebbia che avvolge certi personaggi, lanciati come nuovi guru, bisogna andare molto indietro nel tempo, perché c’è chi gioca a livello globale in termini molto raffinati, e quindi sguinzaglia personaggi che spesso fanno giochi quadrupli e quintupli». Per rilasciare le sue dichiarazioni, affidate a un video su YouTube con Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, Magaldi ha scelto una location inusuale: la Cappella di Rosslyn, non lontano da Edimburgo, eretta nel 1450 da William Sinclair, campione della famiglia nobiliare scozzese che favorì la fusione fra Templari e massoni. Crocevia di misteri e leggende, Rosslyn, inclusa la vera identità di Colombo, templare anch’esso, incaricato di “scoprire ufficialmente” l’America, già scoperta molto prima dai Cavalieri del Tempio e dagli stessi Sinclair.

 

Storie lontane? Dipende dai punti di vista: era di matrice neo-templarista la simbologia degli attentati firmati dall’Isis in Europa. Un messaggio “mafioso”, rivolto agli odierni massoni progressisti devoti ai Templari, quelli veri, che sognavano un’Europa senza più frontiere che dividessero le monarchie, sempre in guerra l’una con l’altra. Ed era sacra ai Templari la cattedrale di Notre-Dame, andata in fumo a Parigi grazie alla ridicola, apparente impotenza della polizia e dei pompieri del massone reazionario Macron, nemico numero uno del governo gialloverde. Niente è come sembra, a quanto pare: sull’altra sponda dell’Oceano, il massone Trump rilancia l’America a modo suo, guardando di traverso l’Unione Europea e strizzando l’occhio proprio all’Italia, ricattata con la procedura d’infrazione e tentata dalla fuga commerciale verso la Cina. E qualcuno Magaldi a Russlyn con Moisopuò davvero credere che lo stesso Putin sia sincero, quando dichiara – neanche fosse un professore super-partes – che il liberalismo occidentale sarebbe defunto? In questo caos, non emerge nessuna vera ricetta per riportare giustizia in un mondo devastato dalla globalizzazione neoliberista, fabbricata dalla massoneria conservatrice. E dunque: come prendere sul serio le teorie di Dugin, tempestivamente propalate al pubblico europeo in perfetta sincronia con le sortite del Cremlino?

 

A Putin, Magaldi riconosce la caratura dello statista di razza: il presidente è riuscito a resuscitare la Russia, tramortita dal crollo dell’Urss e dalla predazione neoliberista globalizzata all’epoca delle privatizzazioni selvagge promosse da Eltsin. Le basi del consenso di Putin? Richiamo alla Chiesa ortodossa, alla tradizione del popolo russo, alla cultura slava. In altre parole, «alla peculiarità di un’immensa miniera di suggestioni». Putin resta un leader carismatico, sottolinea Magaldi, ma – avverte – non è certo solo, al Cremlino: «Ha attorno una cerchia di nuovi oligarchi». Ovvio: «Non c’è mai un uomo solo al comando: anche in Russia domina un’élite, di cui Putin è l’abile frontman». In più, l’ex colonnello del Kgb è un massone affiliato alla Golden Eurasia, potente Ur-Lodge sovranazionale di segno conservatore: «Una filiera di personaggi ha puntato sull’ascesa di Putin, con finalità che spesso non sono ben chiare al grande pubblico». Il novello Zar come alfiere russo del rinnovato scontro con l’Occidente? «Le cose sono più complicate, come anche i rapporti fra Trump e Putin, al di là del Russiagate presentato in modo semplicistico dai media». Nella sostanza, dice Magaldi, Putin ha costruito quella che qualcuno definisce una “democratura”, «cioè una democrazia poco liberale e poco laica, poco pluralistica e insofferente del dissenso (con giornalisti marginalizzati, anche uccisi), quindi un regime non propriamente liberale».

 

E Alexander Dugin? «Interessante pensatore: un filosofo impregnato di esoterismo». La Sua Quarta Via? Viene presentata come nuovissima, capace di superare comunismo, fascismo e liberalismo democratico. A prima vista, sembra «qualcosa che va bene per il nuovo mondo, il terzo millennio», e che oggi «costituisce già un modello per l’attuale governance della Russia». Domani «potrebbe radicarsi nell’area euroasiatica, e addirittura tracimare altrove». Magaldi però la smonta, dalle fondamenta. «La teoria di Dugin – dice – è nuova come configurazione retorica, ma affonda le sue radici in un pensiero politico (come candidamente ammesso da Dugin) ispirato ad alcuni maestri, rappresentanti del pensiero della cosiddetta rivoluzione conservatrice, o del tradizionalismo politico ed esoterico». Nomi celeberrimi: Julius Evola, René Guénon, CarlJulius EvolaSchmitt. E poi Martin Heidegger, Edmund Husserl. «Un retaggio politico ed esoterico che è antidemocratico, illiberale, antimoderno e tradizionalista: chi si richiamasse a Dugin – aggiunge Magaldi – dovrebbe sapere che l’obiettivo non è certo quello di dare maggior potere al popolo».

 

Certo, c’è anche la componente populistica. «Ma le teorie elitarie di Evola, Guénon e Schmitt hanno poco a che fare col popolo: la massa è sempre vista con disprezzo». Sicché, per Magaldi, si crea un curioso cortocircuito: «Guénon, Evola e altri sono gli ispiratori proprio di quei circuiti massonici neoaristocratici che hanno realizzato la globalizzazione neoliberista, neo-oligarchica e post-democratica». Se ne rendono conto, i sostenitori di Dugin? La sua teoria, in parte declinata da Putin, «ha le stesse fonti di ispirazione dei circoli oligarchici che hanno realizzato questa pessima globalizzazione». Putin dice che il liberalismo democratico è finito? «Intendiamoci: in Russia e in Cina non è mai neppure cominciato. E in Occidente la democrazia non è certo entrata in crisi per eccesso di valorizzazione dei suoi principi: semmai è stata svuotata, ridotta a mera retorica». La democrazia è in crisi perché è scarsa, non perché è troppa. La verità, aggiunge Magaldi, è che viviamo in un mondo dominato da idee post-democratiche: da una parte quella dei fautori di questa globalizzazione matrigna, neoaristocratica e neoliberista, e dall’altra l’idea post-democratica (peraltro applicata in un luogo dove la democrazia non c’è mai stata) che è quella espressa dalla Quarta Via di Dugin.

 

«Sono teorie che hanno un passato immaginifico ma secondo me hanno poco futuro», confida Magaldi: «Non vinsero con Evola e Guénon, cari a fascisti e nazisti, e non vinceranno nemmeno adesso, nell’affascinante rielaborazione del filosofo Dugin». Insiste Magaldi: «Chi crede di abbracciare un pensiero nuovo, con Dugin e Putin, sta in realtà abbracciando qualcosa di molto lontano nel tempo». Lo spartiacque, per Magaldi, sta nella tutela dei diritti universali: «Bisogna credere nella René Guénondemocrazia e nella dignità del popolo, nella sua sovranità e quindi anche nel diritto degli individui di avere un lavoro e un futuro per sé e per i propri figli». Viceversa, se si fa a meno della democrazia, prima o poi «qualcuno si arroga di essere un’élite intellettuale e politica che si prende cura del popolo: atteggiamento tipo delle aristocrazie che combatterono contro le rivoluzioni massonico-progressiste settecentesche». Aggiunge Magaldi: «Chi oggi simpatizza per Dugin e Putin deve riconoscere che sta facendo un gioco elitario e neoaristocratico».

 

Le stesse fonti di Dugin, peraltro, non facevano mistero delle loro inclinazioni: «Guénon, Evola, Schmitt e lo stesso Heidegger avevano un’idea del “cratos”, il potere della forza, che dev’essere prerogativa di alcuni illuminati, in grado di dare luce alla massa della plebe, sempre disprezzabile». E questa sarebbe la soluzione, per il terzo millenio? «Cioè: fallisce il liberalismo e quindi torniamo a un pensiero schiettamente e ferocemente aristocratico? Legittimo, certo. Ma consigliamo a queste persone si scriverselo in fronte: “Sono un antidemocratico”». Non si rendono conto, i fan di Dugin, che è proprio il regime liberale che permette anche al filosofo russo di dire la sua? A Dugin è stato impedito di parlare all’università di Messina e poi al Consiglio regionale calabrese. Ha potuto parlare a Gioia Tauro, a sostegno di Diego Fusaro (candidato sindaco) grazie a Francesco Maria Toscano, già dirigente del Movimento Roosevelt. «Ottima l’operazione di dar voce al pensiero di Dugin, e giusta la rivendicazione di Dugin di poter parlare liberamente. Ma questo è liberalismo», sottolinea Magaldi. «E’ liberalismo potersi giustamente lamentare perché non si dà a Dugin l’occasione di parlare. Se si invece applicassero le teorie post-liberali e post-democratiche di Dugin e di Putin, nessuno potrebbe parlare più».

 

Democrazia liberale, aggiunge Magaldi, significa “parresia”: è la possibilità di attaccare il padre, la tradizione, contestando il potere e lasciando che il popolo sia libero di fare la propria lotta. «Ma in un contesto post-liberale questo diritto non c’è più, e infatti i giornalisti vengono messi a tacere». Diritti minacciati: «La Dichiarazione universale dei diritti umani è presa di mira e svalutata tanto da quelli che l’hanno vanificata, declinando una democrazia solo formale, tanto da quelli che oggi ci vengono a cantare questa canzone stonata, vetusta e ammuffita, di un pensiero neoaristocratico spacciato per ultima frontiera della post-modernità». Per Magaldi, il futuro dovrà essere “glocal”, cioè capace di «valorizzare su scala globale i singoli territori, rispettando le esigenze delle comunità locali». Per il presidente del Movimento Roosevelt, «un capitalismo concepito come libertà di fare impresa e trarre legittimo profitto può tranquillamente coesistere con un ruolo importante e strategico delle istituzioni pubbliche, che investendo in infrastrutture offrono all’economia privata nuove possibilità di svilupparsi». In fondo è la soluzione di sempre, keynesiana o post-keynesiana. La propugna anche «il Premio Nobel per l’Economia e “fratello” massone progressista Joseph Stiglitz». E’ questa – non la nebbiosa Quarta Via – la soluzione giusta per l’Italia, per l’Europa e per il mondo: «Un capitalismo progressista, una libertà di mercato abbinata a istituzioni pubbliche in grado anche di regolare la finanza globale, con armi altrettanto globali». Il resto sono chiacchiere, immesse nel sistema dai poteri forti – vecchi e nuovi, occidentali e orientali – che in fondo temono la democrazia.

 

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