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2 giugno 2020

 

La seconda guerra civile americana

di Matteo Carnieletto

                       

Il 1978 si apre con un’esplosione – quella del volo Air India – e si conclude con il ritorno della democrazia in Spagna dopo la morte di Francisco Franco. In mezzo, l’inizio dell’invasione israeliana del Libano, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, la morte di Paolo VI e l’elezione di Giovanni Paolo I – il cui pontificato, come noto, durò solamente 33 giorni -, gli accordi di Camp David e l’approvazione del Sistema monetario europeo, che avrebbe anticipato l’euro. Questi i fatti principali, molti dei quali continuano a plasmare il nostro presente.

 

In quello stesso anno, in America escono i Turner Diaries. Un libro proibito (anche se acquistato da migliaia di americani) che poteva esser venduto, come ricorda Giorgio Galli nella prefazione all’edizione italiana pubblicata da Bietti con il titolo di La seconda guerra civile americana, “solo a patto che in copertina figurasse la dicitura ‘Questo libro contiene propaganda razzista’”. Un libro distopico e violento, che racconta però le pulsioni più intime e violente della società americana, tanto che il New York Times ha definito i Turner Diaries “la Bibbia dell’estrema destra” che ha ispirato diversi attentati in tutto il mondo.

 

In uno scenario completamente capovolto rispetto a quello di oggi – i bianchi, dopo esser stati messi in minoranza dai neri, decidono di assaltare il “Sistema” – il libro anticipa quelli che saranno i temi e le modalità dell’estrema destra americana. Alcuni mesi prima della barbara uccisione di George Floyd, la Swat fa irruzione in una casa a Potomac, nel Maryland. È il 12 marzo del 2012 le forze speciali entrano senza bussare perché credono – o almeno così ha fatto notare una segnalazione anonima – che il 21enne Duncan Socrates Lemp possegga illegalmente alcune armi da fuoco. Sono le 4.30 di notte quando gli uomini, armati fino ai denti e vestiti di nero, entrano in casa e, come da protocollo, intimano a tutti di sdraiarsi a terra e di mostrare le mani. Qualcosa però va storto e, a questo punto, le versioni cominciano a divergere. La famiglia del ragazzo sostiene che Duncan sia stato ucciso dalla polizia mentre questa si trovava ancora fuori dall’abitazione in quanto sarebbero stati esplosi diversi colpi da fuoco verso la camera del giovane. Secondo le forze dell’ordine, invece, Duncan sarebbe stato ucciso da un dispositivo, che lui stesso aveva costruito, in grado di esplodere un proiettile contro chiunque osasse entrare in camera sua. Nessuna certezza, se non quella che, in quella notte di marzo, l’ultradestra americana ha trovato il suo primo martire, come nota il Daily Beast.

 

Un mese dopo, il 12 aprile, la polizia arresta Aaron Swenson, 36 anni, che, dopo aver avviato una diretta Facebook, si mette a dare la caccia alle forze dell’ordine. Il suo obiettivo è quello di tendere un’imboscata a un ufficiale. Gira per le strade di Texarkana, in Texas, sul suo camioncino Chevrolet nero. Chi si imbatte nella diretta chiama subito il 911 e la polizia si mette a cercare il giovane. Inizia così l’inseguimento. Aaron alza la musica al massimo e sembra esser preso da una sorta di estasi. L’adrenalina sale insieme alla lancetta del tachimetro. Dopo 25 minuti il 36enne si arrende. Quando viene fatto scendere dalla macchina, la polizia nota che Aaron indossa un giubbotto anti proiettile e che il bagagliaio della sua macchina è pieno di armi da fuoco. Si scoprirà poi che l’uomo fa parte dei Boogaloo Boys, un gruppo di giovani bianchi amanti delle armi che sogna una nuova guerra civile americana, come riporta la Nbc.

 

Aaron Swenson (LaPresse)

 

Tutto questo accade mentre gli Stati Uniti si trovano alle prese con l’emergenza Coronavirus. Il Paese simbolo del dinamismo e del lavoro è paralizzato. Le proteste contro il lockdown cominciano ad essere sempre più frequenti e violente. Wisconsin, Nebraska, Tennessee, Michigan, North Carolina, Indiana e Nevada. La gente comincia a scendere in piazza, spesso armata. Molto spesso indossano camicie hawaiane e giacche militari. Sono sempre accompagnati da armi semiautomatiche e pistole. Si muovono sui social, Facebook, Instagram e Twitter, ma soprattutto 4chan, lo strumento più amato dall’Alt right Usa. Si scambiano informazioni su come organizzare rivolte contro il “Sistema”, proprio come nei Turner Diaries.

 

Il 2 maggio, un gruppo armato cerca di entrare nel parlamento statale del Michigan e di mettere alle strette la governatrice Gretchen Whitmer, colpevole di aver bloccato lo Stato a causa dell’emergenza coronavirus. Momenti di tensione e di concitazione, ma poi tutto torna alla normalità.

 

In questi giorni, però, i Boogaloo boys hanno deciso di scendere al fianco di chi sta protestando per la morte di George Floyd. Come mai? Può l’odio nei confronti del “Sistema” unire i suprematisti bianchi e i neri? Alcune conversazioni pubblicate da Bellingat sui Boogaloo boys ci aiutano a comprendere meglio questo paradosso: “Se ci fosse mai un tempo in cui i Boys potranno essere solidali con TUTTI gli uomini e le donne liberi in questo Paese, è ora”. E ancora: “Questo non è un problema di razza. Per troppo tempo abbiamo permesso loro (i poliziotti, ndr) di ucciderci nelle nostre case e nelle strade. Dobbiamo stare con la gente di Minneapolis. Dobbiamo sostenerli in questa protesta contro un sistema che consente alla brutalità della polizia di essere incontrollata”.

L’obiettivo dei Boys è quello di aizzare la popolazione contro le forze dell’ordine. In un rapporto pubblicato dall’Ncri, si legge infatti che “mentre molti usano ancora scherzosamente il meme boogaloo, un numero crescente di persone usa la frase per incitare uno scontro apocalittico con forze dell’ordine e funzionari governativi o per provocare una guerra etnica”.

Oggi i Boys tornano in strada. E molti invocano il “Boogaloo”, l’apocalisse. La seconda guerra civile americana.

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