Fonte: Geopolitica

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21/03/2020

 

L'inevitabilità di un ordine post globale

di Alexander Dugin

Traduzione di Donato Mancuso

 

La crisi che l’umanità sta attraversando a seguito della pandemia da Coronavirus ha assunto una dimensione talmente globale che un ritorno alla situazione preesistente è semplicemente impossibile.

 

Se non si arresta la diffusione del virus entro un mese e mezzo / due mesi, il fenomeno diventerà irreversibile e da un giorno all’altro l’intero ordine mondiale collasserà. La storia ha visto periodi simili che sono stati associati a disastri di scala globale, guerre e altre circostanze straordinarie.

Se cerchiamo di guardare al futuro senza preconcetti e in modo aperto, possiamo prevedere alcuni degli scenari generali o dei singoli momenti che con maggiore probabilità potrebbero verificarsi.

1. Il crollo definitivo, rapido e irrevocabile della globalizzazione. Da tempo essa dà segni di crisi, ma l’epidemia ne ha annichilito tutti i principali assiomi: le frontiere aperte, la solidarietà delle società, l’efficacia delle istituzioni economiche esistenti e la competenza delle élite al potere. La globalizzazione è fallita ideologicamente (liberalismo), economicamente (reti globali) e politicamente (leadership delle élite occidentali).

Prima riconosciamo questa particolare svolta, più saremo preparati ad affrontare le nuove sfide. La situazione è paragonabile a quella degli ultimi giorni dell’URSS: la stragrande maggioranza della classe dirigente sovietica si rifiutava persino di prendere in considerazione la possibilità di passare a un nuovo modello di Stato, di governance e di ideologia, e solo una piccolissima minoranza si rendeva conto della vera natura della crisi ed era pronta ad adottare un modello alternativo. In un mondo bipolare, il crollo di un polo ha lasciato solo l’altro, e così la scelta è stata quella di riconoscere la sua vittoria, copiare le sue istituzioni e cercare di essere assimilati nelle sue strutture. Questo è ciò che ha portato alla globalizzazione degli anni Novanta e al mondo unipolare.

Oggi, quel che sta venendo giù è proprio il mondo unipolare, un fatto che è stato riconosciuto (in termini di ideologia, economia e ordine politico) da tutti i maggiori attori mondiali, Cina, Russia e quasi tutti gli altri, e che è stato accolto con nuovi tentativi volti ad ottenere l’indipendenza e a migliorare le proprie condizioni. Di conseguenza, le élite al potere si trovano di fronte a un problema più complesso: la scelta tra un modello che si sgretola nell’abisso e l’ignoto totale, in cui nulla può servire da modello per costruire il futuro. Si può immaginare come, ancor più che alla fine dell’era sovietica, le élite al potere si aggrapperanno al globalismo e alle sue strutture nonostante l’evidente collasso di tutti i suoi meccanismi, strumenti, istituzioni e strutture.

Pertanto, il numero di coloro che riusciranno a navigare più o meno liberamente nel caos crescente sarà piuttosto piccolo anche in seno alle élite. Come si svilupperà il rapporto tra globalisti e post-globalisti è difficile da immaginare, ma è già possibile anticipare in termini generali i punti principali della realtà post-globalista.

1. La società aperta diverrà una società chiusa. La sovranità assurgerà al rango di valore più alto, di valore assoluto. Il bene verrà dichiarato essere la salvezza e il supporto vitale di un particolare popolo all’interno di uno Stato concreto. Il potere sarà legittimo solo se saprà affrontare questo compito: prima di tutto, salvare la vita delle persone nel quadro di una pandemia e dei processi catastrofici che la accompagnano, e poi organizzare una struttura politica, economica e ideologica che gli permetta di difendere gli interessi di questa società chiusa in rapporto alle altre. Questo non implica necessariamente una guerra di tutti con tutti, ma allo stesso tempo determina preliminarmente la principale e assoluta priorità di questo paese e di questo popolo. Nessun’altra considerazione ideologica potrà prevalere su questo principio.

2. Una società chiusa deve essere autocratica. Ciò significa che deve essere autosufficiente e indipendente dai fornitori esterni in materia anzitutto di alimentazione, produzione industriale, nel suo sistema monetario e finanziario e in relazione al suo potere militare. Tutto questo diventerà la priorità principale nella lotta contro l’epidemia, quando gli Stati saranno costretti a chiudersi – ma nel mondo post-globalista questa rappresenterà una caratteristica permanente. Se i globalisti la vedono come una misura temporanea, i post-globalisti dovrebbero, al contrario, prepararsi a farla diventare una priorità strategica.

3. L’autosufficienza nel sostegno alla vita, nelle risorse, nell’economia e nella politica deve essere combinata con una politica estera efficace, dove acquistano un ruolo di primo piano le alleanze strategiche. La cosa più importante è avere un numero sufficiente di alleati strategicamente e geopoliticamente importanti che insieme costituiscano un potenziale blocco in grado di fornire a tutti i partecipanti una resistenza efficace e una difesa sufficientemente affidabile contro probabili aggressioni esterne. Lo stesso vale per i legami economici e finanziari che espandono il volume dei mercati accessibili, non su scala globale ma regionale.

4. Per garantire la sovranità e l’autonomia, è importante stabilire il controllo su quelle aree da cui dipende la sovranità e la sicurezza di ogni entità sovrana. Questo rende alcuni processi di integrazione un imperativo geopolitico. L’esistenza di enclave ostili (potenziali o reali) in prossimità minacciosa del territorio nazionale minerà la difesa e la sicurezza. Pertanto, già nella fase di lotta contro l’epidemia, è necessario prevedere e definire un certo modello di integrazione.

Il mondo post-globalista può essere immaginato nella forma di diversi grandi centri e di un certo numero di centri secondari. Ogni polo maggiore dovrà soddisfare i requisiti dell’autarchia. Si tratta di un modello analogo a quello degli imperi tradizionali. Ciò implica:

- un unico sistema verticale di controllo rigido (in una situazione di crisi con poteri dittatoriali all’autorità suprema);

- piena responsabilità dello Stato e delle sue istituzioni per la vita e la salute dei cittadini;

- l’assunzione da parte dello Stato della responsabilità per la fornitura di cibo alla sua popolazione entro confini chiusi, il che presuppone un’agricoltura sviluppata;

- l’instaurazione della piena sovranità monetaria, con la moneta nazionale ancorata all’oro o alla copertura delle merci (cioè all’economia reale) piuttosto che al sistema delle riserve mondiali;

- la garanzia di un alto tasso di sviluppo dell’industria nazionale sufficiente per competere efficacemente con altri Stati chiusi (il che non esclude la cooperazione, ma solo quando il principio dell’indipendenza e dell’autonomia industriale non viene intaccato);

- creazione di un’efficiente industria militare e delle necessarie infrastrutture scientifiche e produttive;

- controllo e manutenzione del sistema di trasporto e di comunicazione che garantisca la connessione tra i singoli territori dello Stato.

Ovviamente, per raggiungere tali straordinari obiettivi, è necessario:

- un’élite del tutto speciale (classe politica post-globalista);

- di conseguenza, sarà necessario adottare un’ideologia di Stato completamente nuova (il liberalismo e il globalismo non sono particolarmente adatti a questo scopo, per usare un eufemismo).

La classe politica dovrebbe essere reclutata tra i dirigenti e il personale delle istituzioni militari.

L’ideologia dovrebbe riflettere le caratteristiche storico-culturali e religiose di una particolare società e avere un orientamento futurologico – la proiezione dell’identità civilizzazionale nel futuro.

È importante notare che quasi tutti i paesi e i blocchi di paesi moderni – sia quelli completamente immersi nella globalizzazione, sia quelli che hanno cercato di starne lontani – dovranno passare attraverso qualcosa di simile.

A questo proposito, si deve presumere che tali processi renderanno gli Stati Uniti uno dei più importanti attori mondiali e allo stesso tempo ne cambieranno la natura – da cittadella della globalizzazione a potente entità autocratica che si limita a difendere i propri circoscritti interessi. I prerequisiti per una tale trasformazione sono già contenuti in parte nel programma di Donald Trump, e nella lotta contro le pandemie e nello stato di emergenza ciò acquisirà caratteristiche ancora più distinte.

Anche Francia e Germania sono pronte a seguire la stessa strada – finora, con misure di emergenza, altre potenze europee si stanno già mobilitando in questa direzione. Con l’aggravarsi e il protrarsi della crisi, questi processi si avvicineranno sempre più a quanto abbiamo delineato.

La Cina è relativamente pronta per una tale inversione di tendenza, ideologicamente e politicamente, in quanto Stato rigidamente centralizzato con una pronunciata verticale del potere. La Cina sta perdendo molto con il crollo della globalizzazione, che è riuscita a mettere al servizio dei suoi interessi nazionali, ma in generale essa ha sempre posto un accento particolare sulla propria autarchia, che non ha trascurato nemmeno nei periodi di massima apertura.

Ci sono i presupposti per una tale evoluzione post-globalista in Iran, Pakistan e in parte in Turchia, che potrebbero diventare i poli del mondo islamico.

L’India, che sta rapidamente rivitalizzando la sua identità nazionale, ha iniziato a ristabilire attivamente i legami con i Paesi amici della regione nel contesto della pandemia, predisponendo i nuovi processi.

Anche la Russia presenta una serie di aspetti positivi in queste sue condizioni di partenza:

- la politica di Putin negli ultimi due decenni volta a rafforzare la sua sovranità;

- la disponibilità di una seria potenza militare;

- precedenti storici di piena o relativa autarchia;

- tradizioni di indipendenza ideologica e politica;

- forte identità nazionale e religiosa;

- il riconoscimento da parte della maggioranza della legittimità del modello di governo centralista e paternalista.

Tuttavia, l’attuale élite al potere, formatasi in epoca tardo sovietica e post-sovietica, non sta raccogliendo affatto le sfide del tempo, essendo l’erede dell’ordine mondiale bipolare e unipolare (globalista) e del pensiero ad esso collegato. Economicamente, finanziariamente, ideologicamente e tecnologicamente, la Russia è troppo legata alla struttura globalista, il che la rende per molti versi impreparata ad affrontare efficacemente l’epidemia se questa dovesse trasformarsi da emergenza di breve periodo in creazione di un nuovo – e irreversibilmente post-globalista – ordine mondiale. Queste élite condividono un’ideologia liberale e basano le loro attività in una certa misura su strutture transnazionali – vendita di risorse, delocalizzazione dell’industria, dipendenza da beni e prodotti importati, integrazione nel sistema finanziario globale con il riconoscimento del dollaro come valuta di riserva, ecc. Né nelle loro competenze, né nella loro visione del mondo, né nella loro cultura politica e amministrativa, queste élite sono in grado di guidare la transizione verso il nuovo Stato. Tuttavia, questo stato di cose è comune alla stragrande maggioranza dei paesi, dove la globalizzazione e il liberalismo sono stati fino a poco tempo fa considerati dogmi indistruttibili e inconfutabili. In questo caso, la Russia ha la possibilità di cambiare questo stato di cose, rendendo lo Stato e la società pronte a entrare nel nuovo ordine post-globalista.

 

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