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giovedì 19 marzo 2020

 

Coronavirus in India, l’impossibilità dell’isolamento

di Enrico Campofreda

 

Tutti insieme pericolosamente. E’ la situazione che la popolazione indiana vive nei giorni in cui anche la nazione-continente è investita dall’epidemia del Covid-19. Alla densità delle sue megalopoli (Mumbai 19 milioni di abitanti, Nuova Delhi 17, Calcutta 15, Bangalore e Chennai 9 milioni ciascuna e ancora Hyderabad, Ahmedabad, Pune, Surat tutte metropoli che oscillano fra i sette e i cinque milioni di abitanti) s’aggiungono centri intermedi da centinaia di migliaia d’individui. Insomma fra i 400 e i 500 milioni d’indiani vivono ammassati in centri urbani. Non è una novità, ma in condizioni pandemiche e per un virus così infettivo l’isolamento delle persone diventa un indispensabile mezzo di tamponamento della diffusione. Il governo di Narendra Modi sembra non preoccuparsene. Alle carenze sanitarie, ovviamente sedimentate in decenni di conduzione statale insufficiente, s’aggiunge il pressappochismo dell’attuale premierato che usa il proprio autoritarismo per questioni politiche, non per far rispettare norme di salute pubblica. Sul fronte politico le contestazioni che fino a venti giorni fa avevano insanguinato le strade della capitale di altre città, con le bande di picchiatori hindu a caccia di cittadini musulmani al cospetto d’una polizia inerte, ora sono vietate. Anche per ragioni sanitarie. Però le linee ferroviarie, vie di trasporto indispensabili per raggiungere molte località, pullulano di persone che a malapena ostentano una mascherina di cotone.

 

Non c’è distanza, non sono stati emanati divieti per evitare rischio di contagi. Del resto il ministero della Salute ha diffuso un bollettino che riferisce 151 infetti da coronavirus, ma in realtà i test mancano e se l’Organizzazione Mondiale della Sanità si preoccupa e ribadisce di applicare misure restrittive per frenare l’infezione, gli organi preposti alla prevenzione attuano i test solo a coloro che provengono dall’estero e a persone che, essendo entrate in contatto con contagiati, manifestano sintomi dopo le due settimane di quarantena. L’agenzia Associated Press riferisce che, pur a fronte d’una capacità di 8.000 test quotidiani, ne vengono effettuati circa un centinaio. Finora a ieri risultavano testati 11.500 indiani. Le autorità sanitarie locali hanno beatamente risposto ai solleciti dell’OMS che quei test sono sufficienti perché la diffusione della malattia è stata minore che altrove. Addirittura il responsabile del Consiglio delle ricerche mediche ha parlato di “paure create, di paranoie e montatura”. Dal canto loro responsabili dell’amministrazione contabile fanno capire come l’ampliamento della cerchia dei soggetti testati presupporrebbe costi che lo Stato non si sente di affrontare (67 dollari a persona), già deve far fronte a infezioni di tubercolosi, Hiv e agli annosi problemi di malnutrizione.  

 

Certo, il “buon senso ministeriale” raccomanda alle persone di stare il casa, ma al di là delle decine di milioni di senzacasa, alle innumerevoli bidonville adagiate nelle immense periferie di tante metropoli, le stesse abitazioni prevedono la convivenza di decine di componenti familiari. Gli spazi urbani sono assolutamente sovraffollati. Comunque, per decisione governativa sono sospesi tutti i voli con l’Unione Europea, mentre chi arriva dai Paesi del Golfo è destinato a una quarantena di due settimane, come già lo erano i provenienti dalla Cina. Però chi è passato per i luoghi di quarantena, come certi studenti rientrati in patria dall’Occidente, testimonia della promiscuità (otto osservati in una stanza) e carenze igieniche nei bagni e nei letti. I testati in attesa dei risultati erano, neanche a dirlo, privi di mascherina e presidi igienici di base. Insomma mentre il governo cerca di guadagnare tempo, la nazione che può contare un letto ospedaliero per ogni mille abitanti (in Italia sono 3, nella Ue 5), è minacciata da un’espansione epidemica che non riuscirà a trattare come ha fatto la Cina. Interrogato dal quotidiano Le Monde l’endocrinologo Shashank Joshi dichiara “L’India è una bomba a orologeria, e se gli spostamenti non saranno completamente proibiti, il controllo del virus diventerà impossibile”. Mentre affidandosi alle preghiere, alla tradizione e anche alla superstizione qualche nazionalista hindu pensa che si possa provare a frenare il demone del virus con l’urina “sacra” delle vacche. L’India dai mille volti non si smentisce.   

 

 

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