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12/05/2020

Ciao Silvia, benvenuta nella nostra prigione
di Enrico Pazzi

E le sbarre di questa seconda prigione, che le si sono strette tutte intorno nel momento esatto nel quale ha posto il primo piede sul suolo patrio, si fanno sempre più fitte e indistruttibili

La volontaria Silvia Romano liberata da una prigione ed entrata subito in un’altra. Quella del circo massmediatico nazional-popolare, delle istituzioni che la esibiscono come grande successo del governo, correndo forsennatamente a toccarle il gomito, quella dei social malati, nei quali si riversa tutta l’ottusità, cattivista e buonista.
E il problema, per lei e i suoi cari, è che da questa prigione, la seconda, non è facile uscirne. Perché non è prevista una trattativa, né alcun riscatto. Vi rimani finché serve ad aizzare o a placare gli animi del corpaccione popolare. Finché il tuo volto, le tue scelte, i tuoi gesti, fomentano involontariamente la fame, la brama di infodemia della platea. Anzi, i suoi nuovi carcerieri sono già lì che l’aspettano. Tutti i talk assiepati, pronti a contendersi l’esclusiva della sua prima ospitata in tv.
Il giudizio moralistico invade ogni settore della sua e della nostra vita, mostrando senza alcuna vergogna i bachi nel cervello di ognuno. La sua conversione all’Islam giudicata inappropriata, senza porsi alcun interrogativo su come e perché sia avvenuta. Se sia stata volontaria o indotta. E nel primo caso, degna di rispetto, mentre nel secondo caso meritevole di compassione. Perché al fondo della bestiale retorica nazional-religiosa, tutti gli islamici sono terroristi, malvagi e nemici del popolo.
E se volessimo poi allargare il campo della retorica religiosa, potremmo anche sostenere che vi sono cristiani ancor più malvagi, magari andando a vedere quei suprematisti bianchi americani incappucciati, che sono sbarcati anche da noi. Ma la guerra di religione, venata di sovranismo, non ammette relativismo culturale. Ed esiste un nemico e solo quello.
Senza dare il tempo alla povera ragazza di raccogliersi coi suoi cari, con le cose e gli spazi della sua vita precedente al rapimento. Il suo gesto di accarezzarsi il ventre, diventato nel giro di una manciata di minuti un sicuro indizio di gestazione. E qui si fa largo, in men che non si dica, l’atavico sentimento di profanazione sessuale. Quei malvagi islamisti terroristi hanno profanato il corpo della nostra bianca, cattolica e italianissima ragazza. Ponendo il seme della loro razza imperfetta, sporca. E invece, nulla vale venire poi a sapere dalle sue stesse parole che no, non è incinta, non è stata violentata, non è stata costretta a sposare uno dei suoi carcerieri e nessuno l’ha maltrattata.
E le sbarre di questa seconda prigione, che le si sono strette tutte intorno nel momento esatto nel quale ha posto il primo piede sul suolo patrio, si fanno sempre più fitte e indistruttibili. Perché poi c’è tutta la retorica moralistica del perché una ragazza giovane, intelligente e sana si sia andata a infognarsi nella suburra del mondo, quando avrebbe potuto sfogare le sue energie giovanili sotto casa, all’angolo del suo quartiere, dove certamente avrebbe trovato quintali di umanità da salvare. Umanità sana, cattolica e italianissima.
Il fascismo della nostra testa. Ben recondito negli anfratti della nostra psiche, pronto a sfogarsi, a mostrarsi, a far luce di sé quando vi è una “nostra” donna profanata nel corpo e nella sua religiosità.
Lei bianca, giovane e bionda e tutto intorno sbarre di una prigione invisibile che saranno impossibili da rompere.

Bentornata Silvia e buona fortuna.

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