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04/02/2020

 

Coronavirus, la lezione della sanità pubblica cinese

di Dario Dongo

 

Ristabiliamo finalmente la verità sul sistema sanitario cinese (quello che in poche settimane costruisce tre ospedali, tanto per intendersi).

 

In questo modo potremo contrastare con più efficacia l'indecente campagna razzista nei confronti di quel grande popolo nostro fratello (una campagna che trova proseliti anche in parte consistente della cosiddetta "sinistra" nostrana, piena di pregiudizi e luoghi comuni in merito a quanto accade nella grande potenza socialista asiatica) che sta coprendo di vergogna e di discredito il nostro paese.  (Mauro Gemma)

 

L’allarme coronavirus è valso a erigere una nuova Grande Muraglia nei confronti della Cina e della sua popolazione, 1 su 5 abitanti del pianeta terra. In un periodo storico che si connota, guarda caso, per le tensioni commerciali scatenate dall’amministrazione di Donald Trump nei confronti dell’Impero di Mezzo. Al di là dell’isteria collettiva, il coronavirus mieterà probabilmente meno vittime di quelle causate ogni anno dalle zoonosi che affliggono la filiera agroalimentare negli Stati Uniti.

La lezione cinese sulla sanità pubblica, a ben vedere, va oltre la brillante gestione di un’emergenza in metropoli e province ad alta densità abitativa. Riguarda invece gli straordinari investimenti pubblici per garantire la Universal Health Coverage (UHC). Vale a dire la copertura sanitaria universale, in un Paese che ospita quasi 1,5 miliardi di persone. (1) E una politica, sui farmaci e le cure, che apporterà sicuro beneficio al sistema sanitario globale.

 

Copertura sanitaria universale, la lezione cinese
Il governo cinese – l’unico capace a programmare politiche di lungo corso – ha stabilito l’impegno di migliorare efficacia, efficienza e accessibilità del servizio sanitario pubblico. Gli investimenti in sanità pubblica sono quadruplicati, tra il 2008 e il 2017, fino a raggiungere € 197,4 miliardi. Con un tasso di crescita annua pari al 150% rispetto al PIL (+12,2% vs. +8,1%). La quota di PIL destinata alla sanità è così salita, dal 4,5% (2008) al 6,4% (2017).

I finanziamenti degli ospedali pubblici, raddoppiati negli ultimi cinque anni, ammontano ora a € 34,3 miliardi/anno. Con l’obiettivo di raddoppiarne le capacità, entro il 2030, per un valore complessivo atteso in € 2,1 mila miliardi. Il tasso di ospedalizzazione è salito dal 7,4% del 2010 al 13,5% del 2016, senza registrare differenze di rilievo legate ai redditi della popolazione. Sono così diminuite in maniera significativa sia le rinunce alle cure ospedaliere, sia le differenze tra provincie in termini di mortalità materna (con riduzione spiccata nelle aree più povere.

L’impegno pubblico per finanziare la copertura sanitaria universale ha comportato una radicale modifica della composizione della spesa sanitaria complessiva. La sua copertura è attualmente garantita in primis da assicurazione pubblica (42%) e spesa sanitaria pubblica (30%). Con una drastica diminuzione della componente di spesa a carico dei cittadini (dal 50 al 28% tra il 2008 e il 2017), in corso di ulteriore riduzione. (2)

Prezzi dei farmaci
Il raggiungimento degli obiettivi ha richiesto e tuttora comporta investimenti straordinari in infrastrutture, tecnologia, risorse umane e professionali. Ma il governo cinese è altresì intervenuto sul controllo dei costi dei farmaci, imponendo a Big Pharma una drastica riduzione dei loro prezzi per garantire il loro accesso alla più ampia popolazione del pianeta. Grazie a questa politica – che si traduce anche in un’economia di scala senza pari, in una logica win-win – gli stessi farmaci costano ora in Cina meno della metà rispetto agli USA.

Alcuni esempi (fonte Drugs.com):
– Entecavir (farmaco usato per il trattamento dell’epatite B), 0.5mg, 28 compresse. Prezzo in USA CNY 83,16 (10,81 €), prezzo in Cina CNY 17,36 (2,26 €),

– Atorvastatin (per il trattamento dell’ipercolesterolemia), 20mg, 7 compresse. Prezzo in USA CNY 58 (7,54 €), prezzo in Cina CNY 6,6 (0,86 €).

L’impatto della Cina sul sistema sanitario globale
I prezzi dei farmaci generici sono più che dimezzati in Cina rispetto a quelli vigenti in USA (-52% in media), quelli di alcune case farmaceutiche (es. Pfizer, Roche, Merck) ridotti fino al 70% e a volte ancor più. Grazie a programmi governativi di acquisto collettivo. I colossi farmaceutici registrano nell’Impero di Mezzo un tasso di crescita e un volume complessivo delle vendite che non può venire trascurato. In un percorso di bilanciamento senza precedenti, che avrà sicuro impatto sul mercato globale.

Pechino ha inoltre rinnovato il suo sistema di approvazione dei nuovi farmaci, ora più rapido che in molti altri Paesi. Attraendo, tra l’altro, nuovi finanziamenti in capitale di rischio – quadruplicati negli ultimi 4 anni, fino a raggiungere € 15,9 miliardi – a favore di start-up nel settore delle biotecnologie (fonte ChinaBio LLC). Ai farmaci a prezzi equi si aggiungono quindi gli investimenti (privati, oltreché pubblici) nella ricerca.

‘La posta in gioco non è solo il benessere di milioni di cinesi, ma il futuro del settore sanitario globale. La Cina ha puntato gli occhi sulla creazione di un sistema sanitario del Santo Graal che soddisfi le esigenze dei pazienti e controlli i costi, incoraggiando al contempo la ricerca all’avanguardia – e il mondo sta guardando.’ (3)


Note
(1) E sarà infatti la Cina il primo, forse l’unico dei 194 Stati membri WHO (World Health Organization, o OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità) a raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n. 3, in Agenda ONU 2030. Una breve sintesi dei Sustainable Development Goals (SDGs) in Agenda ONU 2030 su https://www.egalite.org/category/sdgs/.

In merito allo SDG 3, si veda https://sustainabledevelopment.un.org/sdg3

(2) Per approfondimenti si veda Gavino Maciocco. Cina: 10 e 70. Salute internazionale, 16.10.19,

(3) Dong Lyu, Rachel Chang e Adrian Leung. China Is Striving for the World’s Best, Cheapest HealthcareBloomberg News, 20.10.19

 

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