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08/04/2020

 

Il virus dell'avvenire. Slavoj Žižek e il bisogno di "un nuovo comunismo"

By Nicola Mirenzi

 

Il coronavirus ci costringerà a reinventare un comunismo basato sulla fiducia nella gente e nella scienza” dice il filosofo. Un distacco dal capitalismo su cui convergono molti pensatori

 

Il filosofo Slavoj Žižek dice che: “Il coronavirus ci costringerà a reinventare un comunismo basato sulla fiducia nella gente e nella scienza”. Settantuno anni, sloveno, Žižek è uno dei più incisivi pensatori contemporanei e sta lavorando a un libro aperto che si chiama Virus (Ponte alle Grazie), il cui oggetto non è necessario specificare, date le circostanze. È un ebook che si aggiorna man mano che la sua riflessione sul contagio globale prosegue, ma è già giunta a conclusioni notevoli, come enuncia il titolo dell’ultimo capitolo – il nono –  al momento disponibile: “Comunismo o barbarie, più semplice di così!”.

Grande studioso e interprete del pensiero psicoanalitico di Lacan, Žižek non teme di essere preso per matto. Però, ha adottato le sue precauzioni: “Non ci riferiamo qui al comunismo di una volta – scrive – ma a una qualche sorta di organizzazione globale che possa controllare e regolare l’economia, come pure limitare la sovranità degli stati-nazione”. Secondo Zizek, il contagio globale ha già fermato la frenesia del mercato, ha obbligato gli stati a intervenire massicciamente nell’economia, ha mostrato che per affrontare efficacemente la minaccia virale gli uomini di tutto il mondo – non solo i proletari – devono unirsi, condividere le cose che sanno, sincronizzare gli sforzi: sono obbligati, cioè, a trovare un forte senso di comunità. È il movimento contrario a quello che il mondo stava compiendo prima che la pandemia scoppiasse – spiega –, il mondo orientato alla ricerca dell’identità particolare, spesso nazionale, rivendicata come una priorità su tutto il resto, l’America first, il prima gli italiani.

La partita non è chiusa. L’umanità – sostiene Žižek – si trova precisamente di fronte al bivio: può scegliere la via della salvezza comune (perché solo insieme se ne può uscire), oppure imboccare la strada dell’ognuno per sé, che causerebbe al contrario molte più morti (la barbarie, appunto). Siamo nei pressi di ciò che evocava un verso di Friederich Holderlin: “Lì dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”. La scrittrice e attivista Naomi Klein, autrice di culto della sinistra radicale globale, in un intervento su Intercept, ha detto che “solo una crisi produce un vero cambiamento”. Di fronte al baratro, idee che fino a poco tempo fa era considerate troppo radicali, impossibili da realizzare, diventano improvvisamente realistiche. Se non addirittura le uniche possibili per uscire dalla crisi e prevenire nuove emergenze. Klein si riferisce all’intervento pubblico nell’economia e a un grande piano di riconversione ambientale della produzione. Ricordando che “se c’è una cosa che la storia ci insegna è che i momenti di shock sono profondamente volatili. Possiamo perdere un bel pezzo di terreno, essere derubati dalle élite e pagare il prezzo per decenni, oppure possiamo ottenere progressi che erano inimmaginabili”.

Questo è uno di quei momenti. Almeno, a giudicare dalla quantità di ipotesi, interventi, invettive, figurazioni che sono state proposte. La pandemia ha mobilitato l’immaginazione degli scrittori e le riflessioni degli studiosi sul mondo che verrà. La rivista Politico ha chiesto a trentaquattro grandi pensatori contemporanei di immaginare come sarà il mondo dopo, partendo dalla premessa che il mondo non sarà più come prima. Eric Klinberg, sociologo della New York University, ha scritto che “il coronavirus segna la fine della nostra storia d’amore con la società di mercato e l’iper-individualismo”. Pur non escludendo scenari nefasti, come il ritorno all’autoritarismo, scommette che le cose andranno diversamente: “Quando tutto questo finirà, ri-orienteremo la nostra politica, facendo nuovi investimenti in beni pubblici – per la sanità, specialmente – e servizi pubblici”.

La svolta a sinistra è un pensiero ricorrente nelle meditazioni intorno al coronavirus (oppure, dovremmo dire sogno?). In Italia, il filosofo Franco Berardi Bifo ha scritto che: “Non dovremo tornare mai più alla normalità”. Ha attaccato i tagli al settore pubblico, la distruzione del pianeta perpetrata dal capitalismo, la solitudine a cui ci avrebbe indotto l’iper connessione permanente. Infine, ha dato un nome a tutto questo: “C’è qualcuno a cui questa logica non piace perché gli ricorda il comunismo? Ebbene, se non ci sono parole più moderne useremo ancora quella, forse antica ma sempre molto bella”.

La verità è che, in questo caso, Marx si sbagliava moltissimo. Non è vero che la storia si ripete sempre come farsa. Stavolta, in principio è stata la risata. Ricordate Corrado Guzzanti che imita Fausto Bertinotti? Diceva: “Oggi i grandi animali non fanno più paura a nessuno. Di cosa abbiamo paura, invece? Abbiamo paura dei virus. Microrganismi che non riusciamo neanche a vedere”. La sinistra allora avrebbe dovuto prendere i virus come modello: “Continuare a scindersi sempre di più e creare migliaia di microscopici partiti comunisti, indistinguibili l’uno dall’altro, per poi lanciare l’attacco finale alla destra”. Non è andata così alla lettera, perché le profezie non sono mai del tutto didascaliche. Il sol dell’avvenire però ha assunto davvero le sembianze di un virus.

 

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