https://www.affarinternazionali.it/

10 Apr 2020

 

Le istituzioni internazionali di fronte all’emergenza

di Natalino Ronzitti

 

In questi giorni si parla molto di Unione europea e delle conseguenze che la pandemia di Covid-19 ha avuto e avrà sui diritti e obblighi degli stati membri e sulle libertà individuali. Ma come hanno reagito le istituzioni internazionali, che dovrebbero costituire l’architettura della governance mondiale?

 

Cominciamo dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che è ovviamente l’istituzione in prima linea. L’Oms non ha poteri di inchiesta autonomi all’interno degli Stati, ma fa affidamento sui rapporti che questi sono tenuti a inviare secondo quanto stabilito dai regolamenti sanitari internazionali, rivisti nel 2005, dopo l’epidemia di Sars. In base alle denunce degli Stati, l’Oms può dichiarare la sussistenza di una pandemia.

 

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accusato l’Oms di essere stata reticente e “cinocentrica“ e minacciato la riduzione dei fondi Usa all’0rganizzazione. In effetti Pechino, secondo taluni, avrebbe all’inizio tenuto nascosti i dati dell’epidemia, impedendo una tempestiva azione di contrasto. Ma questa non è l’opinione del segretario generale dell’Oms, che anzi ha lodato il governo cinese per i provvedimenti presi.

Di fronte alla pandemia è da registrare l’impotenza delle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza, complice la Cina che temeva censure sul comportamento tenuto per contrastare il contagio, non ha adottato alcuna risoluzione. Al contrario di quanto era accaduto con l’ebola, epidemia che il Consiglio aveva qualificato come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale nella risoluzione 2177 del 2014 e chiesto agli Stati di provvedere con massicci aiuti sanitari, censurando però la chiusura delle frontiere dei Paesi coinvolti. Anche la Russia non ha sostenuto la proposta di riunire il Consiglio di sicurezza.

 

Una risoluzione è stata invece adottata il 2 aprile scorso dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Si tratta di un testo generico, che lascia il tempo che trova. Non è stata invece adottata una risoluzione proposta dalla Russia e da altri Paesi volta a chiedere l’interruzione delle sanzioni unilaterali, che secondo questi stati impedirebbero un’efficace lotta contro la pandemia. L’esempio più citato è quello delle sanzioni Usa all’Iran, ma ovviamente la Russia pensa alle sanzioni degli occidentali per l’annessione della Crimea. Quanto alle sanzioni decretate dal Consiglio di sicurezza, come quelle imposte alla Corea del Nord, che nega l’epidemia sul suo territorio e continua imperterrita con gli esperimenti missilistici, solo il Consiglio può revocarle. Comunque, tali sanzioni sono contenute in risoluzioni provviste di meccanismi che non impediscono aiuti di natura umanitaria.

 

Aiuti concreti sono stati disposti o programmati dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Si tratta peraltro di cifre modeste di fronte all’entità del disastro, destinate ai Paesi più bisognosi del terzo mondo.

 

Anche le Corti internazionali sono state oggetto di attenzione, seppure solamente negli ambienti specializzati.Innanzitutto, la Corte internazionale di giustizia. Ci si è chiesti se la Cina, supponendo che sia imputabile di un comportamento reticente, responsabile di aver provocato la pandemia, possa essere convenuta di fronte alla Corte. Risposta non facile. Occorrerebbe prima provare che la Corte dell’Aja abbia competenza in materia, ammesso che vi sia qualche stato che intenda iniziare il procedimento. Quanto al merito, sarebbe necessario provare non solo che Pechino abbia omesso di comunicare tempestivamente l’epidemia all’Oms, ma anche, e soprattutto, che abbia successivamente tentato di impedire la divulgazione della notizia da parte delle autorità sanitarie. Comportamento colpevole, cui sarebbero da attribuire i danni incommensurabili provocati dalla pandemia.

 

È stata tirata in ballo anche la Corte penale internazionale. Freedom Watch ha tramesso la denuncia alla procuratrice della Corte penale internazionale, affinché intraprenda le indagini per accertare le responsabilità della dirigenza politica e militare cinese, responsabile, a detta dell’ong americana, di aver sperimentato il coronavirus come arma biologica e quindi di aver commesso un crimine contro l’umanità. Ma, a parte ogni altra considerazione sulla competenza della Corte, non avendo la Cina ratificato lo statuto istitutivo, la tesi della sperimentazione del coronavirus come arma biologica è stata smentita da più parti e perfino dalla Cia.

 

L’elenco delle istituzioni internazionali facenti parte della famiglia delle Nazioni Unite potrebbe continuare. Ad esempio, ricordando l’Organizzazione internazionale del lavoro e le raccomandazioni e i consigli concreti per proteggere i lavoratori e assicurare il minimo indispensabile per la loro sopravvivenza, o la Fao e il World Food Programme. Ma non è questo il punto. Il vero problema è se l’attuale architettura del sistema internazionale sia adeguata per far fronte a sfide come quella che stiamo vivendo. Con tutta evidenza non lo è.

 

Le Nazioni Unite sono state create per impedire il ripetersi di tragedie come quella della Seconda guerra mondiale e hanno il precipuo scopo di evitare il ricorso alla forza armata, attribuendone il monopolio al Consiglio di sicurezza. Sono trascorsi oltre 70 anni dalla loro nascita e sono da registrare successi e insuccessi. Ma i primi sono, tutto sommato, superiori ai secondi.

 

Forse è giunto il momento di ripensare l’architettura, individuando altri settori di vitale importanza per la sopravvivenza dell’umanità, oltre a quello del divieto della forza armata. Essere ottimisti in merito a profondi cambiamenti non è facile. A parte i sovranisti e la loro diffidenza per le istituzioni sovranazionali, basti pensare che la riforma del Consiglio di sicurezza, organo ormai divenuto vetusto con i cinque membri permanenti e il diritto di veto, langue ormai da oltre 15 anni.

 

top