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12/05/2020

 

L’economia mondiale e il Covid-19: una crisi dalle molte dimensioni

Kamel Abderrahmani intervistala  prof.ssa Ouhab-Alathamneh Nassima

 

La Cina guadagnerà più spazio con il suo “soft power”, ma gli Stati Uniti non perderanno il posto di potenza mondiale. Il prezzo del petrolio mette in crisi i progetti di Russia e Arabia saudita. L’influenza di Daesh si rafforzerà solo in Paesi come la Siria e l’Iraq. Intervista alla prof.ssa Ouhab-Alathamneh Nassima, insegnante di economia all’università Paris-Nanterre, dottore in geopolitica e geo-economia.

 

Parigi (AsiaNews) – Il mondo colpito dalla pandemia del Covid-19 è schiacciato da una crisi multidimensionale: sociale, economica, geopolitica. È quanto afferma la prof.ssa Ouhab-Alathamneh Nassima, 39 anni, dottore in geopolitica e geo-economia, insegnante di economia all’università Paris-Nanterre. In questa intervista a tutto tondo ella si sofferma sulle prospettive vincenti della Cina, che però non potranno scalzare il primato Usa; sminuisce i timori di una possibile crisi alimentare, ma vede con preoccupazione la crisi economica in Russia e in Arabia saudita. Per l’intervistata quello che è davvero in crisi, e non da ora, è un modello basato sull’economia di mercato basato sull’edonismo e sulla disuguaglianza.

L’attuale crisi economica è frutto soltanto della crisi sanitaria che viviamo?

L’economia mondiale è sopravvissuta a molte crisi, a cominciare da quella del 1872, del 1929 e del 2008. Sebbene queste crisi siano inevitabili, alcuni fattori presenti amplificano le conseguenze soprattutto sociali, andando ad accentuare le disparità fra i Paesi sviluppati e quelli non sviluppati. In più, dopo la caduta del blocco sovietico (1989-1991), è sorta una nuova forma di capitalismo ultraliberale, per cui l’economia mondiale vive al ritmo dei mercati e dei capitali. L’economia di mercato ha subito stabilito un’interdipendenza fra i poli industriali-monetari e le multinazionali, secondo un principio edonista che ha per scopo la crescita della ricchezza per una parte ristretta di detentori dei capitali. Le misure preventive di precauzione [sanitaria] imposte dagli Stati, che avevano bisogno di arrestare l’attività economica, da una parte hanno avuto effetti irreversibili sulla produzione nazionale, che si è rivelata molto dipendente dall’estero (strumentazioni mediche, prodotti alimentari, ecc…); dall’altra, hanno generato un affossamento senza precedenti della domanda e dell’offerta per la rottura della catena di produzione. Di conseguenza, molte imprese si trovano in uno stato di blocco dei pagamenti, e un buon numero di salariati rischiano la disoccupazione (più di 20 milioni negli Usa; 11 milioni in Francia). In effetti, costatiamo che al di là della recessione mondiale, dovuta alla chiusura delle frontiere e al rallentamento degli scambi commerciali fra gli Stati (fra il 3 e il 7,5% del Pil), questa crisi non fa che accentuare le derive del sistema economico esistente.

Che differenza c’è fra la crisi attuale e quelle precedenti? E come spiega quel che sta succedendo nei mercati finanziari mondiali?

Le precedenti crisi finanziarie sono state crisi sistemiche, legate soprattutto al sistema monetario, a cominciare da quella del 1929, in seguito a cui migliaia di detentori di titoli e speculatori hanno perduto i loro averi provocando una grande depressione economica, seguita da una brutale deflazione e da un crollo generale della produzione. La crisi delle borse nel 1987 e quella dei subprime del 2008 hanno avuto effetti limitati sull’economia mondiale.

Tali crisi hanno segnato una certa instabilità del capitalismo finanziario promosso dalla mondializzazione e dal liberalismo eccessivo degli scambi commerciali. Ossia: dal Trattato di libero scambio del 1860 fra il Regno Unito e la Francia, gli scambi e i flussi finanziari si sono moltiplicati fra i Paesi europei industrializzati prima di estendersi a tutti gli altri Stati emergenti dopo il 1929. L’accrescimento dei capitali ha fatto delle banche il centro del sistema capitalista contemporaneo. Quando la bolla speculativa è scoppiata, ha provocato un crollo dei corsi di attivi finanziari e di conseguenza la destabilizzazione delle banche, l’infragilirsi dei canali di produzione e la discesa degli investimenti produttivi. In effetti, se le crisi precedenti si limitavano al sistema finanziario, la crisi sanitaria attuale si distingue per la molteplicità delle dimensioni che coinvolgono tutti i settori dell’economia. Al di là degli effetti sociali (disoccupazione di massa, indebitamento, riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, ecc…) del Covid-19, gli effetti sul mercato finanziario (azioni, obbligazioni, materie prime) sono apparsi fin dai primi giorni della crisi, apparendo molto speculativi e volatili. Le borse sono crollate del 30%, specie le borse di Parigi, Shanghai e dei Paesi del Golfo. D’altra parte, la volatilità dei mercati finanziari è molto sensibile alle dichiarazioni espresse dai diversi dirigenti e organismi. Ad oggi, le perdite a livello dei mercati sono limitate grazie alla padronanza sui tassi d’interesse che sono relativamente bassi, il che permette di accrescere la liquidità nel bilancio delle banche per impedirne il fallimento.

Che effetto ha la caduta vertiginosa del prezzo del petrolio? Per quali ragioni l’Arabia saudita ha deciso di inondare i mercati di petrolio?

La riduzione della domanda mondiale, specie della Cina che importa il 10% del petrolio mondiale, come pure l’opulenza dell’offerta hanno portato al crollo del prezzo dell’oro nero. In particolare, diversi giorni fa, il grezzo prodotto in Texas ha perduto il 300% del suo valore (-37 dollari al barile). Le ragioni della sovrapproduzione del petrolio saudita si trovano nel disaccordo fra i produttori dell’Opec, capeggiati dall’Arabia saudita, e i loro alleati nell’ambito dell’Opec+, in particolare la Russia. C’è disaccordo su una possibile riduzione della produzione di 1,7 milioni di barili al giorno, secondo un accordo di principio concluso nel 2016 alla Conferenza di Algeri. Il rifiuto russo di abbassare la produzione per equilibrare il mercato (per non sostenere i produttori di scisto americano), ha spinto il regno saudita ad accrescere la sua di 2,5 milioni di barili al giorno, secondo la strategia “tanto peggio, tanto meglio”. Un viraggio che capita proprio quando la crisi sanitaria ha colpito in modo significativo la domanda mondiale di petrolio: secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, dall’inizio della crisi del Covid-19, la domanda si è ridotta di 90mila barili al giorno.

Quali conseguenze avrà il Covid-19 sull’economia mondiale e su quella asiatica?

L’arresto della maggior parte delle attività economiche ha delle conseguenze irrimediabili sull’economia mondiale. Ad esempio: il traffico aereo ha subito perdite importanti stimate a 113 miliardi di dollari e questo produce un impatto considerevole sul settore turistico. Secondo il World Travel & Tourism Council (WTTC), sono minacciati 50 milioni d’impiegati del settore, dei quali circa 30 milioni in Asia. Per quanto riguarda il mercato asiatico, esso come tutti, ha subito perdite considerevoli, con in più delle alterazioni negative nelle borse, nel settore industriale e nelle tecnologie a causa della loro interdipendenza con il mercato cinese, primo fornitore di componenti elettronici in Asia. Il Giappone, ad esempio, nel 2019 ha importato dalla Cina più di 45 miliardi di dollari di componenti elettrici ed elettronici. Da parte sua, la Cina ha subito un importante arretramento del suo Pil ( di 6,8 punti dall’inizio della pandemia) e un calo sensibile dei suoi investimenti e del suo export attraverso il mondo (-18% al primo trimestre 2020, con un deficit commerciale di più di 7 miliardi di dollari).

Per la Russia le previsioni sono per una recessione fra il 5 e il 10%. L’insieme delle regioni dipendono in parte dall’aiuto federale: la crisi attuale causa importanti squilibri di bilancio fra di loro, che le costringono a ricorrere al potere federale. D’altronde, il crollo del prezzo dell’oro nero si ripercuote inevitabilmente sull’economia russa che proprio dall’esportazione di idrocarburi trae una parte sostanziale dei suoi introiti.

Quanto all’Arabia saudita, la crisi sanitaria l’ha privata di una parte importante dei suoi introiti provenienti dal pellegrinaggio alla Mecca (Omra e Hajji) stimati a circa 45 miliardi di dollari all’anno. Anche l’economia dell’Arabia dipende dal prezzo del petrolio e la sua caduta attuale ha un impatto negativo. Ma il regno saudita ha un bilancio deficitario dal 2014. Per l’equilibrio finanziario, esso avrebbe bisogno di un prezzo pari o superiore a 80 dollari al barile.

La Russia, primo esportatore al mondo di grano, ha deciso di fermare l’esportazione di cereali. Che impatto potrà avere sull’economia mondiale?

Dall’inizio di aprile fino al 30 giugno, la Russia ha deciso di restringere le esportazioni a 7 milioni di tonnellate, con l’eccezione dell’Unione economica eurasiatica. Tutto questo solleva dei timori sulla sicurezza alimentare mondiale. È vero che la strategia russa tende a soddisfare il mercato nazionale ed evitare un innalzamento dei prezzi sul mercato, sapendo che a tutt’oggi il prezzo del grano è più alto di quello del petrolio. Lo stesso è avvenuto nel 2010, quando la Russia ha ridotto le sue esportazioni a causa della siccità. Ma sul medio termine le limitazioni dell’export russo non avranno un impatto diretto sull’economia mondiale perché altri Paesi nell’Unione europea, il Canada, l’India e la Cina possono garantire l’approvvigionamento del mercato fino a luglio, data in cui la Russia tornerà a esportare il suo grano.

Come sarà il mondo dopo il Covid-19? Ci sarà una ridistribuzione delle carte sul piano geopolitico? La Cina prenderà il comando?  Chi vince e chi perde?

Il modello neo-liberale che conosciamo ha rivelato senza mezzi termini i suoi limiti ed è rifiutato in molti aspetti. Questa crisi mostra le disuguaglianze persistenti nella società americana. E questo, nonostante il Congresso abbia votato un piano di sostegno di 2mila miliardi di dollari per lottare contro gli effetti della crisi. In più, vi è l’indebitamento massiccio delle famiglie modeste, costrette a confinarsi a casa per sfuggire alla catena di trasmissione della malattia. Esse saranno certo colpite più di altri dal rallentamento economico interno, che ha bisogno di una riorganizzazione delle priorità.

Io non penso che gli Usa perderanno il loro posto in quanto potenza economica mondiale. Ma certo non saranno i primi perché le contraddizioni del sistema liberale mantenuto fino ad oggi suscita sfiducia a livello nazionale per gli effetti che ha causato a più di 43 milioni di poveri, cioè il 13,5% della popolazione.

<<l<’accesso precario all’impiego e ai servizi di base, largamente privatizzati, solleva incertezze. E non solo sulle garanzie che tale sistema offre localmente, ma anche per l’immagine che trasmette su scala internazionale: i Paesi che hanno seguito questo sistema perderanno ogni fiducia. Certo, gli Usa dispongono di mezzi militari e finanziari dissuasivi e il dollaro costituisce la prima moneta di scambio internazionale, ma la Cina ha saputo ottimizzare la sua notorietà con il “soft power” prima e dopo la crisi. Il suo ritorno veemente sul mercato mondiale e l’interdipendenza delle industrie mondiali con la sua servirà alla sua prepotenza sulla scienza internazionale.

E sempre parlando di geopolitica, pensa che il Covid-19 sia un’opportunità per Daesh?

No. Non penso che questa pandemia sia un’opportunità per Daesh, che la considera “un castigo di Dio”. Al contrario, i leader di questa organizzazione hanno consigliato ai loro combattenti di evitare di andare in Europa, primo focolare del virus. Negli ultimi tempi vi sono attacchi marginali e solitari in Francia e regno Unito, ma il principale terreno di operazione rimangono i Paesi instabili come l’Iraq e la Siria. La riduzione dei trasporti aerei e i blocchi fra le città limita il campo d’azione di Daesh nei Paesi stranieri. In più, la diminuzione di attacchi mirati, specie in Siria, potrebbe generare una rinascita di alcuni siti che appartengono a Daesh, dopo che il coronavirus sarà dominato.

 

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