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03/01/2020

 

Chi era (davvero) Soleimani

di Nicola Pedde

Direttore Institute of Global Studies

 

E perché la sua uccisione porta un colpo mortale a Khamenei e alla prima generazione della Rivoluzione in Iran, aprendo la strada a una generazione più radicalizzata

 

L’operazione militare condotta dalle forze statunitensi nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, che ha portato all’eliminazione del generale Qassem Soleimani, determina un profondo mutamento degli equilibri regionali e l’avvio di una nuova fase di crisi dagli incerti orizzonti.

Ufficialmente ordinata come reazione all’attacco dell’ambasciata americana a Baghdad nei giorni scorsi, l’uccisione del generale iraniano è espressione di un processo decisionale che a Washington sembra aver voluto solcare quella linea rossa che da tempo rappresentava il perno di equilibrio tra Stati Uniti e Iran. Una decisione probabilmente motivata anche da forti esigenze di politica interna, i cui effetti rischiano tuttavia di propagarsi velocemente quanto disastrosamente nell’intero Medio Oriente.

Con la morte di Soleimani viene paradossalmente meno l’unica e ultima garanzia negoziale degli Stati Uniti con l’Iran, l’interlocuzione diretta di Washington con l’apparato della sicurezza di Teheran e, più in generale, con l’uomo che più di ogni altro aveva esperienza e visione sul piano regionale e globale.

 

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Chi era realmente Soleimani

Qassem Soleimani, 62 anni, è stato senza ombra di dubbio il più celebre rappresentante dell’apparato militare iraniano degli ultimi vent’anni. Militare di professione, con una lunghissima esperienza maturata sin dai primi giorni della guerra Iran-Iraq tra il 1980 e il 1988, Qassem Soleimani aveva scalato i vertici della struttura militare grazie alla sua solida reputazione e soprattutto grazie alle capacità dimostrate nella gestione delle Quds Force, unità speciali per la gestione delle operazioni estere, poi incorporate come forza armata dell’IRGC.

Su Qassem Soleimani si è scritto molto nel corso degli ultimi dieci anni, sebbene buona parte questa narrativa sia stata caratterizzata dallo stereotipo di matrice israeliana e statunitense che lo ha caratterizzato come un ultra-radicale, fanatico e soprattutto come sostenitore del terrorismo internazionale.

La figura del generale Soleimani è stata in realtà ben diversa e soprattutto ben più complessa dello stereotipo imposto dai suoi detrattori. Fortemente pragmatico, il generale ha incarnato più di ogni altro elemento delle forze armate iraniane il modello del nazionalista, diventando in breve tempo una figura leggendaria nel paese, soprattutto tra i più giovani.

Stratega di grande capacità, Soleimani è stato senza dubbio il militare iraniano con la maggiore esperienza regionale e con la più spiccata capacità di analisi delle dinamiche internazionali. Aveva personalmente dialogato e negoziato con gli Stati Uniti in più occasioni nel corso del tempo, e di fatto rappresentava anche per Washington il più efficace argine contro il dilagare di quelle dinamiche che rappresentano in primis una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti.

Anche sul piano della politica interna iraniana Qassem Soleimani rappresentava una figura complessa. Molto vicino alla Guida, Ali Khamenei, il generale costituiva l’elemento di garanzia del sistema politico di prima generazione, ponendosi come baluardo della difesa degli interessi nazionali e della continuità politica della Repubblica Islamica. In quest’ottica era entrato più volte in rotta di collisione con i vertici dell’IRGC, e soprattutto con quella componente apicale espressa dall’industria militare e dal conglomerato industriale che ruota intorno al grande universo dei Pasdaran. Soleimani non era certamente uomo loro, ed anzi veniva da questi percepito più come un pericoloso outsider che non come un alleato.

Anche per questo era divenuto una vera e propria celebrità in Iran, soprattutto in quelle fasce giovanili solitamente ostili alla classe politica e militare del paese, che considerano corrotta ed incapace.

Il generale aveva conquistato la sua definitiva celebrità poi nella lotta contro lo Stato Islamico in Iraq, precipitandosi a Baghdad nel 2015 nel momento più critico del consolidamento del Daesh ed evitando di fatto grazie al suo ruolo la caduta della stessa capitale nelle mani dei fondamentalisti islamici. Grazie alla creazione in breve tempo di milizie ben equipaggiate ed addestrate era riuscito ad avere la meglio sulle forze dello Stato Islamico, contribuendo significativamente alla sua sconfitta tanto in Siria quanto in Iraq.

 

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Cosa cambierà in Iran e nella regione con la sua morte

Paradossalmente, gli Stati Uniti hanno eliminato questa notte non solo il loro vero ed unico interlocutore all’interno dell’apparato militare iraniano, ma anche il principale argine di tenuta dei loro interessi in tutta la regione.

Una decisione difficile da comprendere, quella di Trump, che concede adesso ampi spazi di manovra a tutte le componenti – iraniane e non – più ostili alla presenza e agli interessi degli Stati Uniti nella regione.

A Teheran la scomparsa di Soleimani rappresenta un grave colpo per la componente politica di prima generazione, e in particolar modo per il sempre più debole entourage politico che ruota intorno alla Guida Ali Khamenei, di cui Soleimani era un fedele alleato.

Il generale che andrà a sostituirlo alla Guida delle Quds Force, Esmail Qaani, è espressione più dell’attuale vertice militare – il Gen. Salami – che non dell’establishment di prima generazione, e quindi della Guida, con la conseguenza di un riallineamento verso posizioni più radicali e marcatamente politicizzate sul piano interno. Sebbene la nomina sia formalmente espressa dalla Guida, in accordo alla legislazione nazionale, la sua scelta è il frutto di un processo decisionale tutto interno all’apparato dell’IRGC.

Qaani è conosciuto per il suo viscerale antagonismo verso Israele e per la sua propensione ad esprimere liberamente il proprio pensiero su questioni di politica interna ed internazionale, al contrario di Qassem Soleimani, che della riservatezza e della moderazione dei commenti aveva fatto il suo tratto distintivo e la sua capacità di essere apprezzato dagli iraniani.

L’IRGC è fortemente permeato da quelle componenti espresse dall’apparato dell’industria militare e del sistema industriale sotto il loro controllo, che hanno come principale interesse il mantenimento dei loro interessi politici ed economici. Uno status quo che per essere difeso necessita di una continua tensione con l’esterno, e che vede nell’escalation con gli Stati Uniti una significativa opportunità.

Il generale Soleimani aveva una visione diametralmente opposta degli interessi nazionali, costruiti nella sua percezione sul nazionalismo e la difesa delle prerogative regionali della Repubblica Islamica. Il suo venir meno lascia in tal modo ampi spazi di manovra a tutte quelle componenti che non hanno alcun interesse per la dimensione globale e regionale dell’interesse iraniano, concentrando al contrario la loro attenzione sulla dimensione politica ed economica locale garantita dall’autoreferenzialità dell’IRGC e della sua classe dirigente.

Questo fattore determina un colpo mortale anche alla capacità politica della prima generazione e della Guida Ali Khamenei, di fatto spianando la strada al consolidamento del ruolo e dell’influenza della seconda generazione. Gli stereotipi della narrativa occidentale hanno sempre descritto Khamenei e la prima generazione di teocrati come l’elemento più conservatore e radicale, mancando purtroppo di cogliere come il vero radicalismo del sistema sia insito all’interno delle dinamiche politiche e ideologiche della seconda generazione, connotato da un approccio alla politica internazionale e di difesa ben diverso rispetto al pragmatismo che per quarant’anni ha caratterizzato la politica iraniana.

Quello che ci si deve aspettare a Teheran, quindi, è un’accelerazione nel processo di consolidamento delle frange più radicali del sistema politico e militare, soprattutto attraverso la progressiva marginalizzazione degli esponenti politici di prima generazione. Processo peraltro già in atto da tempo, come dimostrato dal caso di Ali Larijani solo pochi giorni fa.

Quello che con ogni probabilità può essere considerato come definitivamente cessato è l’impegno dell’Iran in seno all’accordo sul nucleare, e in questa direzione Teheran potrebbe annunciare a breve una nuova accelerazione nel processo di arricchimento dell’uranio e, più in generale, di impegno nel ripristino a pieno regime del programma stesso.

Non meno importanti saranno le conseguenze sul piano regionale, a partire dall’Iraq, dove il generale Soleimani è stato ucciso insieme ad Abu Mahdi al-Muhandes, vice comandante delle milizie di al-Hash al Shaabi, direttamente subordinate all’ufficio del primo ministro iracheno. L’operazione militare condotta dagli americani rappresenta una violazione degli accordi che regolano la presenza delle forze statunitensi in Iraq e le autorità locali dovranno prendere una posizione sulla delicata faccenda, a fronte del rischio di esasperare i sentimenti popolari. Questo potrebbe provocare la prima seria difficoltà per gli Stati Uniti nella regione, pregiudicando non solo la possibilità di un rafforzamento del proprio dispositivo militare locale, quanto piuttosto metterlo proprio in discussione sul piano normativo locale.

La ricerca di un’escalation da parte dell’Iran potrebbe in subordine non essere indirizzata direttamente contro gli Stati Uniti, tornando come in passato a colpire gli alleati di Washington nella regione, da Israele alle monarchie del Golfo Persico. Ogni passo di Teheran in direzione di una ripresa del programma nucleare sarà considerata da Israele come il superamento di quella linea rossa che ha sino ad oggi impedito un diretto intervento militare, che l’Iran potrebbe cercare di provocare nell’ottica di una più generale escalation regionale, presumibilmente ingestibile una volta innescata.

Parimenti, la strategia di Teheran potrebbe invece concentrarsi sullo sviluppo di una conflittualità del tutto asimmetrica, optando per un ruolo indiretto attraverso l’azione di proxy storici o di nuova generazione, eludendo il profilo di una responsabilità diretta e costringendo i suoi avversari ad intraprendere mosse politicamente impegnative e rischiose.

Una rosa di opportunità ampia, quindi, quella connessa ai possibili scenari regionali all’indomani della morte del generale Qassem Soleimani, ma nessuno di questi sembra presentare alcun vantaggio diretto né per gli Stati Uniti né tantomeno per l’Europa.

 

 

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