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5 aprile 2020

 

Il virus e la fede: l’ayatollah iraniano scrive al Papa

di Francesco Boezi

                       

Un ayatollah iraniano ha scritto una lettera al Papa della Chiesa cattolica in funzione della crisi mondiale scatenata dal nuovo coronavirus. La missiva in questione rischia di divenire parte integrante della storia recente del dialogo interreligioso.

L’emergenza mondiale dovuta alla pandemia da Covid-19 costringe le autorità morali di qualunque confessione a fare i conti con esigenze spirituali parzialmente diverse dal solito. C’è il tema degli “ultimi” e dei “penultimi”, che possono essere più esposti alla diffusione dei contagi di altre categorie. L’ayatollah ha ringraziato Francesco per quanto messo in campo in favore delle persone meno fortunate. C’è, però, anche la necessità di costruire un’alleanza per far sì che le istituzioni religiose, di questi tempi, parlino una lingua più comune possibile. Le celebrazioni, in Italia, sono sospese. E il Papa ha scelto di sanare questo vuoto mediante una serie di gesti simbolici, come il discorso tenuto in televisione o le preghiere recitate al di fuori delle mura leonine. Anche le necessità spirituali vanno garantite. Ma bisogna che la Salute pubblica venga gerarchicamente per prima.

Esiste, per esempio, l’esigenza che i fedeli di tutto il mondo rispettino le restrizioni alla stessa maniera. Le differenze di base tra le due religioni rimangono, ma per Alireza Arafi, che è l’ayatollah in questione, diviene sempre più evidente la necessità di “creare una comunità delle religioni celesti al servizio dell’umanità”. Conoscendo la centralità del dialogo tra le confessioni all’interno della pastorale di Jorge Mario Bergoglio, è possibile prevedere quanto il pontefice argentino abbia apprezzato i contenuti della lettera.

L’Iran aveva già cercato la sponda del Vaticano quando, a metà del mese di marzo, Teheran aveva domandato all’ex arcivescovo di Buenos Aires di fare da interlocutore affinché gli Stati Uniti riducessero almeno la morsa dovuta alle sanzioni. Una posizione che è per esempio condivisa da Joe Biden, il candidato in pectore dei Democratici per le presidenziali del 2020. Donald Trump, per ora, non sembra essere disposto a considerare questa ipotesi, ma non è detto che il presidente, così come vale per i rapporti con la Cina di Xi Jinping, riveda alcune delle sue posizioni in relazione agli effetti del quadro pandemico.

Di sicuro se ne sta discutendo ad alti livelli. Ma il piano politico ed il piano religioso non appartengono alla stessa sfera d’intervento. E infatti tanto l’ayatollah Alireza Arafi quanto Papa Francesco hanno raccomandato di seguire alla lettera le indicazioni delle autorità civili e quelle provenienti dall’emisfero medico-sanitario. Arafi lo ha messo nero su bianco anche nella missiva destinata al vescovo di Roma. Quella in cui l’iraniano ha chiesto a Bergoglio di collaborare in maniera più marcata, così come sottolineato dall’Agi.

Una delle massime autorità tra quelle espresse dalla religione sciita, insomma, ha aperto alla possibilità che l’umanità venga servita, in queste fasi, attraverso modalità condivise, con la consapevolezza di come per le “religioni rivelate” i “i disastri naturali sono fenomeni di allarme che mettono alla prova l’umanità”. Si è spesso raccontato di come Francesco avesse cercato nell’islam un alleato in grado di contrastare le attuali logiche della distribuzione della ricchezza. La globalizzazione, stando al pensiero del pontefice sudamericano, è un’occasione che va gestita, tenendo conto delle “periferie economico-esistenziali”, che rischiano di subire in un angolo, e isolate, gli effetti del Covid-19.

Alireza Arafi ha spiegato quali, secondo la sua visione, siano i principali compiti delle istituzioni morali, che adesso dovrebbero “proteggere la società da anomalie e contaminazioni, tener presente la forza eterna di Dio Onnipotente, promuovere la preghiera e le suppliche alla presenza di Dio”. Il Covid-19 ha una serie di effetti indiretti. Tra questi, è possibile che questo evento epocale acceleri i processi tesi alla collaborazione tra sciiti e cattolici. Processi che, peraltro, risultavano già risiedere in un punto decisivo.

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