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4 gennaio 2020

 

Gli Usa sottovalutano la reazione dell’Iran

di Roberto Vivaldelli

 

John J. Mearsheimer, uno dei più importanti e influenti studiosi di relazioni internazionali al mondo e distinto professore di Scienze Politiche presso l’Università di Chicago, celebre esponente della scuola del realismo politico contemporaneo, commenta in esclusiva su Inside Over l’operazione che nelle scorse ore ha ucciso Qassem Soleimani, uno dei leader più importanti dei Pasdaran e guida delle brigate Al Quds, morto sotto i colpi sparati da velivoli senza pilota americani. Un atto che il grande politologo americano descrive come “folle”.

“Donald Trump e i suoi consiglieri non hanno la minima idea che l’altra parte (l’Iran]) abbia una formidabile capacità di rappresaglia. Ci si chiede cosa stessero pensando quando hanno agito”, afferma. L’autore del celebre saggio La tragedia delle grandi potenze, ormai un classico della saggistica sulle relazioni internazionali, oltre che dell’ultimo La grande illusione. Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo, sottolinea che dopo l’uccisione di Soleimani gli Usa sono in un vicolo cieco. “Il problema fondamentale – spiega – è che qui non c’è una via d’uscita. Gli Stati Uniti sono impegnati a convincere l’Iran ad arrendersi e ciò non accadrà. Nemmeno Trump può farlo, per via delle pressioni, e questa è l’ultima cosa di cui ha bisogno in un anno elettorale”.

 

Le relazioni tra Iran e Usa

Lo scorso marzo, Mearsheimer raccontava, in un’intervista a Inside Over, perché, a suo dire, Teheran non rappresenterebbe una minaccia diretta né per gli Stati Uniti né per l’Occidente. “L’Iran – osservava il celebre studioso – non è una minaccia diretta per gli Stati Uniti. Non è nemmeno una minaccia indiretta. Primo, l’Iran non ha armi nucleari e ha firmato un accordo con le maggiori potenze mondiali che rende impossibile per Teheran sviluppare armi nucleari nel prossimo futuro. Secondo, l’Iran non ha missili che possano colpire la popolazione degli Stati Uniti. Terzo, l’Iran ha forze convenzionali deboli, che non possono essere utilizzate contro gli Stati Uniti o in qualsiasi altro Paese del Medio Oriente sotto l’ombrello della sicurezza americana. In quarto luogo, l’Iran non rappresenta una seria minaccia per attaccare un altro Paese nella sua regione. Non ha lanciato una guerra contro un altro Paese nemmeno una volta nei tempi moderni, e non ci sono prove che stia ora preparando l’offensiva contro i suoi vicini”.

Secondo Mearsheimer, sul fronte della lotta del terrorismo gli Usa farebbero bene a rivolgersi ai loro alleati regionali, come l’Arabia Saudita: “L’Iran non è la fonte del problema del terrorismo americano – sottolineava John J. Mearsheimer -. Nella misura in cui un singolo Paese merita questo titolo, questo è l’Arabia Saudita, non l’Iran. La verità è che sono gli Stati Uniti che rappresentano una minaccia diretta per l’Iran, non il contrario. L’amministrazione Trump, come fortemente suggerito da Israele e Arabia Saudita, ha la pistola puntata sull’Iran. L’obiettivo è il cambio di regime, e ci sono molte evidenze che dimostrano che gli Stati Uniti potrebbero impiegare la forza militare per raggiungere questo obiettivo”.

 

“Baghdad come Sarajevo”

Anche la celebre e autorevole rivista americana The National Interest è intervenuta con un editoriale molto critico nei confronti dell’operazione americana che ha portato alla morte di Qassem Soleimani in Iraq. “La Cina e la Russia – osserva Jacob Heilbrunn – possono solo meravigliarsi della continua capacità di autodistruzione di Washington mentre si concede una nuova dimostrazione dell’arroganza del potere”. È stato il Segretario di Stato Mike Pompeo, sottolinea la rivista, “a progettare quello che potrebbe essere una nuova Sarajevo, annullando il suo imminente viaggio in Ucraina e contribuendo a garantire la rappresaglia contro l’Iran”. The National Interest paragona dunque la morte di Soleimani a quella del 28 giugno 1914, quando lo studente serbo Gavrilo Princìp scaricò la sua pistola contro l’erede al trono d’Austria-Ungheria, l’arciduca Francesco Ferdinando, che morì poche ore dopo. Un mese dopo il vecchio imperatore Francesco Giuseppe dichiarò guerra alla Serbia aprendo così il Primo conflitto mondiale.

Il problema, infatti, è che la morte del carismatico generale iraniano “crea un nuovo giro di ostilità che l’America non è in grado di gestire”. Dal punto di vista politico interno, inoltre, Trump “ha fornito un assist ai democratici, forse soprattutto al senatore Bernie Sanders, che si è opposto ai conflitti seriali americani all’estero, sebbene l’ex vicepresidente Joe Biden abbia anche lui attaccato Trump. Essenzialmente Trump ha fatto dimenticare la ritrosia per democratici come Biden che hanno sostenuto la guerra in Iraq del 2003″.

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