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8 gennaio 2020

 

Forse l’episodio finale del surreale spettacolo di cambiamento di regime in Venezuela da parte di Juan Guaidó

di Leonardo Flores

esperto della politica latino-americana e attivista di CODEPINK.

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

La scena farsesca di Juan Guaidó che cerca di irrompere nell’Assemblea Nazionale venezuelana mentre i suoi membri ne votano l’esclusione è stata solo il capitolo più recente di tentativo di colpo di stato assurdamente pasticciato e manda in un vicolo cieco la politica di Trump.

 

Scazzottate e gare di urla sono scoppiate il 5 gennaio nell’Assemblea Nazionale del Venezuela, quando l’organo legislativo aveva in programma di eleggere il proprio leader. Ma la zuffa non è stata quella dipinta dai media di sistema statunitensi.

Gli scontri non sono stati tra i chavisti che appoggiano la Rivoluzione Bolivariana e il presidente Nicolás Maduro da una parte e i membri dell’opposizione dall’altra, bensì tra membri in competizione dell’opposizione stessa.

L’opposizione è implosa perché Juan Guaidó, l’ex presidente dell’Assemblea Nazionale e autoproclamato “presidente ad interim” del paese, ha perso la sua campagna per essere rieletto a capo del parlamento.

L’opposizione venezuelana è in una condizione disastrosa, come lo è stata fin dalla prima elezione dell’ex presidente Hugo Chávez nel 1998. E’ una coalizione lasca e in continuo cambiamento di circa dodici partiti politici, con ideologie, strategie ed elettorati differenti.

L’estrema destra, che è composta principalmente dai partiti Voluntad Popular e Primero Justicia, è piena di persone che hanno ricevuto sostegno finanziario e logistico dagli Stati Uniti negli ultimi vent’anni.

Nel colpo di stato del 2002 contro il presidente Chávez, l’estrema destra si è brevemente impossessata del potere, e ha escluso l’opposizione più moderata dalle posizioni di potere. I moderati hanno imparato la lezione sbagliata: invece di sfidare la destra sostenuta dagli Stati Uniti, ha capitolato a essa, accettando i suoi piani di cambiamento di regime e di manovre antidemocratiche.

Ma durante le elezioni presidenziali del maggio 2018 si è verificata un’importante scissione tra i moderati e gli estremisti. I moderati hanno ignorata la chiamata dell’estrema destra a un boicottaggio e hanno conquistato tre milioni di voti alle elezioni presidenziali, su un elettorato di circa 15 milioni di persone (con circa 20 milioni aventi diritto al voto).

Nel settembre del 2019 queste figure dell’opposizione moderata si sono sedute a un tavolo con l’amministrazione Maduro e sono arrivate a un esteso accordo che ha incluso un rifiuto bipartisan delle sanzioni statunitensi e la nomina di nuovi membri del Comitato Elettorale Nazionale.

Tra essi, i moderati e i chavisti rappresentano ora più di 9 milioni di voti, pari a un 60 per cento pieno dei votanti e al 45 per cento degli aventi diritto. Questo dialogo tra due importanti segmenti della politica elettorale venezuelana contribuisce a spiegare perché settembre, ottobre e novembre sono stati facilmente i tre mesi più stabili dell’anno scorso per il Venezuela. Il dialogo ha condotto direttamente agli eventi del 5 gennaio a Caracas.

 

Un’opposizione malamente divisa dà il benservito a Guaidó

Juan Guaidó, del partito di estrema destra Voluntad Popular, è stato capo dell’Assemblea Nazionale dal gennaio 2019. E’ questa posizione che lui e gli Stati Uniti hanno usato per giustificare la sua proclamazione a presunto “presidente” del paese. Ma il 5 gennaio stava affrontando una difficile corsa alla rielezione.

Mentre entrambe le parti si scambiavano accuse non comprovate di traffici di influenze, presto nella giornata è diventato chiaro che l’opposizione moderata avrebbe unito le forze con il chavismo per sostituire Guaidó.

Con 150 membri presenti su 165, l’Assemblea Nazionale ha eletto Luis Parra a proprio nuovo presidente. Parra, del partito d’opposizione di destra Primero Justicia, è stato eletto con 81 voti. Franklin Duarte, del conservatore partito cristiano COPEI (uno dei due principali partiti del Venezuela prima della rivoluzione) è stato eletto vicepresidente dell’Assemblea.

José Gregorio Goyo Noriega, dello stesso partito di Guaidó, Voluntad Popular, è stato eletto secondo vicepresidente dell’Assemblea Nazionale. E Negal Morales, della neoliberista Acción Democrática (l’altro principale partito ante rivoluzione) è stato eletto segretario dell’organo legislativo.

Tutti e quattro questi partiti sono fermamente all’opposizione, smentendo affermazioni che il presidente Maduro si sia in qualche modo impossessato del parlamento.

Almeno 30 membri dell’opposizione moderata si sono uniti ai chavisti nell’eleggere due persone di partiti dell’estrema destra alle posizioni più elevate dell’Assemblea Nazionale. Il Venezuela è un paese complicato, con una logica propria che si sottrae alla razionalità, in gran parte come la sua economia. Questa manovra del chavismo e dei moderati è il passo successivo verso il superamento di uno stallo politico che paralizza il paese dal 2016.

Primero Justicia esemplifica al meglio le fratture in seno all’opposizione, poiché è probabilmente il partito politico più diviso del paese. Comprende Parra, che ha partecipato al dialogo con il governo. In una conferenza stampa dopo aver giurato ha detto: “Noi [l’opposizione] non siamo più presi dallo scontro; la nostra prima e maggiore sfida consiste nel por fine allo scontro… avvieremo un percorso di depolarizzazione del paese e del parlamento.”

Questo partito comprende anche il notoriamente intransigente Julio Borges, che si è riferito all’emigrazione venezuelana come a una piaga (alimentando la rampante e, in alcuni casi, patrocinato dallo stato xenofobia anti-venezuelana della regione). Borges ha anche sollecitato un’opzione militare statunitense per deporre Maduro.

Le divisioni di Primero Justicia riflettono quelle che hanno scisso l’opposizione nel suo complesso: un’ala che vuole la coesistenza contro un’altra che chiede la conquista totale.

 

L’episodio finale di un reality surreale?

Quando è diventato chiaro che stava per perdere la rielezione, il sempre più farsesco Guaidó ha inscenato il più recente episodio del suo reality show parallelo. Ha convinto alcuni dei giornalisti più svergognati del mondo che gli era fisicamente impedito dalla polizia di entrare nell’Assemblea Nazionale. Le riprese video mostrano altro.

Guaidó si è rifiutato di entrare nella sede se non gli fosse permetto di introdurre 11 ex membri dell’Assemblea Nazionale. Questi 11 variano da membri che erano stati dichiarati ineleggibili in parlamento dalla Corte Suprema del Venezuela a causa di un presunto piano di compravendita di voti nelle loro elezioni, a membri che erano stati spogliati della loro immunità parlamentare per aver partecipato alla tentata rivolta del 30 aprile 2019, quella in cui la fazione di Guaidó si era coraggiosamente impossessata di una rampa di uscita.

La concentrazione sugli 11 ex parlamentari cui non è stato consentito l’ingresso ignora i quasi cento parlamentari dell’opposizione che sono effettivamente entrati e sono stati presenti al voto.

Dopo la sconfitta, lo spettacolo di Guaidó è proseguito. Ha deciso di creare un parlamento parallelo per accompagnare la sua parallela presidenza, presumibilmente con l’imminente benedizione della Corte Suprema parallela. (Si ricordi che questa “corte” opera da Miami, e sta vivendo lo stesso tracollo del resto dell’opposizione).

La battaglia mediatica – la campagna di disinformazione e la sua contro-campagna – è ora a pieno regime. Secondo Parra, c’è stato un quorum e c’è stata una votazione, rendendo totalmente legittima la sua ascesa a capo dell’Assemblea Nazionale. La fazione di Guaidó, tuttavia, afferma che nessuna delle due cose è avvenuta).

Ore dopo il giuramento di Parra, il parlamento parallelo di Guaidó ha giurato negli uffici di un giornale favorevole all’opposizione. Egli afferma di essere stato rieletto nel parlamento con 100 voti.

La confusione che circonda chi sia e chi non sia membro dell’Assemblea Nazionale, non problemi tecnici riguardanti i parlamentari alternativi, sarà sufficiente a convincere la maggior pare dei Democratici al Congresso, e alcuni di quelli che corrono per la candidatura alla presidenza, a non mettere in discussione Guaidó e la politica dell’amministrazione Trump nei confronti del Venezuela.

Il livello di sostegno trasversale a questa politica negli USA sarebbe assurdo, se non fosse così letale.

 

Gli scandali di Guaidó scoppiano mentre il Venezuela lentamente si riprende

Nonostante le sofferenze causate dalla politica di guerra ibrida degli Stati Uniti, il Venezuela, contro ogni previsione, ha cominciato a riprendersi economicamente.

La produzione petrolifera è in aumento; le entrate petrolifere sono in aumento; un dazio su merci provenienti dagli Stati Uniti è stato cancellato (inondando il paese di prodotti come la Nutella che erano tesori rari solo sei mesi fa9; e la moneta digitale del Venezuela, il Petro, è stata introdotta con successo al pubblico.

Per di più, la rete di sicurezza sociale è stata rafforzata mediante il programma governativo CLAP di distribuzione di cibo, che oggi raggiunge 7 milioni di famiglie ogni mese.

La Grande Missione per la Casa è un’altra storia di successo, poiché ha segnato la costruzione dei 3 milioni di case per poveri e classe lavoratrice venezuelana. Usando una stima di quattro persone per famiglia, che è bassa per molti venezuelani, ciò significa che almeno 12 milioni di persone su una popolazione di 30 vivono in alloggi di qualità a basso costo o gratis.

Una semplice matematica mostra che in case costruite dal governo vive più del doppio di quelli che votano per il chavismo. Questo è un grande segmento della popolazione che ha direttamente beneficiato di programmi governativi, che non incolpa esclusivamente il presidente Maduro per le proprie difficoltà e che è disgustata delle posizioni estremiste.

Senza questi voti l’opposizione non può vincere le elezioni a meno che non siano truccate. Questi sono gli elettori su cui conta l’opposizione moderata e non è inconcepibile che i moderati diventeranno una maggioranza in senso all’opposizione quando si terranno le elezioni parlamentari del 2020.

La stella di Guaidó si è sbiadita e anche se nessuno all’epoca lo sapeva, si stava già esaurendo il 23 febbraio 2019, quando ha cercato di trasportare a forza aiuti umanitari dalla Colombia attraverso il confine venezuelano.

Nei mesi passati il pubblico ha anche appreso come Guaidó era entrato in Colombia con l’aiuto dei Los Rastrojos, un efferato cartello paramilitare della droga.

Nel tentativo di colpo di stato del 23 febbraio i sostenitori di Guaidó hanno bruciato i loro stessi camion di aiuti (un fatto che il The New York Times ha ammesso settimane dopo l’avvenimento, molto dopo che Max Blumenthal di The Grayzone lo aveva denunciato).

Altre notizie hanno rivelato che il finanziamento per gli aiuti umanitari all’opposizione appoggiata dagli Stati Uniti era stato intascato da “nominati” di Guaidó in Colombia.

Lo scandalo a proposito degli aiuti umanitari è scoppiato in Venezuela alla fine del 2019, ulteriormente frantumando l’opposizione. E’ stato la scusa perfetta per liberarsi di Juan Guaidó dopo una serie di fallimenti miserabili e della sua chiara dedizione a metodi antidemocratici.

C’era stata la fallita rivolta del 30 aprile, diversi piani mirati alla destabilizzazione che i servizi di sicurezza del governo ha sventato e l’ultimo atto di disperazione del 2019: un attacco a basi militari nel Venezuela meridionale che è stato coordinato dal presidente brasiliano di estrema destra Jair Bolsonaro, secondo l’importante giornale O Globo.

Guaidó ha iniziato il 2019 creando una presidenza parallela, benché impotente. Ha cominciato il 2020 creando un parlamento parallelo. E’ improbabile che tale organismo sia in grado di fare altro che alienarsi la sua stessa base.

Tuttavia, prevedibilmente, il Dipartimento di Stato USA ha utilizzato lo stesso linguaggio di Guaidó e offerto immediato riconoscimento al suo parlamento parallelo.

 

La politica venezuelana di Trump finisce in un vicolo cieco

A tutto il 6 gennaio Trump e la Casa Bianca devono ancora intervenire, evidentemente troppo occupati a intensificare il conflitto con l’Iran. Anche se il vicepresidente Prince si è in effetti congratulato con Guaidó per la “sua rielezione a presidente ad interim”. Ma non è per nulla questo che è successo, nemmeno nel parlamento parallelo.

Non è chiaro se il Dipartimento di Stato e il presidente siano allineati riguardo al Venezuela. La frustrazione di Trump per tale politica sta montando, dopo essere stato assicurato che rimuovere Maduro sarebbe stato una vittoria facile. Ciò potrebbe contribuire a spiegare perché Erik Prince, di fama Blackwater e noto associato di Trump, abbia tenuto discussioni dietro le quinte in Venezuela con la vicepresidente Delcy Rodriguez.

Prince – che in precedenza nel 2019 lanciato un piano per mettere insieme un esercito mercenario per rovesciare Maduro – era in Venezuela, secondo Bloomberg, per negoziare il rilascio di un gruppo di venezuelani-statunitensi in carcere in attesa di un processo per corruzione. Una spiegazione più plausibile accredita il loro parziale rilascio al nuovo presidente argentino Alberto Fernández.

L’incontro di Prince è stato probabilmente a conoscenza di Trump e può essere stato collegato ai detentori di titoli venezuelani e alla finanza internazionale. Tali obbligazionisti, che prima delle sanzioni dell’amministrazione Trump erano regolarmente pagati puntualmente dal governo Maduro, sono arrabbiati per non poter incassare e la loro migliore possibilità di incassare, mediante i profitti della raffineria statale venezuelana Citgo, può essere liquidata dalla fazione di Guaidó.

Il Dipartimento di Stato ha minimizzato la visita di Prince e reagito scarsamente, con dirigenti non nominati che hanno accusato Prince di violare le sanzioni statunitensi.

Ciò segnala forti differenze di opinioni riguardo alla politica statunitense nei confronti del Venezuela e conflitti tra vari gruppi di interessi, uno dei quali risulta volere negoziati tra i due governi. La prospettiva di negoziati è migliorata con il licenziamento di John Bolton a settembre, nonché dall’apparente sconnessione tra la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato.

Ma tutto questo è complicato dal fatto che Trump sta andando bene nei sondaggi in Florida, e qualsiasi cambiamento nella politica venezuelana certamente agiterebbe le lobby del cambiamento di regime dei duri di destra venezuelani e cubani che dominano lo stato.

Ma con Trump che intensifica la sua politica di massima pressione contro l’Iran e porta la regione più prossima a una guerra di qualsiasi altro momento dal 2003, egli ha fatto impennare i prezzi globali del petrolio e rischia di pagare un prezzo politico in patria.

Questo lascia la possibilità che la Casa Bianca possa svoltare al dialogo in Venezuela e ammorbidire le sanzioni per spronarne la produzione petrolifera e ridurre lo shock che sarà causato dall’intensificazione del conflitto USA-Iran.

Lo scenario migliore per il Venezuela comporta una cancellazione delle sanzioni. Ma un altro esito pare più probabile: ordinaria amministrazione fino a dopo le elezioni presidenziali USA, quando il reality show parallelo di Juan Guaidó potrebbe finalmente terminare.

 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

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Originale: https://thegrayzone.com/2020/01/08/final-episode-juan-guaido-surreal-regime-change-reality-show/#more-18853

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