Fonte: asiatimes.com

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10/08/2020

 

Chi ha tutto da guadagnare dall’esplosione di Beirut?

di Pepe Escobar

 

La narrativa secondo cui l’esplosione di Beirut sarebbe stata una conseguenza esclusiva della negligenza e della corruzione dell’attuale governo libanese è adesso scolpita nella pietra, almeno nella sfera atlantista.
Eppure, scavando più a fondo, si scopre che la negligenza e la corruzione potrebbero essere state sfruttate appieno, tramite un sabotaggio, proprio per fare in modo che una cosa del genere potesse accadere.
Il Libano è il luogo ideale delle storie di John Le Carré. Un covo multinazionale di spie di tutti i generi, agenti di Casa Saud, spie sioniste, “ribelli moderati,” intellettuali di Hezbollah, “nobili” arabi dissoluti, vanagloriosi contrabbandieri, in un contesto di disastro economico a tutto campo che travaglia un membro dell’Asse della Resistenza, obiettivo perenne di Israele, insieme a Siria e Iran.
Come se tutto questo non fosse abbastanza vulcanico, nella tragedia è intervenuto il presidente Trump ad intorbidare le acque già contaminate del Mediterraneo Orientale. Informato dai “nostri grandi generali,” Trump, martedi scorso, aveva detto: “Secondo loro, lo sanno certo meglio di me, sembrano pensare che si sia trattato di un attacco.”
Trump aveva aggiunto: “era una bomba di qualche tipo.”
Questa incandescente osservazione ha forse fatto uscire il gatto dal sacco, rivelando informazioni riservate? O il presidente stava lanciando un altro non sequitur?
Trump, alla fine, si era rimangiato le sue affermazioni, dopo che il Pentagono aveva rifiutato di confermare la sua affermazione su ciò che i “generali” avrebbero detto e il suo Segretario alla Difesa, Mark Esper, aveva sostenuto che l’esplosione era da attribuirsi ad una tragica fatalità.
È l’ennesima cruda raffigurazione della guerra che imperversa nella Beltway. Trump: attacco. Pentagono: incidente. “Non credo che nessuno possa dire in questo momento [quello che è veramente successo],” ha affermato Trump mercoledì. “Ho sentito entrambe le versioni.”
Tuttavia, vale la pena notare una segnalazione dell’agenzia di stampa iraniana Mehr, secondo cui quattro aerei da ricognizione della Marina statunitense sarebbero stati avvistati vicino a Beirut al momento delle esplosioni. L’intelligence statunitense è a conoscenza di ciò che è realmente accaduto in tutto lo spettro di possibilità?

Quel nitrato di ammonio
La sicurezza al porto di Beirut, il principale hub economico della nazione, dovrebbe essere considerata una priorità assoluta. Ma, riadattando un dialogo tratto dal film Chinatown di Roman Polanski: “Lascia perdere, Jake. È Beirut.”
Quelle ormai iconiche 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio erano arrivate a Beirut nel settembre 2013 a bordo della Rhosus, una nave battente bandiera moldava che, partita da Batumi, in Georgia, aveva come destinazione finale il Mozambico. La Rhosus era stata alla fine sequestrata dalle autorità portuali di Beirut.
In seguito, la nave era stata, di fatto, abbandonata dal suo armatore, il losco uomo d’affari Igor Grechushkin, nato in Russia e residente a Cipro, che sospettosamente “aveva perso interesse” per quel carico relativamente prezioso, non provando nemmeno a venderlo, magari a svenderlo, per ripianare i propri debiti.
Grechushkin non aveva mai pagato l’equipaggio, che era sopravvissuto a stento per diversi mesi, prima di essere rimpatriato per motivi umanitari. Il governo cipriota ha confermato che non c’era stata alcuna richiesta dell’Interpol dal Libano per arrestarlo. L’intera operazione sembra una copertura e i veri destinatari del nitrato di ammonio potrebbero essere stati i “ribelli moderati” in Siria, che usano la sostanza per fabbricare IED [mine anticarro] e armare i veicoli suicidi, come quello che aveva demolito l’ospedale Al Kindi di Aleppo.
Le 2.750 tonnellate, imballate in sacchi da 1 tonnellata etichettati “Nitroprill HD,” erano state trasferite nel magazzino 12, direttamente sulla banchina. Quello che ne era seguito è uno stupefacente caso di negligenza seriale.
Dal 2014 al 2017, le lettere dei funzionari doganali, tutta una serie, così come le proposte per sbarazzarsi di quel carico pericoloso, esportarlo o comunque venderlo, erano state semplicemente ignorate. Ad ogni richiesta di ottenere un provvedimento legale per smaltire il carico, [i funzionari doganali] non avevano mai ottenuto risposta dalla magistratura libanese.
Quando il primo ministro libanese Hassan Diab ora proclama: “I responsabili ne pagheranno il prezzo,” capire il contesto è di fondamentale importanza.
Né il primo ministro, né il presidente, né alcuno dei ministri del governo sapevano che il nitrato di ammonio era conservato nel magazzino 12, come conferma l’ex diplomatico iraniano Amir Mousavi, direttore del Centro per gli studi strategici e le relazioni internazionali di Teheran. Stiamo parlando di un enorme IED, posizionato proprio nel bel mezzo della città.
La burocrazia del porto di Beirut e le mafie attualmente al potere sono strettamente legate, tra le altre, alla fazione di al-Mostaqbal, guidata dall’ex primo ministro Saad al-Hariri, che ha il pieno appoggio di Casa Saud.
L’immensamente corrotto Hariri era stato rimosso dal potere nell’ottobre 2019, dopo una serie di disordini. I suoi compari avevano fatto “sparire” almeno 20 miliardi di dollari dal tesoro libanese, cosa che aveva seriamente aggravato la crisi valutaria della nazione.
Non c’è da stupirsi che l’attuale governo, con a capo il primo ministro Diab sostenuto da Hezbollah, non fosse stato informato del nitrato di ammonio.
Il nitrato di ammonio è abbastanza stabile, cosa che lo rende uno degli esplosivi più sicuri utilizzati in campo minerario. Il fuoco normalmente non lo fa detonare. Diventa altamente esplosivo solo se è contaminato, ad esempio dall’olio, o se viene riscaldato al punto da subire cambiamenti chimici, che producono attorno ad esso una sorta di bozzolo impermeabile entro cui l’ossigeno può accumularsi fino a raggiungere livelli pericolosi, in cui una scintilla può provocare un’esplosione.
Perché, dopo aver dormito nel magazzino 12 per sette anni, tutta questa roba ha improvvisamente sentito il bisogno di esplodere?
Finora, la prima spiegazione che va dritta al punto, quella dell’esperto di Medio Oriente Elijah Magnier, indica che la tragedia sarebbe stata “innescata,” letteralmente, da un fabbro poco accorto che stava lavorando con una fiamma ossidrica vicino al nitrato di ammonio immagazzinato senza protezioni. Senza protezioni a causa, ancora una volta, di negligenza e corruzione, oppure come parte di un “errore” intenzionale che anticipava la possibilità di una futura esplosione.
Questo scenario, tuttavia, non spiega l’esplosione iniziale dei “fuochi d’artificio.” E, di certo, non spiega quello di cui nessuno, almeno in Occidente, parla: gli incendi intenzionali appiccati in un mercato iraniano ad Ajam, negli Emirati Arabi Uniti, e ad una serie di magazzini di generi alimentari/agricoli a Najaf, in Iraq, subito dopo la tragedia di Beirut.

Seguite i soldi
Il Libano, che vanta beni e proprietà immobiliari per trilioni di dollari, è un boccone prelibato per gli avvoltoi della finanza globale. Portarsi via questi beni a prezzi stracciati, nel bel mezzo della Nuova Grande Depressione, è semplicemente irresistibile. Parallelamente, l’avvoltoio del FMI all’inizio farebbe la parte del creditore esigente, ma, alla fine, “perdonerebbe” una parte dei debiti di Beirut, purché venga imposta la versione dura dell’”aggiustamento strutturale.”
Chi ci guadagna, in questo caso, sono gli interessi geopolitici e geoeconomici di USA, Arabia Saudita e Francia. Non è un caso che il presidente Macron, un rispettoso servitore dei Rothschild, sia arrivato a Beirut, giovedì scorso, per garantire il “sostegno” neocoloniale di Parigi e quasi imporre, come un viceré, una serie completa di “riforme.” Il dialogo, nello stile dei Monty Python, compreso un pesante accento francese, potrebbe essere stato: “Vogliamo acquistare il vostro porto.” “Non è in vendita.” “Oh, che peccato, è appena successo un incidente.”
Già un mese fa il FMI stava “avvertendo” che “l’implosione” in Libano stava “accelerando.” Il primo ministro Diab aveva dovuto accettare la proverbiale “offerta che non si può rifiutare” e quindi “sbloccare miliardi di dollari in fondi finanziati da donatori.” Altrimenti…. L’ininterrotta svalutazione della valuta libanese, da più di un anno a questa parte, è stata solo un avvertimento, relativamente educato.
Tutto questo accade nel nel mezzo di una massiccia acquisizione di asset globali, nel contesto più ampio del PIL americano in calo di quasi il 40%, di tutta una serie di fallimenti, con un gruppetto di miliardari che accumulano profitti incredibili e megabanche troppo grandi per fallire debitamente salvate con uno tsunami di soldi gratis.
Dag Detter, un finanziere svedese, e Nasser Saidi, ex ministro libanese e vice governatore della Banca Centrale, suggeriscono che i beni della nazione dovrebbero essere collocati in un fondo di ricchezza nazionale. Le attività più redditizie includono l’Electricité du Liban (EDL), i servizi idrici, gli aeroporti, la compagnia aerea MEA, la società di telecomunicazioni OGERO, il Casino du Liban.
EDL, ad esempio, è responsabile del 30% del deficit di bilancio di Beirut.
Questo non è abbastanza per il FMI e le mega banche occidentali. Vogliono mangiarsi tutto, oltre ad un sacco di proprietà immobiliari.
“Il valore economico degli immobili pubblici è paragonabile come minimo al PIL e spesso supera di gran lunga il valore della parte operativa di qualsiasi portafoglio,” affermano Detter e Saidi.

Chi sente le onde d’urto?
Ancora una volta, Israele è il proverbiale elefante nella stanza, ora ampiamente descritta dai media mainstream occidentali come la “Chernobyl del Libano.”
Uno scenario come la catastrofe di Beirut era nei piani israeliani sin dal febbraio 2016.
Israele ha ammesso che il magazzino 12 non era un deposito di armi di Hezbollah. Eppure, cosa cruciale, lo stesso giorno dell’esplosione di Beirut, e in seguito ad una serie di esplosioni sospette in Iran e all’alta tensione presente al confine tra Siria e Israele, il primo ministro Netanyahu aveva twittato, usando il tempo presente: “Abbiamo colpito una cellula e ora abbiamo colpito i mandanti. Faremo ciò che è necessario per difenderci. Suggerisco a tutti loro, incluso Hezbollah, di considerare questo.”
Ciò si ricollega all’intento, apertamente proclamato alla fine della scorsa settimana, di bombardare le infrastrutture libanesi se Hezbollah avesse preso di mira i soldati delle forze di difesa israeliane o i civili israeliani.
Un titolo, “Le onde d’urto dell’esplosione di Beirut saranno sentite a lungo da Hezbollah,” conferma che l’unica cosa che conta per Tel Aviv è trarre profitto dalla tragedia per demonizzare Hezbollah e, per associazione, l’Iran. Questo fa il paio con il decreto del Congresso degli Stati Uniti “Countering Hezbollah in Lebanon’s Military Act of 2019″ {S.1886}, che ordinava a Beirut di espellere Hezbollah dal Libano.
Eppure Israele si è mantenuto stranamente sottotono.
Intorbidando ancora di più le acque, entra in gioco l’intelligence saudita, che ha accesso al Mossad e demonizza Hezbollah molto più di Israele. Tutte le fonti di informazione con cui ho parlato si sono rifiutate di rilasciare dichiarazioni, data l’estrema sensibilità dell’argomento.
Tuttavia, va sottolineato che una fonte dell’intelligence saudita, i cui ferri del mestiere sono i frequenti scambi di informazioni con il Mossad, afferma che l’obiettivo originale erano i missili di Hezbollah immagazzinati nel porto di Beirut. La sua storia è che il primo ministro Netanyahu stava per prendersi il merito dell’attacco, dando seguito al suo tweet. Ma poi il Mossad si era reso conto che l’operazione era andata storta e si era trasformata in una grande catastrofe.
Il problema inizia con il fatto che questo non era un deposito di armi di Hezbollah, come ha ammesso persino Israele.
Quando i depositi di armi saltano in aria si verifica un’esplosione primaria, seguita poi da diverse esplosioni più piccole,  che potrebbero durare anche giorni. Non è quello che è successo a Beirut. L’esplosione iniziale è stata seguita da una seconda, imponente deflagrazione, quasi certamente una grande esplosione di sostanze chimiche, e poi il silenzio.
Thierry Meyssan, molto vicino all’intelligence siriana, avanza l’ipotesi che l'”attacco” sia stato effettuato con un’arma sconosciuta, un missile (e non un ordigno atomico) testato in Siria nel gennaio 2020. (Il test è mostrato nel video allegato). Né la Siria né l’Iran hanno mai fatto riferimento a quest’arma sconosciuta e non ho avuto conferma della sua esistenza.
Supponendo che il porto di Beirut sia stato colpito da “un’arma sconosciuta,” il presidente Trump potrebbe aver detto la verità quando aveva affermato: “è stato un attacco.” E questo spiegherebbe perché Netanyahu, contemplando la devastazione di Beirut, avrebbe deciso che Israele doveva mantenere un profilo molto basso.

Guardate il cammello che si muove
L’esplosione di Beirut, come prima impressione, potrebbe essere interpretata come un colpo mortale contro le Nuove Via della Seta, visto che la Cina considera la connettività tra Iran, Iraq, Siria e Libano come la pietra angolare del corridoio Sud-Ovest delle Nuove Via della Seta asiatiche.
Eppure, questa potrebbe anche rivelarsi un’opportunità, e anche grossa. Cina ed Iran si stanno già posizionando come gli investitori di riferimento per il dopo esplosione, in netto contrasto con i sicari del FMI e proprio come era stato auspicato dal segretario generale di Hezbollah, Nasrallah, solo poche settimane fa.
Siria e Iran sono in prima linea nel fornire aiuti al Libano. Teheran ha fatto arrivare un ospedale di emergenza, cibo, medicine e attrezzature mediche. La Siria ha aperto le sue frontiere con il Libano, ha inviato squadre di medici e riceve pazienti dagli ospedali di Beirut.
È sempre importante tenere a mente che l'”attacco” (Trump) al porto di Beirut ha distrutto il maggior deposito di granaglie del Libano, oltre a causare la distruzione totale del porto, la principale arteria vitale per il commercio della nazione.
Questo rientrerebbe in una strategia per affamare il Libano. Lo stesso giorno in cui il Libano era diventato in larga misura dipendente dalla Siria per il cibo, perché ora ha scorte di grano solo per un mese, gli Stati Uniti avevano attaccato i silos della Siria.

La Siria è un enorme esportatore di grano biologico. Ed è per questo che gli Stati Uniti prendono regolarmente di mira i suoi silos e bruciano i raccolti, tentando di far morire di fame anche la Siria e costringere Damasco, già soggetta a severe sanzioni, a spendere in cibo i pochi soldi che ha.
In netto contrasto con gli interessi dell’asse USA/Francia/Arabia Saudita, il Piano A per il Libano sarebbe quello di abbandonare progressivamente la morsa di Stati Uniti-Francia e andare direttamente verso le Nuove Vie della Seta ed entrare a far parte dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Andare ad est, verso l’Eurasia. Il porto ed anche gran parte della città devastata si possono ricostruire a medio termine, rapidamente e professionalmente, con investimenti cinesi. I Cinesi sono specialisti nella costruzione e nella gestione dei porti.
Questo scenario dichiaratamente ottimistico implicherebbe un’epurazione degli iper-ricchi e corrotti furfanti della compravendita immobiliare e del trafico di armi/droga della plutocrazia libanese, che, in ogni caso, scappano nei loro appartamenti di Parigi al primo segno di guai.
Unite tutto ciò al sistema di assistenza sociale di grande successo di Hezbollah (che avevo visto di persona all’opera l’anno scorso) che ha avuto modo di conquistare la fiducia delle classi medie impoverite e che potrebbe diventare il fulcro della ricostruzione.
Sarà una fatica di Sisifo. Ma confrontate questa situazione con l’Impero del Caos, che ha bisogno di caos ovunque, specialmente in tutta l’Eurasia, per coprire l’imminente caos in stile Mad Max in arrivo negli Stati Uniti.
Vengono di nuovo in mente i famigerati 7 paesi in 5 anni del generale Wesley Clark e il Libano rimane uno di questi 7 paesi.
La lira libanese potrebbe essere crollata, la maggior parte dei Libanesi potrebbe essere completamente al verde ed ora Beirut è semi-devastata. Questa potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso: liberare il cammello e permettergli finalmente di ritornare in Asia lungo le Nuove Vie della Seta.

 

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