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10 marzo 2020

 

L’Unione Europea ha già un esercito? Ecco cosa sono gli Eu Battlegroups

di Paolo Mauri

                      

Spesso negli ultimi anni, in seno all’Unione Europea, si è parlato della volontà di costituire un esercito europeo da impiegare per la risoluzioni di crisi internazionali con un livello di integrazione simile a quello che avviene all’interno della Nato.

 

A quanto sembra, però, l’Ue dispone già di uno strumento simile, anche se non paragonabile ad un esercito unitario come vorrebbe la Francia, e si tratta degli Eu Battlegroups, i gruppi da battaglia dell’Unione Europea.

Per capire di cosa si tratta partiamo dalla definizione che possiamo trovare sul sito dedicatovi: gli Eu Battlegroups sono unità militari multinazionali solitamente composte da 1500 effettivi ciascuna che vanno a formare la capacità militare di reazione rapida dell’Unione Europea per rispondere alle crisi emergenti e ai conflitti del globo.

La definizione ci dà anche un accenno dell’ambito giuridico in cui operano. Si legge infatti che come ogni altra decisione che coinvolge la Csdp (Common Security Defence Policy) dell’Ue, il loro dispiegamento è soggetto alla decisione unanime del consiglio europeo.

I Battlegroups permettono all’Ue e ai suoi Stati membri di rispondere rapidamente ai conflitti in evoluzione. Prevenire i conflitti e prendervi parte nelle primissime fasi è infatti più efficiente ed efficace di parteciparvi in uno stadio tardivo. Congiuntamente con un sistema di allarme precoce affidabile, i Battlegroups permettono una rapida e mirata risposta per minimizzare le perdite umane e la destabilizzazione. Nel testo si legge anche che in un mondo di “prevedibile imprevedibilità”, reagire velocemente è l’unico modo di farlo efficacemente.

Questi battaglioni quindi, secondo i propositi dell’Ue, andrebbero a rinforzare la cooperazione tra gli Stati membri, che rimarrebbero comunque sovrani nell’ambito della propria “stanza dei bottoni” militare, ed è proprio questo punto fondamentale che differenzia i Battlegroups da un vero e proprio esercito europeo.

Queste unità sarebbero (il condizionale è d’obbligo come vedremo) impiegabili in forza dell’articolo 43 del Trattato dell’Unione Europea e nel contesto dell’implementazione della Eu Global Strategy.

A questo punto, però, è bene fare un passo indietro nel tempo per capire come sono nati questi “battaglioni” che sino ad oggi nessuno ancora ha visto, e vedremo perché.

 

Come nascono gli Eu Battlegroups

L’esigenza di uno strumento di Difesa unitario ha cominciato a farsi sentire quasi alla nascita dell’Unione Europea ma in particolare è nel 1999 che viene formulata quella che si chiama Esdp, la European Security and Defence Policy. A dicembre di quell’anno, infatti, il vertice Ue di Helsinki formalizza per la prima volta la sua politica difensiva, fortemente voluta dalla Francia e dal Regno Unito, stabilendo che si dovesse mettere a disposizione dell’Ue delle forze militari, allora quantificate in 50/60mila unità, in grado di essere mobilitate e dispiegate nell’arco di 60 giorni da parte di tutti gli Stati membri.

Da subito, però, cominciano i primi problemi. Gli sforzi per costruire queste forze militari europee hanno incontrato infatti opposizione politica, legale e amministrativa da parte di vari membri dell’Ue. La Germania, ad esempio, aveva delle normative molto severe e stringenti per quanto riguarda la partecipazione in operazioni all’estero. Dal punto di vista organizzativo, invece, solo poche nazioni europee avevano la capacità di trasferire un qualsiasi numero di truppe a grande distanza.

Un altro punto fondamentale che è stato ed è tutt’ora di ostacolo per la formazione degli Eu Battlegroups è la partecipazione di molti membri dell’Unione a organismi internazionali, come la Nato e l’Onu, che richiedono la disponibilità di numerosi contingenti militari, quindi sostanzialmente non ci sarebbero altre grosse unità disponibili oppure la partecipazione di queste ai Battlegroups europei resterebbe solo sulla carta.

Ma andiamo con ordine. Il concreto sviluppo di queste unità militari ha avuto origine durante l’operazione militare Artemide nata a seguito del deterioramento della situazione nella Repubblica Democratica del Congo nell’estate del 2003. A giugno di quell’anno venne istituita un’unità di crisi europea che, coordinandosi con le Nazioni Unite, ha dispiegato nell’area una task force multinazionale ad interim consistente in 1800 uomini, di cui la maggior parte provenienti dalla Francia.

Sull’onda del successo dell’operazione, Parigi e Londra, insieme a Berlino, presentarono l’idea della formazione dei Battlegroups per migliorare le capacità dell’Ue per quanto riguarda i processi di peace keeping e peace enforcing, con un accordo di sicurezza stipulato con la Nato. Dopo qualche mese la proposta fu approvata dal consiglio dei ministri della Difesa europei divenendo così un’iniziativa comunitaria a tutti gli effetti. Secondo questa nuova dottrina, e come modificazione di quanto stabilito dall’Esdp, venne fissato in 1500 unità il contingente di un Battlegroup che deve essere formato e dispiegato sul campo in 15 giorni.

I compiti vennero implementati con l’introduzione del supporto umanitario e della capacità di evacuazione da teatri di crisi, nonché come forza di separazione tra parti in lotta, compito simile, quest’ultimo, a quello dei Casci Blu dell’Onu.

 

Battaglioni che non esistono

Ma dove sono questi battaglioni? Semplicemente non esistono, o meglio, esistono solo sulla carta. Abbiamo già visto che i diversi Stati dell’Ue impegnano le proprie divisioni e battaglioni in seno alla Nato e mettendole anche a disposizione dell’Onu, pertanto la disponibilità per i Battlegroups europei è puramente simbolica.

Secondariamente c’è un grosso limite di carattere burocratico, anzi in realtà ce ne sono due. Il loro dispiegamento richiede sempre una decisione unanime del Consiglio Europeo e richiede in linea generale l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu tramite una risoluzione: molto difficile pertanto che si giunga all’unanimità di consensi sia in seno all’Ue sia al Palazzo di Vetro. Il più grosso ostacolo, però, è rappresentato (manco a dirlo) da questioni di bilancio: le operazioni dei Battlegroups, perfino la loro formazione, richiedono finanziamenti che semplicemente non ci sono. Come sappiamo le priorità dell’Ue sono altre in questo momento, e di certo non quelle di stanziare fondi per un abbozzo di Difesa unitaria, anche considerando, come già accennato, che non si tratta di un “esercito europeo” ma di battaglioni il cui comando non è ancora chiaro a chi spetti. Ovviamente il più grande sponsor di questa soluzione ad interim, uscito il Regno Unito dall’Ue, è la Francia, e sappiamo tutti quali rischi possa comportare una guida unilaterale francese: uno su tutti la catena di comando che dipende da Parigi e non da Bruxelles.

Anche al netto della possibilità di bilanciare lo strapotere globale statunitense e la possibilità di distaccarsi dalla Nato e dalla sua ormai palese poca adesione ai principi e agli interessi europei, lasciare in mano alla Francia la gestione dei Battlegroups, come quella di un futuro esercito europeo, sposterebbe solamente i problemi da questa parte dell’Oceano Atlantico, con un piccolo “Napoleone” che deciderebbe in quali teatri intervenire e in quali no.

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