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10 gennaio 2020

 

La “terra di nessuno” dove tutti colpiscono i loro avversari

di Davide Bartoccini

                       

Secondo fonti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, nella notte tra giovedì è venerdì è stato sferrato un attacco contro una milizia appoggiata dall’Iran che opera al confine tra Siria e Iraq. Sarebbero almeno otto le persone rimaste uccise durante un raid attribuito a Israele. I miliziani erano in prossimità del confine iracheno. Se confermato, potrebbe essere il segnale che Tel Aviv non intente frenare la sua battaglia contro le milizie sciite nemmeno durante questa fase di “crisi” tra il suo principale alleato e l’Iran, ma sopratutto, che l’Iraq continua a svolgere il ruolo di “campo di battaglia” del Medio Oriente.

Al-Mayadeen, diffusore di notizie libanese, ha immediatamente attribuito la responsabilità di questo ultimo attacco ad Israele, affermando che degli aerei non meglio identificati hanno preso di mira alcune posizioni appartenenti alle “milizie filo-iraniane” che si trovano nell’area di Boukamal, nei pressi del confine con l’Iraq. Si sarebbe trattato di armamenti – forse razzi – e veicoli che potrebbero esser stati adibiti al loro trasporto. Informazioni riportate anche da “Deir Ezzor 24“, un collettivo di attivisti che riporta notizie che riguardano gli accadimenti lungo la zona di confine, e che hanno scritto: “Gli aerei colpiscono camion che trasportano armi e depositi di missili balistici nella zona”. Il raid fulmineo e inaspettato avrebbe provocato “una grande esplosione” udita al confine tra Siria e Iraq – confermando che poteva trattarsi di materiale altamente esplosivo. Nessun canale ufficiale, tuttavia, ha riportato la notizia: per adesso solo riportata da Haaretz.

Questo ennesimo raid sarebbe solo l’ultimo di una serie di strike attribuiti all’Aviazione di Israele e che hanno sempre messo nel mirino convogli di milizie sciite che si muovono al confine Siria-Iraq o al valico di Albukamal-Qaim. Questi convogli sarebbero adibiti al contrabbando e spostamento di armi, e ogni volta che l’Intelligence israeliana riesce ad avere notizie certe, i cacciabombardieri decollano dalle piste e si portano sull’obiettivo – violando qualsiasi spazio aereo e regola d’ingaggio, ma portando a casa il risultato.

Quest’estate il New York Times aveva riportato la notizia che alcuni alti funzionari statunitensi avevano affermato che Israele  effettua “diversi strike” sul territorio iracheno, che in questi giorni sembra presentarsi al mondo come una sorta di “terra di nessuno”, dove tutte le potenze possono sferrare attacchi per colpire i loro “avversari”. È crescente infatti l’ansia dell’Iraq, che assistendo alle tensioni tra Stati Uniti e Iran, e contando sul proprio suolo una larga diffusione di milizie sciite filo-iraniane, teme di poter diventare il campo di battaglia dove potrebbe consumarsi lo scontro diretto tra una delle più grandi potenze del Mondo, e una delle maggiori potenze del Medio Oriente.

Dopo l’eliminazione mirata del generale Qassem Soleimani – atterrato all’aeroporto di Baghdad e colpito da un drone killer americano – l’Iran ha risposto mettendo nel mirino dei suoi missili balistici due basi militari con personale statunitense, sempre sul suolo iracheno. Il giorno seguente, alcuni razzi sono stati sparati sulla green zone di Baghdad, rischiando di colpire l’ambasciata americana e i compound dove è alloggiato il personale militare. Ma tutto inizia ancora prima, quando una milizia legata ad Hezbollah è stata identificata come responsabile della morte di un contractor americano nella provincia di Kirkuk; e gli americani hanno risposto con un raid che ha ucciso almeno 25 persone, scatenando i manifestanti davanti all’ambasciata americana di Baghdad.

Se le tensioni non si allentassero, e se Donald Trump decidesse di rispondere ad ulteriori attacchi mossi dalle milizie sciite – anche se indipendenti, o almeno non riconducibili agli ordini di Teheran – l’Iraq potrebbe ritornare nel mirino dei missili di rappresaglia iraniani, e allora il governo di Baghdad, già diviso sulla scelta, potrebbe chiedere cortesemente agli Stati Uniti di “abbandonare” il campo per non fare del proprio paese un bersaglio perfetto. La telefonata tra il premier iracheno Adel Abdul Mahdi e il segretario Usa Mike Pompeo di queste ultime ore è un segnale chiaro: Baghdad vuole il ritiro delle truppe americane e il contemporaneo stop di qualsiasi ingerenza di Teheran.

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