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02/08/2020

 

Ebru e Aytaç, in digiuno fino alla morte contro Erdogan

By Mariano Giustino

 

Storia di due avvocati in carcere da tre anni, colpevoli solo di aver difeso due insegnanti invisi al regime

 

Dal padiglione 9 della prigione di tipo L del famigerato complesso penitenziario di Silivri si liberava la voce dolce e flebile del canto di Ebru Timtik. Il suo amore per la musica popolare piena di vita della tradizione anatolica la riportano a Dersim, alla “Porta d’argento” dei curdi di lingua zaza, laddove la religione maggioritaria è l’alevismo, denso di spiritualità, di umanesimo, di universalismo e di culto per la natura in stretta alleanza con l’uomo. Ebru Timtik è rinchiusa da circa tre anni nel reparto di alta sicurezza del carcere di Silivri, la cosiddetta prigione dei giornalisti, così definita per l’elevato numero di giornalisti che vi sono reclusi.

Ebru è un avvocato, attivista della sinistra rivoluzionaria, esponente dell’Associazione degli avvocati progressisti, Ça?da? Hukukçular Derne?i (ÇHD), associazione di avvocati della sinistra kemalista in cui ha grande rilievo la componente della sinistra rivoluzionaria marxista-leninista. Ebru è stata condannata a 13 anni e 6 mesi, è in “digiuno fino alla morte” da 212 giorni e conduce questa protesta estrema per ottenere un ″giusto processo″ assieme al suo collega Aytaç Ünsal, giunto al 181° giorno,condannato a10 anni e 6 mesi, rinchiuso da due anni e dieci mesi nella prigione di tipo T di Burhaniye a Bal?kesir, entrambi condannati per “sostegno a una un’organizzazione terroristica senza farne parte”, ai sensi dell’articolo 314/1 del codice penale, condanne confermate in appello. 

 Il loro caso giudiziario è degno della penna di Kafka. Nel 2017, gli uffici dell’Associazione degli avvocati progressisti, e quelli della Legge del popolo subirono un’irruzione della polizia e diversi avvocati furono arrestati. Tra questi Aytaç Ünsal, sua moglie Didem Baydar, la sua mia amica e collega Ebru Timtik assieme ad altri quindici avvocati. Furono accusati “appartenenza ad una un’organizzazione terroristica e di dirigerla”; vennero loro comminate pene in primo grado per un totale di 159 anni, 1 mese e 30 giorni di carcere.

Un anno dopo, nel settembre del 2018, furono liberati in attesa di giudizio, ma solo per poche ore, per sole 10 ore. Rimasero bloccati in carcere per oltre mezza giornata e il mattino seguente furono abbandonati in una zona deserta nei pressi dell’autostrada. Dopo dieci ore la 2° Corte del Tribunale penale di giustizia regionale di Istanbul respinse la sentenza di liberazione ed emise un nuovo mandato di arresto nei confronti di otto di loro, tra questi Ebru e Aytaç che furono subito riportati in carcere. Quei giudici che avevano emesso la sentenza di liberazione sono stati poi rimossi dal caso. La sentenza di condanna per gli otto avvocati fu emessa rapidamente dal nuovo Collegio giudicante dopo le nuove nomine ed è stata poi confermata in Corte d’appello. Sono stati presentati ricorsi alla Corte Costituzionale e alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Adesso il fascicolo è giunto alla Corte di Cassazione (Yarg?tay) e ora si attende la sentenza definitiva.

Yücel Özkan, presidente dell’Ordine degli avvocati di ?zmir, ai microfoni di Radio Radicale ha detto che quello celebrato dalla 37ª Corte penale di Istanbul contro Ebru e Aytaç, “non può essere definitocome un processo ingiusto perché è stato semplicemente una farsa″. ″È stato un processo in cui si sono state violate le più elementari norme del diritto e – cosa davvero incredibile - gli avvocati difensori non hanno potuto difendere i loro clienti, non hanno potuto fare domande ai testimoni segreti e non hanno potuto svolgere le loro arringhe″, ha detto Özkan. Gli avvocati difensori infatti non conoscono né i nomi né i volti e nemmeno la voce dei ″testimoni segreti″, dal momento che durante il dibattimento erano stati uditi in videoconferenza, i loro volti oscurati e la loro voce contraffatta, affinché fossero irriconoscibili. Non hanno potuto rivolgere a costoro alcuna domanda.

In realtà Ebru Timtik e Aytaç Ünsal sono stati condannati perché hanno la colpa di aver difeso due insegnanti, Nuriye Gülmen e Semih Özakça, che per effetto dei decreti KHK, varati durante lo stato di emergenza post tentato golpe 2016, erano stati licenziati e messi sotto inchiestaper sospetti legami con l’organizzazione di estrema sinistra DHKP-C, ritenuta terroristica. Le loro attività professionali sono state dunque considerate un crimine. “Ebru non è brava solo nel canto, ama leggere e recitare poesie. Ha una voce molte dolce”, ha rivelato la sua amica Didem, moglie di Aytaç Ünsal. Ma adesso quel canto che si librava tra le mura del padiglione di Silivri non si ode più. Ebru fa fatica a parlare, ha piaghe e ferite in tutta la bocca, fino alla gola. Assume solo acqua, tè, sale e zucchero, ma ora non riesce nemmeno a bere. Il suo peso è inferiore ai 35 kg, ne ha persi 30, non può più camminare ed è assistita dalle compagne di cella. Giovedì 30 luglio Ebru è stata visitata assieme ad Aytaç dal collegio dell’Istituto di medicina legale che ne ha disposto il ricovero coatto.

Non vogliono interrompere il digiuno e secondo la legge turca non possono essere sottoposti al trattamento sanitario obbligatorio perché sono ancora coscienti. Ebru è nel precipizio della morte, ha indossato la fascetta rossa dei martiri rivoluzionari attorno alla fronte, è ricoverata presso l’ospedale di Bak?rköy, Sadi Konuk, e Aytaç, anch’egli in condizioni critiche, è ricoverato all’ospedale KanuniSultan Süleyman a Istanbul. Ebru ha assunto l’aspetto di una maschera mortuaria. Le sue guance e il suo corpo sono macchiati di piaghe simili all’acne, alcuni organi rischiano la cancrena. “Questo è un digiuno di morte”, spiegano i due avvocati nelle loro dichiarazioni per la stampa. ″Restiamo in piedi fino alla morte. Siamo avvocati del popolo, siamo socialisti’’, riferisce l’avvocato Didem Baydar, moglie di Aytaç. 

Il loro caso ha già mobilitato organizzazioni di avvocati di ben 20 paesi e organizzazioni dei diritti umani di ogni parte del mondo, le quali a loro volta hanno presentano 756 petizioni in quattro lingue diverse per chiedere la loro liberazione. Il Consiglio degli Ordini Forensi d’Europa ha lanciato un appello e 150 avvocati di ordini forensi di tutta Europa, compresa l’Italia, hanno rivolto appelli al Ministero della Giustizia turco. Da dove trae origine questa forma di protesta estrema ″fino alla morte″? Qual è la spinta psicologica e ideologica che sta dietro alla devozione al martirio diffusasi nella sinistra rivoluzionaria turca? Sembrerebbe quasi che si voglia procedere a un estremo atto di liberazione tragica e dignitosa contro una morte certa. Una estrema mossa, questa, disperata e tragica.

 

E tale impostazione estrema emerge anche dalle dichiarazioni della stessa Ebru Timtik rilasciate alla stampa pochi giorni fa. Ebru parla infatti del ″digiuno fino alla morte″ come di ″qualcosa che riesce più facile fare che rimanere semplicemente con le braccia legate″. Questa di Ebru sembrerebbe una dichiarazione di inevitabile e terribile resa, accompagnata da questa forma amara e tragica di protesta: cioè la scelta di suicidarsi. In una conversazione telefonica che Ebru ha avuto con sua zia Y?ld?z Deniz, riportata dall’agenzia curda Mesopotamia, la giovane avvocata dice: “Non cerchiamo la giustizia solo per noi. Stiamo conducendo una lotta per il riconoscimento e il rispetto dei diritti di tutti. Se ci libereranno potremo condurre la nostra la lotta in altre forme, ma ora abbiamo le mani legate e non ci resta altro che andare verso la morte”.

Questa forma di protesta è definitata dagli stessi protagonisti ″digiuno della morte″(in turco: Ölüm Oruçlar?), non è uno sciopero della fame come nella tradizione nonviolenta gandhiana. Si è sviluppata nei centri sociali culturali dei distretti popolari ?stanbul, come quelli di Okmeydan?, di Gazi e di Küçük Armutlu, frequentati da noti esponenti della sinistra rivoluzionaria spesso perseguitata in Turchia. Alcuni dei suoi membri hanno condotto sin dagli anni ’90 scioperi della fame estremi nelle cosiddette “case della morte” o “stanze della resistenza”, come amavano definirle.

I quartieri di Okmeydan?, di Gazi e di Küçük Armutlu sono a maggioranza operaia, alevita e curda. Dal 1970 sono il cuore dell’estrema sinistra rivoluzionaria turca, distretti questi presidiati costantemente dalla polizia. Il ″Dev Sol″, la sinistra rivoluzionaria turca, marxista-leninista, maoista e cheguevarista, è stata da sempre bandita e perseguitata in Turchia. Il partito comunista e gli intellettuali socialisti erano considerati fuorilegge fino a pochi anni fa. I suoi membri venivano sistematicamente arrestati e torturati e quando c’era la pena di morte, nelle gigantesche epurazioni post golpe del 1980, venivano condannati a morte per impiccagione; molti sparivano nelle prigioni turche misteriosamente e ancora oggi i loro congiunti chiedono di sapere dove si trovino i loro cari e ne rivendicano i corpi. Sono le “Madri del sabato”, le madri dei desaparecidos.

Intellettuali, scrittori, giornalisti, politici di sinistra, attivisti subivano la repressione del regime golpista. Decine di migliaia furono i desaparecidos e migliaia furonogli insegnanti espulsi dalle scuole e dalle università. La persecuzione post-golpe si abbatté prevalentemente sugli attivisti e gli intellettuali di sinistra, piuttosto che contro gli attivisti islamisti, perché il regime militare kemalista in quegli anni di guerra fredda aveva come obiettivo primario la repressione dei movimenti che si ispiravano all’ideologia comunista e socialista e in questo era sostenuto dagli Stati Uniti che utilizzavano l’alleato NATO, Turchia, come argine all’espansionismo sovietico e dunque doveva essere impedito ai movimenti di sinistra di assumere un ruolo sempre più crescente che avrebbero potuto mettere a rischio il potere costituito.

Per questo vi furono aperture all’Islam politico, perché esso veniva utilizzato per arginare l’influenza dei movimenti socialisti che ruotavano nell’orbita sovietica. Una delle cause scatenanti delle rivolte studentesche fu l’impiccaggione avvenuto il 6 maggio del 1972 di tre leader degli studenti: Deniz Gezmi?, Hüseyin ?nan e Yusuf Aslan.

 E ora, con la repressione post tentato golpe del 15 luglio 2016 è tornata la tortura nelle carceri turche e nei commissariati di polizia, come denunciano le organizzazioni per i diritti umani Human Rights Watch,l’?nsan Haklar? Derne?i (?HD) e il parlamentare d’opposizione Ömer Faruk Gergerlio?lu. A questo si aggiunge il dramma dei genitori che non trovano più i loro figli. Delle madri che dal 2019 denunciano la scomparsa dei loro figli entrati nei commissariati di polizia e non più usciti. Non sanno che fine abbiano fatto. Dal 2019, sette persone sono scomparse in Turchia. Dall’entrata in vigore dello stato d’emergenza post golpe 2016, 28 persone sono sparite come denunciano i parlamentari d’opposizione. 

Secondo il rapporto 2020 dell’?HD, i casi di tortura avvenuti in Turchia negli ultimi 10 anni sono 690. Il 2019 è stato un anno nero. I primi morti a seguito degli scioperi della fame avvennero nel 1982 nel carcere di Diyarbak?r da parte di militanti curdi. Centinaia di detenuti chiedevano condizioni carcerarie più umane. Nel luglio del 1982 morirono per fame Kemal Pir, M. Hayri Durmu?, Akif Y?lmaz, e Ali Çiçek. Un’altra protesta si ebbe nel 1984 quando morirono, due prigionieri curdi Cemal Arat e Orhan Ke?kin.

Queste forme estreme di digiuno provocarono alle centinaia di prigionieri sopravvissuti danni fisici e mentali gravissimi e in quel periodo vi fu chi si immolò dandosi fuoco. L′11 aprile 1984, fu la volta di attivisti del Dev Sol che si immolarono nella prigione di Metris, protestavano per porre fine all’imposizione dell’uniforme carceraria, della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti che erano costretti a subire. Vi parteciparono circa 400 prigionieri, quattro di essi persero la vita. La protesta si concluse nel 1986 con la fine dell’imposizione dell’uniforme carceraria.

Con la costruzione delle prigioni di massima sicurezza di Tipo F, nel giugno del 2000 si ebbe una massiccia ondata di protesta e 816 detenuti in 18 carceri praticarono il digiuno fino alla morte. Le celle dei penitenziari di tipo F hanno le dimensioni massime di 12,54 mq e ospitano fino a tre detenuti, sono completamente isolate da tutti gli altri bracci del penitenziario. Lo spazio all’aperto, a cui si accede dalla stessa cella, è costituito da un cortile circondato da alte mura. Venivano definite “celle bara”, destinate ai terroristi.

Il 19 dicembre 2000, le forze di sicurezza fecero irruzione in 20 prigioni con una vera e propria azione militare chiamata “Operazione Ritorno alla vita”, 30 prigionieri e due soldati furono uccisi. 48 digiunatori morirono a seguito di quello sciopero dellla fame. Più recentemente la pratica del digiuno fino alla morte riprese vigore nel 2012 quando 600 prigionieri di diverse carceri turche, come quella del sudest anatolico a maggioranza curda di Diyarbak?r, digiunarono fino alla soglia critica per chiedere migliori condizioni carcerie per il leader storico del Partito del lavoratori del Kurdistan, Abdullah Öcalan. Nell’aprile di quest’anno persero la vita col digiuno due musicisti del gruppo musicale Yorum di estrema sinistra.

La dolce Ebru Timtik ha rivelato che vuole proteggere le montagne, le pietre, le acque e la terra del paese dove è nata, Dersim, paradiso naturale sulla catena montuosa Munzur, tra il fiume Eufratee ilfiume Murat. Timtik è rimasta male per aver appreso che il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste avrebbe deciso di aprire una gara d’appalto per la caccia delle capre di montagna, degli stambecchi. Lo ha appreso dalla cella in cui dimora da circa tre anni. Ha detto: “Sono molto dispiaciuta. Gli abitanti di Dersim non lo permetteranno. Perché massacrare le capre di montagna? Questa per me è una questione di fede. Le capre sono sacre. Quando attraversano la strada, il traffico si ferma e gli automobilisti le aspettano e noi tutti le guardiamo con ammirazione e gratitudine. Dersim mi manca tanto. Ho tanta nostalgia di rivederla. Se sarò libera ci andrò. Non potrei riprendermi se non ci andassi. Il mio amore per Dersim è profondo’’.

Ebru vuole vivere, per la giustizia, per Dersim e per salvare le capre di montagna. Perché ama la vita. 

 

 

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