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18/03/2021, 09.01

Nuove accuse contro Aung San Suu Kyi. Rischia 15 anni di prigione
di Francis Khoo Thwe

Un imprenditore dice di averle dato una bustarella di 500 mila dollari. Vietato agli avvocati di incontrare la “Signora”. Raid notturni casa per casa per stanare i manifestanti. Obbligo ai residenti di smantellare le barricate. Più di 210 morti e 2200 arresti.

Yangon (AsiaNews) – La giunta militare ha lanciato un’altra accusa contro la leader democratica Aung San Suu Kyi, che potrebbe condannarla fino a 15 anni di prigione. La televisione di Stato ha diffuso un video in cui il costruttore Maung Weik dice di aver dato alla “Signora” – come è chiamata dalla popolazione - una bustarella di 550 mila dollari per facilitare i suoi progetti. Egli stesso dice che non vi erano altri testimoni.
L’accusa di corruzione si aggiunge ad altre quattro, legate al possesso di alcuni walkie-talkie stranieri (violazione delle leggi sull’export); di aver violato le regole anti-Covid; di aver fatto raduni di incitamento contro lo Stato; di aver usato fondi per aiutare una fondazione a costruire un centro di avviamento professionale a Naypyidaw, pagando il terreno a un prezzo minore del valore di mercato.
Nel tentativo di distruggere l’immagine della leader democratica, il cui partito ha stravinto alle elezioni di novembre, le autorità hanno anche vietato ai legali di incontrare Aung San Suu Kyi.
La “Signora” è agli arresti domiciliari dal primo giorno del colpo di Stato. Ma in tutte le manifestazioni che avvengono nel Paese – contro i divieti e il coprifuoco imposto dai militari – si domanda la sua liberazione e quella di tutti i prigionieri politici.
Intanto continua lo sciopero generale e la disobbedienza civile in tutto il Paese, con banche, uffici, negozi chiusi. La giunta accresce la violenza e la repressione. Soprattutto a Yangon, forze di sicurezza compiono raid porta a porta minacciando di uccidere le persone che sono in casa e arrestando manifestanti nascosti.
Per bloccare le cariche delle forze dell’ordine in diverse città sono state costruite barricate. L’esercito ha dato ordine che i residenti di ogni quartiere ripuliscano le strade dagli ostacoli. Alcuni quartieri hanno iniziato il lavoro di smantellamento, ma molti si rifiutano e lasciano le barricate in mezzo alle strade. Secondo associazioni per i diritti umani, finora i militari hanno ucciso più di 210 manifestanti e fatto 2200 arresti.

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17/03/2021, 11.09

I monaci buddisti contro il colpo di Stato
di Francis Khoo Thwe

Il Mahana, il Comitato statale della Sangha Maha Nayaka, sta preparando una dichiarazione ufficiale per domani: condanna delle violenze contro i manifestanti, insieme alle torture e alle uccisioni. Minacci di sciopero delle attività in templi e scuole buddisti.

Yangon (AsiaNews) – Il Comitato statale della Sangha Maha Nayaka, la guida dei monaci buddisti in Myanmar, ha chiesto alla giunta di fermare le violenze contro i dimostranti e accusa “una minoranza armata” di torture e uccisioni di innocenti. Il “Mahana” – l’acronimo del Comitato – dovrebbe diffondere un comunicato domani, dopo un colloquio con il ministro degli affari religiosi.
La notizia della forte presa di posizione dell’organismo più autorevole dei monaci buddisti è stata diffusa a Myanmar Now, un giornale locale preso di mira dalla giunta insieme ad altri media.
La condanna delle violenze e delle uccisioni è la presa di posizione più ufficiale e più pesante finora avuta dal mondo dei monaci buddisti nei confronti del colpo di Stato.
Fino ad ora si erano registrate manifestazioni in diverse città – Mandalay, Yangon, Pegu, Pakokku,.. – ma le loro richieste erano più generiche: domandavano la pace per la nazione e la non vittoria del male sul bene. Nelle scorse settimane, si era diffusa anche la notizia che Shwe Nya War Sayadawa, un monaco molto vicino alla NdL (la Lega nazionale per la democrazia, il partito uscito super-vincitore dalle elezioni del novembre scorso), era stato arrestato.
Gli scioperi, i digiuni, le processioni dei monaci buddisti sono stati fondamentali nel 2007, nella cosiddetta “rivoluzione zafferano” contro la giunta militare di allora. Pur non avendo ottenuto risultati tangibili, essa è servita per attirare l’attenzione della comunità internazionale sul Myanmar, dando avvio a un processo di cambiamento. Dopo il 2007, però, la giunta ha cambiato tutte le autorità dei diversi monasteri nel Paese. Da allora, il Mahana cerca di guidare i monaci a stare al di fuori delle problematiche politiche. Per questo la sua presa di posizione oggi ha molta rilevanza.
Secondo un membro presente all’incontro del Mahana, i monaci minacciano di fermare ogni loro attività nei templi e nelle scuole buddisti.
Secondo dati del 2016, il Mahana sovrintende a quasi 600mila monaci e monache buddisti, dei quali circa la metà sono novizi. La religione buddista è praticata dal 90% della popolazione birmana.

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