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19 Giugno 2021 

Gasare, mutilare e sottomettere
di Gonzalo García, Campo Pascual, Cortés Paul Rocher

L'economista francese Paul Rocher ha studiato l'uso da parte della polizia delle armi cosiddette «non letali» contro i manifestanti. Tracciandone le relazioni con l'aumento degli abusi in divisa e con le politiche neoliberiste

La repressione del movimento dei gilets jaunes ha mostrato il lato violento della polizia francese. In un anno di proteste, almeno ventiquattro persone hanno perso un occhio, cinque hanno avuto una mano recisa e una donna anziana è stata uccisa da un lacrimogeno. È stata vittima delle cosiddette armi «non letali»: le diverse tipologie di flash-ball, i proiettili di gomma e le granate il cui uso come strumenti di controllo delle masse ha mutilato dozzine di manifestanti in tutta la Francia.
Mentre la polizia francese sta assumendo una veste sempre più autoritaria – con il governo di Emmanuel Macron che vieta di fatto le riprese dei poliziotti – questo tipo di violenza contro i manifestanti non è certo un fenomeno solo francese. Lo scorso autunno, Physicians for Human Rights ha riferito che 115 persone hanno subito lesioni alla testa durante le proteste che hanno seguito l’uccisione di George Floyd, sempre grazie all’uso di armi non letali.
Paul Rocher è autore di Gazer, mutiler, soumettre, un libro sui pericoli di queste armi e sulla politica di «gasare, ferire e sottomettere» coloro che protestano. Ha parlato con Pascual Cortés e Gonzalo García-Campo del pericolo rappresentato da queste armi, spesso letali; del loro ruolo nell’incoraggiare la polizia a ricorrere alla violenza; e del motivo per cui hanno a che fare con la limitazione neoliberista dei diritti democratici.
Perché hai deciso di condurre l’inchiesta che ha portato alla pubblicazione di Gazer, mutiler, soumettre?
Gazer, mutiler, soumettre è un’economia politica delle cosiddette armi non letali. Come economista, ho osservato come il neoliberismo ha riorganizzato le economie nazionali e le relazioni sociali. Nella misura in cui questo consiste fondamentalmente nello spostare la ricchezza dai poveri ai ricchi, è intrinsecamente connesso alla protesta sociale. E infatti negli ultimi dieci anni in Francia c’è stato un numero considerevole di manifestazioni e scioperi importanti. Tuttavia, questi movimenti si sono confrontati sempre di più con la brutalità della polizia e i mezzi concreti di tale brutalità erano armi non letali.
Da allora l’etichetta ufficiale è passata a meno letale ma si riferisce ancora alle stesse armi: gas lacrimogeni, varie granate esplosive, proiettili di gomma, cannoni ad acqua… I governi li hanno presentati come un mezzo più etico e morbido per controllare le folle, un controllo che non ucciderebbe o ferirebbe. Tuttavia, con l’aumento del numero di persone uccise o ferite in concomitanza con l’uso di armi non letali, la contraddizione tra i modi in cui i governi hanno presentato le armi per il controllo della folla e i loro effetti reali è diventata palese, innescando un intenso dibattito in Francia.
Giornalisti, Ong, manifestanti e semplici passanti con uno smartphone hanno fornito un catalogo crescente di prove dell’altissimo livello di brutalità della polizia. Questo tipo di violenza fa parte della vita quotidiana dei quartieri più poveri della Francia da decenni, ha preso di mira le minoranze nere e arabe in misura sproporzionata. Nel corso degli anni Dieci è accaduto che queste brutali pratiche di polizia sono state estese ai movimenti sociali, ad esempio agli attivisti ambientali e ai sindacati, e infine alle proteste dei gilets jaunes, tra i quali c’erano molte persone che non avevano mai partecipato a manifestazioni. Nel 2014 l’attivista ambientale Rémi Fraisse è stato ucciso da una granata non letaledella polizia e durante gli scioperi del 2016 decine di manifestanti sono rimasti gravemente feriti o addirittura mutilati. Solo nel periodo tra novembre 2019 e gennaio 2021, sono stati registrati due decessi insieme ad almeno 353 ferite alla testa e 36 persone hanno perso un occhio o una mano. La maggior parte delle vittime erano gilets jaunes o partecipavano a manifestazioni sindacali. Secondo l’organismo di coordinamento dei medici di strada, tra marzo e dicembre 2019 sono rimasti feriti almeno ventisettemila manifestanti.
Quindi una parte crescente della popolazione è preoccupata dalla violenza della polizia. Eppure il dibattito pubblico è generalmente incentrato sulla responsabilità individuale di un poliziotto, colpevole di usare la sua arma non letale nel modo sbagliato. Ho cercato di fornire un’analisi più completa. Invece di parlare di singoli casi, ho tentato di cogliere la logica di fondo di questa improvvisa emersione di brutalità da parte della polizia.
Un punto interessante della tua analisi è che non dobbiamo perdere di vista la forma specifica delle armi utilizzate dalla polizia. Perché ti concentri su questo elemento?
La specificità del mio approccio è quella di cogliere le armi non letali non solo come mezzo per arrivare a un fine, ma per capire fino a che punto la loro disponibilità modella il comportamento di chi le usa. In altre parole, ciò che conta non è solo mostrare che le armi non letali sono usate dalla polizia per controllare violentemente le folle. Occorre piuttosto cogliere le caratteristiche dell’arma non letale per capire come plasma le azioni concrete dei poliziotti. Utilizzando dati statistici e qualitativi, sostengo che è proprio la disponibilità di armi non letali a spingere la polizia a usarle più velocemente e più spesso.
Quindi, contrariamente a quanto affermano quelli che dicono che questo tipo di armi garantisce un controllo della folla più etico, le armi non letali in realtà determinano il livello di brutalità. Sulla base dei dati ufficiali della polizia francese, dimostro che mentre tra il 2009 e il 2018 l’uso generale dei diversi tipi di armi non letalidisponibili in Francia si è moltiplicato per un fattore nove, il numero di colpi di proiettile di gomma è stato moltiplicato per un fattore di 480! Ciò dimostra l’esplosione di brutalità della polizia. Ho trovato questo risultato sorprendente, anche se i dati ufficiali sono molto incompleti e rappresentano solo la punta dell’iceberg.
Questo aumento della violenza gratuita ha diverse implicazioni. E significa soprattutto che le proposte per una migliore regolamentazione dell’uso di queste armi o un migliore addestramento per i poliziotti non colgono il punto. Il punto è che suggerendo la non letalità – che sostanzialmente equivale a far credere che queste armi siano innocue – i poliziotti sono incoraggiati a sparare e tendono a gestire con la violenza un numero crescente di situazioni.
Un’altra conseguenza è la diffusione dell’autodifesa popolare. Alcune persone disposte a unirsi alle proteste sono spaventate dalle armi non letali. Si tratta di una restrizione del diritto fondamentale alla libertà di espressione. Ma un’altra parte di manifestanti ha deciso di attrezzarsi per tutelare la propria incolumità. Ecco perché un numero crescente di persone usa sciarpe, occhiali, maschere (antigas), elmetti, parastinchi e striscioni rinforzati con legno o plastica. Questo equipaggiamento protettivo si è dimostrato piuttosto efficace contro gli effetti mortali o mutilanti delle armi non letali. Inoltre, le persone hanno imparato a muoversi collettivamente per ridurre la probabilità di lesioni durante le manifestazioni. Questi fenomeni derivano da un processo di apprendimento che può essere estremamente rapido.
Al governo francese il modo in cui queste forme di autodifesa hanno ridotto l’impatto delle armi di controllo della folla non è piaciuto, quindi ha iniziato a descrivere queste persone «equipaggiate» come motivate unicamente dalla violenza e ha tentato di arrestarle. Durante una recente manifestazione contro un disegno di legge volto ad ampliare notevolmente i poteri della polizia, il governo francese ha dichiarato che erano stati arrestati 142 manifestanti violenti. Sulla base delle riprese video, diversi giornali in seguito hanno riferito che questi arresti erano puramente arbitrari. Come mostrano le prove portate ai processi, i manifestanti «attrezzati» avevano solo la preoccupazione di proteggere la loro sicurezza. Questa politicizzazione della loro sicurezza ha comportato anche la politicizzazione delle armi della polizia. Secondo un sondaggio del 2019, il 54% degli intervistati ha affermato di essere favorevole alla messa al bando dei proiettili di gomma. Questo è un bel risultato: nel giro di dieci anni, l’arma che avrebbe dovuto garantire il controllo etico della folla è riuscita a diventare completamente screditata.
Quanto è simile il caso francese a quello di altri paesi in termini di utilizzo di armi non letali? L’adozione estesa di questo tipo di armi è un fenomeno globale o una caratteristica di alcuni tipi di regimi politici o economici?
Oltre all’argomento centrale che le armi non letali producono la brutalità del controllo della folla, il mio libro sottolinea che le armi non sono solo una scelta tecnica, ma fanno parte di un progetto politico. Negli anni Novanta, i governi del Nord America e dell’Europa occidentale hanno iniziato a fare sempre più affidamento su armi di questo tipo – che hanno continuato a diversificarsi e a divenire più potenti – che si sono poi diffuse in tutto il mondo.
Ritengo che l’attrattiva delle armi non letali sia strettamente correlata al progetto neoliberista. Classicamente, l’egemonia – o in altre parole, la riproduzione dello stato moderno – si basa su un misto di coercizione e consenso. Il fatto è che aumentando lo sfruttamento e le disuguaglianze, nucleo del neoliberismo, diventa sempre più difficile per i governi ottenere il consenso di una parte significativa della sua popolazione. In reazione, la coercizione diventa manifesta.
Eppure la cosa difficile della coercizione è che rischia di screditare ulteriormente un governo che sta già perdendo il sostegno popolare. In queste circostanze, le armi non letali sono apparse come una soluzione miracolosa: una repressione efficiente senza violenza. Pertanto, anche se manganelli, gas lacrimogeni e, in una certa misura, proiettili di gomma esistevano prima della fase neoliberista, a partire dagli anni Novanta l’uso su larga scala di armi non letali ci consente di caratterizzarli come strumento neoliberista di mantenimento dell’ordine sociale. L’uso di armi non letali non è del resto un fatto isolato, fa parte di una tendenza generale di quello che un numero crescente di ricercatori chiama neoliberismo autoritario.
Tuttavia, i paesi occidentali hanno deciso che il controllo della folla è «democraticamente accettabile», e si è rapidamente diffuso in molti paesi. Inoltre, paesi come la Francia hanno iniziato a offrire corsi di formazione alle forze di polizia straniere per insegnare loro i metodi di controllo della folla. Il mio libro attinge a vari esempi in diversi paesi e in realtà inizia con un resoconto sul modo in cui i rivoluzionari in Egitto nel 2011 hanno gestito il pericolo delle armi non letali.
Negli ultimi anni, l’uso massiccio di queste armi è stato documentato in luoghi diversi come Hong Kong, Cile, Stati uniti, Libano, Perù, Bielorussia e molti altri. Ogni volta lo scenario è simile: uso estensivo di armi non letali, molti feriti e nessun dato ufficiale disponibile. Pertanto, al di là delle ragioni specifiche di ogni tipo di agitazione, ciò che accomuna tutte queste proteste è che sono diventate rapidamente anche movimenti contro la brutalità della polizia. All’interno di questa dinamica, la gente ha iniziato a contare il numero di granate, proiettili di gomma che venivano sparati e ha documentato le ferite. I recenti dati sulla brutalità della polizia negli Stati uniti, a Hong Kong e in Cile sono da capogiro.
Il diritto internazionale dei diritti umani sottolinea spesso il rispetto di principi come necessità e proporzionalità nell’uso di armi non letali. Pensa che questa sia una buona strada da percorrere per la riforma della polizia democratica?
A prima vista, avere delle linee guida sembra meglio che non averne, e queste linee guida probabilmente possono avere un ruolo in termini di sanzione di un singolo poliziotto per cattiva condotta. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la brutalità della polizia non è (sufficientemente) documentata e c’è una forte solidarietà tra i poliziotti nel proteggersi a vicenda. Pertanto, la brutalità della polizia rimane impunita.
In Francia ci sono stati dibattiti sulla legalità dell’uso di proiettili di gomma in situazioni specifiche, sulla proporzionalità di colpire ripetutamente i manifestanti con un manganello e sulla necessità di riempire le strade di gas lacrimogeni. Oltre al fatto che questi dibattiti non hanno cambiato il comportamento della polizia, una discussione del genere non coglie la logica generale che opera dietro ogni singolo uso di armi non letali. Questo punto è cruciale, perché c’è uno schema comune dietro tutti i casi particolari di brutalità della polizia per mezzo di armi non letali: avere la disponibilità di queste armi spinge a farne uso. Nella misura in cui queste armi, in quanto tali, sono il problema, non è possibile ridurre la brutalità della polizia con una migliore regolamentazione.
È possibile un approccio riformista in relazione all’uso di armi non letali o ritiene che dovremmo piuttosto muoverci verso il divieto del loro uso? Cosa diresti a chi sostiene che limitare o vietare eccessivamente l’uso di armi non letalilasci la polizia senza alternative per il controllo dell’ordine pubblico?
Il mio libro fornisce ampie prove che la stessa disponibilità di armi non letali porta alla brutalità nel controllo delle manifestazioni. E mentre fornisco prove e metto in relazione l’uso di armi non letalicon la fase neoliberista, la possibilità che queste armi conducano a una maggiore violenza della polizia era stata già sollevata trent’anni fa dal Dipartimento di giustizia degli Stati uniti. Oggi, Ong come Physicians for Human Rights discutono su linee simili, a favore del proibizionismo.
Per reazione, i governi a volte dichiarano l’intenzione di introdurre nuove armi non letali, presentate come tecnicamente meno potenti e pericolose. Ma questi propositi si basano su un presupposto fallace: la pericolosità di un’arma non può essere stabilita con certezza dalle sue caratteristiche tecniche (anche se il diametro dei proiettili di gomma può fare la differenza). Invece, è da commisurare al metro dell’uso effettivo che i poliziotti ne fanno, il che ci riporta al problema della brutalizzazione intrinseca.
I governi e i rappresentanti della polizia ribadiscono regolarmente l’idea che non ci siano alternative alle armi non letali. Questo argomento è alquanto incongruo. Evidenze provenienti da tutto il mondo in merito a lesioni mutilanti e mortali – senza contare nemmeno i traumi, che possono avere anche conseguenze permanenti – dimostrano che la polizia non è in grado di fare un uso corretto delle armi non letali, semplicemente perché non esiste un uso corretto di questi strumenti. Questa realtà dev’essere affrontata con decisione e i governi e i dipartimenti di polizia dovrebbero essere i primi a pensarci. Concentrandosi sulla mancanza di alternative, dichiarano semplicemente la loro riluttanza ad affrontare una massa schiacciante di prove. O, in altre parole, vogliono procedere con politiche neoliberiste con ogni mezzo necessario.
Dunque, un primo modo per rispondere all’argomento «nessuna alternativa» è rifiutare apertamente la sua rilevanza: perché le vittime, o la società civile, dovrebbero gestire un problema creato dai governi? Un secondo modo di reagire è guardare alcuni dati per esaminare la significatività di questo argomento. Quando si tratta del presunto margine di manovra ridotto della polizia, occorre prima di tutto affermare che i manifestanti non sono diventati più violenti, e lo so per certo, almeno in Francia e in Europa occidentale. La ricerca sui movimenti sociali e sulla polizia lo ha stabilito con fermezza.
I manifestanti violenti oggi hanno sostanzialmente gli stessi mezzi di quarant’anni fa, mentre i dispositivi di protezione della polizia sono continuamente migliorati. Inoltre, dagli Stati uniti arrivano prove riguardo alle armi per elettroshock non letali che dimostrano che il 90% di coloro che sono morti dopo un elettroshock erano persone disarmate o non minacciose. In altre parole, non è necessario dotare la polizia di armi non letali.
La disponibilità di armi non letali facilita l’azione dei poliziotti esponendo i civili a rischi per la salute sproporzionati. Questa è la ragione che sta dietro le armi non letali.
*Paul Rocher è un economista e si è laureato in scienze politiche a Sciences Po Paris. Si occupa di polizia ed è autore di Gazer, mutiler, soumettre. Pascual Cortés e Gonzalo García-Campo sono redattori di Policía & Democracia, dal quale è tratto questo testo, che è uscito anche su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

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