La travolgente vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi era da lungo tempo 
									annunciata. E' un terremoto politico ed una trasformazione, per ora nella massima  legalità, del Movimento di Liberazione della Palestina. L'Olp non è più l'unico e  legittimo rappresentante del popolo palestinese. Hamas, che non ha mai fatto parte  dell'Olp, è stato eletto democraticamente dalla popolazione palestinese residente  nei territori ancora occupati militarmente da Israele, ora dovrà governare e fare i  conti con la complicata vicenda della gestione quotidiana. Hamas, movimento politico  religioso, ha sempre trattato da traditori i firmatari dell'accordo di Oslo ed ha  praticato in questi anni una politica di servizi sociali e di aiuti economici alla  popolazione, conducendo nello stesso tempo una resistenza armata che ha avuto la più  tragica espressione negli attentati suicidi contro i civili israeliani. 
									Le motivazioni del travolgente successo di Hamas sono molteplici, esterne e interne  alla Palestina. La comunità internazionale si è meravigliata, ed ha minacciato di  tagliare i fondi al nuovo governo palestinese. Hamas è nella lista stilata dagli  Usa, e accettata dall'Unione Europea, delle organizzazioni considerate terroriste. 
									Ma questa minaccia fatta prima, e ripetuta dopo i risultati delle elezioni, ha solo  il potere di rafforzare Hamas, perché i palestinesi hanno capito in questi anni, e  lo hanno ripetuto molte volte soprattutto agli europei, che non mancano mai di far  pesare la loro generosità, che è di una soluzione politica che hanno bisogno. Che  non ne possono più di vivere alla mercé dell'esercito israeliano. Chiedono di avere  un po' di giustizia e di poter vivere in libertà e con dignità nella loro terra. 
									I giovani di Gaza che sventolavano bandiere verdi, gialle, rosse, a noi, osservatori  elettorali, lo dicevano sorridendo: vogliamo essere liberi, vogliamo l'indipendenza.  
									La Comunità Internazionale ha la massima responsabilità nel non avere voluto/saputo  risolvere il conflitto e dare così spazio a forze religiose. Sempre più spesso ci si  chiede se tutto ciò non sia voluto, basta vedere i risultati delle politiche  cosiddette occidentali a partire dalla ex Juguslavia fino alla prima guerra del  Golfo e alla dichiarazione di Bush sullo scontro di civiltà. Nazionalismi e identità  religiose ortodosse si sono affermate contro la visione laica e secolare della  politica e degli stati. Nella situazione specifica del conflitto  israelo-palestinese, nessuno ha fatto pressioni sufficienti per fare applicare da  Israele gli accordi firmati con l'Olp nel lontano 1993, né tanto meno le risoluzioni  dell'Assemblea e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L'assassinio di  Rabin da parte di un fondamentalista ebreo e la successiva vittoria di Nethaniau  sono state il segnale della deriva del processo di pace e degli accordi di Oslo a  cui non si è voluto dare ascolto. 
									E' fin dalle prime violazioni degli accordi da parte del governo israeliano che  molti dirigenti palestinesi, tra i quali lo stesso Arafat ma ancor più Faisal  Husseini, leader amato e rispettato da tutti i palestinesi, ogni volta che  incontravano leader europei, lanciavano un appello: non lasciateci soli a negoziare  con il governo israeliano, loro sono forti e noi deboli, loro occupano le nostre  terre militarmente. Noi abbiamo messo nel cassetto i nostri sogni, quello di abitare  la Palestina storica, dove, prima della dichiarazione di Balfour, ebrei, cristiani,  musulmani, vivevano insieme. Il 15 novembre del 1988 abbiamo sancito di volere uno  Stato in coesistenza con lo stato d'Israele, non sui confini della spartizione  dell'Onu del '47, ma sui confini delle terre occupate nel 1967, il 22% della storica  Palestina. Fate in modo che la sfida che noi abbiamo accettato possa dare dei  risultati, fate pressione su Israele affinché porti avanti il ritiro dai territori. 
									Se continua in questo modo, se Israele continua ad occupare e confiscare le nostre  terre, se aumenta la presenza dei coloni, se aumentano i check point e la  separazione dei palestinesi dentro le enclaves, noi non avremo la pace. La sconfitta  dell'autorità palestinese e le forze che verranno al potere saranno fondamentalisti  religiosi, non partiti secolari come quelli che noi rappresentiamo. 
									Faisal Husseini, la cui improvvisa morte è stata una perdita di grande peso per il  popolo palestinese, era molto più esplicito di Arafat. Ricordo che in una 
									conversazione con altri parlamentari europei, disse, ed eravamo agli inizi del 2001,  che l'Europa doveva fermare Sharon e il suo piano di distruzione dell'autorità  palestinese perché se ci fosse riuscito, Hamas avrebbe preso il potere e lui non  voleva che sua figlia un giorno fosse costretta a portare il velo o che lui stesso  perdesse i suoi diritti individuali. 
									Oggi la grande minaccia è realtà. Hamas ha vinto le elezioni che si sono svolte, da  parte palestinese, nella massima correttezza procedurale e senza violenze, come del  resto le altre elezioni nazionali: quelle del '96 che hanno sancito la nascita di un  Consiglio legislativo palestinese secondo gli accordi di Oslo, ma non uno Stato  palestinese, e quelle che hanno scelto Mahmoud Abbas presidente. In quelle elezioni  e in queste odierne, gli osservatori internazionali hanno potuto apprezzare oltre  che la forte presenza delle donne, la competenza e l'organizzazione dei seggi  elettorali e le stesse campagne elettorali portate avanti con comportamenti da fare  invidia sicuramente a noi italiani. Niente brogli. Intimidazioni e boicottaggi sono  invece venuti da parte israeliana, arresti di candidati, impedimento a muoversi e a  fare campagna elettorale non solo a Gerusalemme est ma tra un villaggio e l'altro  dei territori, assassini mirati come a Gaza. Il giorno 23, due giorni prima del  voto, uccidendo un militante del Fronte Popolare che guarda caso è diventato il  terzo gruppo politico dopo Hamas e Fatah nelle liste nazionali. E i palestinesi non  finiscono mai di sorprendere. In queste elezioni persino la plateale violazione di  una norma della legge elettorale, che proibisce il giorno delle elezioni di essere  davanti ai seggi a fare propaganda per candidati o a esporre i simboli o bandiere,  veniva vissuta e spiegata come un espressione della democrazia e della volontà  unitaria del popolo palestinese di fare delle elezioni un vero processo democratico. 
									"Guarda - mi dicevano - io ho il cappello di Hamas e la bandiera verde, accanto a me  c'è Fatah con la sua bandiera gialla e la bandiera palestinese, accanto a Fatah, c'è  la bandiera rossa del Fronte Popolare e poi tutti gli altri che distribuiscono  indicazioni di voto. Siamo qui insieme senza nessuna tensione, stiamo festeggiando  le nostre elezioni". 
									Ora Hamas ha vinto e dovrà governare, i suoi dirigenti non vogliono farlo da soli,  hanno chiesto di farlo con il tanto odiato Fatah e altri. Mahmoud Zahhar, quando lo  abbiamo incontrato a Gaza la sera prima del voto, era stato molto diretto: "Nella  nostra lista a Gaza appoggiamo tre indipendenti, uno di loro cristiano, siamo per il  pluralismo. Non riconosceremo Israele fino a quando Israele non riconoscerà noi,  possiamo continuare il cessate il fuoco, lo stiamo rispettando fin da quando abbiamo  fatto l'accordo con Mahmoud Abbas nel 2004, lo abbiamo fatto malgrado gli assassini  mirati, ma il governo israeliano deve cessare gli attacchi contro la nostra  popolazione, smetterla di bombardarci e di ucciderci. La gente voterà per noi perché  in questi anni siamo stati tra di loro, abbiamo fatto scuole, ospedali, abbiamo  aiutato la popolazione, mentre i leader di Al Fatah si arricchivano e la corruzione  diventava sistema". 
									La corruzione è diventata la parola magica e demagogica, dietro la quale si  nascondono le responsabilità reali. Indubbiamente esiste, ma non è vero che tutti  sono corrotti e tutti si sono arricchiti. Ed è vero che anche dall'interno di Al  Fatah sono venute le prime critiche. Dire che in questi anni non è stato fatto nulla  e i soldi sono stati intascati dai veri leader è chiaramente un falso. Gli aiuti  dell'Unione europea, secondo le indagini volute dal Parlamento Ue e condotte  dall'Olaf, sono stati usati per la realizzazione dei progetti per i quali i fondi  erano stati designati. 
									Dalla provocazione di Ariel Sharon sulla spianata delle Moschee, e con gli attacchi  militari israeliani ben 330 milioni di euro impiegati nelle diverse infrastrutture  palestinesi sono stati distrutti dagli attacchi israeliani. Le enormi spese per le  forze di sicurezza sono state volute dalla comunità internazionale e dal bisogno di  trovare una collocazione alle migliaia di giovani che hanno partecipato alla lotta  di liberazione nazionale. 
									La politica di Sharon, ma anche di Barak e Peres è stata quella di fare tabula rasa  dell'autorità palestinese, prima con Arafat e poi con Mahmoud Abbas, sia quando  formò il governo dal quale si dimise che da Presidente. "Non ci sono partner per la  pace", hanno continuato a ripetere mentre costruivano il Muro di annessione  territoriale, definendo in modo unilaterale, come ha ribadito il nuovo leader del  Kadima, Ehud Olmert, nella recente conferenza di Hertzlya, i confini israeliani,  "che tengono conto della demografia". 
									Nessuna responsabilità di Al Fatah quindi? No, indubbiamente enormi, in primo luogo  il fatto di credersi unici e insostituibili, senza rendersi conto del distacco che  il loro modo di gestire il potere creava con la popolazione e con gli stessi  aderenti di Al Fatah, molti dei quali hanno votato Hamas. Non si sono mai affrontati  seriamente i problemi che emergevano tra una direzione pur sempre palestinese che  tornava in Palestina dopo aver pagato per la scelta di lotta l'esilio, ma che  assumeva il potere nella diffidenza di chi aveva vissuto sotto l'occupazione  militare israeliana dall'interno dei territori. 
									La popolazione palestinese non è mai stata chiamata a partecipare in modo continuo  alle scelte difficili che si sono dovute fare. Anche Arafat si rivolgeva alla  popolazione per ribadire le grandi affermazioni di principio, ma senza dare  responsabilità e coinvolgere la popolazione nella costruzione quotidiana di uno  stato che ancora non c'è. Abuso di potere, nepotismo, corruzione hanno fatto la loro  parte insieme al fallimento del processo di pace, che Israele ha definitivamente  bloccato con la decisione del ritiro unilaterale da Gaza. Altra illusione ben presto  franata, per via del controllo israeliano sulla mobilità delle merci e delle  persone, malgrado la presenza europea a Rafah e dell'inviato speciale Wolfhenson, e  per via dell'aumento dei coloni nella Cisgiordania. Il giorno dopo le elezioni a  Gaza, nel check point delle merci, tonnellate di pomodori sono andati distrutti.  Oggi Fatah deve fare i conti con una sconfitta e finirla con l'occupazione del  potere. Finora, forse ha giocato la sorpresa e lo shock, la reazione è stata quella  di un normale paese democratico. Fatah dice di essere pronto ai passaggi di potere  in modo pacifico e di riconoscere la volontà espressa dalle urne. Il presidente  Abbas non intende rassegnare le dimissioni, del resto non richieste da Hamas, e nel  suo discorso ha ribadito la scelta della pace e del negoziato e di voler mantenere i  poteri che gli sono conferiti dalla legge, tra l'altro la direzione delle forze di  sicurezza. Ed è proprio da parte dei servizi di sicurezza che viene la protesta più  forte; anche Dahlan ora parlamentare eletto a Khan Yunis, ha dichiarato  minacciosamente che le forze di sicurezza non devono essere toccate. 
									Quando alcuni delle forze di sicurezza sono entrati nel Consiglio legislativo  palestinese a Ramallah, gridando contro il comitato centrale di Al Fatah e  reclamandone le dimissioni, manifestavano anche contro Hamas che il giorno prima  aveva innalzato la bandiera verde sul davanzale della sede del Consiglio e uno dei  giovani di Al Fatah ha dichiarato che lui era entrato per rimettere al suo posto la  bandiera palestinese e non quella di Hamas o di Al Fatah. Ma proprio le forze di  sicurezza, con la loro tracotanza e i conflitti interni sfociati in sparatorie ed  uccisioni ha contribuito non poco allo scollamento della popolazione da Fatah e al  voto per Hamas. Adesso tutti temono che Hamas licenzi migliaia di dipendenti e dirigenti pubblici sostituendo i propri aderenti a loro. E questo sarà un test importante per Hamas. 
									Non ritengo che il voto ad Hamas sia la scelta di un fondamentalismo religioso e  dell'islamizzazione della società palestinese, è un voto legato, più che alla  religione, alle condizioni di vita, alla tragedia quotidiana dell'occupazione  militare, delle umiliazioni ai check point, della mancanza di libertà, di lavoro. E'  un voto di protesta e critica all'occupazione del potere del più grande partito  dell'Olp, Al Fatah e una sfida alla comunità internazionale. 
									E' stato un voto per il cambiamento di una popolazione che dagli accordi di Oslo  invece di vedere la nascita di uno stato palestinese ha visto la crescita degli  insediamenti ed un isolamento nelle sue grandi città che divide palestinesi da  palestinesi, ha visto crescere un muro che annette terra allo stato di Israele, e  continua a vedere migliaia e migliaia di palestinesi nelle carceri israeliane. 
									Ma il pericolo di una deriva religiosa c'è ed è per questo che la società civile  palestinese, quella che abbiamo conosciuto in tutti questi anni, deve uscire  nuovamente allo scoperto sui diritti civili. A Qalqilya, dove peraltro ha vinto  Fatah, il nuovo sindaco di Hamas ha già impedito i festival di musica che si  tenevano da anni. Da queste elezioni escono malissimo le forze democratiche e laiche  che pagano anche loro la separazione dalla popolazione e la tradizione di una  sinistra che non riesce a trovare l'unità e un progetto comune. Chissà che anche per  loro la vittoria di Hamas non sia portatrice di un risveglio politico e culturale. 
									Inizia una nuova grande sfida: l'Unione europea e la comunità internazionale sono  chiamate a riconoscere il legittimo governo palestinese, e fare pressioni su Hamas  perché entri definitivamente nel gioco democratico, persegua la tregua militare  riconoscendo le risoluzioni delle nazioni Unite e vada al tavolo del negoziato, che  non c'è non per volontà palestinese ma per volontà israeliana. Non si aspetti il  risultato delle elezioni israeliane per fare pressioni su Israele che palesemente  viola ogni legalità internazionale, si agisca subito. Dopotutto il Likud quando  vinse le elezioni nel 1977 veniva accusato dai laburisti di essere il partito dei  terroristi delle bande dell'Irgun e dello Stern.
									
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