Buen Vivir
Una Nuova Democrazia della Terra
di Giuseppe De Marzo
Prefazione di Adolfo Pérez Esquivel
Postfazione di Gianni Minà


ediesse saggi 2009


"Il Mondo Occidentale Crede di Essere Padrone della Democrazia"
di Gianni Minà


Le grandi multinazionali vanno fermate. Sfruttare l’ambiente è sfruttare l’uomo.


'Il capitalismo ha fallito, occorre ripensare il sistema'
Alberto Tundo Intervista Giuseppe De Marzo


http://www.fainotizia.it
05/11/2009

Le grandi multinazionali vanno fermate. Sfruttare l’ambiente è sfruttare l’uomo.

“Quando si rompe l’equilibrio tra l’essere umano e la natura si origina la violenza. Sappiamo che le conseguenze dell’inquinamento si accumulano nel tempo”. Le grandi multinazionali devono essere fermate.

Se gli esseri umani non inizieranno ad amare, curare e proteggere la casa comune dell’umanità – questo piccolo pianeta chiamato Terra – ogni essere vivente sarà in pericolo.

I contadini sanno per esperienza diretta che ciò che si semina si raccoglie, e che non esiste un cammino diverso. È necessario riconoscere il ritmo del ciclo naturale e aspettare i suoi risultati. 

La scienza e la tecnica hanno modificato la comprensione e la dinamica della vita provocando l’accelerazione del tempo e l’alterazione dei ritmi naturali. Tutto ciò ha costretto l’umanità ad affrontare nuove sfide e nuovi valori, facendo perdere la comunione e l’equilibrio con la Madre Terra.

Qualche giorno fa, durante l’incontro delle Assemblee popolari sulla difesa dell’ambiente, davanti alla devastazione e ai danni provocati dalle imprese minerarie, un medico che lavora nell’ospedale della provincia con pazienti oncologici mi ha detto: "Sai, a San Juan (una provincia argentina situata nella Cordillera delle Ande, al confine con il Cile. È una zona di grande sfruttamento minerario a cielo aperto che provoca gravi danni ambientali irreversibili, ndr), non ci sono più uccelli, né rospi. Sono scomparsi a causa del forte indice di inquinamento che ha spezzato la catena biologica e ha provocato numerose calamità, come ad esempio quella delle zanzare che causano il dengue". 

Lo squilibrio ambientale, la contaminazione a cielo aperto delle miniere, l’inquinamento dell’acqua con cianuro e mercurio utilizzati per estrarre oro, argento e rame hanno fatto aumentare il numero di malattie e di decessi tra la popolazione locale. La produzione agricola della soia transgenica con le sue monocolture e l’utilizzo intensivo di prodotti chimici come il glifosato hanno provocato la distruzione dell’economia familiare e regionale generando malformazioni genetiche negli esseri umani e negli animali. Sono, inoltre, scomparse alcune specie animali come per esempio le api o le serpi.

Quando si rompe l’equilibrio tra l’essere umano e la natura si origina la violenza. Sappiamo che le conseguenze dell’inquinamento si accumulano nel tempo. Le grandi imprese multinazionali, che privilegiano il capitale finanziario rispetto alla vita dei popoli, causano il deterioramento dell’ambiente, la desertificazione sempre maggiore nei vari paesi che soffrono la mancanza d’acqua, la distruzione dei boschi e la scomparsa della biodiversità. Esse distorcono i concetti di sviluppo e sfruttamento con la complicità e il permesso dei governi dove queste imprese operano. 

Il Mahatma Gandhi con la sua saggezza e la sua esperienza diceva che: 
"La Terra offre risorse sufficienti per i bisogni di tutti ma non per l’avidità di alcuni".

La pubblicazione del libro Buen Vivir - Para una democracia de la Tierra rappresenta un segno di speranza. La sua lettura, oltre a favorire la riflessione, può far risvegliare le coscienze. È importante che le persone assumano la responsabilità di fronte alle sfide dei nostri popoli e alla vita del pianeta. Nel libro si segnalano diversi aspetti relativi alla situazione dell’umanità come per esempio l’aumento di concentrazione della popolazione nelle grandi città. Come segnala De Marzo, studi urbanistici e sociologici affermano che: "dal 2020 al 2030, approssimativamente l’80 per cento della popolazione mondiale vivrà nelle grandi città, provocando l’aumento delle zone periferiche, fenomeno già presente in diverse parti del mondo e dovuto alla forte concentrazione della terra in mano di grandi corporazioni internazionali e all’espulsione dei piccoli e medi produttori agricoli".

I piani urbanistici delle città non prevedono sufficienti infrastrutture per sostenere i problemi derivanti dal rapido sviluppo delle zone periferiche e dalle nuove richieste delle persone che lì si stabiliscono, come ad esempio quello della salute, dell’educazione e del lavoro. La popolazione che vive in queste aree è sottoposta a danni provocati dall’inquinamento visivo, sonoro e ambientale che causano forme di violenza strutturale e sociale. L’aumento della disoccupazione, la povertà e l’emarginazione sono causate dalla disuguaglianza sociale, dall’analfabetismo e dalle malattie. Molti di questi danni sono purtroppo irreversibili. 

Le monocolture e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali comportano la distruzione dell’ambiente e una perdita per l’umanità di fonti preziose di vita. Questa situazione sta creando gravi danni ambientali e umani alle culture millenarie delle comunità indigene che vengono ormai espulse dal proprio habitat originario. 

Le Nazioni Unite hanno lanciato un grido d’allarme sul tema della sovranità alimentare e la FAO ci informa che ogni giorno nel mondo 35 mila bambini muoiono di fame. Bisogna andare alle cause che generano questa grave situazione e incontrare nuove vie per costruire la Democrazia della Terra, per generare un nuovo contratto sociale su scala planetaria che permetta ad ogni paese di preservare i valori e l’identità del suo popolo, le diversità culturali e le risorse naturali del pianeta. 

Il lavoro d’analisi proposto nel libro motiva il lettore ad assumere una coscienza critica per non lasciarsi dominare. Come sottolinea Vandana Shiva nel suo libro La monocoltura della mente, la dominazione non inizia dall’economico ma dal culturale. È nella mente e nella coscienza critica che è possibile costruire un nuovo mondo e sovvertire questa situazione.


È ciò che nel Foro Social Mundial sosteniamo collettivamente come "Un altro mondo è possibile". 

Il libro approfondisce la situazione socio-economica e politica. In particolare, nel paragrafo "Un altro orizzonte" si prospetta che la crisi del capitalismo non può essere definita come congiunturale ma deve essere interpretata come qualcosa di strutturale e profondamente connessa alla crisi ambientale e sociale. Da qui l’urgenza di un cambio di modello di democrazia e di un ripensamento del paradigma di civilizzazione. È necessario lavorare per generare valori e formare un pensiero critico. 

L’educazione come pratica di libertà e l’informazione sono strumenti di formazione per far sorgere valori e una coscienza libera di fronte al "pensiero unico" che il sistema di dominazione cerca di imporre.



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http://it.peacereporter.net
06/12/2010

'Il capitalismo ha fallito, occorre ripensare il sistema'
Alberto Tundo Intervista Giuseppe De Marzo

La crisi è globale e richiede un approccio globale, che non spezzetti un problema generale in una serie di microproblemi. Eppure una via d'uscita c'è

Inutile soffermarsi su singole questioni: quella demografica è legata a quella ambientale ma anche a quella economica e soclale. Un problema di enorme gravità che ci deve far interrogare sulle responsabilità di questa crisi generale che nei Paesi in via di sviluppo si manifesta nello spopolamento delle campagne e nell'urbanizzazione selvaggia e nel ricco occidente nella precarizzazione spinta. Giuseppe De Marzo, economista e studioso impegnato nello studio di sistemi di sviluppo alternativi ed ecosostenibili che ha illustrtao nel libro Buen Vivir, ha spiegato i nessi delle tante crisi e di come tutte abbiano origine dall'agonia del capitalismo. Ma forse, dice, non è troppo tardi per fare qualcosa e salvare questo pianeta, l'unico che abbiamo.

 

L'India è una potenza demograficamente fuori controllo. L'Africa sta asssistendo allo spopolamento delle campagne e ad una fuga di massa verso le città. Come legge queste notizie apparse di recente su diverse testate europee?
E' positivo che inizi a emergere una certa preoccupazione sulla stampa europea, però per noi non è una novità. Da tempo ci interroghiamo su quale sia il nostro futuro. Però manca qualcosa. Bisognerebbe interrogarsi sulla distribuzione delle ricchezze e sull'impatto dei consumi. Se la Cina per fare uscire il mondo dalla crisi, così come auspica la World Bank, producesse un certo tipo di consumi, avremmo bisogno di tre pianeti in più per sostenerli. Questo modello di sviluppo per funzionare può essere esteso solo a due-trecento milioni di persone, ma non a sette/otto miliardi, è impossibile.

Quindi non si tratta solo di una questione indiana o africana.
No, non è una questione di uno o due continenti. Il problema è più ampio e investe le relazioni malate tra nord e sud del mondo, il fallimento della governance. Se questo non è chiaro, allora vedremo i problemi a pezzettini: quello della demografia, del clima, dell'energia, quella alimentare, delle migrazioni, la crisi finanziaria. Questa per molti osservatori occidentali questa è una crisi congiunturale. Dal nostro punto di vista, è una crisi di sistema. O adottiamo un approccio multidisciplinare e capiamo che dobbiamo guardare più in profondità e capire che è necessario lavorare con nuove categorie o altrimenti non ne usciamo. E' miope pensare di risolvere il problema ambientale senza discutere del sistema di sviluppo, ma ricorrendo a un maquillage di verde, alla cosiddetta green economy. Chi è responsabile dell'aumento della temperatura della terra, dei disastri ecologici, della disoccupazione, della precarizzazione? E' la crisi del capitalismo, che da due decenni mette sul mercato diritti e beni che noi pensavamo di aver conquistato e che appartenessero alla comunità

Come l'acqua?
L'acqua cos'è? Un grande mercato potenziale per il capitale in crisi, che vede una via d'uscita nella privatizzazione delle risorse. Ma questa è solo una delle due strade imboccate dal capitalismo in crisi. L'altra è la creazione di un esercito di manodopera di riserva che faccia pressione sulla classe operaia. Noi stiamo vivendo la più grande spinta di proletarizzazione nella storia dell'umanità. Abbiamo un miliardo di nuovi proletari: chi sono? Sono quei pescatori, quei pastori, quegli indigeni che vivevano in spazi che sono stati privatizzati, che subiscono l'impatto dei megaprogetti o dei cambiamenti ambientali che inaridiscono le terre e li costringono a migrare. Parliamo di quasi un miliardo di migranti ambientali nei prossimi 30 anni e questi sono dati del World Public Forum di Kofi Annan.

E qui veniamo all'allarme per l'urbanizzazione selvaggia verso la quale si avvia l'Africa.
Le megalopoli che vanno nascendo sono l'esempio degli effetti di questo capitalismo feroce. Lagos era una città di circa duecentomila abitanti, negli anni Cinquanta, oggi ne ha quasi sedici milioni. Perché? Perché tutto l'ecosistema del delta del Niger, sfruttato dalle multinazionali del petrolio, ha prodotto un meccanismo di distruzione ambientale e sociale che ha spinto 25 milioni di Igbo e Ogoni non più a utilizzare l'economia locale, il fiume, la terra, a sostenere l'ecosistema con le loro produzioni sostenibili ma le ha buttate nelle grandi città.

Eppure l'Africa avrebbe dovuto essere il continente della speranza.
L'Africa in questo momento è il continente più aggredito da questo modello, per varie ragioni storiche, soprattutto perché lì i movimenti sociali, proprio a causa delle repressioni, ha vissuto una frammentazione dei movimenti di liberazione che non sono di massa come invece accade nell'America Latina. E allora ci dovremmo interrogare sull'importanza dell'Africa per quanto riguarda la sovranità alimentare o la lotta ai cambiamenti climatici. Se noi vogliamo immaginare l'Africa come il continente della speranza, dobbiamo mettere a riparo lo spazio riproduttivo, arginare il sequestro e la conquista della terra proprio a partire da quei movimenti che continuano a difendere la sovranità alimentare e le economie locali, perché così contribuiremo alla lotta per emanciparla ma lavoreremo insieme su uno scenario globale per la lotta ai cambiamenti climatici.

C'è poi il paradosso per cui l'Africa sta perdendo enormi porzioni di territorio, comprato dalle compagnie straniere dell'agrobusiness. 
E' un dramma. La gente forse lo ignora ma l'agrobusiness incide sull'emissione di CO2 nell'atmosfera sta tra il 44 e il 57 per cento. Il principale responsabile dei cambiamenti climatici sono le multinazionali dell'agrobusiness. Allora, la risposta della sovranità alimentare, a partire dal sostegno alle comunità contadine, è una risposta complessa che non risponde solo agli interessi africani, ma anche ai nostri ma produrrebbe anche alcuni milioni di posti di lavoro, tenendo quelle persone nelle campagne, evitando quei fenomeni di urbanizzazione selvaggia. Dovremmo capire che i dati discussi a Copenaghen nella Cop 15 (margine di due gradi prima del disastro, ndr) sono una fesseria: noi che lavoriamo coi movimenti africani sappiamo che i calcoli degli scienziati che già se la temperatura dovesse aumentare di un grado solo, l'Africa andrebbe per aria. L'ecosistema Africa è più delicato e più complesso rispetto al nord del mondo.

I problemi sono chiari ma in concreto cosa si può fare?
Ci sono due nuove costituzioni, in Ecuador e Bolivia che partono proprio dal buen vivir, che rimettono al centro del paradigma civilizzatorio un altro rapporto tra uomo e natura. Il che non è solo auspicabile, visto che abbiamo un pianeta solo e ci conviene conservarlo ma è qualcosa di - mi si perdoni il termine da marketing - di molto desiderabile. Il progetto che noi offriamo, quello di immaginare una democrazia della terra, è desiderabile da parte della maggior parte degli abitanti del pianeta, perché consente di vivere bene. La proposta è quella di immaginare di ricostruire il contratto sociale partendo da due pilastri: giustizia sociale e giustizia ambientale. Dobbiamo ripensare forme più complesse di democrazia, come quella comunitaria, quella partecipata, che rimettono al centro della scena i territori, le persone in carne ed ossa, così da immaginare un futuro migliore, più giusto, più equo, più sostenibile per tutti.

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