Introduzione

Fra le cose nuove che attirarono la mia attenzione durante il mio soggiorno negli Stati Uniti, una soprattutto mi colpi assai profondamente, e cioè l'eguaglianza delle condizioni. Facilmente potei constatare che essa esercita un'influenza straordinaria sul cammino della società, da un certo indirizzo allo spirito pubblico e una certa linea alle leggi, suggerisce nuove massime ai governanti e particolari abitudini ai governati. Compresi subito, inoltre, che questo fatto estende la sua influenza anche fuori della vita politica e delle leggi e domina, oltre il governo, anche la società civile: esso crea opinioni, fa nascere sentimenti e usanze e modifica tutto ciò che non è suo effetto immediato.

Così, a misura che studiavo la società americana, mi accorgevo che l'eguaglianza delle condizioni era il motivo generatore di ogni fatto particolare che in essa riscontravo, per cui tutte le mie osservazioni risalivano e approdavano a quel fenomeno come a un punto centrale.

Allora, ripensando al nostro emisfero, mi parve distinguere qualcosa di analogo allo spettacolo offertomi dal nuovo mondo. Anche qui l'eguaglianza delle condizioni, pur senza spingersi come negli Stati Uniti fino all'estremo limite, vi si avvicina ogni giorno e la democrazia, che ormai regna sovrana nelle società americane, avanza a gran passi verso il potere anche in Europa.

Da quel momento concepii l'idea di questo libro. Una grande rivoluzione democratica si va operando presso di noi; tutti la vedono benché non tutti la giudichino egualmente. Alcuni la considerano come una novità e, ritenendola un fenomeno accidentale, sperano ancora di poterla arrestare; altri invece la credono irresistibile poiché essa sembra loro il fatto più antico, continuo e duraturo della storia.


Il puritanesimo nelle colonie del New England.

Fu negli Stati della Nuova Inghilterra che si combinarono le due o tre idee principali che ora formano la base della teoria sociale degli Stati Uniti...

Come esse vennero alla luce, [queste] colonie sembravano destinate a far prosperare la libertà, non la libertà aristocratica della loro madrepatria, ma una libertà democratica della classe media di cui la storia del mondo non aveva precedentemente fornito un esempio completo. In Inghilterra il nucleo del movimento puritano restò all'interno delle classi medie, e fu da queste classi che discendeva la maggior parte degli emigrati. La popolazione della Nuova Inghilterra si accrebbe velocemente e, mentre nella madrepatria gli uomini erano dispotica- mente divisi da gerarchie di classe, la colonia venne sempre più a costituire il nuovo fenomeno di una società omogenea in tutte le sue parti... Così l'intero destino dell'America è contenuto nel primo puritano che sbarcò su queste spiagge, come quello di tutta la razza umana nel primo uomo.


CAPITOLO QUARTO

Il Principio Della Sovranità Del Popolo
In America

Quando si vuoi parlare delle leggi politiche degli Stati Uniti, bisogna comin-
ciare dal dogma della sovranità del popolo. Questo principio, che si trova
tempre più o meno in quasi tutte le istituzioni umane, resta quasi sempre
nascosto. Si obbedisce ad esso senza riconoscerlo e se qualche volta accade di
trarlo un momento alla luce del sole, ci si affretta tosto a respingerlo nelle
tenebre del santuario.

La volontà nazionale è una delle parole di cui gli intriganti di tutti i tempi e
(despoti di tutte le età hanno più grandemente abusato. Alcuni ne hanno visto
repressione nei suffragi comprati da qualche agente del potere, altri nei voti
di una minoranza interessata e paurosa; e vi sono stati perfino alcuni che
hanno creduto di scoprirla nel silenzio dei popoli, pensando che dal fatto dell'obbedienza nascesse per essi il diritto al comando.

In America il principio della sovranità popolare non è nascosto e non resta
sterile come in altre nazioni, ma è riconosciuto dai costumi e proclamato dalle
leggi; esso si estende liberamente e giunge facilmente alle ultime conseguenze.

Se vi è al mondo un paese in cui si possa apprezzare nel suo giusto valore il
dogma della sovranità popolare, studiarlo nella sua applicazione alla vita
sociale e giudicare dei suoi vantaggi e dei suoi pericoli, questo paese è
certamente l'America.

Ho detto sopra che, fin dalle origini, il principio della sovranità popolare
era stato il principio generatore della maggior parte delle colonie inglesi
d'America. Tuttavia esso era allora molto lontano dal dominare la società in
modo così assoluto come ai nostri giorni.

Due ostacoli, uno esterno e l'altro interno, ritardavano il suo cammino.
Esso non poteva mostrarsi apertamente nelle leggi, poiché le colonie erano
ancora costrette ad obbedire alla metropoli, era dunque costretto a nascon-
dersi nelle assemblee provinciali e soprattutto nel comune, ove si ingrandiva
segretamente.

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La società americana di allora non era ancora preparata per adottarlo con
tutte le sue conseguenze. La cultura nella Nuova Inghilterra, le ricchezze nel
Sud, esercitarono per molto tempo, come abbiamo detto nel capitolo prece-
dente, una specie di influenza aristocratica tendente a restringere in poche
mani l'esercizio del potere. Occorreva ancora molto perché tutti i funzionari
pubblici divenissero elettivi, e tutti i cittadini elettori. Il diritto elettorale era
ristretto entro certi limiti e subordinato al censo. Questo era assai basso nel
Nord, più alto nel Sud.

Scoppiata la rivoluzione, il dogma della sovranità del popolo usa dal
comune e si impadronì del governo, tutte le classi si compromisero per la sua
causa; si combatte e si trionfo in suo nome; esso divenne la legge suprema.
Contemporaneamente un cambiamento altrettanto rapido si effettuò nell'in-
terno della società. La legge sulle successioni terminò di spezzare le influenze
locali.

Nel momento in cui questo enetto delle leggi e della rivoluzione cominciò a
rivelarsi a tutti, la democrazia aveva già vinto e si era di fatto impadronita del
potere. Non era più possibile lottare contro di essa. Le alte classi si sottomise-
ro senza lotte e senza mormoni a ciò che fu considerato un male inevitabile.
Successe a loro quel che succede abitualmente alle potenze che cadono:

l'egoismo individuale si impadronì dei loro mèmbri; poiché non era più
possibile togliere la forza dalle mani del popolo, e poiché questo non era tanto
disprezzato da invogliare ad affrontarlo, si cercò di guadagnarne la benevo-
lenza ad ogni costo. Le leggi più democratiche furono votate da uomini che ne
rimanevano più danneggiati. Così le classi superiori non eccitarono le passio-
ni popolari, ma provocarono esse stesse il trionfo dell'ordine nuovo. E, cosa
singolare, si vide lo slancio democratico esser più irresistibile proprio negli
stati in cui l'aristocrazia aveva più salde radici.

Lo stato del Maryland, pur fondato da grandi signori, proclamò per primo
il voto universale e introdusse nel suo governo le forme più democratiche.1

Quando un popolo comincia ad abbassare il censo in materia elettorale, si
può prevedere che esso giungerà, in un tempo più o meno lungo, a farlo
completamente sparire. È questa una delle regole più invariabili che reggono
le società. A misura che il limite dei diritti elettorali viene allargato, si sente il
bisogno di allargarlo ancora, perché, dopo ogni nuova concessione, le forze
della democrazia aumentano e col potere crescono le esigenze. L'ambizione di
quelli che vengono lasciati fuori si eccita in proporzione del gran numero dei
favoriti, l'eccezione diviene la regola, le concessioni si succedono senza tre-
gua, e non ci si ferma che quando si è giunti al suffragio universale.

Oggi il principio della sovranità popolare ha preso negli Stati Uniti tutti
gli sviluppi pratici immaginabili; spogliato di tutte le funzioni di cui si è avuto

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cura di rivestirlo altrove, esso viene adattato a seconda delle necessità. Ora è il
popolo in massa che fa le leggi come in Atene; ora i deputati, eletti con
suffragio universale, lo rappresentano e agiscono in suo nome sotto la sua immediata sorveglianza.

Vi sono paesi in cui un potere in certo modo estemo al corpo sociale agisce
su di esso e lo costringe a muoversi in una certa dirczione, ve ne sono altri in
cui la forza è divisa, poiché tutto è posto contemporaneamente dentro e fuori
della società. Niente di simile avviene negli Stati Uniti; la società vi agisce da
sola e su sé sola. Non esiste forza fuori di lei e non si trova alcuno che osi
concepire e soprattutto esprimere l'idea di cercarne altrove. Il popolo parteci-
pa alla formazione delle leggi, poiché sceglie i suoi legislatori, all'applicazione
di esse, perché nomina gli agenti del potere esecutivo. Si può dire che esso
governa da solo, tanto è debole e ristretta la parte lasciata all'amministrazio-
ne, e tanto questa risente della sua origine popolare e obbedisce alla potenza
di cui emana. Il popolo regna nel mondo politico americano come Iddio
regna nell'universo. Esso è la causa e il fine di ogni cosa: tutto esce da lui e
uno finisce in lui.



Cosa distingue la costituzione federale degli Stati Uniti
da tutte le altre costituzioni federali

Gli Stati Uniti d'America non sono il primo ed unico esempio di confederazio-
ne. Anche senza parlare dell'antichità, l'Europa moderna ne ha avute parec-
chie. La Svizzera, l'impero germanico, la repubblica dei Paesi Bassi sono
state, o sono ancora, confederazioni.

Quando si studiano le costituzioni di questi diversi paesi, si nota con
sorpresa che i poteri da esse conferiti al governo federale sono press'a poco gli
stessi accordati dalla costituzione americana al governo degli Stati Uniti.
Come quest'ultima, esse danno al potere centrale il diritto di pace e di guerra,
di arruolare uomini e di imporre tributi, di provvedere ai bisogni generali, di
regolare i comuni interessi della nazione.

Tuttavia il governo federale, presso questi popoli è quasi sempre rimasto
debole e impotente, mentre quello dell'Unione conduce gli affari con vigore e
facilità.

Ma vi è di più: la prima Unione americana non ha potuto sussistere a
causa dell'eccessiva debolezza del suo governo, e tuttavia questo governo così
debole aveva diritti altrettanto estesi che il governo federale dei nostri giorni.
Si può anche dire che, per certi riguardi, i suoi privilegi fossero più grandi.

Vi sono dunque nella costituzione attuale degli Stati Uniti alcuni principi
nuovi che non colpiscono a prima vista, ma che fanno sentire profondamente
la loro influenza.

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Questa costituzione, che a prima vista si è tentati di confondere con le
costituzioni federali che l'hanno preceduta, riposa, effettivamente, su una
teoria interamente nuova, che rappresenta una grande scoperta nella scienza
politica del riostro tempo.

In tutte le confederazioni che hanno preceduto la confederazione america-
na del 1789, i popoli che si alleavano per uno scopo comune, accettavano di
obbedire alle ingiunzioni di un governo federale ma serbavano il diritto di
ordinare e sorvegliare nel proprio seno l'esecuzione delle leggi federali.

Gli stati americani che si unirono nel 1789 hanno non solo consentito che il
governo federale dettasse loro le leggi, ma anche che le facesse eseguire per
conto proprio.

Nei due casi il diritto è lo stesso, è diverso solo l'esercizio del diritto; ma
questa differenza produce immensi risultati.

In tutte le confederazioni che hanno preceduto l'Unione americana dei
nostri giorni, il governo federale, per provvedere ai propri bisogni, si rivolgeva
ai governi particolari. Nel caso che la misura prescritta dispiacesse ad uno di
essi, quest'ultimo poteva sempre sottrarsi all'obbedienza. Se era forte, pren-
deva le armi, se era debole, tollerava la resistenza alle leggi dell'Unione
divenute le sue, protestava la sua impotenza e ricorreva alla forza d'inerzia.

È accaduto allora costantemente uno di questi due fatti: o il più potente
dei popoli uniti, assumendo i diritti dell'autorità federale, ha dominato tutti
gli altri in suo nome;35 o il governo federale è restato abbandonato alle sue
forze, e allora l'anarchia ha regnato fra i confederati, e l'Unione è caduta
nell'impotenza.36

In America, i sudditi dell'Unione non sono gli stati, ma i semplici cittadi-
ni. Quando essa vuoi imporre una tassa, non si rivolge, per esempio, al
governo del Massachusetts, ma a ciascun abitante del Massachusetts. I
vecchi governi federali avevano di fronte popoli, quello dell'Unione solo
individui; esso non trae la sua forza altrove ma la prende da se stesso, poiché
ha amministrazione, tribunali, ufficiali di giustizia ed esercito propri.

Senza dubbio lo spirito nazionale, le passioni collettive, i pregiudizi
provinciali di ogni stato tendono ancora singolarmente a diminuire l'estensio-
ne del potere federale così costituito, e a creare centri di resistenza alle sue
volontà; ed è evidente che esso, ristretto nella sua sovranità, non potrebbe
essere altrettanto forte come chi la possiede tutta; ma questo è un male
inerente al sistema federale in sé.

35 E’ quello che avvenne presso i greci sotto Filippo, quando questo principe si incaricò di
eseguire il decreto degli anfizioni. È quello che e avvenuto nella repubblica dei Paesi Bassi, in cui la provincia di Olanda ha sempre fatto legge. Lo stesso avviene ancora ai nostri giorni nella confederazione germanica, in cui l'Austria e la Prussia, come agenti della Dieta, dominano in suo nome tutta la confederazione.

36 È sempre stato così nella confederazione svizzera. La Svizzera non esisterebbe più da
secoli senza le gelosie dei suoi vicini.

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In America, ogni stato ha poche occasioni e tentazioni di resistere e, se gli
venisse in mente, non potrebbe farlo che violando apertamente le leggi
dell'Unione, interrompendo il corso ordinario della giustizia e alzando la
bandiera della rivolta; bisognerebbe insomma che esso prendesse improvvisa-
mente il partito estremo; cosa che gli uomini esitano a fare.

Nelle antiche confederazioni, i diritti riconosciuti all'Unione erano, per
questa, cause di guerre e non di potenza, poiché tali diritti aumentavano le sue
esigenze senza aumentarne i mezzi. Cosi si è vista sempre la reale debolezza
dei governi federali crescere in ragione diretta del loro potere nominale.

Questo non avviene nell'Unione americana, nella quale il governo federa-
le, come tutti i governi ordinari, è in grado di fare tutto quello che ha il diritto
di eseguire.

Lo spirito umano inventa più facilmente le cose che le parole; di qui viene
l'uso di termini impropri e di espressioni incomplete.

Parecchie nazioni formano una lega permanente ed istituiscono un'autori-
tà suprema, la quale senza avere alcuna influenza sui singoli cittadini, come
potrebbe fare un governo nazionale, esercita tuttavia un'azione sui popoli
confederati presi in corpo: questo tipo di governo, tanto diverso da tutti gli
altri, si chiama governo federale.

Si scopre in seguito una forma di società nella quale parecchi popoli si
fondono realmente in uno solo, riguardo a certi comuni interessi, restando
separati e soltanto confederati per certi altri.

Qui il potere centrale agisce senza intermediari sui governati, li ammini-
stra e li giudica egli stesso, come fanno i governi nazionali, ma agendo soltanto
in una cerchia ristretta: questo non è più evidentemente un governo federale,
ma un governo nazionale incompleto. Così si è trovata una forma di governo
che non è precisamente né nazionale, né federale, ma ci si è arrestati lì e la
parola nuova che deve esprimere la cosa nuova non è stata ancora trovata.

Per non aver conosciuto questa nuova specie di confederazione, tutte le
unioni sono giunte alla guerra civile, all’asservimento, o all'inerzia. I popoli
che le componevano hanno tutti mancato dei lumi necessari per trovare un
rimedio ai loro mali o del coraggio di applicarlo.

La prima Unione americana era pure caduta negli stessi difetti.

Ma in America, gli stati confederati, prima di giungere all'indipendenza,
avevano per molto tempo fatto parte dello stesso impero; non si erano quindi
abituati a governarsi completamente da soli, e i pregiudizi particolari non
avevano presso di loro potuto gettare profonde radici; più civili del resto del
mondo, essi erano eguali fra loro per civiltà, e sentivano solo debolmente
quelle passioni che ordinariamente si oppongono presso i popoli all'estensio-
ne del potere federale, le quali inoltre erano combattute dai più grandi
cittadini. Gli americani, nel tempo stesso che sentirono il male, ne scoprirono
con fermezza il rimedio: corressero le loro leggi e salvarono il paese.

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Vantaggi del sistema federale in genere e sua utilità speciale per l'A merica

Presso le piccole nazioni, l'azione dello stato si fa sentire ovunque; lo spirito di
miglioramento discende fino ai minimi particolari: il popolo, essendo a causa
della sua debolezza, poco ambizioso, rivolge quasi tutti i suoi sforzi e le sue
risorse verso il benessere interno invece di dissiparli in vani fumi di gloria.
Inoltre, essendo le facoltà dei singoli necessariamente limitate, egualmente
limitati sono i loro desideri. La mediocrità delle fortune rende le condizioni
quasi eguali e dà ai costumi un carattere semplice e tranquillo. Così, nel
complesso e tenuto conto dei diversi gradi di moralità e di cultura, si trova
ordinariamente nelle piccole nazioni maggiore agiatezza, popolazione e tran-
quillità che nelle grandi.

La tirannide, quando si stabilisce nel seno di una piccola nazione, è più
incomoda che altrove perché, agendo in una cerchia più ristretta, si estende
entro di essa a tutto e, non potendo appigliarsi a qualche grande scopo, si
occupa di una moltitudine di piccole cose, mostrandosi insieme violenta e
litigiosa. Dal mondo politico, che è più propriamente il suo dominio, penetra
nella vita privata: dopo le azioni, aspira a regolare i gusti; dopo lo stato, vuole
governare le famiglie. Ma ciò avviene raramente, poiché la libertà forma, a
dire il vero, la condizione naturale dei piccoli stati. Il governo infatti non offre
una grande esca alle ambizioni, le risorse private sono troppo limitate perché
il potere sovrano possa concentrarsi facilmente nelle mani di uno solo, e,
anche se questo avvenisse, non è difficile ai governati unirsi e rovesciare con
uno sforzo comune il tiranno e la tirannide.

Le piccole nazioni sono dunque sempre state la culla della libertà politica
ed è avvenuto che molte di esse abbiano perduto la libertà ingrandendosi, ciò
che mostra chiaramente quanto questa libertà dipendesse più dalla piccolez-
za del popolo che dal popolo per se stesso.

La storia del mondo non ci dà l'esempio di una grande nazione che sia
restata molto tempo repubblica,37 il che ha fatto dire a qualcuno che la cosa è
impossibile. Per parte mia, penso che sia molto imprudente per l'uomo voler
limitare le possibilità e giudicare l'avvenire, quando gli sfuggono ogni mo-
mento il reale e il presente, e si trova continuamente e improvvisamente
sorpreso nelle cose che meglio conosce. Quello che si può dire con certezza, è
che l'esistenza di una grande repubblica sarà sempre infinitamente più espo-
sta al pericolo di una piccola.

Tutte le ambizioni fatali alle repubbliche ingrandiscono con l'estendersi
del territorio, mentre non si accrescono nella stessa misura le virtù che le
devono combattere.

L'ambizione dei privati aumenta con la potenza dello stato; la forza dei

37 Non parlo qui di una confederazione di piccole repubbliche, ma di una grande repubblica unitaria.

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partiti con l'importanza dello scopo che si prefiggono; mentre l'amore della
patria, che deve lottare contro queste passioni distruttrici, non è più forte in
una grande repubblica che in una piccola. Sarebbe anzi facile provare che
esso vi è meno sviluppato e meno potente. Le grandi ricchezze e le profonde
miserie, le metropoli, la depravazione dei costumi, l'egoismo individuale, la
complicazione degli interessi, sono altrettanti pericoli che si accrescono con la
grandezza dello stato.

Parecchie di queste cose non nuocciono affatto all'esistenza di una monar-
chia, qualcuna anzi può concorrere alla sua durata. D'altra parte, nelle
monarchie, il governo ha una forza che gli è propria, si serve del popolo, ma
non dipende da lui; più il popolo è grande, più il principe è forte, invece il
governo repubblicano non può opporre a questi pericoli che l'appoggio della
maggioranza. Ora questo elemento di fòrza è meno potente, fatte le dovute
proporzioni, in una repubblica vasta che in una piccola. Così, mentre i mezzi
di attacco aumentano senza tregua di numero e di potere, la forza di resistenza
resta eguale. Anzi si può dire che essa diminuisce, poiché più il popolo è
numeroso, più la natura dei suoi interessi e del suo spirito si diversifica, e più,
in conseguenza, è difficile formare una maggioranza compatta.

Si è potuto inoltre notare che le passioni umane aumentano di intensità,
non solo con la grandezza dello scopo da raggiungere, ma anche con la
moltitudine degli individui che insieme le sentono. Non vi è nessuno che non si
sia sentito più commosso in mezzo a una folla agitata che condivideva la sua
passione, che se fosse stato solo a provarla. In una grande repubblica, le
passioni politiche divengono irresistibili, non solo perché l'oggetto da rag-
giungere è grandissimo, ma anche perché milioni di uomini le provano allo
stesso modo e nello stesso momento.

Sarà dunque lecito affermare, in linea generale, che niente è più contrario
al benessere e alla libertà degli uomini che gli imperi troppo grandi. I grandi
stati offrono tuttavia vantaggi particolari che bisogna riconoscere.

Così come il desiderio del potere vi è più ardente che altrove fra gli uomini
volgari, l'amore della gloria vi è anche più sviluppato in alcune anime, che
trovano nel plauso di un gran popolo un fine degno dei loro sforzi, e adatto ad
innalzarle in certo modo al disopra di se stesse. Il pensiero riceve in ogni cosa
un impulso più'rapido e più potente, le idee circolano più liberamente, le
metropoli sono vasti centri intellettuali in cui vengono a risplendere e a
combinarsi tutti i raggi dello spirito umano: questo fatto ci spiega perché le
grandi nazioni facciano fare alla civiltà progressi più rapidi che le piccole.
Bisogna aggiungere ancora che le scoperte importanti esigono spesso uno
sviluppo di forza nazionale di cui il governo di un piccolo popolo è incapace; mentre, presso le grandi nazioni, il governo ha idee più vaste e si libera in
modo più completo dall'andazzo dei precedenti e dagli egoismi locali. Esso è
insomma più geniale nelle concezioni, più ardito nell'azione.

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Il benessere interno, inoltre, è più completo e diffuso nelle piccole nazioni
solo finché esse si mantengono in pace, poiché lo stato di guerra è per loro
assai più dannoso che per le grandi, presso le quali la lontananza delle
frontiere permette talvolta alla massa dei popolo di restare per secoli lontana
dai pericoli, in modo che la guerra è per essa una causa di disagio, ma non di
rovina.

Si presenta infine, in questa materia, come in molte altre, una considera-
zione che domina tutto il resto: quella della necessità.

Se al mondo non ci fossero che piccole nazioni, l'umanità sarebbe sicura-
mente più libera e felice; ma non si può fare in modo che non vi siano grandi
nazioni, le quali introducono nel mondo un nuovo elemento di prosperità
nazionale: quello della forza. Cosa importa che un popolo presenti l'immagi-
ne dell'agiatezza e della libertà, se è continuamente esposto ad essere devasta-
to o conquistato? Che importa che esso sia industrioso e commerciante, se un
altro popolo domina i mari e detta legge in tutti i mercati? Le piccole nazioni
sono spesso povere non perché sono piccole, ma perché sono deboli; le grandi
prosperano non perché sono grandi, ma perché sono forti. La forza è dunque
spesso per le nazioni una delle prime condizioni della prosperità e anche
dell'esistenza. Da ciò deriva che, tranne particolari circostanze, le piccole
nazioni finiscono sempre per essere violentemente riunite alle grandi, quando
non lo fanno esse stesse spontaneamente. E non trovo una situazione più
deplorevole di quella di un popolo che non può difendersi ne bastare a se
stesso.

Allo scopo di riunire i diversi vantaggi risultanti dalla grandezza e dalla
piccolezza delle nazioni è stato creato il sistema federale.

Basta osservare un momento gli Stati Uniti di America per scorgere tutti i
beni che essi traggono dall'adozione di questo sistema.

Presso le grandi nazioni accentrate, il legislatore è obbligato a dare alle
leggi un carattere uniforme che non tiene conto della diversità dei luoghi e dei
costumi; ignaro dei casi particolari, non può procedere che con regole genera-
li; gli uomini sono dal canto loro obbligati a piegarsi alle necessità della
legislazione, poiché la legislazione non può adattarsi ai loro bisogni e costumi;

grande causa questa di torbidi e di miserie.

Questo inconveniente non esiste nelle confederazioni in cui i principali atti
dell'esistenza sociale sono regolati dal Congresso, mentre tutti i particolari
sono lasciati alle legislazioni provinciali.

Non si può immaginare facilmente fino a qual punto questa divisione di
sovranità contribuisca al benessere di ognuno degli stati che compongono
l'Unione. In queste piccole società, non preoccupate dalle cure di difesa o di
ingrandimento, tutto il potere pubblico e tutte le energie individuali sono
rivolte al miglioramento interno. Il governo centrale di ogni stato, essendo
posto vicino ai governati, viene giornalmente avvertito dei bisogni di questi:

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ogni anno vengono presentati nuovi piani che, discussi nelle assemblee comu-
nali o nel corpo legislativo dello stato, riprodotti dalla stampa, provocano
l'interesse universale e lo zelo dei cittadini. Questo bisogno di miglioramento
agita continuamente le repubbliche americane senza turbarle; in esse, l'ambi-
zione politica lascia il posto all'amore del benessere, passione più volgare, ma
meno pericolosa. È opinione generalmente diffusa in America che l'esistenza e
la durata delle forme repubblicane nel nuovo mondo dipendano dall'esistenza
e dalla durata del sistema federale. Si attribuisce una gran parte delle miserie
dei nuovi stati dell'America del Sud al fatto che colà si sono volute creare
grandi repubbliche unitarie invece di frazionarvi la sovranità.

È un fatto incontestabile che negli Stati Uniti il gusto e l'uso del governo
repubblicano sono nati nei comuni e in seno alle assemblee provinciali. In una
piccola nazione, come il Connecticut, per esempio, in cui l'apertura di un
canale o il tracciato di una strada sono grossi affari politici, in cui lo stato non
ha esercito da pagare, né guerre da sostenere, né può dare molta gloria o
ricchezza a coloro che lo dirigono, non si può immaginare nulla di più
naturale, e di meglio appropriato alla natura delle cose, del regime repubbli-
cano. Ora questo spirito repubblicano, questi costumi e queste abitudini da
popolo libero, dopo essere nati ed essersi sviluppati nei diversi stati, si sono
applicati in seguito senza fatica a tutto il paese. Lo spirito pubblico dell'Unio-
ne è in certo modo il riassunto del patriottismo provinciale. Ogni cittadino
degli Stati Uniti porta, per così dire, l'interesse ispirategli dalla sua piccola
repubblica nell'amore della patria comune. Difendendo l'Unione, egli difen-
de la prosperità crescente del suo cantone, il diritto di dirigerne gli affari, e la
speranza di farvi prevalere piani di miglioramento che arricchiscano anche
lui; tutte cose che, ordinariamente, toccano gli uomini più che gli interessi
generali del paese e la gloria della nazione.

D'altra parte, se lo spirito e i costumi degli abitanti li rendono più adatti
che altri a far prosperare una grande repubblica, il sistema federale rende
l'impresa meno difficile. La confederazione di tutti gli stati americani non
presenta gli inconvenienti ordinari delle numerose agglomerazioni di uomini.
L'Unione è una grande repubblica quanto a estensione; ma la si potrebbe
paragonare a una piccola repubblica a causa degli scarsi oggetti di cui il suo
governo si deve occupare. I suoi atti sono importanti ma rari. Siccome la
sovranità dell'Unione è incompleta, l'uso di essa non mette in pericolo la
libertà; ne eccita quei desideri smodati di potere e di fama tanto funesti alle
grandi repubbliche. Siccome tutto non approda ad un centro comune, non si
vedono ne vaste metropoli, ne immense ricchezze, ne grandi miserie, ne
improvvise rivoluzioni. Le passioni politiche, in luogo di estendersi in un
istante, come lingue di fuoco, su tutta la superficie del paese, vanno a rompersi
contro gli interessi e le passioni individuali di ogni stato.

Nel tempo stesso, in tutta l'Unione, come in un solo popolo, circolano

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liberamente cose e idee; niente può arrestare gli slanci dello spirito d'iniziati-
va. Il suo governo attira a sé gli ingegni e la cultura. Nell'interno delle sue
frontiere regna una pace profonda, come nell'interno di un paese sottoposto a
un solo impero; mentre fuori, essa ha il suo posto fra le più potenti nazioni del
mondo; offre al commercio estero più di ottocento leghe di coste e, avendo
nelle sue mani le chiavi di tutto un mondo, fa rispettare la sua bandiera anche
nei mari più lontani.

L'Unione è libera e felice come una piccola nazione, gloriosa e forte come
una grande.

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LIBRO SECONDO

Finora abbiamo esaminato le istituzioni, le leggi scritte e le forme attuali della
società politica negli Stati Uniti.

Ma, al di sopra di queste istituzioni e al di fuori di tutte le forme, risiede un
potere sovrano, quello del popolo, che tutte le distrugge o modifica a suo
piacimento.

Resta ora da conoscere per quali vie proceda questo potere, dominatore
delle leggi, quali ne siano le tendenze e le passioni; quali molle segrete lo
spingano, lo ritardino o lo dirigano nella sua irresistibile marcia; infine quali
enetti produca la sua onnipotenza e quale avvenire.



CAPITOLO PRIMO

Come Si Possa Dire Rigorosamente
Che Negli Stati Uniti
È Il Popolo Che Governa

In America il popolo nomina coloro che fanno le leggi e coloro che le
applicano; forma le giurie che puniscono le infrazioni alla legge. Le istituzioni
non sono democratiche soltanto nel loro principio, ma anche in tutti i loro
sviluppi; infatti il popolo nomina direttamente i suoi rappresentanti e li sceglie
generalmente ogni anno per poterli tenere più completamente alla sua dipen-
denza. Il popolo realmente dirige tutto e, sebbene la forma del governo sia
rappresentativa, è evidente che le opinioni, i pregiudizi, gli interessi e anche le
passioni popolari non trovano ostacoli durevoli che impediscano loro di
manifestarsi nella direzione quotidiana della società.

Negli Stati Uniti, come in tutti i paesi in cui il popolo regna, chi governa in
suo nome è la maggioranza, la quale si compone principalmente di cittadini
tranquilli che, per amore o per interesse, desiderano sinceramente il bene del
paese. Intorno ad essa si agitano continuamente i partiti, che si sforzano di
averla favorevole per farsene un appoggio.



CAPITOLO SECONDO
I Partiti Negli Stati Uniti

Bisogna anzitutto stabilire una grande divisione fra le varie specie di partiti.

Vi sono alcuni paesi tanto vasti nei quali le diverse popolazioni che li
abitano, per quanto riunite sotto una sola sovranità, hanno interessi contrad-
dittori che provocano una continua opposizione. In questo caso le varie
frazioni di un popolo non formano propriamente dei partiti ma vere nazioni
distinte; e, se scoppia una guerra civile, si ha un conflitto fra popoli rivali
piuttosto che una lotta di fazioni.

Ma, quando i cittadini sono discordi su questioni che interessano egual-
mente tutto il paese, come per esempio i principi generali del governo, allora
nascono i partiti nel vero senso della parola.

I partiti sono un male inerente ai governi liberi, ma non hanno in tutti i
tempi lo stesso carattere e gli stessi istinti.

Vi sono epoche in cui le nazioni sono tormentate da mali così grandi che si
pensa ad un cambiamento totale della loro costituzione politica. Ve ne sono
altre in cui il disagio è ancora più profondo, in modo che lo stato sociale stesso
ne è compromesso. È il tempo delle grandi rivoluzioni e dei grandi partiti.

A secoli di disordine ne seguono altri nei quali le società si riposano e
sembra che la razza umana voglia riprender fiato, ma questa è solo apparen-
za, perché il tempo, non sospende il suo cammino, ne per i popoli, ne per gli
uomini; gli uni e gli altri avanzano ogni giorno verso un avvenire ignoto e noi li
crediamo stazionari perché non percepiamo i loro movimenti, come coloro
che camminano adagio sembrano fermi a chi corre.

Vi sono dunque epoche in cui i cambiamenti che si operano nella costitu-
zione politica e nello stato sociale dei popoli sono Canto lenti e insensibili che
gli uomini credono di esser giunti allo stadio finale e lo spirito umano,
credendosi fermamente assise su basi sicure, non spinge il suo sguardo oltre
un certo orizzonte.

È il tempo degli intrighi e dei piccoli partiti. Io chiamo grandi partiti

187

politici quelli che badano più ai principi che alle conseguenze, alle generalità
più che ai casi particolari, alle idee più che agli uomini. Questi partiti hanno
in genere lineamenti nobili, passioni più generose, convinzioni più salde e
procedimenti più franchi e arditi degli altri. L'interesse particolare, che ha
pur sempre la sua parte nelle passioni politiche, è in essi più abitualmente
nascosto sotto il velo dell'interesse pubblico e talvolta riesce anche a celarsi
alla vista di quelli stessi che agiscono sotto la sua spinta. I piccoli partiti, al
contrario, sono in generale senza vera fede politica; non essendo sostenuti da
grandi obiettivi, hanno un carattere egoistico che si manifesta in ogni loro
azione: si entusiasmano a freddo, sono violenti nel linguaggio, timidi e incerti
nell'azione; impiegano mezzi puerili come gli scopi che si propongono. Per
questa ragione, quando un tempo di calma succede a una rivoluzione violen-
ta, sembra che i grandi uomini scompaiano a un tratto e che le anime si
rinchiudano in se stesse.

I grandi partiti rovesciano la società, i piccoli l'agitano; gli uni la ravviva-
no, gli altri la depravano; i primi talvolta la salvano scuotendola fortemente,
mentre i secondi la turbano sempre senza profitto.

L'America ha avuto grandi partiti, oggi non ne ha più: essa ha molto
guadagnato in tranquillità ma non in moralità.

Quando, terminata la guerra d'indipendenza, si dovettero stabilire le basi
del nuovo governo, la nazione si divise naturalmente in due tendenze, antiche
quando il mondo, e che si trovano sempre, sotto diverse forme e nomi diversi,
in tutte le società libere, una favorevole a restringere il potere popolare, l'altra
ad estenderlo indefinitamente.

La lotta fra queste due tendenze non prese mai fra gli americani il
carattere di violenza che spesso ha avuto altrove; tutti si trovavano d'accordo
sui punti più essenziali: nessuno per vincere, doveva distruggere un ordine
antico, né rovesciare l'edificio sociale; nessuno, per conseguenza, minacciava
molte esistenze individuali col trionfo dei suoi principi; soltanto erano in gioco
interessi spirituali di prim'ordine, quali l'amore dell'eguaglianza e dell'indi-
pendenza. E questo bastava a sollevare grandi passioni.

Il partito che voleva limitare il potere popolare tentò soprattutto di
applicare le sue dottrine alla costituzione dell'Unione, il che gli valse il nome
di federale.

Il secondo, che si proclamava amante esclusivo della libertà, prese il nome
di repubblicano.

L'America è la terra della democrazia. I federalisti furono dunque sempre
in minoranza, ma poiché contavano nel loro seno quasi tutti i grandi uomini
sorti con la guerra d'indipendenza, godevano di un vastissimo potere morale;

inoltre furono favoriti dalle circostanze.

La rovina della prima confederazione fece temere al popolo di cadere
nell'anarchia e i federalisti, approfittando di questo timore passeggero, pote-

188

rono dirigere il governo per dieci o dodici anni e applicare, se non tutti, alcuni
dei loro principi; mentre la corrente opposta diventava ogni giorno più forte,
rendendo difficile contrastarla energicamente.

Nel 1801 i repubblicani si impadronirono del potere: Thomas Jefferson fu
eletto presidente ed apportò loro il sostegno di un nome celebre, di un grande
ingegno, di una immensa popolarità,

I federalisti si erano mantenuti al potere con mezzi artificiali e con l'aiuto
di risorse momentanee; vi erano stati spinti dalla virtù e dall'ingegno dei loro
capi e dal favore del momento. Quando i repubblicani giunsero al governo, il
partito contrario fu come sommerso da una improvvisa inondazione. Una
immensa maggioranza si dichiarò contro di esso, che si ridusse a una così
piccola minoranza da far dubitare della sua esistenza. Invece il partito
repubblicano, o democratico, ha proceduto di conquista in conquista fino ad
impadronirsi dell'intera società.

I federalisti, sentendosi vinti e vedendosi isolati senza risorse in mezzo alla
nazione, si divisero: alcuni si unirono ai vincitori, altri, deposta la vecchia
bandiera, cambiarono nome ed ormai da moltissimi anni hanno cessato di
esistere come partito. Il passaggio dei federalisti al potere è però, a mio parere,
uno degli avvenimenti più felici che abbiano accompagnato il formarsi della
grande Unione americana; essi lottavano, è vero, contro la spinta irresistibile
del loro secolo e del loro stesso paese; le loro teorie, quale che ne fosse stata la
bontà o il difetto, avevano il torto di essere inapplicabili nel loro insieme alla
società che si proponevano di governare, e quello che è successo sotto Jeffer-
son sarebbe avvenuto in ogni caso presto o tardi. Tuttavia il loro governo
lasciò almeno alla nuova repubblica il tempo di rinsaldarsi e le permise inoltre
di sopportare senza gravi inconvenienti lo sviluppo rapido delle dottrine che
essi avevano combattuto; molti loro principi finirono per introdursi nel pro-
gramma stesso degli avversari; infine, la costituzione federale, che esiste
tuttora, è un monumento della loro saggezza e del loro patriottismo.

Ai nostri giorni, dunque, non vi sono negli Stati Uniti grandi partiti
politici. Ve ne è qualcuno pericoloso per l'avvenire dell'Unione, ma non ve ne
è alcuno che attacchi la forma attuale del governo e l'assetto generale della
società. I partiti che minacciano l'Unione non si basano su principi ma su
interessi materiali che creano, nelle varie province di un paese così vasto,
nazioni rivali piuttosto che parliti. Così si è visto recentemente il Nord
sostenere il protezionismo e il Sud lottare in favore del libero scambio, per la
sola ragione che, essendo il Nord industriale e il Sud agricolo, il sistema
restrittivo riusciva a profitto dell'uno e a detrimento dell'altro.

In mancanza di grandi partiti, negli Stati Uniti formicolano i piccoli e
l'opinione pubblica si fraziona all'infinito su questioni particolari. Non si può
immaginare quanti sforzi si facciano per creare dei partiti, ciò però non è cosa
facile al nostro tempo. Negli Stati Uniti non vi è odio religioso, perché la

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religione è universalmente rispettata e nessuna setta può considerarsi domi-
nante; non odio di classe, perché il popolo è tutto e nessuno osa ancora lottare
contro di esso; non miserie pubbliche da sfruttare politicamente, perché lo
stato materiale del paese offre grandi possibilità economiche e basta lasciar
l'uomo libero di sé perché compia prodigi; non vi è perciò che l'ambizione a
poter creare dei partiti, ma è molto difficile rovesciare chi tiene il potere per la
sola ragione che si vuoi prendere il suo posto. Occorre quindi tutta l'abilità
degli uomini politici per dar vita ad un partito: un uomo politico, negli Stati
Uniti, cerca prima di tutto di impersonare il suo interesse e di vedere se vi sono
degli interessi analoghi da raggruppare intorno al suo; in seguito cerca di
scoprire se per caso esiste qualche dottrina o qualche principio da poter
mettere convenientemente in testa alla nuova associazione, per darle il diritto
di mostrarsi e di circolare liberamente: qualcosa di simile al privilegio del rè
che i nostri padri stampavano nel primo foglio delle loro opere e che incorpo-
ravano nel libro benché non ne facesse parte. Ciò fatto, si introduce la nuova
associazione nel mondo politico.

Per uno straniero quasi tutte le questioni interne degli americani sembra-
no, a prima vista, incomprensibili o puerili: egli non sa comprendere un
popolo che prende sul serio simili miserie, né invidiargli la felicità di potersene
occupare.

Ma, quando si studiano seriamente le nascoste tendenze che in America
governano le fazioni, si scopre facilmente che la maggior parte di esse si
riallaccia, più o meno, a uno o all'altro dei due grandi partiti che dividono gli
uomini da quando vi sono società libere.

Via via che si penetra profondamente nel pensiero intimo di questi partiti,
ci si accorge che alcuni tendono a restringere l'uso del pubblico potere, altri ad
estenderlo.

Con ciò non voglio dire che i partiti americani abbiano sempre lo scopo,
palese o nascosto, di far prevalere l'aristocrazia o la democrazia nel paese;

dico soltanto che le passioni aristocratiche o democratiche si trovano facil-
mente in fondo a tutti i partiti e che, sebbene nascoste, ne formano il punto
sensibile e l'anima,

Citerò un esempio recente: il presidente attacca la banca degli Stati Uniti;

il paese si agita dividendosi; le classi elevate si schierano generalmente per la
banca, il popolo in favore del presidente. Credete forse che il popolo abbia
saputo discernere le ragioni della sua opinione in una questione intricata che
fa esitare gli uomini più esperti?

Niente di tutto questo. La banca è un grande istituto indipendente; il
popolo, che distrugge e innalza tutti i poteri, non può nulla su di essa e questo
fatto lo irrita; in mezzo al movimento universale della società questo punto
immobile attira la sua attenzione ed esso cerca, se gli riesce, di metterlo
sottosopra come tutto il resto.

190

Avanzi del partito aristocratico negli Stati Uniti

Avviene talvolta presso i popoli divisi da opinioni diverse che, venendosi a
rompere l'equilibrio dei partiti, uno di questi acquisti una preponderanza
irresistibile. Esso allora spezza ogni ostacolo, opprime l'avversario e sfrutta a
suo profitto l'intera società, mentre i vinti, disperando del successo, si nascon-
dono u tacciono. Si fa una immobilità e un silenzio generale e la nazione
sembra riunita in un solo pensiero. Il partito vincitore si alza e dice: "Ho reso
la pace al paese, mi si deve dunque render grazie".

Ma, sotto questa apparente unanimità, si nascondono ancora divisio-
ni profonde e reali opposizioni. Questo è avvenuto in America: il partito de-
mocratico, dopo la vittoria, si è impadronito della dirczione esclusiva degli
affari e ha continuato poi a modellare costumi e leggi sempre secondo i suoi
desideri.

Ai nostri giorni si può dire che negli Stati Uniti le classi ricche della società
siano quasi interamente fuori degli affari politici e che la ricchezza, lungi dal
rappresentare un diritto, sia una reale causa di sfavore ed un ostacolo per
giungere al potere.

I ricchi preferiscono dunque abbandonare il campo piuttosto che sostene-
re una lotta diseguale contro i poveri e, non potendo prendere nella vita
politica un posto analogo a quello che hanno nella vita privata, abbandonano
la prima per concentrarsi tutti nella seconda: formano nello stato una società
particolare con gusti e godimenti a parte.

Il ricco si sottomette a questo stato di cose come ad un male irrimediabile,
evita anche con cura di mostrare che ciò gli dispiace, anzi vanta pubblicamen-
te la mitezza del governo repubblicano e i vantaggi delle istituzioni democra-
tiche. Infatti, dopo il fatto di odiare i propri nemici, che cosa vi è di più
naturale che adularli?

Vedete questo opulento cittadino? Non lo si direbbe un ebreo del medioe-
vo timoroso di lasciar sospettare le sue ricchezze? Il suo vestire è semplice, la
sua andatura modesta, ma nell'interno della sua casa egli adora il lusso e vi fa
penetrare solo qualche ospite scelto che chiama con arroganza suo eguale.
Non si trova in Europa un nobile che si mostri più esclusivo nei piaceri e più
invidioso dei piccoli vantaggi assicurati da una posizione privilegiata. Ma
eccolo che esce di casa per andare a lavorare in un ufficio polveroso nel centro
degli affari, in cui ognuno è libero di andare a cercarlo. Per strada egli
incontra il suo calzolaio, si ferma e si mette a discorrere con lui. Che cosa si
diranno? Questi due cittadini parlano degli affari dello stato e si lasciano dopo
essersi stretta la mano.

In fondo a questo entusiasmo convenzionale, a queste forme ossequiose
del potere dominante, è facile scorgere fra i ricchi un gran disgusto per le
istituzioni democratiche del loro paese. Il popolo è un potere che essi temono e

191

disprezzano. Se il cattivo governo della democrazia portasse un giorno ad una
crisi politica, se la monarchia si presentasse una volta come possibile negli
Stati Uniti, si scoprirebbe presto la verità di quel che dico.

Le due grandi armi impiegate dai partiti per riuscire sono i giornali e le associazioni.

192



CAPITOLO TERZO

La Libertà Di Stampa Negli Stati Uniti

La libertà di stampa esplica il suo potere non solo sulla politica ma anche
sull'opinione pubblica: non influisce solo sulle leggi ma anche sui costumi. In
altra parte di quest'opera cercherò di precisare il grado di influenza esercitato
dalla libertà di stampa sulla società civile negli Stati Uniti e mi sforzerò di discernere l'indirizzo che essa ha dato alle idee, nonché le abitudini che ha fatto prendere allo spirito e ai sentimenti degli americani. Qui invece mi

limito all'esame degli effetti prodotti dalla libertà di stampa nel mondo
politico.

Confesso di non sentire per la libertà di stampa quell'amore completo e
istantaneo che si prova per le cose sovranamente buone per natura. Io l'amo

assai più in considerazione dei mali che essa impedisce che dei beni che
produce.

Se qualcuno mi mostrasse, fra l'indipendenza completa e l'intero asservi-mento del pensiero, una via intermedia in cui mi fosse possibile restare, forse mi ci fermerei, ma chi mai potrà scoprire questa posizione intermedia? Voi partite dalla licenza della stampa e volete giungere all'ordine: che cosa fate?
Sottoponete prima gli scrittori ai giurati ma, se i giurati assolvono, quella che
prima era soltanto l'opinione di un uomo isolato diviene l'opinione del paese.
Avete dunque fatto troppo e insieme troppo poco; bisogna ancora andare
avanti. Sottoponete allora gli autori a magistrati permanenti, ma questi
giudici sono pure obbligati ad ascoltarli prima di condannare: allora quello
che si temeva di confessare nel libro viene proclamato impunemente in
tribunale, ciò che si era detto oscuramente in uno scritto viene così ripetuto in
mille altri. L'espressione è, se così può dirsi, la forma esteriore del pensiero,
ma non il pensiero stesso: i tribunali arrestano il corpo ma l'anima sfugge loro
e scivola sottilmente fra le loro mani. Avete dunque ancora fatto troppo e
troppo poco; bisogna andare ancora più avanti. Abbandonate allora gli
scrittori ai censori;  benissimo! Ci avviciniamo. Ma la tribuna politica non è

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forse libera? Voi non avete dunque fatto ancora nulla, anzi, se non mi sbaglio,
avete accresciuto il male. Scambiate forse il pensiero per una di quelle potenze
materiali che si accrescono col numero dei loro agenti? Valuterete dunque gli
scrittori come i soldati di un esercito? Contrariamente a tutte le potenze
materiali, il potere del pensiero aumenta spesso col piccolo numero di quelli
che l'esprimono. La parola di un uomo potente che penetra sola in mezzo a
una assemblea silenziosa è più efficace delle grida confuse di mille oratori e,
per poco che si possa parlare liberamente in un solo luogo pubblico, è come se
si parlasse pubblicamente in ogni villaggio. Bisogna dunque distruggere la
libertà di parlare come quella di scrivere; questa volta ci siamo: ognuno tace.

Ma dove siete giunti? Siete partiti dall'abuso della libertà e siete giunti
sotto il piede di un despota. Siete passati da un estremo all'altro senza trovare,
in un cammino così lungo, un solo luogo in cui vi fosse possibile fermarvi.

Vi sono dei popoli i quali, oltre alle ragioni generali sopra enunciate, ne
hanno di particolari per affezionarsi alla libertà di stampa.

Presso alcune nazioni, che si pretendono libere, qualsiasi agente del potere
può violare impunemente la legge senza che la costituzione del paese dia agli
oppressi il diritto di appellarsi alla giustizia. Presso questi popoli la libertà di-
stampa deve essere considerata come una garanzia, anzi come la sola garan-
zia che resti alla libertà e alla sicurezza dei cittadini.

Se dunque gli uomini che governano queste nazioni volessero togliere la
libertà di stampa, il popolo intero potrebbe risponder loro: lasciateci perse-
guire i vostri delitti davanti ai giudici ordinari e allora forse noi consentiremo
a non chiamarvi più davanti al tribunale dell'opinione pubblica.

In un paese in cui regni apertamente il dogma della sovranità del popolo la
censura è non solo un pericolo ma anche una grande assurdità.

Quando si concede a ognuno il diritto di governare la società, bisogna
anche riconoscergli la facoltà di scegliere fra le diverse opinioni che agitano i
suoi contemporanei e di apprezzare i differenti fatti la cui conoscenza può
servire da guida.

Sovranità del popolo e libertà di stampa sono dunque due cose interamen-
te correlate; la censura e il voto universale sono dunque due cose che si
contraddicono e non possono incontrarsi a lungo nelle istituzioni politiche di
uno stesso popolo. Fra dodici milioni di uomini che vivono sul territorio degli
Stati Uniti, non se ne trova uno solo che abbia ancora osato proporre di
restringere la libertà di stampa.

Il primo giornale che cadde sotto i miei occhi, quando arrivai in America,
conteneva il seguente articolo, che traduco fedelmente:

"In tutto questo affare il linguaggio tenuto da Jackson [il presidente] è
stato quello di un despota senza cuore, occupato unicamente a conservare il
suo potere. L'ambizione è il suo delitto e vi troverà la sua pena. Egli ha per

194

vocazione l'intrigo e l'intrigo confonderà i suoi disegni e gli strapperà il
potere. Egli governa con la corruzione e le sue manovre colpevoli torneranno a
sua confusione ed onta. Egli si è mostrato nell'arena politica un giocatore
spudorato e sfrenato. È riuscito, ma l'ora della giustizia si avvicina; presto egli
dovrà rendere quello che ha guadagnato, gettar lontano da sé il suo dado
ingannatore e finire in qualche rifugio in cui possa liberamente bestemmiare
contro la sua follia; perché il pentimento non è una virtù che sia mai stata
conosciuta dal suo cuore". ("Vincenne's Gazette")

Moltissimi in Francia credono che la violenza della stampa dipenda
dall'instabilità del nostro stato sociale, dalle nostre passioni politiche e dal
disagio generale che ne è una conseguenza. Essi aspettano sempre un'epoca in
cui, avendo la società ripreso un assetto tranquillo, la stampa a sua volta
diverrà calma. Per parte mia, attribuirei volentieri alle cause sopra indicate
l'estremo ascendente che essa ha sopra di noi, ma non credo che queste cause
influiscano gran che sul suo linguaggio. Mi pare che la stampa periodica
abbia istinti e passioni suoi particolari, indipendentemente dalle circostanze
in mezzo a cui agisce. Quello che avviene in America me lo prova completa-
mente.

L'America è forse, in questo momento, il paese del mondo che ha nel suo
seno minori germi di rivoluzione. In America, tuttavia, la stampa ha gli stessi
gusti distruttori che in Francia e la stessa violenza, senza avere le stesse cause
di collera. In America, come in Francia, essa è quella straordinaria potenza,
così stranamente mescolata di bene e di male, senza la quale la libertà non
potrebbe vivere e con la quale l'ordine si mantiene a malapena.

Quello che bisogna dire è che in America la stampa ha assai meno potere
che da noi. Niente di più raro tuttavia, in quel paese, che vedere un processo
diretto contro di essa. La ragione di questo è semplice: gli americani, ammet-
tendo fra loro il dogma della sovranità del popolo, ne hanno fatto un'applica-
zione sincera. Essi non hanno preteso fondare, con elementi che cambiano
ogni giorno, costituzioni eterne. Attaccare le leggi esistenti non è dunque un
delitto, purché non ci si voglia sottrarre alla legge con la violenza.

Essi credono d'altronde che i tribunali siano impotenti a moderare la
slampa e che, dato che la leggerezza del linguaggio umano sfugge sempre
all'analisi giudiziaria, i reati di questa natura sfuggano sempre in qualche
modo alla mano che si allunga per afferrarli. Pensano che per potere efficace-
mente agire sulla stampa occorrerebbe trovare un tribunale che, non solo
fosse devoto all'ordine cosituito, ma anche potesse mettersi al disopra dell'o-
pinione pubblica che si agita intorno a esso, un tribunale che giudicasse senza
pubblicità, che pronunciasse le sue sentenze senza motivarle, e punisse l'in-
tenzione più ancora che le parole. Chiunque riuscisse a creare e a mantenere
un simile tribunale perderebbe il suo tempo a perseguire la libertà di stampa,

195

poiché egli sarebbe senz'altro padrone assoluto della società stessa e potrebbe
sbarazzarsi degli scrittori insieme ai loro scritti. In materia di stampa non vi è
dunque via di mezzo fra la servitù e la licenza. Per raccogliere i beni inestima-
bili prodotti dalla libertà di stampa, bisogna sapersi sottomettere ai mali
inevitabili che essa fa nascere. Volere ottenere gli uni sfuggendo agli altri
equivale ad abbandonarsi a una di quelle illusioni in cui si cullano ordinaria-
mente le nazioni malate, quando, stanche di lotte ed esaurite dagli sforzi,
cercano il mezzo di far coesistere, sullo stesso terreno, opinioni e principi
contrari.

La scarsa potenza dei giornali in America dipende da parecchie cause, di
cui ecco le principali.

La libertà di scrivere, come tutte le altre, è tanto più temibile quanto più è
nuova: un popolo che non abbia mai trattato gli affari dello stato crede al
primo tribuno che gli si presenti. Presso gli angloamericani questa libertà è
antica quanto la fondazione delle colonie; inoltre la stampa, che sa così bene
infiammare le passioni umane, non può tuttavia crearle da sola. Ora in
America la vita politica è attiva, variata, agitata, ma raramente è turbata da
passioni profonde ed è raro che queste si sollevino quando gli interessi non
sono compromessi, e negli Stati Uniti gli interessi prosperano. Per giudicare
della differenza esistente su questo punto fra gli angloamericani e noi, basta
osservare un momento i giornali dei due paesi. In Francia gli annunci
commerciali occupano uno spazio ristrettissimo ed anche le notizie sono poco
numerose; la parte vitale di un giornale è quella in cui si trovano le discussioni
politiche. In America i tré quarti dell'immenso giornale che vi cade sotto gli
occhi sono pieni di annunci, il resto è occupato il più spesso da notizie
politiche o da semplici aneddoti, solo di tanto in tanto si scorge in un angolo
nascosto qualcuna di quelle ardenti discussioni che da noi costituiscono il
pasto giornaliero dei lettori.

Ogni potenza aumenta l'azione delle sue forze via via che ne accentra la
dirczione: è questa una legge generale della natura che si impone all'osserva-
tore e che un istinto più sicuro ancora ha fatto conoscere anche ai despoti più
mcdiocri.

In Francia per la stampa si hanno due specie distinte di centralizzazione:

quasi tutto il suo potere è concentrato in un solo luogo e, per così dire, nelle
stesse mani, poiché i suoi organi sono in piccolo numero. Così costituita in
mezzo a una nazione scettica, la stampa ha un potere quasi illimitato. Essa è
un nemico col quale un governo può fare tregue più o meno lunghe, ma di
fronte al quale può resistere assai difficilmente.

Né l'una né l'altra di queste due specie di centralizzazione esistono in
America.

Gli Stati Uniti non hanno una grande capitale: la civiltà e la potenza sono
disseminate in tutte le parti di questa immensa contrada; i raggi dell'intelli-

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genza umana, invece di partire da un unico centro, si incrociano in tutti i
sensi; gli americani non hanno accentrato in alcun posto la dirczione generale
dei pensiero o quella degli affari.

Ciò dipende da circostanze locali indipendenti dagli uomini, ma che
hanno per conseguenza che negli Stati Uniti non vi sono licenze per gli
stampatori, ne timbri, ne registrazioni per i giornali e vi è sconosciuta la legge
della cauzione.

Ne risulta che la creazione di un giornale è una impresa semplice e facile;

pochi abbonati bastano perché il giornalista copra le sue spese: così il numero
degli scritti periodici o semiperiodici negli Stati Uniti sorpassa ogni immagi-
nazione. Gli americani più colti attribuiscono a questa incredibile dissemina-
zione di forze la scarsa potenza della stampa; è un assioma di scienza politica
negli Stati Uniti che il solo mezzo di neutralizzare gli effetti dei giornali sta nel
moltipllcarne il numero. Non riesco a capire come una verità così evidente
non sia divenuta comune presso di noi. Che coloro che vogliono fare delle
rivoluzioni con l'aiuto della stampa cerchino di darle solo pochi organi potenti
è cosa facilmente comprensibile, ma che i partigiani ufficiali dell'ordine
costituito e i sostenitori naturali delle leggi esistenti credano di attenuare
l'azione della stampa concentrandola, ecco ciò che non riesco a concepire.
Sembra che i governanti europei agiscano di fronte alla stampa alla stessa
maniera degli antichi cavalieri con i loro avversari: essi si sono accorti, per
esperienza propria, che la centralizzazione è un'arma potente e ne vogliono
provvedere il loro nemico, senza dubbio allo scopo di aver più gloria a
vincerlo.

Negli Stati Uniti non vi è quasi una borgata che non abbia il suo giornale.
Si comprenderà facilmente che, con tanti combattenti, non si può stabilire né
disciplina né unità di azione: così si vede ognuno alzare la sua bandiera. Non
che tutti i giornali politici degli Stati Uniti si siano schierati pro o contro
l'amministrazione, ma essi l'attaccano o la difendono in cento modi diversi. I
giornali non possono dunque creare in America quelle grandi correnti di
opinione capaci di costruire o di rompere le più potenti dighe. Questa divisio-
ne di forze della stampa produce inoltre altri effetti non meno rimarchevoli:

poiché la creazione di un giornale è una cosa facile, tutti possono occuparsene
e, d'altra parte, poiché la concorrenza impedisce che un giornale possa
sperare grandi profitti, le alte capacità industriali non si mescolano a questo
genere di imprese. Ma, anche se i giornali fossero fonti di ricchezze, dato che
sono eccessivamente numerosi gli scrittori di talento non basterebbero a
dirigerli.

I giornalisti hanno dunque, in genere, negli Stati Uniti una posizione poco
elevata, una rudimentale educazione e un indirizzo di idee spesso volgare. La
maggioranza fa legge; essa stabilisce certi modi di vita cui tutti in seguito si
conformano e l'insieme di queste abitudini si chiama spirito: vi è lo spirito di

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tribunale, lo spirito di corte. Lo spirito del giornalista, in Francia, consiste nel
discutere in modo violento, ma elevato e spesso eloquente, i grandi interessi
dello stato e, se questo non avviene sempre, è perché ogni regola ha le sue
eccezioni. Lo spirito del giornalista, in America, consiste nello slimolare
grossolanamente, senza preparazione né arte, le passioni di coloro cui si
indirizza il giornale, nel lasciare i principi per impadronirsi degli uomini,
seguirli nella vita privata e metterne a nudo le debolezze e i vizi.

Un simile abuso del pensiero è senza dubbio deplorevole; più avanti avrò
occasione di studiare l'influenza esercitata dai giornali sui gusti e sulla
moralità del popolo americano; qui, ripeto, non mi occupo che del mondo
politico. Non ci si deve nascondere che gli effetti politici di questa licenza della
stampa non contribuiscono al mantenimento della tranquillità pubblica. Ne
risulta che gli uomini che hanno già raggiunto posizioni elevate nell'opinione
dei loro concittadini non osano scrivere sui giornali e perdono così l'arma più
formidabile di cui si possono servire per volgere a loro profitto le passioni
popolari.1 Ne risulta soprattutto che le opinioni personali espresse dai giorna-
listi non hanno, per così dire, alcun peso agli occhi dei lettori. Quello che essi
cercano in un giornale è la conoscenza dei fatti; e non è alterando o snaturan-
do questi fatti che il giornalista può ottenere qualche influenza.

Anche ridotta a queste sole risorse, la stampa esercita ancora un grande
potere in America. Essa fa circolare la vita politica in tutte le zone di quel
vasto territorio; con occhio sempre vigile, mette a nudo i segreti moventi della
politica e costringe gli uomini pubblici a comparire volta a volta davanti al
tribunale dell'opinione pubblica. Essa riunisce gli interessi intorno ad alcune
dottrine e formula i simboli dei partiti; per suo mezzo i partiti si parlano senza
vedersi, si intendono senza mettersi in diretto contatto. Quando un gran
numero di organi di stampa giunge a camminare in un'unica dirczione, la loro
influenza diviene, alla lunga, irresistibile e l'opinione pubblica, colpita sem-
pre dalla stessa parte, finisce per cedere sotto i loro colpi.

Negli Stati Uniti ogni giornale ha individualmente scarso potere, ma la
stampa periodica è ancora, dopo il popolo, la prima delle potenze.

Le opinioni che si stabiliscono in America sotto l'impero delta libertà di stampa sono spesso più tenaci di quelle che si/ormano altrove sotto il regime della censura

Negli Stati Uniti la democrazia porta continuamente uomini nuovi alla
dirczione degli affari; vi è pertanto poco ordine e poca continuità nell'azione

' Essi scrivono sui giornali solo in casi rari, quando vogliono rivolgersi al popolo e parlare in proprio nome: quando, per esempio, sono state sparse sul loro conto imputazioni calunniose, ed essi vogliono ristabilire la verità dei fatti.

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governativa. Ma i principi generali del governo vi sono più stabili che in molti
altri paesi e le opinioni principali regolanti la società si mostrano più durevoli.
Quando un'idea ha preso possesso dello spirito del popolo americano, sia o no
giusta e ragionevole, è molto difficile estirparla.

Lo stesso fatto è stato osservato in Inghilterra, il paese d'Europa che ha
avuto durante un secolo la più grande libertà d'opinione e insieme i più
invincibili pregiudizi.

Io attribuisco questo effetto proprio alla causa che, a prima vista, dovreb-
be impedirgli di prodursi: alla libertà di stampa. I popoli presso i quali esiste
questa libertà si affezionano alle loro opinioni per orgoglio oltre che per
convinzione. Essi le amano, perché sembrano loro giuste e anche perché sono
scelte liberamente da loro, e ci tengono, non solo come a una cosa vera, ma
anche come a una cosa che è loro propria.

Vi sono poi molte altre ragioni.

Un grand'uomo ha detto che l'ignoranza è alle due estremità della scienza. Forse
sarebbe stato più esatto dire che le convinzioni profonde si trovano solo agli
estremi e che nel mezzo è il dubbio. Si può considerare, effettivamente,
l'intelligenza umana in tré stati distinti e spesso successivi.

L'uomo crede fermamente, perché accetta le opinioni senza approfondir-
le. Dubita quando gli si presentano le obiezioni. Spesso riesce a risolvere tutti i
suoi dubbi e allora ricomincia a credere. Questa volta egli non si impadroni-
sce della verità per caso o in mezzo alle tenebre, ma la vede faccia a faccia e
marcia direttamente verso la sua luce.2 Quando la libertà di stampa trova gli
uomini nel primo stato, essa lascia loro per molto tempo ancora questa
abitudine di credere senza riflettere; soltanto cambia giornalmente l'oggetto
delle loro irriflessive credenze. In tutto l'orizzonte intellettuale lo spirito
umano continua a vedere un punto per volta, ma questo punto varia conti-
nuamente. È il tempo delle rivoluzioni improvvise. Sfortunate le generazioni
che ammettono tutto a un tratto la libertà di stampa!

Tuttavia il circolo delle idee nuove è percorso rapidamente. Si forma
l'esperienza e l'uomo cade nel dubbio e nella diffidenza.

Si può assicurare che la maggior parte degli uomini si fermerà sempre in
uno di questi due stati: essi o crederanno senza sapere perché o non sapranno
precisamente che cosa bisogna credere.

Quanto a quell'altro tipo di convinzione riflessa e padrona di sé che sorge
dalla scienza e si eleva in mezzo alle agitazioni del dubbio, esso potrà esser
raggiunto solo da un piccolo numero di uomini.

Ora, si è notato che nei secoli di fervore religioso gli uomini cambiano
talvolta di fede, mentre nei secoli di dubbio ognuno conserva ostinatamente la
sua. Così succede in politica sotto il regno della libertà di stampa. Poiché tutte

2 Ancora non saprei se questa convinzione riflessa e padrona di se può mai alzare l'uomo al grado di ardore e di devozione che gli ispirano le credenze dogmatiche.

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le teorie sociali sono state a volta a volta contestate e combattute, coloro che si
sono fissati sopra uria di esse la difendono, non tanto perché sicuri della sua
bontà, quanto perché non sono sicuri che ve ne sia una migliore.

In questi secoli non si mette facilmente a repentaglio la vita per le proprie
opinioni, ma neppure si cambiano; si trovano meno martiri, ma anche meno
apostati.

Aggiungete a questa ragione quest'altra ancora più forte: nell'incertezza
delle opinioni gli uomini finiscono per attaccarsi unicamente agli istinti e agli
interessi materiali, che sono per loro natura per noi più visibili, più afferrabili
e più duraturi delle opinioni.

È’ una questione molto difficile da risolvere quella di sapere se governi
meglio la democrazia o l'aristocrazia, ma è chiaro che la democrazia incomo-
da alcuni e l'aristocrazia opprime altri. È’ questa una verità che si rivela da sola
senza bisogno di discussione, come dire: voi siete ricco e io povero.

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CAPITOLO QUARTO

L'Associazione Politica negli Stati Uniti

L'America è il paese nel quale l'associazione è stata più utilizzata e nel quale questo possente mezzo di azione è stato applicato a una più grande varietà di oggetti.

Indipendentemente dalle associazioni permanenti create dalla legge sotto il nome di comuni, città e contee, ve ne è un'infinità di altre che nascono e si sviluppano solo grazie alle volontà individuali.

L'abitante degli Stati Uniti impara fin dall'infanzia che deve lottare con le sue sole forze contro i mali e gli ostacoli della vita; egli getta sull'autorità sociale uno sguardo diffidente e inquieto e si appella al suo potere solo quando non ne può fare a meno. Tutto questo si nota fin dalla scuola, in cui i bambini si sottomettono, anche nei giochi, a regole prestabilite e puniscono fra loro le colpe da loro stessi giudicate. Lo stesso spirito si trova in tutti gli atti della vita sociale. Sopravviene, per esempio, un ingombro nella pubblica strada, il passaggio è interrotto, la circolazione arrestata: subito i vicini si costituiscono in corpo deliberativo e da questa improvvisata assemblea uscirà un potere esecutivo che rimedierà al male, prima ancora che l'idea di un'autorità preesistente agli interessati si sia presentata all'immaginazione di alcuno. Se si tratta di divertimenti, ci si assoderà ugualmente per dare alla festa più splendore e regolarità. Ci si unisce, infine, per resistere a nemici di natura tutta intellettuale: si combatte in comune per esempio, l'intemperanza. Negli Stati Uniti ci si associa con scopi di sicurezza pubblica, di commercio e di industria, di morale e di religione. Nulla vi è che la volontà umana disperi di raggiungere con l'azione libera del potere collettivo degli individui.

Avrò occasione, più avanti, di parlare degli effetti prodotti dall'associazione nella vita civile. Mi devo limitare qui al mondo politico.

Riconosciuto il diritto di associazione, i cittadini possono usarne in diversi modi.

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Una associazione consiste solamente nell'adesione pubblica data da un certo numero di individui a certe determinate dottrine e nell'impegno da essi contratto di concorrere in un certo modo a farle prevalere. Il diritto di associarsi così si confonde con la libertà di scrivere, tuttavia una associazione possiede già più potenza della stampa.

Quando un'opinione è rappresentata da una associazione, deve per forza prendere una forma più netta e precisa; essa conta i suoi partigiani e li impegna nella sua causa. Costoro imparano a conoscersi reciprocamente e accrescono il loro entusiasmo col loro numero. L'associazione riunisce in un fascio gli sforzi di spiri ti divergenti e li spinge con vigore verso un solo scopo da essa chiaramente indicato.

Il secondo grado nell'esercizio del diritto di associazione è il potere di riunirsi. Quando una associazione ha il permesso di costituire nei punti più importanti del paese dei centri di azione, essa aumenta la sua attività ed estende la sua influenza. Là si incontrano gli uomini: si combinano i mezzi d'azione, si spiegano le opinioni con una forza e un calore che non possono mai esser raggiunti dal pensiero scritto.

Vi è infine nell'esercizio del diritto di associazione in materia politica un. ultimo grado: i partigiani di una stessa idea possono riunirsi in collegi elettorali ed eleggere dei mandatari che li rappresentino in una assemblea centrale. Si tratta, per parlare propriamente, del sistema rappresentativo applicato ad un partito.

Così, nel primo caso, gli uomini professanti una stessa opinione stabiliscono fra loro un legame puramente intellettuale; nel secondo, essi si riuniscono in piccole assemblee che rappresentano solo una frazione del partito; nel terzo, infine, formano come una nazione nella nazione, un governo nel governo. I loro mandatari, simili a quelli della maggioranza, rappresentano da soli la forza collettiva dei loro partigiani; come quelli, essi hanno un'apparenza di nazionalità e tutto il potere morale che ne risulta. È vero che non hanno, come quelli, il diritto di fare la legge, ma hanno il potere di attaccare quella esistente e di formulare in precedenza quella che deve nascere.

Supponiamo un popolo che non sia perfettamente abituato all'uso della libertà, presso il quale fermentano le passioni politiche. A fianco della maggioranza che fa le leggi, poniamo una minoranza che si incarichi soltanto dei considerati e si arresti al dispositivo: è evidente che l'ordine pubblico sarà esposto a grandi pericoli.

Fra il provare che una legge è migliore in sé di un'altra e il provare che si deve sostituirla a quest'altra vi è senza dubbio grande differenza. Ma, dove lo spirito degli uomini elevati vede una grande distanza, l'immaginazione della folla non ne vede più. Vi sono d'altronde dei momenti in cui la nazione si divide quasi egualmente fra due partiti che pretendono entrambi di rappresentare la maggioranza.

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Accanto al potere che dirige si stabilisce un altro potere, che è una autorità morale quasi altrettanto grande. Dobbiamo credere che questo potere si limiterà a parlare senza agire?

Si arresterà forse davanti a questa metafisica considerazione: che lo scopo delle associazioni è di dirigere le opinioni e non di costringerle, di consigliare la legge e non di farla?

Più osservo la libertà di stampa nei suoi principali effetti e più mi convinco che nel mondo moderno la libertà di stampa è un elemento capitale e, per cosi dire, costitutivo della libertà. Un popolo che voglia restare libero ha il diritto di esigere ad ogni costo che sia rispettata. Ma la libertà illimitata di associazione in materia politica non deve essere interamente confusa con la libertà di scrivere, poiché essa è insieme meno necessaria e più pericolosa di questa. Una nazione può mettervi dei limiti senza cessare di essere padrona di sé e talvolta lo deve fare per continuare ad essere libera.

In America la libertà di associazione a scopi politici è illimitata. Un esempio servirà meglio di qualsiasi trattazione a far comprendere fino a che punto essa venga tollerata.

È noto quanto la questione delle tariffe doganali abbia agitato gli spiriti in America pochi anni or sono. Tale questione non colpiva solo delle opinioni ma dei tortissimi interessi materiali. Il Nord attribuiva alle tariffe elevate una parte della sua prosperità, il Sud quasi tutte le sue miserie. Si può dire che per molto tempo le tariffe abbiano tenuto vive le sole passioni politiche che hanno agitato l'Unione.

Nel 1831, quando la polemica era al colmo, un oscuro cittadino del Massachusetts pensò di proporre, per mezzo dei giornali, a tutti i nemici delle tariffe d'inviare dei rappresentanti a Filadelfia per discutere insieme sui mezzi per restituire al commercio la sua libertà. Grazie alla stampa, questa proposta circolò, in pochi giorni, dal Maine a Nuova Orléans e i nemici delle tariffe l'adottarono con entusiasmo. Essi si raccolsero da ogni parte e nominarono deputati. La maggior parte di questi erano uomini noti e qualcuno era anche celebre. La Carolina del Sud, che poco tempo dopo insorse, per la stessa causa, inviò per parte sua settantatré delegati. Il 1° ottobre 1831 l'assemblea, che contava più di duecento mèmbri e, secondo l'abitudine americana, aveva preso il nome di convenzione, si aprì a Filadelfia. Le discussioni furono pubbliche e assunsero fin dal primo giorno un carattere legislativo: si discussero l'estensione dei poteri del Congresso, le teorie sulla libertà di commercio, infine le diverse disposizioni della legge doganale. Trascorsi dieci giorni, l'assemblea si sciolse dopo aver redatto un indirizzo al popolo americano in cui si esprimevano due principi: 1° che il Congresso non aveva il diritto di fare una legge doganale e che la legge doganale esistente era incostituzionale; 2° che non era nell'interesse di alcun popolo, e principalmente del popolo americano, che il commercio non fosse libero.

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Bisogna riconoscere che la libertà illimitata di associazione in materia politica non ha finora prodotto negli Stati Uniti i risultati funesti che si potrebbero attendere altrove. Il diritto di associazione, d'importazione inglese, è esistito in America in ogni tempo ed è entrato ormai nelle abitudini e nei costumi.

Al nostro tempo la libertà di associazione è divenuta una garanzia necessaria contro la tirannide della maggioranza. Negli Stati Uniti un partito, quando diviene dominante, si impadronisce di tutto il potere pubblico, mentre i suoi seguaci occupano tutti gli impieghi e dispongono di tutte le forze organizzate. Gli uomini più distinti del partito contrario, non riuscendo a rompere la barriera che li separa dal potere, debbono organizzarsi al di fuori di questo; bisogna insomma che la minoranza opponga la sua forza morale intera al potere materiale che l'opprime. Si oppone dunque un pericolo ad un pericolo più temibile.

L'onnipotenza della maggioranza rappresenta un tale pericolo per le repubbliche americane che il mezzo pericoloso di cui ci si serve per limitarla mi pare ancora un bene.

Esprimerò qui un pensiero che richiamerà quello che ho detto altrove riguardo alle libertà comunali: non vi sono paesi in cui le associazioni siano più necessarie, per impedire il dispotismo dei partiti o l'arbitrio del principe, di quelli il cui stato sociale è democratico. Nelle nazioni aristocratiche i corpi secondari formano naturali associazioni che frenano gli abusi del potere. Nei paesi in cui simili associazioni non esistono affatto, se non si riesce a creare artificialmente e momentaneamente qualcosa che rassomigli loro, io non vedo più nessun riparo alla tirannide, e un gran popolo può essere oppresso impunemente da un pugno di faziosi o da un uomo.

La riunione di una grande convenzione politica (poiché ve ne sono di ogni genere), che spesso può essere una misura necessaria è pur sempre in America un avvenimento grave seguito con timore dai cittadini.

Questo si vide chiaramente nella convenzione del 1831, in cui tutti gli sforzi degli uomini più eminenti che ne facevano parte concorsero a moderarne il linguaggio e a restringerne l'oggetto. È probabile però che la convenzione del 1831 abbia esercitato effettivamente una grande influenza sullo spirito dei malcontenti e li abbia preparati alla rivolta aperta, scoppiata nei 1832, contro le leggi commerciali dell'Unione.

Non si può nascondere che la libertà illimitata di associazione, in materia politica, è di tutte le libertà l'ultima che un popolo possa sopportare. Se essa non lo fa cadere nell'anarchia, gliela fa per così dire rasentare ad ogni istante. Questa libertà, cosi pericolosa, offre su un punto delle garanzie: nei paesi dove le associazioni sono libere, sono sconosciute le società segrete. In America vi sono dei faziosi ma non dei cospiratori.

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Differenti modi in cui è inteso il diritto di associazione in Europa e negli Stati Uniti e l'uso diverso che se ne fa

Dopo la libertà di agire da solo, l'idea più naturale all'uomo è quella di collegare i suoi sforzi con quelli dei suoi simili e agire in comune. Il diritto di associazione mi sembra dunque per sua natura inalienabile quasi quanto la libertà individuale. Il legislatore non può distruggerlo senza attaccare la stessa società. Tuttavia, se vi sono dei popoli presso i quali la libertà di unirsi è feconda di freni e di prosperità, ve ne sono anche altri che, per i loro eccessi, la snaturano e fanno di un elemento di vita una causa di distruzione. Mi sembra dunque che un paragone delle diverse vie seguite dalle associazioni, nei paesi in cui la libertà è compresa e in quelli nei quali questa libertà si tramuta in licenza, possa essere utile ai governi come ai partiti. La maggior parte degli europei vede ancora nell'associazione un'arma di guerra che si prepara frettolosamente per sperimentarla subito sul campo di battaglia.

Ci si associa sì allo scopo di parlare, ma il pensiero di agire presto preoccupa tutù gli spiriti. Un'associazione è un esercito, vi si parla per contarsi e animarsi e poi si marcia contro il nemico. Agli occhi di coloro che la compongono le risorse legali possono parere dei mezzi ma non sono mai l'unico mezzo per riuscire.

Negli Stati Uniti il diritto di associazione è inteso in modo del tutto diverso: colà i cittadini che formano la minoranza si riuniscono in primo luogo per constatare il loro numero e indebolire così l'impero morale della maggioranza, in secondo luogo per discutere e scoprire così gli argomenti più atti a fare impressione sulla maggioranza, poiché essi hanno sempre la speranza di attirare a sé quest'ultima per poi impadronirsi del potere in suo nome.

Le associazioni politiche negli Stati Uniti sono dunque pacifiche nel loro scopo e legali nei mezzi e, quando affermano di voler trionfare solo con mezzi legali, dicono in generale la verità.

La notevole differenza fra gli americani e noi a questo riguardo dipende da parecchie cause.

Vi sono in Europa dei partiti che differiscono talmente dalla maggioranza che non possono sperare di averla mai con sé e tuttavia si credono abbastanza forti per lottare contro di essa. Quando un partito di questo genere forma un'associazione, esso non vuole convincere ma combattere. In America gli uomini che si mettono con le loro idee lontani dalla maggioranza nulla possono contro il suo potere e solo sperano di conquistarla.

L'esercizio del diritto di associazione diviene dunque pericoloso in proporzione all'impossibilità dei grandi partiti di divenire maggioranza. In un paese come gli Stati Uniti in cui le opinioni differiscono solo per gradazioni, il diritto di associazione può restare illimitato.

Ciò che ci spinge ancora a vedere nella libertà di associazione solo il diritto

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di fare la guerra al governo è la nostra inesperienza in fatto di libertà.

La prima idea che si presenta allo spirito di un partito come a quello di un uomo, quando si sente in forza, e l'idea della violenza: l'idea della persuasione viene solo più tardi; essa nasce dall'esperienza. Gli inglesi, che sono divisi fra loro in modo tanto profondo, fanno raramente abuso del diritto di associazione perché ne fanno uso da molto tempo.

Vi è inoltre, fra noi, una tale passione per la guerra che non vi è impresa insensata, anche se essa può rovesciare lo stato, nella quale non si stimi glorioso morire con le armi alla mano. Ma, fra tutti gli elementi che concorrono a moderare negli Stati Uniti le violenze delle associazioni politiche, il più potente è senza dubbio il suffragio universale. Nei paesi in cui è ammesso il suffragio universale la maggioranza non è mai incerta, perché nessun partito può ragionevolmente costituirsi rappresentante di coloro che non l’hanno votato affatto. Le associazioni, dunque, sanno di non rappresentare affatto la maggioranza e questo risulta dal fatto stesso della loro esistenza poiché, se la rappresentassero esse stesse, cambierebbero la legge invece di chiederne la riforma.

La forza morale del governo da esse attaccato risulta molto aumentata, mentre la loro risulta molto diminuita.

In Europa, invece, non vi è forse un'associazione che non creda di rappresentare la maggioranza. Questa pretesa o questa certezza aumenta prodigiosamente la loro forza e serve meravigliosamente a legittimare i loro atti. Infatti che cosa è più scusabile della violenza impiegata a far trionfare la causa dei diritti oppressi?

È così che, nell'immensa complicazione delle leggi umane, avviene talvolta che l'estrema libertà corregga gli abusi della libertà e l'estrema democrazia prevenga i pericoli della democrazia.

In Europa le associazioni si considerano, in qualche modo, come il consiglio legislativo ed esecutivo della nazione, che non può alzare la voce da se stessa; e con questa idea agiscono e comandano.

In America, ove rappresentano agli occhi di tutti una minoranza nella nazione, esse parlano e chiedono.

1 mezzi di cui si servono le associazioni in Europa sono invece d'accordo con lo scopo che esse si propongono; infatti il loro scopo principale è di agire e non di parlare, di combattere e non di convincere, e perciò esse sono portate a darsi un'organizzazione che non ha nulla di civile e a introdurre nel loro seno abitudini e sistemi militari; le vediamo quindi accentrare, il più possibile, la direzione delle loro forze e rimettere il potere nelle mani di un piccolo numero di capi.

I membri di queste associazioni rispondono a una parola d'ordine come i soldati in campagna, essi professano il dogma dell'obbedienza passiva o, piuttosto, unendosi, essi fanno d'un colpo il sacrificio intero del loro giudizio e

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del loro libero arbitrio: perciò regna spesso nel seno di queste associazioni una tirannide più insopportabile di quella esercitata nella società dal governo contro cui esse lottano.

Questo diminuisce molto la loro forza morale. Esse perdono così il carattere sacro inerente sempre alla lotta degli oppressi contro gli oppressori. Infatti come può pretendere di essere libero un uomo che consente a obbedire servilmente qualcuno dei suoi simili, che gli abbandona la sua volontà e gli sottomette il suo pensiero?

Anche gli americani hanno costituito un governo in seno alle associazioni; ma si tratta, se così posso esprimermi, di un governo civile. L'indipendenza individuale vi ha la sua parte: come nella società, tutti gli uomini marciano insieme verso un unico scopo; ma non tutti sono tenuti a marciare sulla stessa via. Essi non sacrificano la propria volontà e la propria ragione: ma applicano la volontà e la ragione per far riuscire un'iniziativa comune.

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La Crisi delle Elezioni

"Ho parlato delle circostanze favorevoli in cui si trovano gli Stati Uniti per adottare il sistema elettivo, e ho fatto conoscere le precauzioni che avevano prese i legislatori per diminuirne i pericoli. Gli Americani sono abituati a procedere ad elezioni d’ogni genere. L’esperienza ha loro insegnato a quale punto d’agitazione possono giungere e debbono arrestarsi. La vasta estensione del loro territorio e la dispersione degli abitanti fanno sì che una collisione tra i diversi partiti sia qui meno probabile e meno pericolosa che in qualsiasi altro paese. Le circostanze politiche in cui la nazione s’è trovata in epoche elettorali non hanno sinora presentato alcun reale pericolo.
Tuttavia si può ancora considerare il momento dell’elezione del Presidente degli Stati Uniti, come un periodo di crisi nazionale.
L’influenza esercitata dal Presidente sul corso degli affari è senza dubbio debole e indiretta, ma si estende sull’intera nazione; la scelta del Presidente importa poco al singolo cittadino, ma interessa tutti. Ora, un interesse, per quanto piccolo sia, assume una grande importanza, nel momento in cui diviene un interesse generale.
Paragonato a un Re d’Europa, il Presidente ha, senza dubbio, pochi mezzi a disposizione per crearsi dei partigiani; tuttavia i posti di cui dispone sono abbastanza numerosi, perché parecchie migliaia d’elettori siano direttamente o indirettamente interessati alla sua causa.
Inoltre i partiti, negli Stati Uniti come altrove, sentono il bisogno di raggrupparsi intorno a un uomo, per essere così facilmente capiti dalla folla. Si servono così, generalmente, del nome del candidato alla presidenza come di un simbolo, personificando in lui le loro teorie. In tal modo i partiti hanno un grande interesse a decidere l’elezione in loro favore, non tanto per far trionfare le loro dottrine con l’aiuto del Presidente eletto, quanto per mostrare, con la sua elezione, che queste dottrine hanno conquistato la maggioranza.
Molto tempo prima che giunga il momento fissato, l’elezione diviene il maggiore e, per così dire, l’unica occupazione che domini gli spiriti. Le fazioni, allora, raddoppiano d’ardore; tutte le passioni fittizie che possono sorgere dall’immaginazione, in un paese felice e tranquillo, s’agitano in questo momento pubblicamente.
Da parte sua il Presidente in carica è assorbito dalla preoccupazione di difendersi. Non governa più nell’interesse dello Stato, ma in quello della sua rielezione; si prosterna davanti alla maggioranza, e spesso, anziché resistere alle sue passioni, come sarebbe suo dovere, ne asseconda i capricci.
Via via che si avvicina il momento dell’elezione, gli intrighi divengono più attivi, l’agitazione più viva e più estesa. I cittadini si dividono in vari campi, ciascuno dei quali prende il nome dal proprio candidato. L’intera nazione cade in uno stato febbrile, l’elezione è allora il tema quotidiano della stampa, l’oggetto delle conversazioni private, il fine di tutti i maneggi, l’oggetto di tutti i pensieri, l’unico interesse del momento.
E’ vero che, appena la sorte ha deciso, questo ardore si disperde, tutto si calma, e il fiume, che per un momento era straripato, torna a scorrere tranquillo nel suo letto. Ma non ci si deve stupire che l’uragano sia potuto nascere?"


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