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Le catene del debito
Piero Ricca intervista Francesco Gesualdi.

Nessuna delega
di Francesco Gesualdi

http://megachip.globalist.it/
venerdì 8 novembre 2013

Le catene del debito
Piero Ricca intervista Francesco Gesualdi.

Un invito rivolto a tutti: aderire alla campagna "Debito pubblico decido anch'io".



"In nome del debito vengono distrutti i nostri diritti. Ma davvero non abbiamo altra scelta che pagare impoverendoci? La soluzione è cominciare a occuparci tutti di debito pubblico. Esigere di aprire un grande dibattito su cause, soluzioni, prospettive. Con occhi nuovi. Con il coraggio di rimettere tutto in discussione, a partire dalla legittimità del debito". Così pensa Francesco Gesualdi, attivista e saggista, promotore di campagne su beni comuni, consumo critico, sviluppo sostenibile, fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo e insieme ad Alex Zanotelli della Rete Lilliput. Negli ultimi anni ha incentrato la sua attività sulla questione del debito, cui ha dedicato il recente saggio "Le catene del debito - e come possiamo spezzarle" (Feltrinelli)." Piero Ricca



Piero Ricca: Francesco Gesualdi, governi nazionali, istituzioni europee e media mainstream ci dicono che non c'è alternativa all'austerità. Secondo lei?



Francesco Gesualdi: Già l'obbligo di mantenere il deficit al di sotto del 3% del Pil ci ha sottoposto a continui aumenti di tasse e tagli alle spese con gravi ripercussioni sociali. I numeri confermano un tasso di disoccupazione reale al 24% mentre il rischio povertà coinvolge una persona su tre. Ma col fiscal compact sarà la catastrofe perchè tasse e tagli dovranno crescere fino ad ottenere il pareggio di bilancio. Per di più il debito andrà dimezzato nel giro di 20 anni. Un salasso mortale che porterà al collasso socio-economico e alla totale demolizione della nostra casa comune. Con somma soddisfazione del capitale internazionale e delle multinazionali dei servizi, che finalmente potranno comprarsi le proprietà pubbliche a prezzi stracciati e potranno mettere definitivamente le mani su servizi appetitosi come l'acqua, i rifiuti, la sanità, la scuola.



PR: Per individuare un'alternativa, lei sostiene che il passo preliminare è un'analisi demistificatoria del debito. Che cosa intende? 



FG: Dobbiamo mettere a fuoco che non ci siamo indebitati perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, ma per i tassi di interesse che dal 1980 ci sono costati 2.230 miliardi di euro, per i privilegi fiscali che abbiamo accordato alle classi più ricche, per l'evasione che ammonta a 180 miliardi l'anno, per la corruzione che ci costa ogni anno 50 miliardi, per le spese inutili e dannose come l'alta velocità e l'acquisto degli F35. Perciò il primo passo da compiere è una grande indagine popolare per capire quale parte di debito è doveroso pagare perché creato a vantaggio del popolo e quale parte è nostro diritto ripudiare perché creato per arricchire banche, imprenditori d'assalto e politici assetati di potere. L'indagine non può essere affidata alla classe politica che ha prodotto il disastro. Può solo essere svolta dai cittadini organizzati in gruppi di lavoro. Esperienze in tal senso sono già in atto in Francia, Spagna, Belgio ed anche in Italia. A Parma un gruppo di cittadini ha ricostruito la genesi dei 900 milioni di debito che pesa sulla città. Chi volesse avviare un'esperienza analoga nel proprio territorio invii un messaggio a coord@cnms.it.



PR: Il dibattito sul debito, secondo lei, dovrebbe dunque uscire dalle stanze degli economisti. Ma davvero è possibile farsi un'opinione e proporre soluzioni su temi così complessi senza una cultura specialistica?



FG: Al di là dei linguaggi oscuri e dei tecnicismi che ci intimidiscono, i nodi politici del debito sono riconducibili a poche domande chiave. Dobbiamo tenere in maggiore considerazione l'interesse dei creditori o i diritti di tutti? Se uno stato è in difficoltà debbono pagare solo i cittadini o anche i creditori? La moneta deve essere gestita dal sistema bancario per il proprio arricchimento, o dai governi per il perseguimento della piena occupazione e altri obiettivi sociali? Non siamo deficienti: a queste domande, tutti dobbiamo e possiamo rispondere. L'avessimo fatto prima, invece di delegarle a economisti e politici, non ci troveremmo al punto in cui siamo. Avremmo evitato il disastro economico e salvato la democrazia.




PR: Vediamo in sintesi le possibili strategie alternative che lei propone. Quali sono le linee essenziali?



FG: Uno dei problemi del debito pubblico è che i creditori non sono gentiluomini che si accontentano del tasso di interesse pattuito. Agiscono attraverso la speculazione per strappare rese sempre più alte. Un vero gesto di pirateria dalla quale dobbiamo difenderci mettendo al bando la speculazione. Finalmente liberi dallo spread, dovremmo concentrarci sul capitale per mettere a punto un piano di abbattimento che non si basi sulle privatizzazioni, ma sull'annullamento del debito. Con due strategie. La prima: il ripudio del debito odioso accumulato per arricchire profittatori e banditi. La seconda: la ristrutturazione, che significa riduzione concordata del capitale da restituire, come ha già fatto la Grecia su consiglio della stessa Troika. Dunque non un'umiliazione di cui vergognarsi, ma una scelta di cui andare fieri di chi pone l'interesse comune al primo posto.



PR: Quali sono le principali misure d'emergenza a livello nazionale?



FG: La prima emergenza è ridurre gli interessi ricordandoci che sono una forma di redistribuzione alla rovescia: prendono a tutti per dare ai più ricchi. Le vie sono l'autoriduzione dei tassi di interesse e la lotta alla speculazione.



PR: Ma in concreto com'è possibile condurre questa lotta?



FG: Il problema non è tecnico, ma politico. Bisogna semplicemente avere il coraggio di dire che sui titoli del debito pubblico certe operazioni non sono possibili. Ossia sono proibite. Sui titoli di stato bisogna proibire tutte quelle operazioni che gli investitori compiono per arricchirsi sulle variazioni di prezzo, ma che hanno come effetto secondario l'aumento dei tassi di interesse. Più in particolare mi riferisco ai CDS (Credit Default Swap) che sono scommesse di tipo assicurativo, ai futures che sono vendite future di titoli che non si posseggono, alle vendite allo scoperto che consistono nella vendita di titoli avuti in prestito. Alchimie partorite da menti depravate, studiate per permettere agli speculatori di spillarsi soldi reciprocamente, come fanno i giocatori di carte. Ma se tutto questo deve compromettere il bene di un'intera nazione, allora a essere malati non sono solo loro, ma anche i politici che lo permettono.



PR: Quali riforme strutturali ritiene necessarie?



FG: Le principali sono la riforma fiscale per garantire allo stato entrate adeguate tassando i più ricchi e la riqualificazione della spesa per garantire alle spese sociali tutti i soldi che servono annullando ruberie, privilegi e spese inutili.



PR: E a livello europeo?



FG: La riforma più importante riguarda la Banca Centrale Europea. Da struttura privata che gestisce l'euro per assicurare profitti alle banche, deve trasformarsi in struttura pubblica che governa la moneta in un'ottica di promozione economica e sociale. Che significa essenzialmente due cose. La prima: immettere gratuitamente nel sistema tutta la liquidità necessaria per il buon funzionamento dell'economia. La seconda: fornire ai governi tutta la moneta che serve per raggiungere la piena occupazione e promuovere i servizi fondamentali.



PR: Lei parla anche di "recupero di sovranità monetaria per risolvere i problemi del debito", sicuro che arrivati a questo punto si possa reggere la fuoriuscita dalla zona Euro?



FG: Il mio orizzonte è quello europeo perché il debito è un problema comune che abbiamo interesse ad affrontare insieme, purché decidiamo che il nostro obiettivo non è la difesa dei creditori, ma dei cittadini. Del resto credo che i nazionalismi giovino solo al potere che spadroneggia meglio quando gli oppressi si considerano parti avverse solo perché appartengono a bandiere diverse. Credo in un progetto di unione europea basato sulla solidarietà e la cooperazione al servizio dei deboli. Per questo mi batto, sempre pronto a raccorciare il tiro se mi rendo conto di essere strumentalizzato da chi vuole solo rafforzare un'Europa al servizio dei forti. Al momento la sovranità monetaria a cui aspiro non è quella del ritorno alla lira, ma di permanenza nell'euro, magari non dei 17, ma dei soli paesi del Mediterraneo come propone il prof. Bruno Amoroso. Penso che il doppio euro potrebbe essere la via giusta per avviare un processo di riequilibro fra paesi forti e paesi deboli d'Europa e permettere ai paesi più indebitati di attuare politiche congiunte di riduzione del debito in sfida aperta col potere finanziario internazionale.



PR: Economisti ortodossi ed esponenti dell'establishment bollano come demagogia, populismo, ideologismo velleitario queste sue opinioni, che secondo loro porterebbero le nostre economie all'isolamento e al disastro. Lei come risponde?



FG: Al disastro ci siamo già e non per responsabilità dei no global, ma degli economisti di stretta fede mercantilista. Accecati dai loro dogmi si stanno rivelando un pericolo per tutti quanti. Ma per me e molti altri, questo sistema è fallito prima ancora che per i suoi intrinseci difetti di funzionamento, per i disastri umani, sociali e ambientali che ha provocato. Per questo, mentre avanziamo proposte per la riduzione immediata del danno, ricerchiamo formule per uscire definitivamente da questo sistema ed entrare in un altro ispirato a stabilità, sostenibilità, piena soddisfazione umana e sociale.



PR: Pensa che la prossima campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo possa essere l'occasione per iniziare a "spezzare le catene del debito"?



FG: Assolutamente sì. Purché si capisca che i nostri nemici non sono gli operai tedeschi ma le banche e chiunque vuole lucrare sul debito pubblico. 



PR: Ma con questa classe politica, questi partiti e questi rapporti di forza fra finanza, media e politica vede realistici spiragli di cambiamento?



FG: Questa classe politica fa schifo, ma non è inamovibile. Possiamo mandarla a casa, ma serve uno scatto di partecipazione. Lo stato di apatia, passività, obnubilamento in cui si trova gran parte della cittadinanza è l'aspetto che più mi preoccupa. Ma con l'impegno di chi ha conservato il pensiero critico possiamo dare una scossa non solo rifondando la politica, ma anche trasformandoci ognuno di noi in promotori di controinformazione.

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24 novembre 2013

Nessuna delega
di Francesco Gesualdi

“Troppe scelte vengono fatte sopra le nostre teste senza consultarci. Scelte gravi che lasciano segni indelebili sui nostri corpi individuali e sociali. Loro decidono, noi paghiamo – scrive Francesco Gesualdi – Benché nessuno ricordi di avere mai chiesto niente a nessuno, succede che governo, parlamento, Ue ci urlino in coro che il nostro unico dovere è pagare”. E tutti dicono che non ci sono alternative. “Ma davvero non abbiamo altra scelta se non pagare impoverendoci? L’unico modo per stabilirlo è smettere di considerare il debito pubblico come un tema da tecnici. Smettere di assegnare deleghe in bianco a politici che vediamo solo in tv o a professori che spuntano fuori dal niente. Smettere di subire le loro decisioni e pretendere di dire la nostra. Dobbiamo uscire dalla logica del popolo amministrato, per recuperare quella di popolo sovrano come prevede la Costituzione”.

PROLOGO

Troppe scelte vengono fatte sopra le nostre teste senza consultarci. Scelte gravi che lasciano segni indelebili sui nostri corpi individuali e sociali. Loro decidono, noi paghiamo.

Nel 2008 il mondo è entrato nella tormenta di una crisi finanziaria globale, che puntualmente si è abbattuta sull’economia reale. Non un colpevole, non un responsabile. Il sistema l’ha derubricata a crisi ciclica, una delle tante avversità che colpiscono il capitalismo, quasi fosse un vecchio asmatico che prima o poi una bronchite la prende. Non è così. Il cataclisma è stato provocato da banchieri senza scrupoli, di qua e di là dell’Atlantico. Nella bramosia di guadagno si sono lanciati in operazioni avventate e truffaldine che hanno trascinato l’intero sistema bancario sull’orlo della bancarotta.

Nessuno di loro è stato punito. A nessuno è stato chiesto di restituire le somme intascate indebitamente giocando d’azzardo con i soldi degli altri. A terremoto avvenuto, loro si sono messi in salvo più ricchi di prima. Noi siamo rimasti sotto le macerie. E mentre cercavamo di riaffiorare facendoci spazio fra i travi crollati, è sopraggiunta un’altra scossa, collegata alla prima, che ci ha fatto sprofondare ancora più giù.

Si tratta del debito pubblico che a quanto ci dicono pesa sulle spalle di ognuno di noi, neonati compresi, per 33 mila euro. E benché nessuno ricordi di avere mai chiesto niente a nessuno, succede che governo, parlamento e Unione europea ci urlino in coro che il nostro unico dovere è pagare. Ma l’unico effetto sicuro è che l’economia andrà sempre più a fondo. Tant’è neanche i custodi del sistema sono più così sicuri di ciò che propongono.

Continuano a svendere

Come medici scrupolosi, consultano i loro calepini alla ricerca di una pozione magica capace di tenere insieme gli opposti. Sono certi che prima o poi troveranno il modo per ridurre il debito, garantire soldi ai creditori e fare ripartire la crescita. Ma nell’attesa continuano a purgarci con nuovi balzelli e tagli ai servizi. Continuano a svendere le proprietà dello stato smantellando i nostri beni comuni. Con conseguenze drammatiche. Una famiglia su quattro è a rischio povertà. I nostri bimbi sono costretti a condividere un’unica maestra in venticinque per classe. Attendiamo mesi per un’ecografia. Viaggiamo su treni sgangherati in perenne ritardo. Spingiamo l’età pensionabile sempre più su fino a costringerci al lavoro col pannolone.

Qualche ministro piange, altri politici fanno atto di contrizione. Ma poi tutti tirano dritto affermando che non ci sono alternative. E noi ci crediamo. Senza fare neanche una verifica. Semplicemente accettiamo che in nome del debito vengano distrutti i nostri diritti. Non regalati, ma conquistati al prezzo di dure lotte. Ogni giorno arretriamo di qualche passo forse perché non abbiamo ancora capito che la vera posta in gioco del debito pubblico è la nostra civiltà. Non abbiamo ancora capito che cedendo oggi, comprometteremo la tenuta sociale e la solidità della nostra casa comune per i prossimi cento anni.

Ma davvero non abbiamo altra scelta se non pagare impoverendoci? L’unico modo per stabilirlo è smettere di considerare il debito pubblico come un tema da tecnici. Smettere di assegnare deleghe in bianco a politici che vediamo solo in televisione o a professori che spuntano fuori dal niente. Smettere di subire le loro decisioni e pretendere di dire la nostra su temi che hanno conseguenze così gravi sulle nostre vite.

La soluzione è cominciare ad occuparci tutti di debito pubblico. Pretendere di aprire un grande dibattito su cause, soluzioni e prospettive. Con occhi nuovi. Col coraggio di rimettere tutto in discussione a partire dalla legittimità del debito. Dovremo discutere chi, come e quanto deve pagare, come stare in Europa, come recuperare sovranità monetaria. Discutendo potremmo giungere a conclusioni di tutt’altro genere, anche se considerate eresie. Come quella di disarmare i mercati, di fare pagare anche i creditori, di usare i titoli del debito pubblico come forma parallela di pagamento. Idee eretiche che però possono rompere le nostre catene, ridandoci fiducia e speranza.

L’economia non può essere loro riserva di caccia

Che nessuno si lasci intimidire dal fatto di non avere in tasca la laurea in economia. Nella sua essenza l’economia è fatta di pochi elementi di estrema semplicità. Non sono i concetti difficili, ma le parole coniate per rappresentarli. Una muraglia che sembra costruita apposta per tenere la gente lontana da ciò che più la riguarda. Ma il lessico non può e non deve essere di ostacolo alla partecipazione. Capiti i concetti dovremmo essere noi ad imporre il linguaggio agli economisti. Non il contrario, perché l’economia non può essere loro riserva di caccia. L’economia è il cuore della politica, se un popolo non si occupa di questa materia è come se rinunciasse alla democrazia. Lasciare l’economia agli economisti è come salire su un treno e lasciare che sia il macchinista a stabilire dove portarci. Senza molta varietà di destinazioni perché gli economisti provengono tutti dalla medesima scuola: individualista, classista, mercantilista, monetarista, materialista, produttivista, gigantista. Una scuola chiusa nel credo unico del dio mercato.

Dobbiamo uscire dalla logica del popolo amministrato, per recuperare quella di popolo sovrano come prevede la Costituzione. L’articolo uno parla chiaro: la sovranità appartiene al popolo. Ma saremo davvero sovrani solo se torniamo a partecipare per trovare tutti insieme le soluzioni ai nostri problemi. A partire dai nostri valori, i nostri obiettivi sociali, le nostre sensibilità ambientali, le nostre valutazioni politiche. Basta essere cagnolini che scodinzolano quando il padrone mostra l’osso e si accucciano quando alza la voce. Tiriamo fuori la nostra dignità di cittadini sovrani, decisi a dire la nostra e a farla valere.

Lo scopo di questo libro (Le catene del debito) è fornire gli strumenti per la partecipazione e prospettare soluzioni alternative al problema del debito pubblico. Sapendo che il futuro non si costruisce rimanendo nel solco delle vecchie idee, ma avventurandoci per cieli inesplorati alla ricerca di nuove rotte.

La campagna sul debito

Il Centro Nuovo Modello di sviluppo ha lanciato la campagna “Debito pubblico decido anch’io” per favorire l’attività dei gruppi locali decisi a promuovere sul proprio territorio l’informazione e l’attenzione sul debito pubblico attraverso le iniziative più varie: dalle rappresentazioni teatrali ai giochi di strada, dai momenti informativi ai dibattiti in consiglio comunale, dal controllo popolare sui bilanci comunali, alle verifiche sulle gare d’appalto. Il primo obiettivo della campagna è la nascita dei gruppi locali.

Informazioni su cnms.it

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