"La misura dell'Anima"
Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici
di Kate Pickett e Richard Wilkinson


Traduzione: Adele Oliveri
Feltrinelli, Serie Bianca 2009

Una Recesione di Luca Mori

http://www.agoravox.it/
13 aprile 2010

La misura dell’anima dell’economia
di Damiano Mazzotti

La misura dell’anima. E' un libro che prende in esame molte ricerche internazionali.

L’esposizione è molto chiara e diretta e l’originalità del testo risiede nell’approccio epidemiologico, storico e antropologico dei due autori, Richard Wilkinson e Kate Pickett, che hanno collaborato con alcune delle università più prestigiose del mondo: London School of Economics, Cambridge, Berkeley, Cornell, Chicago, ecc. Gli autori affermano che nelle società fortemente capitaliste le persone sviluppano una “dipendenza dal reddito”: “quanto più possediamo, tanto più pensiamo di aver bisogno di possedere e tanto più tempo dedichiamo al perseguimento della ricchezza e dei possedimenti materiali, a spese della vita familiare, delle relazioni e della qualità della vita” (Richard Layard, p. 81). Così stimolando l’avarizia si aumenta la fatica, il timore di perdere il controllo delle ricchezze e il rammarico di dover perdere tutto alla fine della vita (Coluccio Salutati, 1406).

Le varie ricerche dimostrano indubbiamente che il consumo di psicofarmaci (le droghe legali) e di droghe illegali (usate come devastante abuso di piacere o pericolosa forma di automedicazione), gli omicidi e quasi tutti gli altri crimini meno violenti, sono più diffusi nei paesi e negli stati che presentano una maggiore disuguaglianza economica tra le diverse classi sociali. Inoltre l’obesità, le malattie e i tassi di mortalità naturale sono più alti nei paesi anglosassoni a più alta disuguaglianza sociale. “In Svezia, dove vigono minori disparità economiche, i tassi di mortalità risultano più bassi in corrispondenza di tutte le classi occupazionali, tanto che il più alto tasso di mortalità nella popolazione svedese – riscontrato tra le classi più basse – è inferiore al tasso di mortalità delle classi alte in Inghilterra e Galles” (p. 187). Inoltre molti fenomeni legati allo stress e alla salute potrebbero essere collegati alle dinamiche della dominazione dei primati: “gli animali che vivono in gerarchie sociali molto rigide obbediscono ai membri dominanti e attaccano i membri di grado inferiore” (Volker Summer).

Quindi “nelle società caratterizzate da forti disparità economiche, c’è una tendenza prevalente a voler dominare sugli altri; nelle società orientate all’uguaglianza i rapporti sociali sono improntati all’inclusione e all’empatia” (p. 173). Come scrisse Marshall Sahlins, “se gli amici fanno doni, i doni fanno gli amici” (L’economia dell’età della pietra). Invece, specialmente nel mondo anglosassone, la separazione classista crea flussi di rabbia e risentimento tra una classe e l’altra, poiché i bisogni sono simili e le risorse sono limitate, per cui i più forti a livello economico vincono e i più deboli mangiano per ultimi e si devono accontentare di ciò che rimane. Quando manca una equilibrata regolazione e limitazione dei poteri la vita dell’uomo di trasforma in “solitaria, misera, ostile, animalesca e breve” (Thomas Hobbes). Però, “se è vero che possiamo essere l’uno il peggiore nemico dell’altro, è altrettanto vero che possiamo essere l’uno la maggior fonte di conforto e sicurezza dell’altro” (p. 203).

Naturalmente anche i rapporti di coppia vengono influenzati dalla disuguaglianza sociale: i divorzi sono più diffusi e “nella scelta del futuro coniuge, gli abitanti dei paesi dove vigono forti disparità economiche pongono una minore enfasi sulle considerazioni romantiche e una maggiore attenzione su criteri come le prospettive finanziarie, lo status e l’ambizione, rispetto a coloro che vivono in società orientate all’uguaglianza” (p. 56). E così le differenze economiche si riproducono anche per via familiare (i poveri sono i primi produttori di poveri).

Quindi i problemi economici sono legati anche a quelli demografici: se i poveri ricevessero l’istruzione e i mezzi per evitare di mettere al mondo figli che non possono mantenere, sarebbero quasi azzerati tutti i problemi legati alla criminalità più o meno violenta. Probabilmente non ci sarebbero i problemi di disoccupazione dovuti all’eccessiva crescita della popolazione e i lavoratori di fatica essendo pochi sarebbero molto ricercati e meglio pagati. In realtà il primo problema umano per eccellenza è quello demografico: se nell’antichità fosse stato possibile un regolare controllo delle nascite i conflitti umani e le guerre sarebbero state molto rare, brevi e circoscritte. In Australia dove la densità delle popolazioni era bassissima e la scarsità di risorse alimentari imponeva in molti casi un rigido controllo delle nascite i conflitti umani erano quasi sconosciuti.

Ma purtroppo ancora oggi le religioni monoteiste impongono un’eccessiva libertà di procreazione, nonostante in quasi tutte le sacre scritture non ci sia alcun riferimento diretto e preciso (e oggi non ci sono più le malattie che mietono le vite infantili). E questo perché le religioni come i partiti politici rinunciano con difficoltà alla nascita di un sostenitore. Dovrebbe essere l’ONU a regolamentare le nascite nazionali per prevenire i conflitti civili e internazionali. E l’ONU dovrebbe regolamentare anche gli investimenti in armi, dato che al di là di un certo limite sono da considerare degli sprechi: “Gli Stati Uniti spendono in armamenti ogni anno una cifra equivalente alla spesa militare sommata insieme dei venticinque Stati che li seguono in classifica” (Zygmunt Bauman, Laterza, 2010). Bisogna però aggiungere che il budget annuale della sola Università di Harvard è superiore alla somma dei bilanci di spesa di tutte le università dell’Europa occidentale (George Steiner, Magazine littéraire, gennaio 2004).

Comunque l’ipotesi centrale dei due autori è che “I pubblicitari fanno leva sulla nostra sensibilità ai paragoni sociali, sapendo che tenderemo ad acquistare quelli oggetti che migliorano la nostra immagine agli occhi degli altri… una delle cause più comuni di violenza, che contribuisce in larga parte a spiegare perché i comportamenti violenti siano più diffusi nelle società con forti disparità economiche, è il sentimento di vergogna e umiliazione che si prova quando ci si sente trattati con disprezzo e mancanza di rispetto. Agendo sulla paura di essere considerati privi di meriti, la pubblicità potrebbe persino contribuire ad aumentare i livelli di violenza nella società… Lo studio di Dickerson e Kemeny rivela che l’esposizione a minacce da valutazione sociale è il fattore che più di ogni altro provoca un aumento sistematico dei livelli degli ormoni dello stress” (p. 53).

Dopotutto considerando che “per oltre il 90 per cento della nostra esistenza di esseri umani, abbiamo vissuto quasi esclusivamente in società fortemente egualitarie” di cacciatori e agricoltori, non c’è molto da stupirsi se reagiamo malamente alla disuguaglianza e ci ammaliamo gravemente. Come afferma un buffo slogan moderno, “Chi muore con più giocattoli vince” (questa è la morale immatura del consumismo). Invece facendo una riflessione più tradizionale si può affermare questo: “Ciò che il desiderio vuole, lo compra a prezzo dell’anima” (Eraclito).

Dunque “Essere umani significa essere molto sensibili alla possibilità di venire considerati inferiori” e “Non è certo un indice di salute essere ben inseriti in una società profondamente malata” (Krishnamurti). In questo tipo di società “Tutti quelli che ci somigliano sono Noi, e tutti gli altri sono Loro” (Rudyard Kipling), e “gli uomini odiano coloro che chiamano avari solo perché non ne possono cavar nulla” (Voltaire). E troppi filosofi, economisti e politici, fino ad oggi sono stati convinti che “devono per forza esistere grandi metodi teorici, invece che piccoli metodi sperimentali, per scoprire come mettere fine all’ingiustizia” (Richard Rorty, 1992). Probabilmente verrà il giorno in cui scopriremo che è più vantaggioso ed economicamente produttivo condividere la maggior parte delle risorse di una nazione e del pianeta.

In sintesi le società si sfaldano quando gli uomini non hanno più la motivazione per unire la propria vita a quella degli altri: “l’inter-essere” scompare e rimane solo l’interesse personale. Anche il padre dell’economia giunse a dire che “L’uomo desidera per natura non solo di essere amato, ma di essere degno di amore… Quale maggiore felicità di essere amati e sapere di meritare di essere amati?” (Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali). Del resto il segreto per migliorare i rapporti umani fu espressa in modo magistrale da Kierkegaard: la porta della vera felicità si apre verso l’esterno e può essere aperta solo andando incontro agli altri.

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