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20 dicembre 2012

Messia, apocalisse, parusia. Piccolo compendio dei temi ultimi nei tre monoteismi
di Claudio Comandini

Il fascino della fine. Bonvecchio: il proliferare apocalittico. Taubes: l’irruzione del presente e lo svanire del passato. Kant: la conclusione dello spettacolo. Tagliapietra: immaginare la fine. McEwan: contro i totalitarismi religiosi. Agamben e Idel: distinzioni tra apocalittica e messianismo. Thora, Aggadah, Talmud. Elia e i due Messia. Il Ritorno degli esiliati e la Resurrezione dei morti. Esaù e l’inclinazione malvagia. Tzimtzum, Sithra Acrha, Shabbah e Shekinah. La ricostruzione del Tempio e la vacca rossa. Islam e giudizio universale. Gesù, Mahadi e Dajial. Nessun terrorista in paradiso. L’appello di Al Zawahiri. L’Imam nascosto. I piani di Amhadinejad. La Parusia in Platone e nel Cristianesimo. Nota di Agamben sull’interruzione della Parusia. La Parusia nella Gnosi, in Plotino e in Scaligero. Nota di Zizek sull’intuizione intellettuale. Il mosaico dell’Abbazia di S. Nilo a Grottaferrata. Il fondamentalismo americano e le riprese televisive della Seconda Venuta di Cristo. I tweet del papa. Gaeta e la teocrazia dal basso. Il mondo non finirà domani: tanti auguri.

 

0. Preludio ad una fine

Il fascino della fine non coinvolge soltanto i Maya più o meno involontari e, mentre una moda declina, rimane ad esercitare le sue suggestioni un assortimento apocalittico piuttosto vario. Viviamo in un mondo che, non conoscendo limiti e lanciato in una corsa all’infinito,[1] sollecita un’inesauribile produzione di immagini della fine. Catastrofe ecologica e disastri naturali, crisi economica e finanziaria, guerre globali e conflitto generalizzato, tecnicismo e consumismo trionfanti, esaurirsi dell’umanesimo, erosione della democrazia e imporsi di manipolazioni costitutive, sono le emergenze più rilevanti, nelle quali, come segnala Claudio Bonvecchio, arrivano a confondersi profezie low cost, sensibilità new age e contenuti postmoderni.[2] Un interprete contemporaneo dell’escatologia quale Jacob Taubes considera che ogni evento storico si configura come una creazione in cui “l’io stabilisce un appuntamento fra un presente irruente e un passato che presto svanisce”;[3] l’atteggiamento comune di fronte a tale appuntamento fu già individuato da Kant nell’esigenza di trovare un esito ed una rivelazione agli eventi pur senza curarsi delle contraddizioni a cui si giunge, un po’ per dare un termine a questa specie di spettacolo che è il mondo, un po’ per rispondere e rafforzare la credenza nella fondamentale corruzione del genere umano.[4]

In un clima di millenarismo incipiente, nel quale le attese della fine si moltiplicano, abbiamo imparato ad amare l’Apocalisse, che non è più l’abisso che spaventava Kant, ed anzi è anche un argomento piuttosto trendy: in definitiva, desiderare la morte per sé, i propri nemici o il mondo, è poco più di esercizio di stile, e tuttavia è sempre più facile immaginare tali evenienze che pensarle e farsene un concetto. L’immaginazione e la produzione di immagini della fine scavalcano l’astrazione, guadagnandosi un posto di spicco nei vuoti del presente attraverso la cultura di massa, secondo una fenomenologia ben evidenziata da Aldo Tagliapietra.[5] Nei film e in altre narrazioni la civiltà celebra la diffusa sensazione del suo esaurirsi in un proliferare di soluzioni affastellate dai millenni, apparentemente modernissime eppure profondamente intrise di contenuti religiosi. L’idea che la storia abbia compimento attraverso in processo di rinnovamento e purificazione discende da un’idea di tempo che si corona nell’apocastasi e nell’apocalittica; tale esigenza si mantiene nella secolarizzazione, emergendo con spiegazioni totalizzanti che nessuna mitologia razionalista riesce a contrastare.

Immagini apocalittiche più conformi ai testi si accompagnano ad altre di libera interpretazione. Le vacche rosse da immolare a Gerusalemme. Le morti gloriose dei fondamentalisti islamici. I telepredicatori americani e i loro proclami millenaristici. Stilemi della storia quali nazismo, bolscevismo, paura del nucleare. Riti contemporanei come le morti della setta dei Davidiani e l’attentato fascista di Okhlaoma City. Uno scrittore avvezzo al macabro come Ian MacEwan consiglia di sconfiggere il desiderio della fine con la consapevolezza che “nessuno verrà a salvarci”, e soprattutto con l’esercizio di un’inesauribile curiosità.[6]

Per esercitare la curiosità nella comprensione di alcuni dei dispositivi principali del discorso della fine, possiamo focalizzare le attenzioni su tre argomenti variamente intrecciati tra loro: la figura del Messia presso la cultura ebraica, la ricezione dell’Apocalisse nel contesto islamico, le differenziazioni del concetto di Paruosìa, trasmessosi dalla Grecia antica soprattutto ai primi cristiani, ai tardi pagani ed agli gnostici. Potremmo anche scoprire, senza abdicare alla lucidità ed al rigore della nostra laicità, quanto il contenuto dei testi che si dicono sacri possa apparire splendido e presente rispetto ai toni puerili delle letture integraliste tanto d’attualità.

 

1. Il Messia degli Ebrei

Apocalisse e messianismo costituiscono due nozioni diverse, tra loro non pienamente assimilabili e però nemmeno perfettamente disgiungibili. Giorgio Agamben individua nell’apocalisse senza messianismo la forma prevalente del cristianesimo successivo al IV sec., ed al riguardo, sopratutto attraverso la lettura di S. Paolo e Taubes, distingue il tempo apocalittico da quello messianico, la fine dei tempi dal tempo della fine, articolando una concezione qualitativa del tempo, aperto alla presenza piena del Messia, alla sua Parusia: il tempo vissuto, il tempo che concretamente siamo.[7] Invece, come ha evidenziato Moshe Idel, in seguito alla distruzione del secondo tempio del 70 d.C., si afferma nell’ebraismo un messianismo senza apocalissi, che tende a distanziarsi dalle coeve formulazioni cristiane e particolarmente connesso a stati di redenzione presenti o futuri da ritrovare nel contatto con un’origine; nel XII sec., per influsso del linguaggio simbolico della Qabbalah, il messianismo si riconverte all’apocalittica e perfeziona il suo aspetto di funzione, a cui è tipica la  spersonalizzazione del messaggio della funzione messianica.[8]

Il messianismo ha avuto tanto una costruzione variata quanto un influsso enorme, che si esprime su realtà profondamente diverse quali le speranze illuministe, il delirio nazista, le avventure dei supereroi, ma anche se il suo ascendente travalica la cultura del popolo presso cui è sorta, è opportuno precisarne le peculiarità riferendosi alla religiosità popolare ebraica, in reciproca influenza con il pensiero di rabbini e cabalisti. La figura del Messia, formulata nella commistione di caratteri sacerdotali e caratteri regali, prescinde dall’unitarietà dottrinale ed oscilla tra idealizzazione politica e universalismo religioso, definendo un orizzonte mondano e storico in cui sono centrali preoccupazioni cosmologiche.

Nei Salmi di David (in ebraico Tehillim) il messianismo si raccoglie nell’ascolto del presente e della voce di Dio,[9] ed il tempo del Messia comporta per il popolo d’Israele la vittoria sui nemici, ricchezza e pace.[10] Isaia afferma che il Messia viene “a suo tempo”,[11] si configura come una “promessa”,[12] su cui “aleggia” Dio,[13] dal nome simbolico di Emmanuele, “Dio con noi”.[14] A queste caratteristiche, riscontrabili anche in Michea, Geremia ed Ezechiele,[15] Isaia aggiunge “servo sofferente”[16] e Zaccaria “re pacifico”[17], il primo profetizza “tempesta, tuoni e fuoco”,[18]  il secondo la distruzione di “tutte le genti ostili a Gerusalemme”.[19] Daniele, che introduce la figura di “figlio dell’uomo”[20], specifica aspetti di rivelazione ed espiazione a cui la sua venuta prelude e quelli di eternità del regno che stabilisce. Per gli ebrei questo Messia non è Gesù, considerato perlopiù un impostore, figlio di un soldato romano che sotto l’accusa di magia è impiccato ad un cavolo.[21] Oggi, per quanto la sua divinizzazione continui ad essere considerata idolatrica, è addirittura in corso la revisione del processo di condanna a morte, in una generale ridefinizione dei rapporti tra cristianità ed ebraismo.[22]

Per il Talmud (studio), dove sono specificati i contenuti dell’ebraismo post-biblico attraverso Mishna (codice), Ghemara (commento) e Midrash (ricerca), il Messia rappresenta il centro di gravitazione attorno al quale ruota il grandioso avvenire a cui gli ebrei hanno affidato la loro età dell’oro, ma pur venendo a sanare la sottomissione politica ed il degrado morale del suo popolo, fa parte del piano divino già dalla creazione. I tentativi di fissare una data della fine sono generalmente riprovati, collegando la venuta del Messia piuttosto al pentimento ed alla realizzazione di opere buone, per farla seguire da straordinaria abbondanza e pace durevole. Attributi messianici sono la preesistenza, la vita occulta, l’apparizione da sovrano, la riunione delle tribù di Israele, la ricostruzione di Gerusalemme, gli omaggi di tutti i popoli.[23]

Il Messia diventa ufficiale e inviolabile rappresentante di Dio attraverso la consacrazione con l’olio (unto, in ebraico Mashiach, in greco Christos): l’unzione è compiuta dal re di Israele o, in sua assenza, dal sommo sacerdote. Il titolo di Messia si intreccia alla carica di re, la cui istituzione è però contrastata dalla casta sacerdotale, che la considera un’usurpazione della regalità divina. In alcune correnti messianiche la reintegrazione del regno di Davide accentua il senso della vittoria politica sui gentili, in altre si evidenzia la portata spirituale universale della salvezza. Esemplifica la prima tendenza la proclamazione di Bar Kochba quale Messia sotto la persecuzione di Adriano, ma generalmente presso l’ebraismo il ricordo di personaggi storici non è particolarmente sentito.

Alle elaborazioni logiche dell’Halachah si affiancano le leggende dell’Aggadah. La narrazione di due Messia riproduce uno schema di morte e rinascita. Un primo Messia, appartenente alla stirpe di Giuseppe, raduna gli israeliti dispersi e ripristina il Tempio; questo precursore muore sconfiggendo, in una guerra che possa porre fine a tutte le guerre, il re Gog di Magog,[24] paese simbolico il cui re Armilo era nato da un rapporto sessuale tra Satana e la statua di pietra di una ragazza romana.[25] Dopo la morte del precursore compare il Messia finale, della stirpe di Davide, redentore di Israele e dell’umanità, che sottomette le potenze ostili a Dio e guida da ogni parte del mondo il Raduno degli Esiliati (Kibbutz Galuyyot), rintracciando anche le dieci tribù perdute con l’aiuto del profeta Elia.[26]

Il ruolo di Elia, a suo tempo asceso vivo in un carro di fuoco, è decisivo: in cielo registra le azioni degli uomini e accompagna le anime dei morti in paradiso riconciliando le famiglie alla Fine dei Giorni (Acharit Ha-Yamin). In greco il termine corrispondente è éschaton, da cui deriva escatologia, considerazione delle cose ultime, che nel cristianesimo successivo all’imperatore Costantino diventa la riflessione sul destino sovrasensibile dell’anima. Invece, in questo ambito, terminare i giorni  comporta riepilogarli in una vicenda capace di decidere il destino ultimo dell’uomo e del mondo.

Elia annuncia il Giorno del Giudizio (Yom Ha-Din) e l’inzio del tempo messianico suonando lo Shofar, corno di montone, l’animale che sostituì Isacco al sacrificio, e strumento usato anche nella festa del capodanno (Rosh Ha-Shanah), ricorrenza della creazione di Adamo.[27] Il Messia entrerà trionfalmente a Gerusalemme Dal Monte degli Ulivi (Har Ha-Zeitim), dove si posò la colomba di Noè e dove per purificare il Tempio si offriva l’olocausto della vacca rossa (Parah Adumah).[28] Attraverso la rugiada (Tal), luce della creazione rimasta nascosta, Dio realizzerà la Resurrezione dei Morti (Techiyyat Hametim), coinvolgendo tanto Israele quanto le nazioni gentili, ma escludendo gli Apikoros, ebrei che non credono nella Rivelazione. Il Giorno del Giudizio (Yom Ha-Din) sarà terribilmente oscuro, con tempesta, tuoni e fuoco.[29] Verrà quindi rivelata la via per il Giardino dell’Eden (Gan Eden), da dove Adamo ed Eva furono cacciati per aver mangiato il frutto dell’Albero della Conoscenza (Etz Ha-Daat) ed il Messia leggerà il Sefer Thora scritto a fuoco, l’Albero della Vita (Etz Ha-Chaim) i cui frutti andranno ai giusti nel mondo a venire (Olam Haba), un Nuovo ordine mondiale che rispetto alla quotidianità attuale si pone come “un salone al fondo di un corridoio”.[30]

La venuta del Messia apre ad un regno terreno nel quale sono emendate le afflizioni tipiche della condizione umana quali malattia e morte, ed i mali sociali come povertà, indigenza, esilio e diaspora. È quindi distrutta l’Inclinazione Malvagia (Yetzer Ha-Ra), rappresentata da Esaù-Edom, il fratello di Giacobbe-Israele, che spinge l’uomo al possesso, al potere, all’idolatria all’illecito ed al piacere sessuale, invece che a servire disinteressatamente Dio e i suoi simili: se tale inclinazione è indispensabile alla vita, può dominare l’uomo come “un invitato che prende il posto del padrone di casa”, configurando in tal modo il potere di Satana (Shaitan, avversario).[31] Il primo nome di Satana, che è meglio non pronunciare, e della stessa inclinazione malvagia, è Sammaele (Shammael, veleno di Dio), controllabile attraverso particolari sacrifici. Mandò il serpente nel paradiso e fu sposo di Lilith, la prima moglie di Adamo, e nel Giorno del Giudizio sarà il principale accusatore d’Israele ma, secondo alcuni rabbini, anche lui sarà redento.[32]

Il ruolo del male comporta implicazioni cosmologiche che ci portano da un capo all’altro della creazione. Il mondo finito è emanato dall’autolimitazione del divino, la cui “contrazione” (Tzimtzum) produce la struttura spazio-temporale di una creazione separata, una sorta di sottoporodotto o di area vacante che ha continuamente bisogno di essere corretta a causa dello scontro tra le forze limitanti e l’infinità di Dio. Questo scarto dell’emanazione da cui è scaturito il mondo finito è il Sitra Achra (Altra Parte, termine aramaico), sorta di antimateria oscura che non possiede propria energia, ma dipende dalla luce divina; in questo Sitra Achra prende forma il male degli uomini rappresentato dalle forze demoniache che frustrano continuamente lo sviluppo spirituale del mondo. La sua influenza può essere ridotta dall’osservanza dello Shabbat (Sabato) e delle Kashrut (regole alimentari). Il Sitra Achra è propagato da Samaele attraverso i peccati a cui nottetempo istiga gli uomini, che alimentano l’assenza di luce e riducono l’influenza della Shekinah (Presenza immanente di Dio). I peccati umani permettono il controllo a Sammaele, che quindi la separa dal suo “sposo divino” umano per accoppiarla a se e riprodurre la spaccatura nell’unità divina prodottasi dall’unione del serpente con Eva. La Shekinah è come la luna che rende luce al mondo, ma l’influenza di Sammaele concentra la malvagità umana nel suo volto oscuro.[33]

Gli accoppiamenti anomali tra donne terrestri e creature celesti ricorrono con biasimo anche in uno dei primi testi apocalittici, l’apocrifo ebraico Libro di Enoch (II sec. d.C.), testo canonico per la chiesa copta.[34] Nel cattolicesimo l’idea di una scissione dell’unità divina interviene nell’idea espressa da Fritz von Baader rispetto al peccato di Adamo, che ha permesso la perversione del corpo androginico dell’universo attraverso l’accoppiamento di un femminile divorato dalla sua brama con un maschile schiacciato dalla sua arroganza.[35] Per comprendere Sitra Achra e concetti analoghi attraverso la nostra esperienza, possiamo avvicinarne la morfologia a quella di uno spazio virtuale che riflette la realtà in modo distorto ed in questa distorsione la assorbe: un po’ come quando ci si lascia consumare, ma consumare davvero, dal gioco, dalle droghe, dalla pornografia, o da altri miraggi. L’enorme diffusione di queste circostanze può anche aiutarci a comprendere perché quello “apocalittico” sia un sentire piuttosto esteso, indipendentemente da cosa uno ne possa pensare.

Nel Giorno del Giudizio, i mostri conosciuti come Behemot e il Leviatano si uccideranno l’un l’altro e si banchetterà con le loro carni e quelle dell’uccello Ziz, bevendo il vino messo da parte durante i sei giorni della creazione. L’Albero della Conoscenza sarà gettato nella valle di Hinnom (Gehinnom), nella Gehenna ai cancelli del mondo infernale, rivelando così il suo vero significato. I profeti torneranno: Mosè insegnerà la Torah, David canterà, Miriam danzerà e Aronne reciterà la preghiera di ringraziamento. Il Tempio scenderà già costruito dal cielo, per prendere il suo posto sul monte Moriah, laddove Abramo sacrificò il montone al posto di Isacco. Tornerà quindi la Shekinah, la quale secondo alcuni rabbini non avrebbe addirittura mai abbandonato il luogo: ella dimora presso Sion, segno e pietra di confine, la collina del sepolcro di Davide e per estensione l’area del Tempio, la città di Gerusalemme e l’intera Terrasanta. Shekinah ha lo stesso significato letterale del termine greco Parousìa, ma una diversa articolazione concettuale.[36]

L’insieme di storie proprie al messianismo ebraico rivela una formidabile forza simbolica, capace di agire fortemente sulla psiche e allo stesso tempo di spiccato impatto pubblico, che restituisce in pieno il senso di una religione che pur dando origine al “concorrenziale” culto cristiano si rinnova nei suoi peculiarissimi motivi. Su un altro piano gli aspetti teologici sono commisti con questioni politiche nell’attualità dibattute quanto insabbiate, così come si può dimenticare che dal 638 sul sito del Tempio c’è la Cupola della Roccia, a commemorare il mancato sacrificio di Ismaele, l’altro figlio di Abramo,[37] in un racconto analogo ma diversissimo da quello biblico.[38] La questione più controversa è relativa al piano urbanistico del defunto ex primo ministro israeliano Sharon per demolire la Spianata delle Moschee e disporre i cantieri del Tempio, del quale la pietra angolare è stata poi posta nel 2001 sotto l’ambasciata americana da parte dei Fedeli del Monte del Tempio, autorizzati dalla Corte Suprema.[39] Se la passeggiata di Sharon provocò la Seconda Intifada, il piano è contrastato anche dagli ebrei ultraortodossi Haredim, secondo i quali è in contraddizione con la volontà di Dio, ed è sostenuto principalmente dai cristiano-sionisti americani, fondamentalisti animati da pretese millenaristiche estreme e confuse, dei quali approfondiremo alcuni aspetti più avanti.

La questione più assurda è quella delle vacche rosse, il cui elaborato sacrificio sarebbe necessario per purificare l’area del Tempio dai molti morti che segnano la vita quotidiana di Gerusalemme.[40] L’animale, estinto da secoli, è stato oggetto di ricerche che hanno riguardato anche il kalal con le ceneri dell’ultima vacca rossa bruciata, coinvolgendo la Jerusalem Temple Foundation, diretta Stanley Goldfott, terrorista della banda Stern.[41] Nel 2001 i rabbini Makover e Richman hanno annunciato che l’animale fosse pronto.[42] Non è da ecludere l’eventualità di esperimenti di clonazione, laddove da tempo sono ufficiali le attenzioni dei genetisti verso Abramo e Gesù Cristo;[43] tuttavia, qualcosa è andato storto, ed anche altri tentativi, realizzati negli allevamenti texani, non hanno ancora dato risultati apprezzabili.[44] Forse, si farebbe prima a favorire uno sforzo di coesistenza tra ebrei e arabi, che curiosamente ha i suoi precedenti sotto le amministrazioni islamiche: tuttavia, anche se lo stato Palestinese è ormai riconosciuto dall’Onu, non è ben chiaro dove dovrà sorgere e la città di Dio, nella quale si sono parlate fino a 17 lingue e che ha avuto almeno 70 nomi diversi, più che da dividere sarebbe da rendere davvero patrimonio umano.

 

2. L’Apocalisse nell’Islam

L’apocalittica in ambito ebraico ha spazio come movimento della religione popolare, si annuncia nella Bibbia e trova spazio anche in diversi apocrifi. Si precisa quindi con il Cristianesimo e conosce il suo testo esemplare in quello redatto secondo la tradizione dall’apostolo Giovanni nel 95 d.C. Le numerose apocalissi espunte dai canoni ebraici e cristiani sono indicative tanto dei rispettivi conflitti interni, quanto dei possibili punti di tangenza.[45] Questi testi esercitano influenza anche sull’Islam, che già al tempo del suo affermarsi nel VII sec. d.C. precisa il proprio messaggio intrattenendo con le culture precedenti un rapporto ad un tempo di distinzione e di assimilazione. Gli argomenti di carattere apocalittico sono trattati nel Corano, che essendo organizzato in modo non cronologico e nemmeno logico ma secondo gli eventi allegorici della vicenda terrena e celeste di ogni credente, presenta i quadri della fine del mondo disseminati in diversi luoghi, con numerose ripetizioni ed approfondimenti e marcate indicazioni gnomiche ed esortative. Il suo svolgimento mantiene numerosi punti di contatto con le formulazioni delle altre religioni e riconosce a Gesù un ruolo decisivo, seppur non come figlio di Dio.

Annota il sufi Gabriele Mendel che lo scenario dell’apocalisse coranica è molto simile a quello di un disastro nucleare.[46] Tale desolazione è quanto resta dove si eliminino le allegorie proprie alle altre tradizioni lasciando al mondo il senso di una pergamena riarrotolata: il sole sarà riavvolto, le stelle precipitate, le montagne in movimento, i mari in ebollizione, le cammelle incinte abbandonate, le belve radunate, le anime di nuovo appaiate ai corpi.[47] Sul Sinai, dove Mosè ricevette la legge, il cielo sarà squassato come da un vento, le montagne si metteranno in cammino. Il “castigo” colpirà coloro che “si gingillano in vani discorsi”, che gettati nel fuoco infernale da loro stessi smentito[48] usciranno dalle tombe di fretta e con gli occhi pieni di vergogna.[49] In quell’ora, le donne da latte scorderanno i pargoli, quelle incinte abortiranno, gli uomini saranno tutti ubriachi pur senza aver bevuto,[50] come farfalle disperse.[51] Il criminale cercherà di salvarsi vendendo figli e parenti[52] e l’empio, traviato e poi vigliaccamente abbandonato da Satana, si morderà le mani biasimandosi di non aver camminato con il messaggero di Dio.[53]

Satana, chiamato Iblîs, è colui che, fatto di luce, si rifiuta di inchinarsi ad Adamo, fatto di terra,[54] e che poi seduce la superbia di Eva inducendo lei ed Adamo a mangiare i frutti dell’albero proibito, rendendoli consapevoli della loro nudità e determinandone la cacciata dal Giardino.[55] L’inferno ha molti nomi, fra cui Nàr, Jahin, Laza, sette porte vi conducono; nel suo luogo i criminali saranno incatenati a coppie, con tuniche di pece ed il viso infuocato,[56] castigati per aver dissipato la vita inseguendo beni effimeri, puniti a causa del loro orgoglio immotivato e della loro perversità.[57] La zona infernale del fuoco della Jahannamu (dall’ebraico Jahinnòn) e quella paradisiaca (dal persiano Faràdis) del Giardino, detto anche Janna, sono separate da un limbo, dove trovano spazio coloro che tendono ad una e temono l’altra pur non appartenendo a nessuna delle due.[58]

Nel Giorno del Giudizio sarà dato fiato ad una Tromba, come nelle cerimonie religiose e nelle battaglie. Ad eccezione dei prescelti tutti sverranno, ma ad un altro squillo si alzeranno di nuovo. La terra brillerà della luce di Dio, sarà aperto il libro, si aduneranno profeti e testimoni, per giudicare con giustizia e senza fare torti.[59] Non varranno le parentele e gli aiuti reciproci e coloro le cui bilance peseranno saranno beati, e quelli che le avranno leggere si perderanno in eterno nel fuoco infernale.[60] Nessuna anima potrà pagare per un’altra, nessuna intercessione verrà accolta, nessuna compensazione sarà accettata, nessuno sarà soccorso.[61] Ai devoti a Dio si apriranno le porte del Giardino e saranno accolti dai guardiani e salutati con parole di pace, lodati per la loro condotta.[62] Strappato Dai petti ogni rancore, diventeranno tutti come fratelli, posti su troni e faccia a faccia, senza subire fatica e senza rischio di essere cacciati.[63] I credenti riceveranno in premio un vino che “non farà nascere discorsi sciocchi, o eccitazione di peccato”,[64] mentre godranno della compagnia di donne “modeste di sguardi, bellissime di occhi”.”[65] Tuttavia, nessuno sa quale effettiva ricompensa si nasconda dietro il termine “delizia”.[66]

Gabriele Mendel evidenza come le allegorie che descrivono i “paradisi musulmani” siano interpretabili come semplice consapevolezza di divinità, senza gli eccessi volgarmente attribuitigli. Dove la vita è già abbastanza infernale, per chi appartiene al terzo mondo il paradiso godereccio che si accompagna all’integralismo fanatico partiene ad una cattiva interpretazione del testo, e ad una sua conoscenza approssimativa e squilibrata.[67] Insomma, il terrorismo non ha casa in paradiso. Tale eventualità risulta più probante della legittimazione della Jihad compiuta da Al Zawahiri, ideologo di Al Qaeda, che accusa gli empi governanti islamici di favorire il predominio straniero, denunciando come colpevoli di crimini contro l’Islam tanto i leader locali quanto le potenze occidentali, guidate da America ed Israele. Anche solo l’occupazione della Palestina giustifica il martirio “sulla strada di Dio” capace di permettere ai fedeli le ricompense negate in terra dalla giustizia degli uomini.[68] Tuttavia, pure gli attentati difficilmente portano giustizia.

Nel Giorno del Giudizio, il profeta Gesù testimonierà sia contro chi non ha creduto nel suo messaggio, sia  contro chi ha dato credito agli equivoci della sua divinità:[69] insomma, colpirà atei, ebrei e cristiani, senza esclusione di colpi. Nel Corano, all’importante ruolo di Gesù non corrisponde una figura messianica, che nei testi cristiani dirige gli eventi e in quella ebraica li accentra. Tuttavia un Messia appare presso gli sciiti duodecimani come colui che alla fine dei tempi estirpa il male e l’eresia, per stabilire la pace e la giustizia e fare regnare il bene e l’Islam. Detto il Mahadi, e chiamato anche “Signore del Tempo”, corrisponde al dodicesimo ed ultimo discendente di Maometto e di sua figlia Fatima, andata in sposa ad Alì. Conosciuto come Imam nascosto, dopo essersi ritirato circa nell’888 in un pozzo presso Isfahaan si è occultato (Ghaybat) in una dimensione completamente soprasensibile, aprendo all’uomo il confronto con la storia. Con l’ausilio di Gesù e con lo scopo di fondare Dar Es Salam, il Regno di Pace, il Mahadi guiderà la lotta contro il Dajjal (l’impostore), un demone che nell’ambito musulmano prende il posto dell’Anticristo.[70]

Laddove per una tradizione profetica il Dajjal sarà un ebreo in guerra contro l’Islam, permettono di approfondirne ruolo e funzione due Hadit (detti) attribuiti a Maometto. Il Dajjal rappresenta lo spirito falso e fallace del progresso rettilineo, unilineare e continuo che non conosce limiti e confini, tipico di una temporalità esclusivamente quantitativa impadronitasi dell’Occidente in coincidenza della conquista musulmana di Costantinopoli, alla quale segue di una generazione quella europea dell’America. La successione degli eventi e la definizione concettuale è indicativa della ricerca di una diversa modernità che la civiltà musulmana ancora persegue.[71]

La credenza nell’Imam nascosto, decisiva per la realizzazione della rivoluzione islamica del 1979, non ha basi coraniche, non è riconosciuta dai sunniti ed è influenzata soprattutto da apocalissi ebraiche apocrife come quella siriaca di Baruc (100 d.C.), diffusa nelle regioni persiane in cui poi si determinano le concezioni sciite.[72] Il messianismo islamico sviluppa un insegnamento di tipo gnostico, sistematizzato dal sufi Adb Al Karim Al Jili (nato nel 1366 d.C. – anno 767 dell’egira), secondo il quale il senso della legge exoterica (Zâhir) è racchiuso nella realtà esoterica (Bâtin), ed ambedue sono nomi di Dio; il cuore coglie l’intimità con il mistero al di là della ragione, riconquistando l’integralità umana nella realizzazione dell’Uomo Universale (Insân Kâmil), prototipo di tutti gli esseri.[73] Se questo uomo perfetto islamico è analogo all’uomo primordiale ebraico (Adam Kadmon), l’Imam nascosto tornerà per ristabilire nella sua pienezza il Pleroma dei Dodici, la successione dei discendenti di Alì, realizzando la Parusia, presenza divina, concetto di origine platonica che, come vedremo avanti, è decisivo nel primo cristianesimo.

Secondo l’islamista Richard Corbin, il senso dell’occultamento dell’Imam nascosto è che gli uomini hanno velato la sua presenza ai loro occhi, diventando incapaci di vederlo. Quando apparirà, tutto avrà un’anima, e l’unità divina si manifesterà come essenza della molteplicità delle sue teofanie. Questa conoscenza, definita immaginale, capace di vedere il divino in ogni cosa, avviene realizzando l’identità del soggetto di conoscenza con l’oggetto conosciuto: “sii la resurrezione, e allora vedi la resurrezione.”[74] L’attesa della venuta dell’Imam nascosto dipende quindi da ogni credente ed è favorita dallo sviluppo delle sue capacità di comprensione.

Un programma recente relativo a questi argomenti sembra però fuoriuscire dalle capacità di comprensione, tanto di quelle razionali, quanto di quelle intuitive. Infatti, mentre procede nel contestato progetto di riarmo nucleare, il presidente iraniano Ahamadinejad si è impegnato anche nell’ampliare con opere dal costo di 20 milioni di dollari la moschea di Jamrakan, non lontano dalla città santa di Qun, vicino al pozzo da cui dovrebbe ricomparire il Mahadi, che si suppone, pertanto, in tempi brevi.[75] La questione politica e quella teologica si incontrano in spazi istituzionali che rendono la loro mescolanza piuttosto torbida.

 

3.    Le molte vie della Parusia

Riportiamo la nozione di Parusia ai suoi ambiti di formulazione, per verificarne tanto la diffusione, quanto l’incidenza contemporanea. In Platone la Parusia indica la presenza nella realtà sensibile del modello delle idee (êidos), internamente ad un tempo concepito ciclicamente, le cui diverse durate hanno la qualità dell’eterno presente.[76] Tale schema è destituito dai successivi sviluppi del pensiero, ma mantiene un influsso sotterraneo piuttosto decisivo, caratterizzando fortemente il Cristianesimo delle origini, e si manifesta anche, come visto, nell’Ebraismo e nell’Islam.

Il Cristianesimo introduce una storia lineare secondo la quale gli eventi hanno fulcro nella Prima Venuta di Cristo e sono ultimati con la sua Seconda Venuta alla fine dei tempi, detta anche Parusia. Le prime comunità la reputavano imminente e legata a forme di giustizia sociale, seppur non definibile nelle circostanze, ma con il realizzarsi dell’impero cristiano l’evento si configura come metatemporale e volto ad una restaurazione archetipica. La Parusia coincide quindi con il Giudizio Universale, quando saranno realizzati cieli e terra nuova, nei quali la materia cesserà di essere corruttibile ed ogni anima si ricongiungerà al proprio corpo.[77] S. Paolo, che spera di essere vivo al momento del suo verificarsi,[78] indica comunque come opportuno un atteggiamento di distaccata accettazione della necessità presente[79] e fra i segni che lo precedono, indica l’apostasia piena, la venuta de ”l’uomo iniquo, il figlio della perdizione”, che si contrappone e si sostituisce a Dio.[80]

Dal momento che, nonostante i continui avvistamenti di segni di questo tipo, un evento definitivamente apocalittico ancora non si è verificato, si direbbe che questo sia sottoposto ad un ritardo di cui non si conosce durata: pertanto, la Parusia sembrerebbe interrotta, estendendo il tempo all’infinito. Tuttavia, questa interruzione nega un carattere decisivo tanto per l’Antico che per il Nuovo Testamento per cui agli occhi di Dio “mille anni sono come un giorno ed un giorno sono come mille anni”.[81] Gli schemi storici o quelli cosmici, così come ogni possibile calcolo, sono destituiti di validità dentro tali riferimenti: il tempo può accelerare o rallentare, favorendo all’uomo l’interrogarsi sulla problematicità della sua esistenza.[82]

Agamben osserva che questa presunta sospensione temporale della Parusia viene a corrispondere allo stabilirsi della storia umana, il cui progresso secolarizza l’escatologia cristiana nelle forme della politica, rende immanente ed assoluto l’ordine economico, fornisce giustificazione a Dio pur tradendone l’assenza. Due posizioni decisive esemplificano i concetti introdotti dall’idea della sospensione della Parusia: quella indicata da Schmitt, per cui la teologia è alla base della politica e determina interamente la fondazione del potere sovrano, che nelle forme dell’Impero e della Chiesa si esercita sulla storia ritardando l’evento escatologico della fine del mondo; quella di Peterson, secondo il quale l’agire politico è propriamente liturgico, una prassi pubblica a base rigorosamente trinitaria valida come anticipazione del mondo a venire, che diventerà reale quando gli ebrei si convertiranno al cristianesimo. Negando la tensione alla salvezza implicita nell’esperienza umana, si evidenziano reciproci disconoscimenti: la vita eterna promossa dal Vangelo si traduce nella fondazione del potere temporale della Chiesa in contrapposizione alla teocrazia cosmica di Israele, mentre il rifiuto ebraico di Cristo è parallelo allo smarrimento da parte dei cristiani dell’esperienza messianica.[83]

Agamben rivela il sorprendente legame di questi pensieri antichi con la nostra dissennata attualità ed apre prospettive immense, ancora tutte da metabolizzare. Le ambiguità dell’antisemitismo che legano esistenza e compimento della Chiesa alla conversione degli ebrei, l’ossessione patetica verso la giuridificazione e l’economicizzazione di tutti i rapporti umani, la mancanza oscena di legittimità da parte di ogni potere, potrebbero ricevere nuova luce e in qualche modo sciogliersi dove si comprenda il tempo “intermedio” messianico, distinto dal quello apocalittico ed irriducibile a quello lineare. In questo tempo “penultimo” interviene un mutamento radicale dell’esistenza, il tempo assume una dimensione qualitativa per cui ogni istante entra in relazione tanto con la fine del tempo, quanto con l’eternità: in questa trasformazione radicale dell’esistenza, iniziamo ad essere davvero presenti.[84] Laddove il Messia, in ogni contesto religioso e filosofico, indica il confronto definitivo e continuamente differito e controllato tra l’ordine divino e quello stabilito dalla legge degli uomini, sempre arbitraria,[85] il tempo tra i tempi si configura come il tempo concretamente vissuto, il correlato esistenziale della piena manifestazione della Parusia.

Un percorso diverso per questa reintegrazione era stato formulato dagli gnostici, che nei primi secoli dell’era cristiana avevano assunto il concetto di Parusia in modi obliqui. Per Valentino, il definitivo veicolo della salvezza è la conoscenza, che in ogni anima si configura come evento cosmico, in quanto dipende da una storia divina segnata intimamente dalla frattura dualistica dell’essere, interna alla divinità stessa. Nel Vangelo di Verità, codice ritrovato nel 1945 ad Hag Hammadi ed a lui attribuito, è detto: “la fine consiste nel conoscere colui che è nascosto”. Ad essere nascosto è Dio, la cui presenza nel mondo, seppure si protrae dall’inizio alla fine, si può constatare solo per tracce.[86] Dio è lontano dal mondo, separato da ogni realtà materiale e da ogni concettualizzazione, ed emana da sé il mondo invisibile del Pleroma (pienezza), agisce sulla materia attraverso le sue potenze e gli intermediari che da lui procedono. Cristo opera come logos sulle scintille divine che palpitano nell’uomo, legato alla materia e desideroso di liberarsene, anche attraverso la mediazione dei logoi, che corrispondono ai demoni socratici, agli angeli biblici, alle cause efficienti e finali aristoteliche e stoiche, e che siamo soliti chiamare angeli. La teoria più compiuta dei logoi è articolata da Dionigi Aereopagita, che ci aiuta a comprendere come, al di là delle loro rappresentazioni, i messaggeri siano la voce dell’invisibile in ascolto, in procinto di indicare ciò che non è.[87]

Le oscurità si chiariscono con l’arrivo del Messia, che compie l’Apocalisse quale rivelazione integrale del sacro. La morte dell’individualità è la rivelazione del Messia nell’interiorità, la cui attualizzazione è vissuta nell’eterno presente. La fine discende dalle forme archetipe al mondo sociale, e riguarda la storia come insieme dei fatti, il cui coronamento è il disvelarsi del Messia quale Dio salvatore; l’uomo, a cui spetta l’osservanza di precisi canoni morali e religiosi, ottiene attraverso il fuoco la redenzione e la reintegrazione nello stato adamitico.[88] Questo percorso di apocastasi è trattato in modo strabiliante nella Pistis Sophia, testo gnostico egiziano del II sec.: la “sapienza”, caduta vittima dell’ “arroganza”, per aver scambiato il “riflesso” per la “luce”, viene riportata a sé attraverso la “coscienza di sé”, simboleggiata da Cristo.[89] Tale dottrina fu condannata dal II concilio di Costantinopoli dl 553 ed è rimasta estranea alle forme ufficiali del cristianesimo, ma forse ne rappresenta il nucleo più consistente e l’aspetto maggiormente dotato di effettiva universalità.

La Parusia si diffonde anche nel contesto pagano, ostile al Cristianesimo quanto agli Gnostici, per quanto partecipe di un comune clima culturale. Plotino, l’ultimo grande filosofo antico, tematizza la presenza (parousìa) dell’io a se stesso, quale origine e ritorno all’origine. Dove l’uomo sorpassa tutti i sistemi logici e cognitivi e da tutti i contenuti intellegibili, si innalza al di sopra del sapere e si congiunge alla sua anima (psyche), al suo dio impersonale, e realizza l’unione con l’Uno, privo di pensiero ed al di là di ogni sua forma, ma causa del pensiero.[90] Nella contemporaneità più atipica, uno sviluppo viene da Massimo Scaligero, influenzato dall’antroposofia di Steiner e dall’individualismo di Stirner. La Parusia si configura come la reintegrazione dell’intellettualità astratta nell’autocoscienza, l’unione di conoscere sentire e volere nel “pensiero vivente”. Il pensiero si presenta come individuale, ma nel suo contenuto è universale, e gli è immanente la trascendenza, l’uomo ne è responsabile può averne coscienza. Nel pensiero la concreta universalità si manifesta nelle sfumature del particolare.[91]

Scaligero riconduce le cose ad una loro divinità e realizza nel pensiero l’identità tra soggetto ed oggetto: in un linguaggio ermetico e cristiano importa quanto tratteggiato da Plotino in ambito pagano e da Corbin in ambito islamico, reintroducendo un’intuizione intellettuale capace di generare immediatamente l’oggetto che percepisce, che Kant escludeva alla conoscenza umana. Su tale argomento, Slavoj Žižek prende le distanze dalle forme degenerate dell’intuizione intellettuale, e critica la pretesa new age di Dan Brown di assimilare tra loro un pensiero ed una realtà in bianco e nero, ricordando che proprio la distanza è il miracolo che ci preserva dall’identificazione immediata con la realtà e sostiene la nostra libertà di pensiero.[92] Tuttavia, se le illuminazioni da rotocalco del pop-esoterismo sono da aborrire, le scienze cosiddette esatte non legittimano più il conoscere, per il quale vanno considerate tutte le forme che hanno storia e teoreticità dischiuse dall’agire della scrittura filosofica.[93] Animare il pensiero non visibile con tutti i colori del reale mantenendo cognizione del loro distinguersi, sospendere gli ordinari intendimenti e portare a rivelazione il nascosto, è proprio quanto permette al mondo contingente di continuare a stupirci.

In un ambito artistico dove confluiscono motivi bizantini e latini, nella chiesa di S. Maria dell’Abbazia di S. Nilo a Grottaferrata, c’è un mosaico che sovrasta l’arco trionfale al di sopra dell’altare centrale, realizzato fra la fine del XII e l’inizio del XIII sec., poco prima della ridistribuzione dei poteri della cristianità con cui si inizia ad infrangere l’ordine mondiale del medioevo. I dodici apostoli, ieratici e distaccati, sono in attesa che Cristo torni al trono vuoto al centro della scena, in modo da giudicare i vivi e i morti nella celebrazione della Parusia, qui strettamente associata alla nozione di Pentecoste. L’impassibile serenità dei dodici nel ricevere le “lingue di fuoco” è indice di una rivelazione di se a se stessi e di una comprensione superiore favorita dal “dono delle lingue”, che indica forse il recupero di una lingua comune a tutti gli esseri.[94] Il trono vuoto, alla cui base c’è la raffigurazione di un agnello, è affiancato da Pietro ed Andrea, simboli di Roma e Costantinopoli; le figure hanno un volume che ricorda quelle dei mosaici dell’abbazia normanna di Monreale. Questa Parusia di sfondi dorati e tessere incastonate ci solleva da preoccupazioni terrene ed apre ampi spazi di meditazione e di riflessione nel suo riferirisi alla visione dell’altro ed alla presenza dell’assente, dove sono proprio alterità ed assenza a sollecitare la nostra presenza.

La Parusia, argomento raffinato e complesso, conosce una clamorosa volgarizzazione con i telepredicatori evangelisti americani Pat Robertson, Jerry Falwell, Bill Graham, Jim Bakker, Jimmy Swaggart, e subendo una spettacolarizzazione comunicativa va a collegarsi alle aspirazioni politiche e militari israeliane,[95] tradendo in maniera catastrofica l’esigenza ebraica, espressa anche da Gerhard Sholem, di testimoniare pubblicamente il messianismo, alla quale Taubes, sulla scorta di S. Paolo, oppone la necessità di interiorizzare la redenzione, oltrepassare la Legge e la Thora e comprendere anche il fallimento della croce.[96] All’acuta individuazione di un pensiero che non è ancora cristiano, ma non è più nemmeno soltanto ebraico, capace di far vedere i millenari errori di ambedue le parti e di pensare il potere come “teocrazia dal basso”,[97] fanno da pendant le folli e caricaturali concezioni cristiano-sioniste diffuse dai sacerdoti televisivi, per cui la Parusia potrà accadere solo con il ritorno obbligato di tutti gli ebrei in Terrasanta, nei precisi termini sanciti dall’Apocalisse, implicando quindi lo sterminio di tutti quelli che non riconosceranno Gesù come Messia. Il terribile combattimento tra le forze del Male e quelle del Bene si svolgerà ad Armagghedon, la valle di Meghiddo a Gerusalemme, ed una parte degli ebrei, “segnata” e contata in numero di dodici volte dodicimila, cioè 144.000, si salverà, mentre tutti gli altri moriranno nella conflagrazione finale.[98] Robertson, in rapporti molto stretti con Ronald Reagan, già nel 1979 aveva elaborato un progetto di ripresa televisiva di questa Seconda Venuta di Cristo, da realizzare a Gerusalemme per la Christian Broadcasting Network (CBN) con il nome di God’s Secret Project, di cui i dettagli tecnici e finanziari erano stati ampiamente discussi con il produttore Gerard Straub.[99] I fedeli, secondo la dottrina fundamentals del Dispensazionismo, saranno addirittura rapiti (raptured) in cielo in estatico volo. Secondo i piani, l’umanità intera potrà assistere in diretta allo spettacolo della presenza divina, nonostante un antisemitismo contradditorio e spietato pur se conforme al più bieco politically correct, ed alcune scene che potrebbero infastidire i più sensibili.

Più recentemente, il giorno prima di aprire il suo account twitter, il pontefice Benedetto XIX ha ricordato che la Seconda Venuta di Cristo dovrà essere preceduta dall’emendazione dei peccati, ponendo quindi l’accento sulla responsabilità personale di ognuno. Nell’aggiornare l’aspetto tecnico ed il ruolo dei nuovi media nella diffusione della buona novella, non è così inopportuno ricordare un’umanissima ovvietà che cristiani e non cristiani, religiosi ed atei, spesso faticano a rispettare. Rispondendo a tale appello, questo blog, ne suo piccolo, è lieto di segnalare che, con tutta probabilità, il mondo non finirà domani. Può inoltre servire un modesto suggerimento per qualsiasi messia dovesse farsi vivo: forse, sarebbe meglio ricominciare a spiegare tutto da capo. Visto come sono andate le cose finora, è evidente che nessuno ha mai saputo comprendere una sola parola di quanto è stato scritto: né gli ebrei, né i cristiani, né i musulmani, i quali potrebbero anche smettere di litigare come bambini e comprendere quanto può esserci nelle proprie venerabili culture di reciproca correzione, mantenendo ad ognuna i suoi specifici aspetti. Tutto è scritto, e tutto è continuamente da riscrivere: oggi, che la tecnologia permette ad ognuno di mettere per iscritto qualsiasi cosa, che almeno qualcuno si sforzi anche di leggere quello che vale davvero la pena, per cercare di risolvere politica, religione ed i loro rapporti in forme meno degradate di quelle istituzionali, e per metterci davvero in condizione, come ci ricorda Giancarlo Gaeta di, “esercitare un giudizio ultimo sullo stato del mondo in tutte le sue forme istituite, minandone dall’interno la pretesa di totalità”.[100] Tanti auguri a tutti.

Note

[1] Serge Latouche, Limite, Bollati Boringhieri, Torino 2012, pp. 15-17.

[2] Claudio Bonvecchio, Le Apocalissi dell’occidente, in AAVV, L’orologio dell’Apocalisse, Edizioni Albo Versorio, Milano 2012, pp. 86-110.

[3] Jacob Taubes, Messianismo e cultura, Saggi di politica, teologia e storia (1981), Garzanti, Milano 2001, p. 333.

[4] Immanuel Kant, La fine di tutte le cose (1794), Bollati Boringhieri, Torino 2006, pp. 20-22.

[5] Andrea Tagliapietra, Icone delle fine, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 11-14.

[6] Ian McEwan, Blues della fine del mondo (2007), Einaudi, Torino 2008, passim.

[7] Giorgio Agamben, Il tempo che resta (2000) Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 62-68.

[8] Moshe Idel, Mistici messianici (1998), Adelphi, Milano 2004, p. 17, 68-69, 141-143.

[9] Salmi (II sec. a.C.) 95 [94], 8.

[10] Salmi (cit.) 76 [75].

[11] Isaia (VIII-VI sec. a.C.) 60,22.

[12] Ibid 9, 1-6.

[13] Ibid, 11, 1-5.

[14] Ibid, 7, 14.

[15] Michea (VIII-VI sec. a.C.) 5, 15; Geremia (V-IV sec. a.C) 23, 5s; Ezechiele (VI sec. a.C.) 34, 23s..

[16] Isaia (cit.), 42, 1-7.

[17] Zaccaria (IV sec. a.C.), 9, 9s.

[18] Isaia (cit.), 29, 6.

[19] Zaccaria (cit.), 12, 9.

[20] Daniele (II sec. a.C.), 7, 13.

[21] Alan Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 120.

[22] Soloman Malka, Gesù riconsegnato agli ebrei (1999), Piemme, Casale Monferrato 2000, passim.

[23] Abraham Cohen, Il Talmud (1935), Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 411-422.

[24] Ezechiele (cit.) 38, 2.

[25] Alan Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, cit, pp. 188, 129.

[26] II Re (VI-V sec a.C.), 2, 11.

[27] Alan Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, cit., 274, 245-246.

[28] Ibid,., p. 240.

[29] Isaia (cit.), 29,6.

[30] Alan Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, cit., pp. 244, 213-214.

[31] Ibid, pp. 141-142.

[32] Ibid, pp. 253-254.

[33] Ibid, pp. 281-282, 300-301.

[34] Libro di Enoch – Enoch Etiopico, VII – XXXIX, 2 (175 a.C.), in Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. I (1981), a cura di Paolo Sacchi, TEA, Torino 2001, p. 105.

[35] Fritz von Baader, Annotazioni al cap. II della Genesi (1829), su Filosofia Erotica, Rusconi, Milano 1982, pp. 449-451.

[36] Alan Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, cit., pp. 14-15, 269-270.

[37] Corano (VII sec.) XXXVI (La Sura degli Angeli a Schiere), 101-112

[38] Genesi (1800-1700 a.C) 22, 14

[39] Israel Shamir, Carri armati e ulivi della Palestina (2001), C.R.T, Pistoia 2002, pp. 89-90.

[40] Numeri 19,1-10

[41] Roberto Giammanco, Aspettando la giovenca rossa sulla via di Armageddon.  L’epifania dell’immaginario cristiano-sionista, «Hortus Musicus» a.III n.11 luglio/settembre 2002.

[42] Trovata la mucca rossa, «Jewish Life» settembre/ottobre 2002.

[43] Israel Shamir, Carri armati e ulivi della Palestina, cit., p. 93.

[44] Ian McEwan Blues alla fine del mondo, cit., pp. 35-36.

[45] Adel Theodor Kohury (a cura di), Islam, Cristianesimo, Ebraismo a confronto (1991), Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2003, p. 96.

[46] Gabriele Mendel, Il Corano senza segreti (1994), Bompiani, Milano 2004, p. 105

[47] Corano (cit.) LXXXI (Sura dell’Avvolgimento), 1-7

[48] Corano (cit.) LII (lSura del Sinai), 12.

[49] Corano (cit.) LXX (Sura della Scale), 43-44.

[50] Corano (cit.) XII (Sura del Pellegrinaggio) 1-2.

[51] Corano (cit.) CI (Sura della Percotente), 4.

[52] Corano (cit.) LXX (Sura della Scale), 10-14.

[53] Corano (cit.) XXV (Sura della Salvazione), 27-29.

[54] Corano (cit.) II (Sura della Vacca), 34.

[55] Corano (cit.) VII (Sura del Limbo), 20-25.

[56] Corano (cit.) XIV (Sura di Abramo), 49-50.

[57] Corano (cit.) XLVI (Sura di Al-Ahqaf), 20.

[58] Corano (cit.) VII (Sura del Limbo), 46-47.

[59] Corano (cit.) XXXIX (Sura delle Schiere) 68-69.

[60] Corano (cit.) XXV (Sura dei Credenti), 101-102.

[61] Corano (cit.) II (Sura della Vacca), 48.

[62] Corano (cit.) XXV (Sura delle Schiere), 73-75.

[63] Corano (cit.) XV (Sura di Al Higr) 46-48.

[64] Corano (cit.) LII (Sura del Siani), 54.

[65] Corano (cit.) XXXVII (Sura degli Angeli a Schiere), 49.

[66] Corano (cit.) XXXII (Sura della Prostrazione), 17.

[67] Gabriele Mendel, Il Corano senza segreti, cit., p. 113.

[68] Antonella Caruso, ‘Perché combattiamo l’America’: il sermone di Ayman Al Zawahiri, in Nel mondo di Bin Laden, «Quaderni speciali di Limes» (supplemento al n.4/2001), pp. 15-20.

[69] Corano (cit.) IV (Sura delle donne), 156-159.

[70] Al-Tariqah al-Shadhiliyyah al-Dusuqiyyah al-Burhaniyyah, Il Mahadi e l’Anticristo, Edizioni all’Insegna del veltro, Parma 1988, pp. 21-22.

[71] Pierò Calo, L’Islam e l’eredità bizantina, Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 1990, pp. 61-62.

[72] Apocalisse Siriaca di Baruch (100 d.C.), in Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. I, cit., pp. 259.

[73] Titus Burckhardt, L’uomo universale (XIV sec. – 1975), Edizioni Mediterranee, Roma 1981, pp. 8-9, 45.

[74] Henry Corbin, L’imam nascosto (1959), Celuc libri, Milano 1979, pp. 21-22, 75-78.

[75] Ian McEwan, Blues della fine del mondo, cit., pp. 32-33.

[76] Platone. Timeo (V-XII) (354 a.C), Opere, vol. I,  Mondadori, Milano 2008, pp. 565-578.

[77] Apocalisse (95 d.C.), 21-22, passim.

[78] I Corinzi (50-60 d.C.), 16, 22.

[79] Ibid, 7, 29-32,

[80] 2 Tessalonicesi (50-60 d.C.), 2, 3-4.

[81] Salmi (cit.) 90 [89], 4; 2 Pietro (100-160 d.C.), 3, 8.

[82] Elio Jucci, Il tempo dell’Apocalisse, in AAVV, L’orologio dell’apocalisse, cit., pp. 151-158.

[83] Giorgio Agamben, Il Regno e la Gloria (2007), Bollati Boringheri, Torino 2009. p. 28-29.

[84] Giorgio Agamben, La Chiesa e il Regno, Nottetempo, Roma 2010, passim.

[85] Giorgio Agamben, Il Messia e il sovrano. Il problema della legge in W. Benjamin, in Anima e paura. Studi in onore di M. Ranchetti, Quodlibet, Macerata 1998, p. 13.

[86] Valentino, Il Vangelo di Verità, 38 (150 d.C.) , in I Vangeli gnostici (1984) Adelphi, Milano 2003, p. 42, 150.

[87] Dionigi Areopagita, Gerarchie Celesti (VI sec.) Tilopa, Roma 1994, p. 22, passim.

[88] Gian Carlo Benelli, La Gnosi, Mondadori, Milano 1991, pp. 32-43.

[89] Pistis Sophia (II sec.), Adelphi,  Milano 1999, pp. 64-82, passim.

[90] Plotino, Enneadi (libro VI, 9) (254-263 d.C.), Mondadori Milano 2008, pp. 1050-1052; 1059-1062.

[91] Massimo Scaligero, Iside-Sophia, la dea ignota, Edizioni Mediterranee, Roma 1980, passim.

[92] Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei tempi (2010), Ponte alle Grazie, Milano 2011, pp. 480-481.

[93] Erasmo Silvio Storace, Sulla fine del mondo, in L’orologio dell’Apocalisse, cit. pp. 248-249.

[94] Atti degli Apostoli (50-60 d.C), 2, 1-4, passim.

[95] Francis Wheen, Come gli stregoni hanno conquistato il mondo (2004), ISBN Edizioni, Milano 2005, p. 162.

[96] Jacob Taubes, Il prezzo del messianesimo. Lettere di Jacob Taubes a Gershom Scholem e altri scritti (1974-1979), Quodlibet, Macerata 2000, p. 14-23, 40-41.

[97] Giancarlo Gaeta, Jacob Taubes, messianismo e fine della storia, in Le cose come sono. Etica, politica, religione, Editore Scheiwiller, Milano 2009, anche in pdf on line, pp. 3-6, 9.

[98] Apocalisse (cit.), 7, 4-8.

[99] Gerard Thomas Straub, Salvation For Sale: An Insider’s Wiev of Pat Robertson, Prometheus Books, New York 1988, passim.

[100] Giancarlo Gaeta, Jacob Taubes, messianismo e fine della storia, cit., p. 9.

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