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Corriere della Sera Milano
7 settembre 2012

Una nuova guerra di religione
di Massimo Franco

La divisione tra paesi “virtuosi” del nord Europa e “lassisti” del sud assomiglia sempre più alla frattura storica tra cattolici e protestanti.

Forse non tutti lo sanno, ma in Nord Europa molti pensano che lo spread alto sia il frutto di un peccato cattolico. In tedesco il termine «Schuld» non significa solo debito ma anche colpa. Sono sfumature semantiche che riflettono differenze culturali profonde. E aiutano a comprendere meglio la diffidenza marcata, fino al pregiudizio, di alcune nazioni europee del Nord nei confronti dei Paesi percepiti come membri di un incosciente «Club Med». Lo spread, il differenziale fra titoli di Stato italiani e spagnoli e quelli tedeschi, finisce così per assumere un'eco con vibrazioni etiche: discriminanti ben più dei bilanci dei singoli Stati. Rimanda senza volerlo, anzi quasi con la paura di dirlo, a valori che impastano cultura e religione, e iniettano nelle fibre stanche dell'Ue veleni antichi.

Di fatto, viene toccato e infranto un tabù che riporta in auge fantasmi di Riforme e Controriforme, e guerre combattute all'ombra del Dio europeo. Si tratta di un aspetto delle polemiche degli ultimi mesi affrontato solo di sfuggita. Eppure affiora a intermittenza, mentre l'euro comincia a evocare non più ricchezza e stabilità ma disoccupazione, povertà e declino. La retorica anti-italiana e anti-mediterranea, e all'opposto antitedesca, si nutre inconsciamente di stereotipi non soltanto culturali ma religiosi. «Verità» antiche, sepolte nella memoria del Vecchio Continente; e da non riesumare per non spezzare il faticoso compromesso fra nazioni che ha garantito per decenni pace sociale e politica. L'incertezza le riconsegna però a quanti propugnano nuovi isolazionismi, nella convinzione illusoria che da soli ci si possa salvare meglio.

È una solitudine accarezzata da alcuni circoli della Germania che si definisce luterana, e da Paesi a maggioranza protestante come Olanda, Finlandia, e via risalendo. Al punto che si è arrivati a teorizzare che se Martin Lutero, il teologo tedesco del XVI secolo, avesse potuto essere presente a Maastricht nel 1992, quando furono gettate le basi dell'unione monetaria, avrebbe bocciato l'adesione delle nazioni del Mediterraneo. «Leggete le mie labbra: nessun Paese cattolico che non ha vissuto la Riforma protestante» deve entrare nell'euro, si immagina che avrebbe detto Lutero. La tesi è di Stephan Richter, direttore del Globalist , il sito che analizza i trend mondiali nell'era della globalizzazione.

Richter è un commentatore cattolico ma soprattutto tedesco. E teorizza che «un eccesso di cattolicesimo danneggia la salute fiscale delle nazioni, anche adesso nel XXI secolo». Sarebbe questa la «legge di Lutero» che oggi il Nord Europa si rammarica non sia stata applicata; e la cui violazione sarebbe alla base di molti guai. Se invece le sue parole immaginarie fossero state interpretate a dovere, «l'euro sarebbe più compatto, e l'economia europea meno in difficoltà».

Insomma, per analizzare l'idoneità di una nazione a far parte della moneta unica sarebbe bastato non passare al setaccio i suoi bilanci ma i suoi cromosomi religiosi: sarebbe stato tuto più facile. L'assunto è assai semplice: i cosiddetti Pigs, o Piigs, acronimo che sta per «maiali» in inglese e indica le iniziali di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, o con la doppia «i» comprende anche l'Italia, sono tutti Paesi con una maggioranza di cattolici, tranne la Grecia ortodossa.

La novità è che ultimamente l'etichetta sta assumendo non un significato congiunturale, legato a una crisi del capitalismo finanziario esportata dagli Usa, ma una sorta di sentenza di condanna definitiva nei confronti di una cultura, di un modo di governare; e, di nuovo, di una religione. Alla base della «colpa» delle nazioni indebitate ci sarebbe l'incapacità di emanciparsi dal cattolicesimo: un modo di vivere, prima ancora che una fede, passato dalla pratica delle indulgenze per farsi perdonare i peccati, a un'eccessiva tolleranza in materia di «peccati fiscali». La polemica sta spingendo economisti soprattutto spagnoli a risalire alle origini del capitalismo, smentendone l'origine protestante e mettendo invece in risalto il dinamismo di quello ispano-cattolico proprio al tempo di Riforma e Controriforma.

Ma la diatriba retrospettiva sui quarti di nobiltà capitalistica conferma solo l'ambiguità di un'operazione che rischia di preparare una rottura e non una riconciliazione europea. L'allarme di qualche settimana fa del presidente del Consiglio italiano, Mario Monti, sul rischio che lievitino le pulsioni antitedesche in risposta alla rigidità della cancelliera Angela Merkel, fa il paio con l'esasperazione della Germania profonda nei confronti delle nazioni mediterranee.

L'amarezza di Benedetto XVI per l'ostilità nella sua Baviera contro l'Italia è quella di chi conosce in profondità la Germania; e sa che per il tedesco medio il fondo salva Stati sarebbe un cedimento alla «cultura del peccato» e del debito di un'Europa cattolica considerata incorreggibile.

Senza tener conto di questo sfondo, diventa difficile capire l'incomunicabilità apparente delle classi dirigenti europee; e il tentativo strumentale di alcuni circoli politici ed economici di sfruttarlo: di recente, la Bbc inglese ha parlato di «una linea di frattura religiosa nell'eurozona». Insomma, sembra quasi che sulla scia della crisi dei mercati finanziari si stia cercando di evocare un conflitto fra cattolici e luterani, con le polemiche sugli aiuti come casus belli. C'è chi spiega il conflitto latente con la torsione verso il nord e l'est dell'asse europeo in seguito all'allargamento; e dunque con un'ipoteca crescente delle nazioni protestanti. Non a caso oggi si dice che la Finlandia è nel cuore dell'Ue, mentre l'Italia sarebbe in periferia.

È una delle molte conseguenze della fine della guerra fredda. Da una comunità europea che ha sviluppato la sua unità lungo un asse centro-meridionale, Germania-Francia-Italia, a quella egemonizzata da una nazione tedesca che a tratti sembra coltivare la rivincita delle tradizioni orientali e protestanti contro l'entusiasmo dei cattolici tedeschi nei confronti dell'Europa. La cancelliera Angela Merkel viene dalla Germania dell'Est ed è figlia di un pastore protestante. Lo stesso neopresidente tedesco, Joachim Gauck, è un ex pastore luterano. Per questo non sorprende che nel vertice dei capi di governo dell'eurozona, nel luglio scorso a Bruxelles, l'apparente vittoria della linea perseguita dall'Italia di Monti e dalla Spagna di Mariano Rajoy, ma anche dalla Francia di François Hollande, sia stata vissuta a Berlino come un colpo di mano della «nuova alleanza latina».

Ma la geo-religione dello spread in versione luterana costringe a qualche strattone politico-geografico. E il dubbio che vengano messi in fila e razionalizzati una serie di stereotipi è forte: per quanto la crisi economica li faccia passare in secondo piano. Se il debito è anche una colpa da espiare, e per la quale l'assoluzione giustamente non è più scontata, le scomuniche e i presunti primati geoeconomici e georeligiosi minacciano di risvegliare demoni destinati a ricacciare indietro l'Europa non di qualche anno, ma di decenni: quelli più bui.

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