L'Angelo e il Profeta

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3 dicembre 2014

 

Giusy Regina intervista François Boespflug

teologo, storico delle religioni e specialista di iconografia cristiana

 

In occasione della presentazione a Roma del suo nuovo libro Les Trois monothéismes en images. JudaÏsme, christianisme, islam, François Boespflug ci racconta qualcosa in più sull’iconografia nei tre grandi monoteismi della storia.

 

Dio è considerato trascendente e non rappresentabile sia dal Cristianesimo che dall’Ebraismo che dall’Islam. Ciononostante ci sono molte immagini che lo raffigurano. Qual è dunque l’importanza dell’iconografia nei tre grandi monoteismi?

Per quanto riguarda la rappresentazione di Dio, per l’Ebraismo ad esempio c’è il tetragramma biblico del suo nome che si compone di quattro lettere. La calligrafia araba scrive il nome di Dio pur non raffigurandolo.

Per il Cristianesimo invece c’è stata un’evoluzione che ha portato alla creazione di un patrimonio di immagini molto diversificato e molto ricco.

 

Perché i musulmani rifiutano tutte le immagini sante e soprattutto su cosa si fonda questo rifiuto?

Sul timore che l’immagine sia una sorta di tempo perduto, di trappola per la spiritualità e di un ritorno negativo all’idolatria. Dalle immagini sacre dunque non si può trarre nessun giovamento per i musulmani, che di conseguenza ne fanno a meno. Si vuole evitare quindi il rischio di assomigliare ad una qualche forma volgare di politeismo. Come ho scritto in un mio libro recente, esistevano nell’Islam molte immagini estremamente raffinate che però non hanno mai avuto funzioni emozionali e culturali. Le immagini hanno sempre un valore storico nell’Islam.

 

C’è qualche sura nel Corano che bandisce le immagini religiose?

No, non c’è nulla nel Corano contro le immagini o l’arte in generale. C’è una dichiarazione sul rischio di idolatria che è una sorta di ossessione per i musulmani. Ma la teoria dell’immagine resta libera e mi sforzo di convincere un certo numero di universitari musulmani che in fondo l’islam può ancora oggi evolvere su questo punto e che può stringere un nuovo patto di alleanza con il linguaggio delle immagini. Non c’è nessuna tradizione infatti che può far sì che questa civiltà brillante rimanga bloccata su questo argomento.

 

Il suo ultimo libro si chiama Les Trois monothéismes en images. JudaÏsme, christianisme, islam (ed. Bayard). Quali sono le immagini che lei sceglierebbe come le più rappresentative per ciascuna delle tre religione monoteiste?

Se devo fare una scelta che piaccia a ognuno dei tre monoteismi, è abbastanza facile. Sceglierei per esempio il crocifisso di San Damiano per rappresentare l’immagine del Cristo sulla croce con gli occhi aperti che afferma la sua vittoria sulla morte tramite la quale ha salvato il genere umano. Per l’Islam sceglierei l’immagine del profeta Muhammad alla Ka’ba in preghiera. La crocifissione bianca di Marc Chagall poi è straordinaria perché esplicita sia il fatto che Gesù fosse ebreo sia il fatto che ogni ebreo oggi ha impressa nella coscienza la Shoah. Io faccio questa scelta improvvisando ma ce ne sarebbero altre.

 

Per quanto riguarda invece il dialogo interreligioso, come storico e teologo, su quali fattori le tre religioni dovrebbero focalizzarsi per dialogare?

Sulla curiosità attenta e documentata per il mondo dell’immagine come espressione delle altre religioni. Io sostengo una attitudine di apertura e di curiosità per gli altri e per le loro immagini, come gli innamorati presentano l’uno all’altra le proprie famiglie scambiandosi foto.

 

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