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30/03/2015

 

Cristiani in Iran: con Rouhani qualcosa si muove

di Bernardo Cervellera

 

Teheran (AsiaNews) – L’Iran è sotto i riflettori mondiali: fra oggi e domani si dovrebbe (come molti sperano) giungere a un accordo o almeno a una bozza di accordo che garantisca la comunità internazionale sul fatto che l’Iran faccia un uso pacifico del suo programma nucleare e alleggerisca Teheran di tutte o una parte delle sanzioni economiche e finanziarie di cui è stata fatta oggetto da quasi 30 anni, cresciuti poi negli ultimi quattro. Le delegazioni e i ministri degli esteri interessati (i 5+1: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania, oltre all’Iran) si stanno incontrando a Losanna.

Non si sa molto sulle discussioni. Dalle poche parole espresse da rappresentanti anonimi o da noti ministri degli esteri, entrambe le parti vorrebbero riuscire a varare un accordo che si può definire “storico”; entrambe le parti però stanno negoziando da una parte il numero delle centrifughe per l’uranio che Teheran potrà usare per scopi medici e pacifici (6, 7mila, 10mila); dall’altra le tappe per la cancellazione delle sanzioni (alcune subito, altre entro quattro mesi, altre dopo 10 anni).

Ho già spiegato alcuni giorni fa perché è importante per la comunità internazionale giungere a una riconciliazione con l’Iran (v. qui). Non tutti sono d’accordo. I più negativi sono il premier Benjamin Netanyahu, che preferisce “nessun accordo” meglio di “un cattivo accordo”, e l’Arabia saudita che accusa Teheran di voler mettere sottosopra il Medio oriente. Entrambi però non confessano tutta la verità: il primo che è leader dell’unica potenza nucleare in Medio oriente e che cerca di non avere concorrenti; la seconda, non dice quanti petrodollari sono usati per diffondere il fondamentalismo wahabita che sta scuotendo l’Asia, l’Africa e il mondo, per non parlare del sostegno economico e militare dato all’Isis, ora autoproclamatosi Stato islamico.

Al di là di tutte le lotte politiche, a noi interessa la vita del popolo iraniano. Per questo lo scorso anno, di questi tempi, vicino a Pasqua, mi sono recato in visita in questo affascinante Paese, a incontrare il suo popolo, i suoi giovani, le sue Chiese. Sulla situazione delle persone colpite dall’embargo, ho già detto in passato. Come pure sull’islam sciita, più aperto e dialogico dell’islam sunnita: ne sono prova le traduzioni di testi religiosi in persiano da parte di diversi autori musulmani, che hanno perfino tradotto il Catechismo della Chiesa cattolica. Resta da comprendere come vivono i circa 350mila cristiani in Iran, appartenenti a diversi riti. Per alcuni essi vivono in una persecuzione soffocante; per altri essi godono una libertà meravigliosa. Tenendo conto che il Paese è musulmano al 98 % (sciiti 86,1%; sunniti 10,1%; altri musulmani 2%) la libertà garantita ai cristiani è senz’altro maggiore rispetto ad altri Paesi della regione, anche se non mancano problemi e violenze.

 

Il mio viaggio fra i cristiani dell’Iran comincia da una visita al ministero delle minoranze, guidato dall’hojatoleslam Alì Younesi, che gestisce i rapporti con cristiani e ebrei, ma anche con le minoranze etniche, fra cui baluchi e curdi, sempre inquieti verso il governo centrale. Questo ministero, mi dice, è stato voluto proprio dal presidente Hassan Rouhani, che “ha a cuore i diritti di tutti i cittadini, di qualsiasi religione, razza, cultura. Tutto il popolo iraniano deve godere stessi diritti e la stessa dignità”.

Un rappresentante cristiano alla Majlis (parlamento), il sig. Yonathan Betkolia, assiro, è entusiasta di Rouhani e del suo nuovo corso. Mi dice che la comunità assira e caldea sono in Iran da 3mila anni (forse come etnie!); che cristiani e musulmani vivono insieme dall’inizio, da 1400 anni; che a Urmiyeh, nel nord del Paese, dove vi sono le prime tracce cirstiane, sono conservate le tombe dei Re magi; che vi sono molte chiese che ora, con l’esodo dei cristiani, sono curate da musulmani.

Gli domando se in questi anni i rappresentanti cristiani al parlamento hanno portato qualche risultato per migliorare la libertà religiosa dei cristiani. Mi racconta un fatto interessante: fino a poco tempo fa vi era una antica legge che garantiva il cosiddetto “prezzo del sangue”: se uno veniva assassinato e l’omicida preso e condannato, questi doveva pagare il prezzo del sangue alla famiglia dell’ucciso. Ma per un musulmano tale prezzo era di 60 milioni di rial; per un cristiano era 3 milioni di rial. I rappresentanti delle minoranze hanno ottenuto che il prezzo del sangue fosse uguale per tutti, cristiani e musulmani, cioè 150 milioni di rial.

Un’altra legge che si sta per cambiare è quella sull’eredità. Tale legge impone che se un membro della famiglia è musulmano, tutta l’eredità vada a lui e non sia suddivisa fra i membri. Questo ha portato spesso a false conversioni all’islam dettate dalla voglia di impossessarsi di tutti i beni di famiglia. Questa legge la vuole cambiare proprio il ministro Younesi.

Quello delle conversioni dall’islam a un’altra religione e viceversa sono un punto che fa paura all’Iran. “Noi – mi dice - non amiamo che i musulmani costringano le minoranze a diventare musulmane. O viceversa che le minoranze facciano proselitismo [lett.: “propaganda al fine di cambiare la tua mente”]… Noi vogliamo che ognuno viva accanto all’altro, che la moschea viva accanto alla chiesa. Ma non desideriamo né il proselitismo, né il cambiamento [la conversione].

L’unità nazionale e la sicurezza del nostro Paese viene minacciata: questo equilibrio che attualmente vive fra di noi è a favore delle minoranze e noi non vogliamo  rompere questo equilibrio”.

La “sicurezza” è dunque il motivo per cui non si accettano conversioni in un senso o nell’altro. Ed è il motivo per cui il proselitismo viene perseguito come un crimine: ne sanno qualcosa le comunità protestanti che spesso diffondono la loro fede in pubblico, spingono alla conversione, mettono a capo delle loro comunità dei musulmani convertiti. Secondo il Christian Today  (pubblicazione anglicana)  del 27 ottobre 2014, vi sono almeno 49 cristiani protestanti in prigione, accusati di “proselitismo”.

Ma se il “proselitismo” - come pressione e manipolazione della coscienza altrui - è da condannare, rimane il fatto che perfino il parlare in pubblico della propria fede cristiana rischia di essere bollato come “proselitismo” e perciò proibito. Questa situazione ha portato le comunità cristiane a rinchiudersi via via nel loro gruppo, impossibilitati a offrire la loro fede all’esterno, assistendo a una crescita solo per via… demografica, con il battesimo dei figli dei cristiani.

Per il nunzio vaticano, mons. Leo Boccardi è vero che ci sono freni alla missione, “ma con tutto questo c’è ancora spazio disponibile per dialoghi fruttuosi con il mondo islamico. E in ogni caso qui le chiese hanno libertà di culto, che è impossibile vedere altrove; sono sicure, nessuno li tocca; non c’è terrorismo”. Il nunzio, molto ottimista, parla  di una “nuova atmosfera” portata da Rouhani e un senso di maggiore libertà.

 

Riportiamo di seguito la seconda parte di un reportage sulla vita dei cristiani in Iran.

 

Le sparute comunità armene, caldee e latine hanno libertà, ma all’interno dei confini delle chiese. I musulmani che chiedono il battesimo devono essere mandati via per evitare “un forte contrasto con il governo”. Il modello è quello di una tolleranza fra gruppi contigui, ma senza dialogo fra loro. La nuova cattedrale della Chiesa latina. I timori che le aperture di Rouhani siano solo passeggere.

 

Un altro colpo alla presenza cristiana è stata l’emigrazione, talvolta dovuta a persecuzioni dirette, spesso alle difficoltà economiche, alle guerre, alla pressione sociale. Rimane il fatto che le comunità cristiane sono tutte microscopiche. Ho visitato la piccola chiesa armeno-cattolica di Teheran: circa 200 persone, una sessantina di famiglie. Per 2 anni sono rimasti senza vescovo e questo, oltre all’emigrazione all’estero, ha contribuito a una maggiore dispersione. L’episcopio – parola grossa– è una casetta a due piani, con una scaletta interna ripida e stretta. Metà degli spazi sono dedicati agli uffici e metà all’appartamento del vescovo, mons. Neshan Karakeheyan, amministratore patriarcale di Isfahan, che ha ormai raggiunto l’età della pensione e sembra molto stanco. Mentre ci offrono dolci (è domenica) e un tè, mi parla della loro situazione. Il vescovo fa notare che in Iran non c’è persecuzione violenta e c’è sicurezza per i cristiani, ma non si può dire che i cristiani abbiano tutti i diritti come gli altri cittadini: si è ben accetti, ma non si deve fare proselitismo (e missione); si fa pastorale interna alla comunità, ma niente visibilità all’esterno; e soprattutto niente conversioni. Un ritornello che in molti mi hanno ripetuto è che le comunità cristiane sono costrette a mandare via tutte le persone musulmane che vengono a chiedere il battesimo, perché questo creerebbe un forte contrasto col governo.

Ascoltando alcuni laici vengo a conoscere di una certa emarginazione nella società: gli armeni hanno molti dottori, ma nessuno di loro diviene primario; vi sono molti soldati (il servizio militare è obbligatorio), ma nessun armeno diviene generale o colonnello; vi sono molti insegnanti, ma nessuno è preside. Anche nelle scuole armene, il direttore è fissato dal governo ed è musulmano. Nelle scuole si segue il curriculum governativo, ma le scuole cristiane hanno la libertà di non insegnare l’islam e hanno invece 2 o 3 lezioni alla settimana di catechismo per gli studenti armeni.

Per molte attività pastorali (catechismo, incontri, ecc…) il venerdì, che qui è giorno di festa, ha preso il posto della domenica. Qualche comunità celebra perfino la messa “domenicale” al venerdì perché i loro membri non riescono ad avere altro giorno libero durante la settimana.

Le chiese cristiane affascinano gli iraniani per il silenzio che vi domina, l’armonia, la bellezza, i dipinti: la cultura iraniana non ha mai digerito l’iconoclastia fondamentalista e ha sempre usato la pittura e la miniatura perfino per dipingere il profeta Maometto. Di recente, solo durante il periodo di Khomeini vi è stata una chiusura al dialogo con le altre tradizioni religiose. All’uscita della chiesa, a un lato dell’edificio, vi è una grotta di Lourdes, con tanti ex voto di persone guarite o di donne che hanno potuto avere figli grazie alla Vergine. Davanti alla statua di Maria, una donna si ferma in silenzio, avvolta nel chador nero. Dopo che si è allontanata, mi dicono che è una musulmana sposata da diverso tempo e che non riesce ad avere figli. Così viene spesso davanti alla Vergine per chiedere questa grazia.

Ci spostiamo nella chiesa di san Giuseppe, dove si raduna la comunità caldea. Nel cortile interno ci accoglie un sacerdote che ci regala le “palme” della domenica delle Palme. Qui però non si usano i rami di ulivo, ma quelli di qualche pianta da fiore con lo stelo rosso e con piccoli germogli di foglie, molto profumate.

Dopo alcuni minuti in preghiera, andiamo dal vescovo, mons. Ramzi Garmou, un settantenne dall’aria nobile e robusta, che serve circa 2mila fedeli. Ad una mia domanda sulla missione della Chiesa, anche lui mi dice che devono allontanare i musulmani che chiedono di essere battezzati. Anche mons. Ramzi fa notare però che i cristiani in Iran vivono sicuri, senza attacchi di sorta. E fa il paragone con l’Iraq e con quanto gli racconta spesso il patriarca di Baghdad, Mar Louis Sako, suo superiore.

L’impressione che i cristiani vivano come in un ghetto, tollerati, ma divisi e isolati dal resto della società, è fortissima quando vado a visitare il centro Ararat, della comunità armena apostolica. Il centro è dotato di tutto: piscina, campo di calcio, una chiesa armena moderna, un bar, e perfino una scuola di danza e di musica per bambine e ragazzine armene. Al tempo di Khomeini era proibito il canto e la danza. Anche di recente, sotto Ahmadinejad, il predecessore di Rouhani, vi sono state campagne moralizzatrici contro i giovani che si trovavano a cantare e danzare. Ma al presente, almeno a Teheran, si incontrano giovani che nei giardini suonano la chitarra o osano portare magliette con le maniche corte..

Per ogni evenienza, la direttrice della scuola di danza mi chiede di non pubblicare le foto delle piccole e degli esercizi. Va detto che l’entrata al Centro è proibita ai musulmani. Eppure tutti sembrano contenti di questa situazione: i musulmani, che me lo presentano come un esempio di tolleranza, e gli armeni, che applaudono al governo per questa libertà concessa. Ai presenti chiedo se in questo modo si sentano influenti nella società. Risposta: per nulla.

Alla fine facciamo visita alla piccola cappellina armena, in stile moderno, ma con la tipica cupola a cono e con arte armena  contemporanea, piena di afflato spirituale. Attorno all’edificio vi sono alcune antiche pietre tombali portate là da cimiteri armeni in tutto l’Iran, segno della lunga storia di questa comunità perseguitata nei secoli.  All’interno della chiesa, vi è una scultura, una Madonna con bambino stilizzata, che potrebbe figurare molto bene in un museo di arte moderna. Anche rinchiusa in un ghetto, la creatività non si è inaridita.

I tre giorni del triduo Pasquale li ho vissuti con la comunità dei salesiani di Teheran, che hanno la responsabilità della comunità latina. Essa è una comunità internazionale che attorno al rito latino raccoglie, insieme a pochi iraniani, diplomatici stranieri e lavoratori stranieri: indiani, coreani, filippini, congolesi, italiani, inglesi, francesi. In passato, per la presenza di molti stranieri e di un’economia galoppante, questa comunità era molto numerosa. Ora l’embargo e le difficoltà finanziarie dell’Iran hanno ridotto la sua consistenza a poche centinaia di fedeli. Il padre di questa comunità è mons. Ignazio Bedini, vescovo di Isfahan dei latini, ormai 75enne. Il vescovo, amato da tutti, è in Iran da 50 anni e ha vissuto tutti i passaggi di regime: dallo scià a Khomeini, da Khatami ad Ahmadinejad, fino a Rouhani.  In attesa di dare le dimissioni, si è lanciato nel progetto di costruire la nuova cattedrale dei latini, che sta emergendo in un quartiere nuovo (v. foto), e che sarà dedicata al Sacro Cuore. I salesiani stanno anche cercando benefattori per sostenere quest’opera così importante, che rende presente la comunità nei nuovi quartieri della capitale. Il terreno – molto difficile da ottenere - è stato concesso da Rouhani, ma il progetto ha dovuto sottostare alle regole di sempre: la facciata non deve essere visibile dalla strada.

Parlando con diversi cristiani, si percepisce il timore che la ventata di novità di Rouhani sia solo passeggera. E vi è anche un po’ di sfiducia perché “in tutti questi anni abbiamo sentito parlare molto e promettere molto, ma poi non si è verificato nulla”.

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