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http://www.cfr.org

1 settembre 2016

 

Discutendo la legalità della guerra senza fine del dopo undici settembre

di Zachary Laub

 

Nella settimana dopo l'11 settembre 2001, il Congresso ha autorizzato il presidente "ad usare tutta la forza necessaria e appropriata contro quelle nazioni, organizzazioni o persone che determinano pianificano, autorizzano, commettono o aiutano gli attacchi terroristici", così come nei confronti di chi "protegge tali organizzazioni o persone." Quindici anni dopo, tale risoluzione, noto come l'autorizzazione all'uso della forza militare, o AUMF, sia alla base di operazioni militari di ampio respiro rivolte al diffuso movimento jihadista.

Sebbene sia lunga solo sessanta parole, i presidenti George W. Bush e Barack Obama hanno citato i motivi giuridici interni della AUMF per la guerra in Afghanistan, le detenzioni a tempo indeterminato, e le uccisioni mirate oltre i campi di battaglia convenzionali. L'amministrazione Obama ha sostenuto un'ampia definizione di ciò che costituisce una forza associata di al-Qaeda o dei Talebani, per effettuare attacchi aerei o schierare forze speciali in Iraq, Pakistan, Somalia, Siria e Yemen, anche se i critici dicono che molti dei militanti che sono stati presi di mira, avevano al massimo un collegamento marginale con i responsabili degli attacchi dell’11/9. Eppure, molti legislatori e giuristi hanno assecondato il punto di vista dell’amministrazione, offrendo alla Casa Bianca un ampio margine di discrezionalità.

Ciò nonostante, come una vasta gamma di critici, l'amministrazione Obama ha chiamato l’AUMF obsoleta, gli sforzi del Congresso per abrogarla e/o sostituirla, hanno vacillato in mezzo al disaccordo su ciò che fosse meglio. I falchi della sicurezza nazionale cercano di fornire al presidente un’ampia tolleranza per porre come bersaglio i gruppi come l’autoproclamato Stato Islamico, mentre i civili libertari sperano di imporre limiti sull’azione militare come: obiettivi specifici, limiti geografici, o clausole al tramonto.

Qui sotto, quattro studiosi offrono i loro punti di vista sull’eredità dell’AUMF e sulla sua applicabilità agli odierni conflitti armati.

 

L'interpretazione della amministrazione dell’AUMF delude i propositi dei fondatori.

di Michael J. Glennon

Professore di diritto internazionale, alla Fletcher School of Law and Diplomacy, della Tufts University

 

La forzatura dell’AUMF dell'amministrazione Obama del 2001 frustra completamente gli scopi dei creatori della Costituzione.

 

I fondatori hanno conferito all'esecutivo il potere di usare la forza difensiva quando le minacce alla nazione fossero così imminenti che sottraevano al Congresso il tempo di agire. Ma in assenza di emergenze, essi richiesero l'approvazione del Congresso prima dell'uso della forza. In questo quadro, i fondatori credevano che, anticipando i propositi, la deliberazione collettiva, la trasparenza, il consenso politico, e la responsabilità democratica avrebbero salvaguardato la nazione.

L’AUMF del 2001 ha autorizzato l'uso della forza contro i due autori degli attacchi di 9/11, al-Qaeda e i Talebani. Ma l'amministrazione Obama ora interpreta è autorizza la guerra contro lo Stato islamico, un'organizzazione che sta combattendo contro al-Qaeda in Siria, non ha avuto parte negli attacchi dell’11/9, e non esisteva nemmeno fino a molti anni dopo.

Le conseguenze di questa interpretazione insostenibile sono sorprendenti. Non c'è stato alcun dibattito significativo sul fatto che l'interesse nazionale americano richiedesse una guerra contro lo Stato islamico. Il cenno dell'amministrazione alla trasparenza, così com'è, consiste in discorsi vaghi, anonime digressioni ad amichevoli giornalisti che non si firmano, pareri legali sommari impartiti privatamente a selezionati membri del Congresso. Nessun membro è politicamente responsabile perché a nessun membro è stato richiesto di votare su di una specifica AUMF contro lo Stato islamico. "Non è difficile immaginare che un futuro presidente utilizzerà questo esempio per giustificare anche l'avvio di una guerra senza l'autorizzazione del Congresso", lo ha detto il senatore Tim Kaine a maggio.

Il capitano Nathan Smith, un ufficiale dei servizi segreti dell'esercito ordinato di partecipare alla guerra contro lo Stato islamico, ha sfidato i suoi ordini in tribunale, dicendo che violano la Risoluzione War Powers del 1973. La risoluzione, rivendicando i fini dei fondatori, richiede al presidente di rimuovere le forze armate dall’ostilità entro novanta giorni dalla loro distribuzione, a meno che il Congresso approvi specificatamente l'uso della forza. Il 19 agosto, ho depositato la memoria volontaria, con il Progetto di Costituzione, un istituto di ricerca bipartisan, che sostiene l'azione di Smith. Noi sosteniamo che la lettura del 2001 per la somministrazione dell’AUMF come autorizzazione generale non è consentita dai requisiti della risoluzione che qualsiasi uso della forza debba essere specificatamente autorizzato.

Se Smith prevarrà fornirà indicazioni effettive per stabilire se l’iea dei fondatori governa ancora.

 

Il prossimo Congresso dovrebbe abrogare e sostituire l'obsoleto AUMF.

di John B. Bellinger III

Adjunct Senior Fellow, Council on Foreign Relations, e Partner, Arnold & Porter LLP

 

Come consulente legale al Consiglio di Sicurezza Nazionale, ero nella Situation Room al momento degli attacchi dell’11/9 e ho contribuito alla stesura dell’AUMF, che ha fornito la base giuridica nazionale per l'uso della forza contro al-Qaeda e i terroristi associati in gruppi negli ultimi quindici anni. Ho sempre sostenuto, anche in un editoriale del 2010, "una legge antiterrorismo necessita di un aggiornamento", cioè l’AUMF  del 2001 dovrebbe essere aggiornato per conferire esplicita autorità di usare la forza contro i gruppi terroristici che minacciano gli Stati Uniti, ma non sono stati coinvolti nel gli attacchi dell’11/9. L'ascesa dello Stato Islamico ha reso ancora più chiaro che il Congresso dovrebbe adottare una nuova legislazione, sia per aggiornare l’AUMF 2001 e, in particolare, per autorizzare l'uso della forza contro lo Stato islamico.

Perché il Congresso non sia riuscito a far passare una nuova autorizzazione, l'amministrazione Obama ha fatto affidamento negli ultimi due anni all’AUMF 2001 come base giuridica per l'uso della forza sia contro al-Qaeda che contro lo Stato islamico. Si è sostenuto che l'autorità in base all’interpretazione giuridica che lo Stato islamico è un discendente di al-Qaeda, anche se i due gruppi non sono effettivamente associati. Questa interpretazione ha permesso sia al potere esecutivo che al Congresso di evitare il requisito della War Powers Resolution, che il presidente non può impegnare le forze armate degli Stati Uniti per più di sessanta giorni senza l’autorizzazione dal Congresso. Ma è antidemocratico il 114th Congresso per non aver fornito nuove e specifiche autorità, e la dipendenza del potere esecutivo dall’AUMF 2001 viene ora contestata in un tribunale federale.

Diversi membri del Congresso, in particolare il vice candidato presidenziale democratico senatore Tim Kaine, hanno offerto un progetto di legge che avrebbe espressamente autorizzato l'uso della forza contro lo Stato islamico. Hillary Clinton ha dichiarato che l’AUMF 2001 autorizza l'uso della forza contro lo Stato islamico, ma che "vorrebbe vederlo l'aggiornato." Nel febbraio 2015, la Casa Bianca ha offerto la sua proposta, che avrebbe fornito ampia facoltà di usare la forza contro lo Stato islamico in diversi paesi, ma scadendo dopo tre anni, non avrebbe consentito "operazioni di offensive durature per combattimenti a terra."

Quasi tutti i membri del Congresso supportano l'uso della forza militare contro lo Stato islamico, ma repubblicani e democratici sono stati in grado di accordarsi su di un linguaggio specifico. I Democratici Progressisti erano riluttanti a votare per i nuovi poteri di guerra, che non fossero strettamente limitati dalla geografia e dalla durata. Vedevano la proposta della Casa Bianca, come troppo ampia. La maggior parte dei repubblicani, d'altra parte, non hanno voluto limitare l'autorità del presidente. Mentre possono convenire che il ricorso all’AUMF 2001 è innaturale, non vogliono limiti geografici, tipo di forza, o durata.

L’AUMF 2001 è stato redatto frettolosamente dopo l’11/9 per autorizzare l'uso della forza contro gli autori di questi attacchi. Il prossimo Congresso dovrebbe abrogare l’AUMF obsoleto e sostituirlo con uno che autorizzi il nuovo presidente ad usare la forza necessaria e adeguata non solo contro al-Qaeda e i gruppi ad essa associati, ma anche contro lo Stato islamico e altri gruppi terroristici più recenti che minacciano gli Stati Uniti e i suoi interessi.

 

Una presa di posizione pubblica sull'uso della forza può essere politicamente rischiosa per i membri del Congresso.

di Elizabeth N. Saunders

Stanton Nuclear Security Fellow, Council on Foreign Relations, e assistente professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla George Washington University

 

Nei quindici anni passati dagli attacchi dell’11/9, il Congresso ha spesso invitato il presidente a rispettare la War Powers Resolution (WPR), ma raramente l’ha usata per trattenerlo, ne il Congresso ha autorizzato interventi recenti. Durante l’intervento in Libia nel 2011, per esempio, i membri del Congresso hanno criticato il presidente Obama per non aver chiesto l'autorizzazione, ma l'operazione e proceduta senza l'autorizzazione del Congresso oltre il limite dei sessanta giorni previsto dalla WPR. Allora perché il Congresso non si è infuriato, pretendendo un intervento legislativo?

Molte spiegazioni sono istituzionali. Come James M. Lindsay del CFR ha osservato nella sua serie di post sulla costituzionalità delle operazioni in Libia, uno dei motivi per cui il Congresso impone così di rado la sua volontà al presidente è che il presidente può agire per primo, costringendo il Congresso allo sforzo di fermarlo. Il potere di veto del presidente significa anche che l'esecutivo ha bisogno solo del voto di trentaquattro Senatori per procedere. Come Lindsay ha ammesso, "Di fronte a quelle quote scoraggianti, la maggior parte dei membri del Congresso non vedono il punto nella sfida alla Casa Bianca. Perché sprecare preziosa energia legislativa contro i mulini a vento?"

Charlie Savage del The New York Times, ha relazionato sulle decisioni del Presidente Obama di trattare la guerra contro lo Stato islamico come un'estensione della guerra contro il terrorismo del post 9/11, piuttosto che cercare un nuovo AUMF, un altro motivo per la mancanza di un’autorizzazione formale: Obama ritiene che "sia controproducente per il Congresso, votare tutte le autorizzazioni di guerra entro sessanta giorni."

Ma c'è anche una ragione politica perché la questione WPR rimane irrisolta: forse al Congresso piace in quel modo, e quindi potrebbe piacere al presidente per lo stesso motivo. Una presa di posizione pubblica sull'uso della forza può essere rischiosa per i membri del Congresso; discutere la WPR incanala le critiche del Congresso verso questioni procedurali. Questo tipo di dibattito orientato al processo permette ai legislatori che sentono il bisogno di lanciare critiche al presidente di farlo, evitando futili o controversi dibattiti, tanto meno votazioni, su questioni di merito che potrebbero lasciarli apparire deboli rispetto alla sicurezza nazionale, o che hanno sostenuto una guerra che è poi divenuta impopolare. Inoltre, limitando il dibattito alle questioni procedurali, i membri del Congresso possono

appianare le divergenze sui propri disaccordi sul corso prescelto del presidente, come ad esempio sulle dimensioni della missione o se la decisione di usare la forza, in primo luogo è stata saggia.

Il ciclo del dibattito e dell’inazione sui poteri di guerra non è semplicemente il prodotto dell’inerzia del Congresso, della disfunzione o del sottrarsi. Piuttosto, serve una funzione politica utile sia per l'esecutivo che per il legislativo. Gli studiosi di legge possono forse avere ragione sul fatto che il paese sarebbe meglio servito da un vero e proprio dibattito, quando il presidente prende decisioni ostili, ma fino a quando i membri del Congresso e il presidente si accontentano dello status quo, un nuovo AUMF non prenderà forma.

 

L’AUMF ha aperto un'era di guerra a tempo indeterminato.

di Samuel Moyn

Jeremiah Smith, Jr Professore di Diritto e Professore di Storia, Università di Harvard.

 

Sappiamo dalla storia che il Congresso ha un compito iniziale epocale nel dare l’ultima parola sulla guerra. Dopo tutto, non è affatto senza precedenti per interventi militari americani che si espandono in seguito.

Nel suo classico autopsia del Vietnam, per esempio, il grande liberale, professore di legge John Hart Ely ha mostrato come la Risoluzione sul Golfo del Tonchino o i successivi stanziamenti abbiano coperto benissimo quasi tutto quello che ne è seguito durante il decennio successivo, anche dopo che il Congresso finse di limitare retroattivamente la portata del suo modulo di autorizzazione iniziale.

Ely ha concluso che qualcosa era andato terribilmente storto quando la guerra fredda spuntò perché l'originale comprensione costituzionale, cioè che l'autorità di distribuire la forza sarebbe ripartita tra l'esecutivo e i rami legislativi, è stata ignorata. Né la fine della guerra fredda consentì un ritorno allo status quo ante.

Ancor più che la risoluzione del Golfo del Tonchino, l’AUMF del 18 settembre 2001, ha aperto un'era di guerra a tempo indeterminato. Si è dimostrata più elastica rispetto alle prime sovvenzioni del potere di guerra da parte del Congresso, sia perché il nemico è molto più intercambiabile, sia perché il conflitto non ha chiari confini geografici. Ma la cosa più importante, è che le atrocità in Vietnam, alla fine hanno contribuito a rendere la guerra politicamente impopolare, contribuendo a provocarne la sua fine. Il presidente Barack Obama ha capito che se la guerra è fatta in modo pulito e umano può essere condotta senza fine. Gli attacchi dei droni, tra le altre pratiche, hanno portato alcuni obbrobri sulla guerra senza fine, ma neanche lontanamente sufficienti a costringere la sua de-escalation, forse perché i droni incarnano un conflitto più libero dai danni collaterali di qualsiasi contro-insurrezione nella storia.

Come professori di diritto Curtis Bradley e Jack Goldsmith hanno recentemente dimostrato, che le reinterpretazione di Obama dell’AUMF, apparentemente senza limiti, è uno delle sue principali eredità e l'amministrazione ha interpretato il diritto internazionale in modo che l’AUMF corrisponda all'autorità del presidente, piuttosto che limitarla. Vorrei semplicemente aggiungere che i civili libertari e gli attivisti per i diritti umani che hanno vigorosamente ricercato vincoli su come i presidenti combattono le loro guerre, comunque onorevoli, paradossalmente, hanno reso più difficile sfidare l'espansione del potere presidenziale di andare in guerra. Abbiamo unito leggi indebolite, se la guerra può continuare, con le leggi rinforzate sul modo in cui si combatte. È la ricetta perfetta per l'infinito, se di basso livello, uso della forza.

L’AUMF è la parte importante di una storia deprimente per i nostri tempi per chi crede che tutto il potere, e in particolare il potere di andare in guerra, debba avere dei limiti. Potrevamo imparare questa lezione dopo il Vietnam, ma si scopre che abbiamo risposto solo rendendo la guerra meno atroce.

 


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September 1, 2016

 

Debating the Legality of the Post 9/11 ‘Forever War’

By Zachary Laub

Online Writer/Editor

 

In the week after September 11, 2001, Congress authorized the president “to use all necessary and appropriate force against those nations, organizations, or persons he determines planned, authorized, committed, or aided the terrorist attacks,” as well as against those who “harbored such organizations or persons.” Fifteen years later, that resolution, known as the Authorization for the Use of Military Force, or AUMF, underpins wide-ranging U.S. military operations targeting a diffuse jihadi movement.

Though just sixty words long, Presidents George W. Bush and Barack Obama have cited the AUMF as the domestic legal grounds for the war in Afghanistan, indefinite detentions, and targeted killings beyond conventional battlefields. The Obama administration has advocated a broad definition of what constitutes an “associated force” of al-Qaeda or the Taliban to carry out air strikes or deploy special forces in Iraq, Pakistan, Somalia, Syria, and Yemen, even as critics say that many of the militants who have been targeted bear at most a tangential connection to the perpetrators of the 9/11 attacks. Still, many lawmakers and jurists have seconded the administration’s view, offering the White House broad discretion.

Even as a wide array of critics and, indeed, the Obama administration have called the AUMF outdated, congressional efforts to repeal or replace it have faltered amid disagreement over what should succeed it. National security hawks seek to provide the president with broad latitude to target groups such as the self-proclaimed Islamic State, while civil libertarians hope to impose limits on military action by specifying objectives, geographic limits, or sunset provisions.

Here, four scholars offer their perspectives on the AUMF’s legacy and its applicability to today’s armed conflicts.

 

The administration’s interpretation of the AUMF defeats the founders’ purposes.

By Michael J. Glennon

Professor of International Law, Fletcher School of Law and Diplomacy, Tufts University

 

The Obama administration’s strained interpretation of the 2001 AUMF wholly defeats the purposes of the Constitution’s framers.

 

The founders empowered the executive to use defensive force when threats to the nation are so imminent that Congress has no time to act. But in non-emergencies, they required congressional approval prior to the use of force. This framework, the founders believed, advanced the purposes of collective deliberation, transparency, political consensus, and democratic accountability while safeguarding the nation.

The 2001 AUMF authorized the use of force against the two authors of the 9/11 attacks, al-Qaeda and the Taliban. Yet the Obama administration now construes it to authorize war against the Islamic State, an organization that is now fighting against al-Qaeda in Syria, had no hand in the 9/11 attacks, and did not even exist until years afterward.

The consequences of this untenable interpretation are unsurprising. There has been no meaningful debate on whether the U.S. national interest requires a war against the Islamic State. The administration's nod toward transparency, such as it is, has consisted of vague speeches, anonymous asides to friendly journalists, and unsigned, cursory legal opinions given privately to hand-picked members of Congress. No member is politically accountable because no member has been required to vote on an AUMF specific to the Islamic State. “It's not hard to imagine that a future president will use this example to also justify initiating war without the permission of Congress,” Senator Tim Kaine said in May.

Captain Nathan Smith, an Army intelligence officer ordered to participate in the war against the Islamic State, has challenged his orders in court, saying they violate the 1973 War Powers Resolution. The resolution, vindicating the founders’ purposes, requires the president to remove armed forces from hostilities within ninety days of deploying them unless Congress specifically approves the use of force. On August 19, I filed an amicus brief, with the Constitution Project, a bipartisan research institute, supporting Smith’s action. We argue that the administration’s reading of the 2001 AUMF as a general authorization is disallowed by the resolution’s requirement that any use of force be specifically authorized.

Whether Smith prevails will provide insight into whether the founders’ framework still governs.

 

The next Congress should repeal and replace the outdated AUMF.

By John B. Bellinger III

Adjunct Senior Fellow, Council on Foreign Relations, and Partner, Arnold & Porter LLP

 

As legal adviser to the National Security Council, I was in the Situation Room at the time of the 9/11 attacks and helped draft the 2001 AUMF, which has provided the domestic legal basis for the use of force against al-Qaeda and associated terrorist groups for the last fifteen years. I have long argued—including in a 2010 op-ed, “A Counterterrorism Law in Need of Updating”—that the 2001 AUMF should be updated to provide explicit authority to use force against terrorist groups that threaten the United States but were not involved in the 9/11 attacks. The rise of the Islamic State has made it clearer still that Congress should enact new legislation, both to update the 2001 AUMF and, specifically, to authorize the use of force against the Islamic State.

Because Congress has failed to pass a new authorization, the Obama administration has relied for the last two years on the 2001 AUMF as the legal basis for the use of force against both al-Qaeda and the Islamic State. It has claimed that authority based on the strained legal interpretation that the Islamic State is a descendant of al-Qaeda, even if the two groups are not actually associated. This interpretation has permitted both the executive branch and Congress to duck the requirement in the War Powers Resolution that the president may not commit U.S. armed forces for more than sixty days unless authorized by Congress. But it is undemocratic for the 114th Congress not to have provided new and specific authority, and the executive branch’s reliance on the 2001 AUMF is now being challenged in federal court.

Several members of Congress, most notably Democratic vice presidential nominee Senator Tim Kaine, have offered draft legislation that would specifically authorize the use of force against the Islamic State. (Hillary Clinton has said that the 2001 AUMF authorizes use of force against the Islamic State, but that she “would like to see it updated.”) In February 2015, the White House offered its own proposal, which would have provided broad authority to use force against the Islamic State in multiple countries, but expire after three years. It would not have permitted “enduring offensive ground combat operations.”

Almost all members of Congress support the use of military force against the Islamic State, but Republicans and Democrats have been unable to agree on specific language. Progressive Democrats have been reluctant to vote for any new war powers that are not strictly limited by geography and duration. They have viewed the White House proposal as much too broad. Most Republicans, on the other hand, have not wanted to restrict the president’s authority. While they may agree that reliance on the 2001 AUMF is strained, they do not want limits by country, type of force, or duration.

The 2001 AUMF was hastily drafted after 9/11 to authorize the use of force against the perpetrators of those attacks. The next Congress should repeal the outdated AUMF and replace it with one that authorizes the new president to use necessary and appropriate force not only against al-Qaeda and associated groups, but also against the Islamic State and other newer terrorist groups that threaten the United States and its interests.

 

Taking a public stand on the use of force can be politically risky for members of Congress.

byElizabeth N. Saunders

Stanton Nuclear Security Fellow, Council on Foreign Relations, and Assistant Professor of Political Science and International Affairs, George Washington University

 

In the fifteen years since the 9/11 attacks, Congress has often called on the president to comply with the War Powers Resolution (WPR), but has rarely used it to restrain him. Yet Congress has not authorized recent interventions either. During the 2011 Libya intervention, for example, members of Congress criticized President Obama for failing to seek authorization, but the operation proceeded without congressional authorization beyond the sixty-day limit required by the resolution. So why has Congress’s bluster not been matched by legislative action?

Many explanations are institutional. As CFR’s James M. Lindsay noted in his series of blog posts on the constitutionality of the Libya operation, one reason Congress so rarely imposes its will on the president is that the president can act first, forcing Congress to put in the effort to stop him. The president’s veto power also means that the executive only needs thirty-four Senate votes to proceed. As Lindsay put it, “Facing those daunting odds, most members of Congress don’t see the point in challenging the White House. Why waste valuable legislative energy tilting at windmills?”

The New York Times’sCharlie Savage, reporting on President Obama’s decision to treat the war against the Islamic State as an extension of the post-9/11 war on terrorism rather than seek a new AUMF, noted another reason for the lack of formal authorization: Obama believed that Congress was “too dysfunctional to vote on any war authorization within sixty days.”

But there is also a political reason why the war powers issue remains unresolved: Congress may like it that way (and so might the president, for that matter). Taking a public stand on the use of force can be risky for members of Congress; debating the WPR channels congressional criticism toward procedural issues instead. This kind of process-oriented debate allows lawmakers who may feel they need to lob criticism at the president to do so while avoiding potentially futile or controversial debates, much less votes, on substantive issues that might leave them appearing weak on national security, or having supported a war that has turned unpopular. Additionally, by confining debate to procedural issues, members of Congress can paper over their own disagreements about the president’s chosen course, such as on the size of the mission or whether the decision to use force in the first place was wise.

The cycle of debate and inaction on war powers is not simply the product of congressional inertia, dysfunction, or shirking. Rather, it serves a useful political function for both the executive and legislative branches. Legal scholars may be right that the country would be better served by a real debate when the president takes the country into hostilities, but as long as members of Congress and the president are content with the status quo, a new AUMF will not take shape.

 

The AUMF opened an era of indefinite war.

Samuel Moyn

Jeremiah Smith, Jr. Professor of Law and Professor of History, Harvard University.

 

We know from history that Congress has a momentous initial task in signing off on war. After all, it is far from unprecedented for America’s military interventions to expand afterwards.

In his classic autopsy of Vietnam, for example, the great liberal law professor John Hart Ely showed how the Gulf of Tonkin Resolution or subsequent appropriations bills might well have covered nearly everything that followed over the following decade—even after Congress retroactively pretended to limit the scope of its initial permission slip.

Ely concluded that something had gone dreadfully wrong when the Cold War dawned because the original constitutional understanding—that authority to deploy force would be shared between the executive and the legislative branches—was given up. Nor did the end of the Cold War allow a return to the status quo ante.

Even more than the Gulf of Tonkin Resolution, the AUMF of September 18, 2001, opened an era of indefinite war. It has proven more elastic than prior congressional grants of war power both because the enemy is much more fungible and because the conflict has no clear geographical boundaries. But most important, where atrocity in Vietnam eventually helped make that war politically unpopular, helping bring about its end, President Barack Obama has understood that if war is made clean and “humane,” it can be made endless. Drone strikes, among other practices, have brought some opprobrium on the forever war, but nowhere near enough to compel its de-escalation, perhaps because drones epitomize a conflict freer of collateral damage than any counterinsurgency in history.

As law professors Curtis Bradley and Jack Goldsmith have recently shown, Obama's reinterpretation of the AUMF as apparently limitless is one of his main legacies—and the administration has construed international law so that it matches the president’s AUMF authority, rather than limits it. I would simply add that civil libertarians’ and human rights activists’ vigorous pursuit of constraints on how presidents fight their wars—however honorable—has, paradoxically, made it tougher to challenge the expansion of presidential authority to go to war in the first place. We have coupled weakened laws on whether war can continue with strengthened laws on how they are fought. It is the perfect recipe for the endless, if low-level, use of force.

The AUMF is a big part of a depressing tale for our times for anyone who believes that all power, and especially the power to go to war, must have limits. We might have learned this lesson after Vietnam, but it turns out that we only responded by making war less atrocious.