La scopa del sistema

di David Foster Wallace

Fandango, Roma, 1999

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1981

Molte ragazze davvero belle hanno dei piedi davvero brutti, e Mindy Metalman non fa eccezione, pensa Lenore, all'improvviso. Sono piatti e lunghi, con le dita strombate e i mignoli afflitti da bottoni di una callosità giallognola che riappare a mo' di battiscopa lungo i calcagni, e sul dosso dei piedi sbucano peluzzi neri arricciati, e lo smalto rosso è screpolato e si scrosta a boccoli per quant'è vecchio, mostrando qua e là striature bianchicce. Lenore se ne accorge solo perché Mindy si è chinata in avanti sulla sedia accanto al minifrigo per staccare dalle unghie dei piedi appunto un paio di fiocchi di smalto; i lembi dell'accappatoio si dischiudono su un generoso scorcio di scollatura, decisamente più sostanziosa di quella di Lenore, e lo spesso asciugamano bianco che cinge la chioma zuppa e shampizzata di Mindy si è afientato e una ciocca di capelli scuri è sgusciata tra le pieghe e scende leggiadra incorniciandole la guancia fin sul mento. Nella stanza c'è odore di shampoo Flex, ma anche di canne, poiché Clarice e Sue Shaw si stanno facendo uno spino bello grosso che Lenore ha ricevuto in dono da Ed Creamer alla Shaker School e ha portato qui al college insieme ad altra roba per Clarice.

Il fatto è che Lenore Beadsman, che ha quindici anni, è appena arrivata da casa dei suoi a Shaker Heights, Ohio, a due passi da Cleveland, per far visita alla sorella maggiore, Clarice Beadsman, che è matricola qui al college femminile Mount Holyoke; Lenore, dunque, con annesso sacco a pelo, si trova in una stanza al secondo piano del dormitorio della Rumpus Hall, cioè dove Clarice alloggia con le compagne di corso Mindy Metalman e Sue Shaw.

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1990

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L'infermiera gettò dalla finestra l'acqua rimasta nel bicchiere di un paziente, l'acqua piovve a terra e specialmente su un chicco di ghiaia alterandone il precario equilibrio e spedendolo ruzzoloni giù dal marciapiedi e da qui attraverso la grata d'un tombino nella fogna sottostante, con uno schiocco secco che atterrì uno scoiattolo intento a rosicchiare una ghianda e lo fece sfrecciare su per il tronco dell'albero più vicino squassando un ramoscello instabile e cogliendo di sorpresa un paio di nervosi uccellini mattinieri, uno dei quali prima di volar via sganciò a mo' di zavorra un bolo di escrementi bianco e marrone che piombò sul parabrezza dell'utilitaria di tal Lenore Beadsman che proprio in quel momento completava la manovra di parcheggio. Lenore scese dalla macchina mentre gli uccellini volavano via, chiassosi.

Aiuole in finto marmo, con la plastica qua e là gonfia o frusta per il gran caldo del mese scorso, fiancheggiavano la rampa di cemento liscio che collegava il parcheggio al portone d'ingresso della Casa, e sfoggiavano gli ultimi fiori d'estate rinsecchiti e ingrigiti nei rispettivi letti di terriccio asciutto e plastica liscia dai quali si dipartivano un paio di rampicanti marroncini che si avventuravano timidamente su per i supporti della ringhiera che costeggiava la rampa sopra le aiuole, ringhiera la cui vernice giallo limone risultava cedevole e appiccicosa già di primo mattino. La rugiada brillava tenue sulla scabra erba d'agosto; la luce del sole scivolò sul prato mentre Lenore percorreva la rampa.

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1990

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Mettiamo che qualcuno mi avesse detto, dieci anni fa, a Scarsdale, o magari in treno mentre andavo al lavoro, mettiamo che questo qualcuno fosse il mio vicino di casa, Rex Metalman, il consulente societario dotato di figlia incredibilmente ancheggiante, mettiamo che ciò avvenisse prima dell'aggravarsi della sua ossessione per il prato e dei conseguenti pattugliamenti notturni di tipo paramilitare a bordo di falciaerba dotato di fari, e dei settimanali bombardamenti aerei di DDT per radere al suolo tutt'al più una misera tana di lombrichi, e della sua assoluta intransigenza di fronte alle ragionevoli e inizialmente garbate insistenze da parte prima di uno e poi di tutti i vicini tese a fargli mitigare magari anche gradualmente le ostilità contro i potenziali nemici del suo prato da cui si sentiva braccato, e altresì prima che tutto ciò scavasse nella nostra amicizia a base tennistica un solco largo quanto un sacco di fertilizzante Scott's, mettiamo dunque che Rex Metalman avesse ipotizzato, allora, che dieci anni più tardi, cioè a dire adesso, io, Rick Vigorous, mi sarei ritrovato ad abitare a Cleveland, tra un lago biologicamente defunto nonché oltraggiosamente fetido e un deserto artificiale da un miliardo di dollari, che mi sarei ritrovato divorziato da mia moglie e fisicamente esiliato dallo sviluppo di mio figlio, che mi sarei ritrovato a condurre un'azienda in società con una persona invisibile ovvero, come risulta ormai evidente, con poco più che un'entità societaria interessata a perdite finanziarie a scopo fiscale, azienda dedita a pubblicare cose forse addirittura più risibili del non pubblicare un accidenti di niente, e che appollaiato in cima a questa montagna di cose incredibili ci sarebbe stato il mio ritrovarmi innamorato, banalmente e pateticamente e furiosamente innamorato di una donna più giovane di me di ben diciotto, diconsi diciotto, anni, una donna che appartenesse a una delle famiglie più in vista di Cleveland, che abitasse in una città di proprietà del padre e che tuttavia sgobbasse come centralinista per uno stipendio di qualcosa come quattro dollari l'ora, una donna la cui tenuta consistente di vestito in cotone bianco e Converse nere modello alto fosse una costante conturbante e refrattaria a ogni analisi, una donna che si sottoponesse a un totale di docce giornaliere che sospetterei oscillare tra le cinque e le otto, che lavorasse nevroticamente come quei balenieri che in penuria di balene passano il tempo a incollar conchiglie per farne souvenir, che coabitasse con un uccellino schizofrenicamente narcisista e con un'amica stronza e quasi sicuramente ninfomane, e che in me trovasse, nascosto chissà dove, l'amante ideale... mettiamo che tutto ciò me l'avesse pronosticato un Rex Metalman in vena di chiacchiere, appoggiato alla staccionata che separava la sua proprietà dalla mia, lui con in mano il suo lanciafiamme e io col mio rastrello, mettiamo dunque che Rex mi avesse pronosticato tutto ciò: io quasi sicuramente gli avrei detto che le probabilità che queste sue profezie si avverassero equivalevano all'incirca a quelle che il giovane Vance Vigorous, all'epoca bimbo di otto anni eppure per certi aspetti più uomo di me, che il giovane Vance, quel giovane Vance probabilmente lì accanto a noi in quel momento e intento a calciare su nel freddo cielo autunnale un pallone destinato poi a tornar giù e spaccare una finestra mentre la sua risata echeggiava all'infinito tra i gracili fusti degli alberi suburbani, che il ben piantato Vance diventasse un... un omosessuale, o qualcosa di altrettanto improbabile o assurdo o totalmente fuori discussione.

Adesso i cieli risuonano di sogghigni meschini. Adesso che persino a me è diventato innegabilmente chiaro che ho un figlio che fornisce all'espressione "frutto dei miei lombi" prospettive di senso assolutamente inedite, che mi trovo qui a fare ciò che faccio quando non ho niente da fare, che sento uno spiffero vacuo e abbasso gli occhi e mi scopro un buco nel petto e allora spio nella borsa in poliuretano di Lenore Beadsman cercando, tra aspirine e saponette d'albergo e biglietti della lotteria e assurdi libri che non significano niente, il bolo palpitante del mio proprio cuore, cosa dovrei dire a Rex Metalman e a Scarsdale e alla tana di lombrichi e al passato se non che esso non esiste, che è stato obliterato, che mai nessun pallone volò nel cielo freddo, che i miei assegni per l'educazione di mio figlio finiscono in una voragine nera, che a un certo punto, forse anche punti, un uomo può e deve rinascere e rinasce? Rex rimarrebbe perplesso e, come sempre in caso di perplessità, dissimulerebbe il proprio disagio cannoneggiando una porzione di prato. Io, ormai consapevole, rimarrei, rastrello gelido in mano pallida, immobile sotto una pioggia di terriccio ed erba e lombrichi, e scuoterei il capo di fronte all'assurdità di ciò che mi circonda.

Allora, chi è questa ragazza che mi possiede, che tanto amo? Rifiuto sia di pormi domande sia di dare risposte riguardo al chi è. Cosa è? È una ragazza dalle spalle esili, dalle braccia esili, dal seno gagliardo, una ragazza dalle lunghe gambe e dai piedi più lunghi della media, piedi che quando cammina puntano un po' all'infuori... cinti dalle immancabili e immancabilmente nere Converse modello alto. Ho parlato di tenuta conturbante? Macché: quelle sono scarpe che amo. Vi confesso che una volta, in un momento di indubbiamente irresponsabile degenerazione e mentre Lenore era in bagno a farsi la doccia, io tentai di fare l'amore con una delle suddette scarpe, una All-Star 1989 modello alto, ma, per ragioni private, non riuscii a portare a termine l'operazione.

Che dire, dunque, di Lenore, dei capelli di Lenore? Sono capelli che in sé e di per sé sono di tutti i colori - biondi e rossi e corvini e raMati - ma che determinano un compromesso ottico esteriore tale da farli risultare complessivamente, e tranne per fulminei bagliori registrabili solo mediante coda dell'occhio, banalmente castani. Capelli che vengono giù lisci seguendo la dolce curva delle guance di Lenore fin sotto il mento, dove quasi si ricongiungono, come fragili mandibole di insetto rapace. Oh, se quei capelli sanno mordere. Di quei capelli io conosco il morso.

E gli occhi. Io non so dire il colore degli occhi di Lenore Beadsman; non posso guardarli; per me quegli occhi sono il sole.

Sono blu. Le sue labbra sono carnose e rosse e tendono al rorido e più che chiedere pare pretendano, in quel loro broncio di seta liquida, d'esser baciate. Io le bacio spesso, lo ammetto, inutile negarlo, ne sono un baciatore, e un bacio con Lenore è, se mi è concesso indugiare un po' su questo tema, non tanto un bacio quanto una dislocazione, è rimozione e poi brusca assunzione di essenza dall'io alle labbra, sicché è non tanto il contatto di due corpi umani per fare le solite cose a colpi di labbra quanto due insiemi di labbra in reciproca cova e in comunione di specie sin dagli albori dell'èra post-Scarsdale, forti di condizione ontologica autonoma sancita dalla suddetta comunione, che trascinano dietro e sotto di sé, mentre si uniscono e diventano una cosa sola, due ormai completamente superflui corpi terreni appesi al bacio come spossati gambi di fiori sursbocciati ovvero come mute ormai inservibili. Un bacio con Lenore è una sequenza in cui io pattino con scarpe imburrate sull'umida pista del suo labbro inferiore, protetto dalle intemperie grazie all'aggetto madido e tiepido di quello superiore, per infine riparare tra labbro e gengiva e rimboccarmi il labbro sin sul naso come un bimbo la coperta e da lì scrutare con occhi lustri e ostili il mondo esterno a Lenore, del quale non voglio più far parte.

Che in ultima analisi io debba invece continuare a far parte del mondo estraneo a Lenore ed esterno a Lenore è per me fonte di pena smisurata. Che altri possano indugiare liberamente nel profondo dei loro cari e attingere con dolci sorsate al lago cremoso ubicato al centro dell'Oggetto della Passione, quando invece io sono per sempre destinato al mero intuire la presenza di profondi recessi mentre tutt'al più riesco a infilare il naso, anche letteralmente, nell'atrio della Grande Casa dell'Amore e ivi a dimenarmi per pochi istanti e poi lasciare un mio patetico souvenir sullo zerbino, mi fa incazzare alquanto. Eppure il fatto che queste minime frenesie, queste conversazioni sul limitare della Soglia dell'Unione, Lenore le trovi non solo piacevoli e divertenti ma in qualche modo addirittura complete, appaganti, significative e per certi versi meravigliose, semplicemente e tutt'altro che sorprendentemente me le fa sentire come le sente lei, dilata la mia percezione tanto di esse quanto di me stesso, mi spedisce di gran carriera fìn sulla suddetta Soglia con la migliore delle mie giacche sportive e un fiore all'occhiello, eccitato come uno scolaretto e ogni volta come fosse la prima, mi scaglia all'attacco della spelonca bardato in pelle di leopardo e avec clava gridando la mia voglia di entrare e promettendo spaccamenti di culo a chiunque tentasse di impedirmelo.

Le prime parole ce le scambiammo, strano per quanto possa sembrare, non nel Bombardini Building bensì nello studio dello specialista i cui servizi scoprimmo di condividere, il Dottor Curtis Jay, brav'uomo ma psicanalista bizzarro e tutto sommato comincio a credere decisamente incompetente, sul quale non intendo al momento dilungarmi poiché sono furioso per la sua ultima e completamente assurda interpretazione di un certo sogno che da qualche tempo ha cominciato a infestare i miei sonni turbandomi non poco, un sogno a base di Regina Vittoria e destrezza manuale e un certo numero di topi - sogno che a qualunque sensibilità dotata di un minimo di raziocinio risulterebbe caratterizzato da profondi nessi sessuali e che invece il Dr. Jay tediosamente insiste a giudicare tutt'altro che sessualmente originato bensì collegato a ciò che egli definisce "ansià igienista", interpretazione che io rifiuto di sana pianta insieme all'orientamento blentneriano igiene-dipendente di Jay, e che tra l'altro sospetto egli abbia per certi versi trafugato dal e insieme aggiunto al personale pozzo di fissazioni nevrotiche di Lenore; anzi ne sono certo, visto che una delle caratteristiche positive dei Dr. Jay, e sicuramente la ragione prima del mio continuare a frequentarlo nonostante le sue innumerevoli e crescenti dimostrazioni di inettitudine, è il suo essere un professionista totalmente sprovvisto di deontologia nonché un incorreggibile pettegolo che mi spiffera tutto ciò che gli dice Lenore. Parola per parola.

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Talvolta Lenore canta nella doccia, forte e bene (con tutte le docce che fa, ha voglia a far pratica), e io mi ingobbisco sul cesso o mi appoggio al lavandino e leggo dattiloscritti battuti male e fumo sigarette ai chiodi di garofano, abitudine quest'ultima che ho usurpato a Lenore.

Il rapporto di Lenore con la bisnonna non è un rapporto sano. La vecchia l'ho vista un paio di volte, incontri fortunatamente brevi in una stanza talmente calda da letteralmente toglierti il respiro. È un affarino minuscolo, uccellesco e dai lineamenti affilati. Non è una vecchina vivace. Non è una di quelle vecchie che ti fanno dire "Dio la benedica". È una donna dura, una donna fredda, una donna lagnosa e ferocemente egoista, una donna con grandi pretese intellettuali e, suppongo, con doti commisurate. Ha molta influenza su Lenore. Lei e Lenore "parlano per ore". In realtà Lenore sta ad ascoltare. La cosa ha un che di sgradevole e malsano. Lenore Beadsman non mi dice mai nulla di importante riguardo al suo rapporto con Lenore Beadsman. E nulla ne dice al Dr. Jay, sempre che quel piccolo bastardo non stia tenendosi nella manica un'ultima carta da giocare al momento opportuno.

È chiaro, comunque, che si tratta di una bisnonna con Opinioni. Credo che stia rovinando Lenore, e credo che ne sia consapevole, e credo che se ne infischi. Da quel poco che sono riuscito a capire deve aver raccontato a Lenore di essere in possesso di alcune parole dal potere tremendo. No, sul serio. Non cose, o idee. Parole. A quanto pare quella donna è ossessionata dalle parole. Sull'argomento non ho né intendo avere le idee chiare, ma sembra che all'università fosse una specie di fenomeno, che addirittura abbia vinto una borsa di studio a Cambridge, il che, effettivamente, a quei tempi e per una donna non dev'esser stato facile; comunque sia, a Cambridge ha studiato lettere classiche e filosofia e chissà cos'altro con un professore che era una specie di genio pazzoide e si chiamava Wittgenstein ed era convinto che tutto sia parole. Sul serio. Non ti parte la macchina? È un problema di linguaggio. Sei incapace di amare? Sono le spire del linguaggio. Hai il raffreddore? Semplice: costipazione di sedimenti linguistici. A mio parere la cosa puzza enormemente di stronzata, ma evidentemente la Lenore Beadsman vecchia c'era cascata in pieno, e ha avuto settanta e passa anni per far macerare e fermentare l'infusione con cui adesso imbocca settimanalmente Lenore. Tormenta Lenore con non so quale strano libro, la tormenta come un bambino eccezionalmente crudele potrebbe tormentare un animale allettandolo con un boccone di cibo, le fa credere che il suddetto libro contenga un messaggio importantissimo per lei, e tuttavia rifiuta "al momento" di dirle di cosa si tratti, o "al momento" di mostrarle il libro. Parole e un libro e l'idea che il mondo sia parole e la convinzione di Lenore che il suo personale mondo sia esclusivamente di, non per dovuto a, se stessa.

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"... che, per citare quello che m'è toccato sentire per anni e anni e che immagino anche tu abbia sentito mille volte, il significato di una cosa non è più o meno altro che la sua funzione. Eccetera eccetera eccetera. Te l'ha mai fatta la scena della scopa? No? E adesso cosa usa? No. Con me usò la scopa, però ti parlo di quando avevo tipo otto anni, o dodici, chi se lo ricorda, e Lenore mi fece sedere in cucina e prese una scopa e si mise a scopare furiosamente il pavimento, e poi mi chiese quale fosse secondo me la parte più fondamentale della scopa, la più cruciale, se il manico o la chioma. Il manico o la chioma. E io non sapevo cosa rispondere, e lei si mise a scopare ancor più violentemente, e io cominciai a innervosirmi, e finalmente dissi che secondo me era la chioma, perché senza manico si può scopare lo stesso, basta tenere in mano l'affare con la chioma, mentre scopare solo col manico è impossibile, e a quel punto lei mi agguantò e mi scaraventò giù dalla sedia e mi gridò qualcosa cosa tipo: ' Già, perché a te la scopa serve per scopare, no? Ecco a cosa ti serve la scopa, eh?' e roba del genere. E gridò che se invece la scopa ci serviva per spaccare una finestra allora la parte fondamentale era chiaramente il manico, e passò a dimostrarlo spaccando la finestra della cucina, cosa che fece accorrere i domestici, terrorizzati; ma che se appunto la scopa ci serviva per scopare, tipo per esempio i vetri rotti della finestra, e dài che scopava, allora l'essenza della cosa era la chioma. Non te l'ha mai fatto? E adesso cosa usa? Le matite? Non importa. Il significato come fondamentalità. La fondamentalità come uso. Il significato come uso. Cosa? E lo chiedi a me, perché? Perché? Ma allora di cosa parlate tutto il tempo? Perché si sente inutile, ecco perché. Lì alla Casa di Riposo si sente, si sentiva, priva di funzione. Aspetta, ci arrivo subito. La chiave di tutto è nella sensazione di inutilità. Quand'era a casa si sentiva a disagio perché diceva che la casa, ricordi?, era un ricettacolo di memorie di capacità perdute che la faceva sentire sempre più un'invalida, data l'infermiera ventiquattr'ore su ventiquattro e la faccenda della temperatura eccetera eccetera. No, non c'erano alternative, e fu appunto per questo che le comprai la Shaker Heights, anche se come investimento non valeva una cicca. Se non fu amore quello... Certo che, per una convinta che il significato sia l'uso, sentirsi priva d'uso... Insomma venne da me e mi disse che era infelice. Non te l'ha mai detto? Mi sembra strano. Mi viene in mente proprio adesso, pensando al reparto di mia madre, quello degli Alzheimer. Era una cosa che scioccava Nonna Lenore. Bloomfield le aveva spiegato che i pazienti di quel reparto non riuscivano a ricordare i nomi delle cose, della televisione, dell'acqua, delle porte... e allora, su suggerimento di Nonna Lenore, Bloomfield fece identificare le cose tramite le rispettive funzioni. Non t'ha raccontato nemmeno questo? Del manualetto/vocabolario, quello con Lawrence Welk in copertina e il titolo a caratteri dorati? Be', insomma ribattezzarono le cose in base alla loro funzione, e così la porta diventò "Quella cosa che usiamo per passare da una stanza all'altra", e l'acqua "Quella cosa che beviamo, incolore", e la televisione "Quella cosa su cui guardiamo Lawrence Welk" - giacché con Lawrence Welk non c'era nessun problema di identificazione, essendo un'entità primigenia e indefinita persino sulle emittenti affiliate. E così mia madre e gli altri riuscirono in qualche modo a reimparare le parole che gli occorrevano, tramite la loro funzione, cioè tramite l'uso che se ne faceva. E poi Nonna Lenore si accorse che l'unica parte della struttura che non poteva beneficiare di quel metodo erano i pazienti stessi, in quanto privi di funzione, privi di uso, letteralmente buoni a nulla. Non t'ha raccontato nemmeno questo? Mi disse che questa cosa l'aveva fatta disperare. Non servivano a niente. Cosa? No, il derivato proviene da pineali di mucca. Usiamo pineali vaccine. Cioè, le useremmo se potessimo. Ma ora ci arrivo, aspetta un attimo. Sicché, sentendosi priva di funzione, Nonna Lenore aveva cominciato ad avere problemi di identità. Voleva sentirsi utile, mi disse. Idem Mrs. Yingst, ovviamente, e Mr. Etvos, cioè in pratica tutta la cricca pseudo-wittgensteiniana. Devi sapere che Mrs. Yingst era in possesso dei risultati delle ricerche del marito - parlo di quelle importanti, cioè di quelle che Mr. Yingst aveva svolto per conto proprio, cioè non per l'azienda, che poi sarebbe la Derivati Endocrini Associati, di Akron, oggi presieduta da Dick Lipp, il miglior servizio di tutto il circuito tennistico inter-aziendale. E insomma Mr. Yingst aveva fatto delle ricerche per conto proprio, e i risultati se l'era malauguratamente portati quasi tutti nella tomba, tuttavia aveva lasciato degli appunti sulla ghiandola pineale, appunti che erano scritti su... dei Bat-quaderni, coincidenza sbalorditiva che al momento evito di commentare per ragioni che ti dirò tra circa sei minuti. Aspetta, stammi a sentire. E allora da questi appunti salta fuori che l'efficacia di un'alimentazione pineal-correlata sarebbe preponderantemente linguistica, cioè di espressione verbale e comprensione di linguaggio, concetto la cui importanza puoi ben immaginare che riflessi ebbe su certe persone assillate dalla faccenda delle parole, ma del quale a me ovviamente non sfuggì il potenziale di attrazione per genitori ambiziosi, per non parlare di quello di influenza in vari campi più o meno scientifici, e quindi in sostanza e insomma l'enorme potenziale di lucro... Sicché Nonna Lenore, Mrs. Yingst e Mr. Etvos accettarono di passarmi gli appunti del fu Mr. Yingst, e io a mia volta li passai a Obstat, un gran rompicoglioni ma nondimeno un ottimo chimico, e Obstat se li studiò e disse che erano dinamite, e insomma ci buttammo a capofitto nell'operazione. Solo che pare che a un certo punto quei tre abbiano deciso non solo di ritirarsi dal progetto, e di riprendersi i Bat-quaderni, il che era un peccato ma comunque loro sacrosanto diritto, ma per giunta di impadronirsi di tutti gli appunti e le risultanze e i campioni di Obstat, che Obstat, credendosi furbo, aveva conservato in una decina di Bat-cartelle e Bat-portamerenda chiusi nel refrigeratore del laboratorio, e a quanto pare il giorno prima della mia partenza per il Canada per andarmi a fare una pescatina con Bob Gerber, quei manigoldi di Etvos e della Yingst entrano nel laboratorio e, mentre Etvos distrae Obstat facendogli dei giochini con le carte, la Yingst si infila il frutto di svariate migliaia di dollari di ricerca nella tasca marsupiale della sua camicia da notte, sotto il vestito, che Obstat utilmente ricorda essere d'un bel rosso ciliegia. Venga fuori, Obstat. Perché non viene fuori, Obstat? Perché non viene fuori da dietro la tenda? Guardi che Lenore le ha visto le scarpe, vero che gliele hai viste? Venga fuori, Obstat. Ecco, il nostro qui presente Obstat rappresenta l'aspetto tecnico dell'intera faccenda. Neil, immagino che lei si ricordi di mia figlia Lenore, vero? Sì. Sicché se la sono squagliata con tutte quelle fondamentali Bat-cose, compresi gli unici vasetti esistenti di prototipo del prodotto menzionato in questo articolo di Advertising Age, che se riesco a scoprire chi se l'è cantata giuro che l'ammazzo. Foamwhistle, lei sta origliando con l'interfono, vero? Se la risposta è positiva non me la dia. Ci avrei scommesso. E insomma, tornando ai vasetti, se li sono portati via tutti quanti. E adesso chissà cosa stanno facendo, chissà quali sono i veri effetti di quella roba. Abbiamo scoperto che il derivato di pineale ha effetti tanto potenti quanto misteriosi. Vero, Obstat? Comunque quel che è certo è che il primo effetto è stato quello di fargli decidere di scappare dalla Casa di Riposo e di fargli convincere quegli altri poveracci a seguirli, e c'è da tremare all'idea della forza di persuasione che devono esser riusciti a esercitare su quei poveri disgraziati per convincerli a piantar lì baracca e burattini e seguirli in chissà quale missione alla conquista di una funzione, o magari chissà, per un simbolico rito di distacco dalla loro esistenza da invalidi. Preoccupato? Se sono preoccupato? E per cosa? Detto in tutta franchezza non ci vedo niente di preoccupante. Lenore è circondata dai suoi seguaci, quindi si trova in una condizione per lei ottimale. Per la temperatura si saranno arrangiati in qualche modo. Potrebbero essere a casa di qualcuno di loro, magari di un dipendente della Casa di Riposo... Sì, abbiamo verificato. E comunque. A casa? Credevi che potesse essere a casa nostra? E non hai chiamato Miss Malig per verificare? Capisco. Mi sento ribollire di rabbia. Lasciamo perdere. Comunque sta' tranquilla che a casa non c'è di sicuro. A dire la verità mi preoccupa molto più, e un po' me ne vergogno, mi preoccupa molto più il versante derivato-pineale, il potenziale di figuraccia e di mancato guadagno nel dover rimandare l'uscita del prodotto proprio adesso che quel bastardo di Gerber sferra la sua costosissima offensiva a base di ginnaste eccetera. Immagino che tu sia al corrente.

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Lenore si voltò. In alto, sul ciglio in cemento del War Memorial, c'era la bambina dagli occhi verdi, che guardava giù verso di loro. La brezza le faceva garrire i calzettoni di seta, laschi sulle caviglie. Fissava l'Anticristo.

"Sciò, amore mio," disse LaVache.

La bambina si voltò e scappò via. Si udì lo scalpiccio delle scarpine di vernice, sul cemento, a sfumare.

Lenore guardò il fratello. Altra erba stridette tra le sue mani. Di colpo gli irrigatori si spensero, tutti assieme, smisero di sibilare, e l'acqua fu risucchiata a sé, nei tubi l'irriganda e nel suolo l'irrigata. I campi erano splendidi: fiammeggianti nel fulgore della luce rossa, brace pura nel nero lustro dell'ombra di palestra. "A questo punto dovrei chiederti che significano questi due disegni messi assieme;" disse Lenore.

LaVache rise come una foca. La testa gli ciondolò parecchio. "Se ti sentisse Nonna ci resterebbe male," disse. "È evidente che... significano qualsiasi cosa tu voglia fargli significare. A seconda dell' uso che ne vuoi fare. Ms. Beadsman..." - fingendo di avere in mano un microfono e piazzandolo sotto il naso di Lenore - " ... che funzione vuole attribuire a questi disegni? Sì, signori e signore, avete sentito bene, ho detto funzione, ma per cortesia evitate di scalmanarvi..." L'Anticristo schioccò un paio di volte la lingua. "Funzione," disse. "L'estrema unzione della funzione. Dal latino 'functio', radice 'func', cioè tanfo dovuto ad abuso. Nonna se l'è svignata. E adesso è morta, oppure sta funzionando furiosamente. A proposito di funzionare furiosamente, aiutami ad alzarmi, grazie."

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