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Si tratta di un uomo
Hanno diritto su questa terra alla vita:
Passanti tra parole fugaci
Pensa agli altri
Carta d’identità
Innamorato dalla Palestina
Assassinato  n.48
Straniero in una città lontana
Diario di una ferita palestinese
Per mia Madre
Niente Piú, Niente Meno


Il grande amore per la patria che si manifesta nella poesia intitolata “Si tratta di un uomo”,  della   raccolta “Foglie di ulivi”, ridiede al poeta fiducia e serenità, cosi che nel suo animo fiorirono molti immagini, risplendette lo stile e  il ritmo divenne delizioso. La vita sembrò palpitare,  riempendosi di colori e melodie in un canto che contiene la tragedia di Edipo  e gli incendi di Nerone. L’ottimismo e la fede incrollabile del poeta lo portano a  scorgere una fonte di vita e di rinascita anche nei chicchi secchi delle spighe divorate dalle fiamme: e così come Roma e’ risorta splendente dalle ceneri cui l’aveva condannata Nerone, così svanirà tutto ciò che deforma la bellezza, la grazia e la naturalezza.


Si tratta di un uomo

Incatenarono la sua bocca

legarono le sue mani

alla roccia della morte

e dissero: "sei un assassino".

Gli tolsero il cibo, gli abiti, le bandiere

lo gettarono nella cella dei morti

e dissero: "sei un ladro".

Lo rifiutarono in tutti i porti

portarono via la sua piccola amata

e dissero: "sei un profugo".

O tu, dagli occhi e le mani sanguinanti!

la notte è effimera,

né la camera dell’arresto

né gli anelli delle catene

sono permanenti.

Nerone è morto, ma Roma no,

lotta persino con gli occhi!

e i chicchi di una spiga morente

riempiranno la valle di grano.

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Hanno diritto su questa terra alla vita:

il dubbio d’aprile, il profumo del pane all’alba, le idee di una donna sugli uomini,

 le opere di Eschilo, il dischiudersi dell’amore, un’erba su una pietra,

 madri in piedi sul filo del flauto, la paura di ricordare negli invasori. /

 Hanno diritto su questa terra alla vita:

 la fine di settembre, una signora quasi quarantenne in tutto il suo fulgore,

l’ora di sole in prigione, nuvole che imitano uno stormo di creature,

 le acclamazioni di un popolo a coloro che sorridono alla morte,

la paura dei canti negli oppressori. / Su questa terra ha diritto alla vita,

 su questa terra, signora alla terra, la madre dei princìpi, la madre delle fini.

Si chiamava Palestina si chiamava Palestina. Mia signora ho diritto,

che sei mia signora, ho diritto alla vita.

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Passanti tra parole fugaci

O voi, viaggiatori tra  parole fugaci

portate i vostri nomi, ed andatevene.

Ritirate i vostri istanti dal nostro tempo,

ed andatevene.

Rubate ciò che volete dall'azzurrità del mare

e dalla sabbia della memoria.

Prendete ciò che volete d’immagini,

per capire  che mai saprete

come una pietra dalla nostra terra

erige il soffitto del nostro cielo.

O voi, viaggiatori tra  parole fugaci

da voi  la spada ... e da noi il  sangue

da voi l’acciaio, il fuoco ... e da noi la  carne

da voi un altro carro armato ... e da noi un sasso

da voi una bomba lacrimogena ... e da noi la pioggia.

E’ nostro ciò che avete di cielo ed aria.

Allora, prendete la vostra parte del nostro sangue,

ed andatevene.

Entrate ad una festa di cena e  ballo,

ed andatevene.

Noi dobbiamo custodire i fiori dei martiri.

Noi dobbiamo vivere, come  desideriamo.

O voi, viaggiatori tra parole fugaci.

Come la polvere amara, marciate dove volete

ma non  fatelo  tra di noi, come insetti volanti.

L’aceto è nella nostra terra finché lavoriamo,

mietiamo il nostro grano, lo annaffiamo

con le rugiade dei nostri corpi.

Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:

un sasso ... o una soggezione.

Prendete il passato, se volete, e portatelo

al mercato degli oggetti artistici.

Rinnovate lo scheletro all’upupa, se volete,

su un vassoio di terracotta.

Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:

abbiamo il futuro ... e abbiamo

nella nostra terra, ciò che fare.

O voi, viaggiatori tra parole fugaci.

Ammassate le vostre fantasie in una

fossa abbandonata, ed andatevene.

E riportate le lancette del tempo

alla legittimità del vitello sacro

o al momento della musica di una pistola!

Abbiamo qui ciò che non vi accontenta

abbiamo ciò che non c’è  in voi:

una patria sanguinante

un popolo sanguinante, una patria

adatta all’oblio  o alla memoria ...

O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.

E’ giunto il momento che ve ne andiate

e dimoriate dove volete, ma non tra noi.

E’ giunto il momento che ve ne andiate

e moriate dove volete, ma non tra noi.

Abbiamo nella nostra terra, ciò che fare

il passato qui è nostro.

E’ nostra la prima voce della vita,

nostro il presente ... il presente e il futuro

nostra, qui, la vita ... e nostra l’eternità.

Fuori dalla nostra patria ...

dalla nostra terra ... dal nostro mare

dal nostro grano ... dal nostro sale

dalla nostra ferita ... da ogni cosa.

Uscite dai ricordi della memoria

O voi, viaggiatori tra  parole fugaci!...

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Pensa agli altri

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,

non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,

non dimenticare coloro che chiedono la pace.

Mentre paghi la bolletta dell'acqua, pensa agli altri,

coloro che mungono le nuvole.

Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,

non dimenticare i popoli delle tende.

Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,

coloro che non trovano un posto dove dormire.

Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,

coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.

Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,

e di': magari fossi una candela in mezzo al buio.

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La poesia di Darwish intitolata “Carta d’identità”,  tratta dal suo divano “Foglie di ulivi”,  rappresenta l’identità che semina nei cuori ardue radici di sfida e dure posizioni di resistenza. E’ una sfida paziente che gli occupanti temono, colma di provocazioni e di profonde concezioni umanitarie, con la narrazione della distruzione che causò la rovina palestinese. Questi poeti fecero della  tragedia palestinese la questione di ogni uomo libero in ogni luogo del mondo …una questione di libertà …una questione di pace che deve essere sostenuta da tutte le forze positive. Questi poeti   strapparono le nuvole della paura e i cuori palpitarono con le loro canzoni …e né il timore può introdursi e né l’inquietudine può impadronirsi di essi.     


 Carta d’identità

 

Scrivi :  sono un arabo;

la mia carta porta il numero cinquantamila.

Ho otto bambini,

e il nono nascerà dopo l’estate.

Ti dispiace forse ?

 

Scrivi : sono un arabo;

impiegato con i compagni della miseria in una cava,

ho otto bambini

per i quali dalla roccia

ricavo il pane,

i vestiti ed il quaderno.

Non chiedo la carità alle vostre porte

né mi umilio davanti alle piastrelle dei gradini.

Ti dispiace forse ?

 

Scrivi :  sono un arabo; un nome senza titolo

e resto paziente in una terra

dove tutto vive con impulso di furia.

Le mie radici si sono ancorate qua,

prima del nascere del tempo

prima dell’apertura delle ere

anteriormente ai cipressi, agli uliveti

ed al crescere dell’erba.

 

Mio padre …viene dalla stirpe  dell’aratro,

non è un figlio di signori privilegiati,

mio nonno pure era un contadino

né ben cresciuto, né ben nato !

Mi insegnava l’orgoglio del sole

prima di insegnarmi la lettura dei libri.

La mia casa è la guardiola di un custode

fatta di rame e di canna.

Sei soddisfatto della mia posizione ?

Ho un nome senza titolo !

 

Scrivi :  sono un arabo;

dai capelli color carbone

e dagli occhi bruni.

La mia descrizione:

un akal  sulla kufiyya copre il mio capo;

e il palmo della mano duro come la roccia,

graffia chi lo oserebbe toccare.

 

Il mio indirizzo è :

un villaggio disarmato … dimenticato

dalle vie senza nomi.

 

Scrivi :  sono un arabo;

avete rubato la vigna dei miei nonni

e la terra che coltivavo

insieme ai miei figli.

Senza lasciare a noi nulla

né ai nostri nipoti …

se non queste rocce.

E’ forse vero che il vostro stato 

prenderà anche queste …

come si mormorava ?

 

Allora !

scrivilo in cima alla prima pagina :

“non odio la gente

né aggredisco  alcuno,

ma se divento affamato

la carne dell’usurpatore sarà il mio cibo.

 

Attenzione !

Guardatevi 

dalla mia collera

e dalla mia fame !

 

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Nella seguente poesia“Innamorato dalla Palestina”, tratta dalla   raccolta  con lo stesso titolo, il poeta scorge negli occhi della sua donna un amore profondo; in essi trova la sua patria, la dolcezza della sua terra e tutti i colori del suo paese. E’ attratto dall’amata … dai suoi occhi … dalla terra che li  ha prodotti, formati e colorati. L’ amore domina i suoi sentimenti … vede nella sua amata la sua vita, la sua storia, la sua terra e la sua gente. Nessuna meraviglia  se  in essa vede tutto il bene, il dono, la generosità, la pace, l’afflizione e mille altri sentimenti. E’ l’innamorato che  rivela una dolce appartenenza dalle  radici profonde, è il colore del cielo negli occhi … il verde degli alberi … il profumo della terra … la primavera della vita … la luce del sole. Tutto ciò ha un sapore particolare negli occhi delle ragazze … i loro capelli, sguardi,  nomi e  sogni … le loro paure, certezze, parole e il loro silenzio, tutto ha una sapore particolare.       


Innamorato dalla Palestina

I tuoi occhi sono una spina nel cuore

lacerano, ma li adoro.

 

Li proteggo dal vento

e li conficco nella notte e nel dolore

cosi  la sua ferita illumina le stelle,

trasforma il presente in futuro

più caro della mia anima.

 

Dimentico qualche tempo dopo

quando i nostri occhi si incontrano

che una volta eravamo

insieme, dietro il cancello.

 

Le tue parole erano una canzone

che io tentavo di cantare ancora,

ma la tribolazione si era posata

sulle fiorenti labbra.

 

Le tue parole come la rondine

volarono via da casa mia

volarono anche la nostra porta

e la soglia autunnale

inseguendo te,

dove si dirigono le passioni ….

 

I nostri specchi si sono infranti

la tristezza ha compiuto 2000 anni,

abbiamo raccolto le schegge del suono

e abbiamo imparato a piangere la patria.

 

La pianteremo insieme,

nel petto di una chitarra;

la suoneremo sui tetti della diaspora

alla luna sfigurata ed ai sassi.

 

Ma ho dimenticato,

oh tu dalla voce sconosciuta !

Ho dimenticato,

è stata la tua partenza

ad arrugginire la chitarra,

o è stato il mio silenzio ?

 

Ti ho vista ieri al porto

viaggiatore senza provviste … senza famiglia.

Sono corso da te come un orfano

chiedendo alla saggezza degli antenati:

perché trascinare il giardino verde

 in prigione, in esilio, verso il porto

se rimane, malgrado il viaggio,

 l’odore del sale e dello struggimento,

sempre verde?

 

Ho scritto sulla mia agenda:

amo l’arancio e odio il porto,

 ho aggiunto sulla mia agenda:

al porto mi fermai 

la vita aveva occhi d’inverno,

avevamo le bucce dell’arancio 

e dietro di me la sabbia era infinita!

 

Giuro, tesserò per te

un fazzoletto di ciglia

scolpirò poesie per i tuoi occhi

con parole più dolce del miele

scriverò “sei palestinese e lo rimarrai”

 

Palestinesi sono i tuoi occhi,

il tuo tatuaggio

Palestinesi sono il tuo nome,

i tuoi sogni

i tuoi pensieri e il tuo fazzoletto.

 Palestinesi sono i tuoi piedi,

la tua forma

le tue parole e la tua voce.

Palestinese   vivi,   palestinese   morirai.

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La sua opera “La fine della notte”  è composta da tre raccolte: “Sotto le finestre antiche”“I fiori del sangue” e “Canzoni per la patria” ed ognuna di queste contiene un certo numero di poesie.  Dal secondo fascio scegliamo una poesia intitolata “L’assassinato n.48”,  la quale parla della vittima numero 48 caduta nel massacro di Kufr Qasim. Gli assassini trovarono nel petto della vittima una lanterna di rose e una luna … e sul corpo una scatola di zolfanelli, un passaporto…  e sul morbido braccio dei tatuaggi. Quindi, come si intuisce dalla poesia, la vittima era un giovane, che,  come tutti i giovani di nobili sentimenti, pensava ad un futuro migliore e ad una vita colma di bene. Il poeta ci descrive un’ immagine della tragedia che avviluppò questo piccolo villaggio allorché il buio iniziò ad intensificarsi sul cielo della Palestina, sino ad avere il sopravvento sulla luce..     


Assassinato  n.48

  

Nel suo petto trovarono

una lanterna di rose

e una luna.

 

Giaceva morto su una pietra

trovarono … monetine

nella sua tasca,

e sopra di lui

una scatola di zolfanelli

e un passaporto.

 

Sul morbido braccio, invece,

c’erano dei tatuaggi.

La madre l’aveva baciato,

l’aveva pianto un anno dopo l’altro.

 

Spini cervini gli crebbero negli occhi

e le tenebre si addensarono.

 

Anche il fratello, quando crebbe,

e andò per le vie della città

cercandosi un lavoro, lo buttarono in cella.

 

Lui non possedeva un passaporto,

ma portava per le strade

una cassa di marciume… ed altre casse …

 

O bambini del mio paese:

cosi morì la luna !

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Dalla sua opera “Muoiono gli uccelli in Galilea”,  che contiene una serie di splendide poesie, ne abbiamo scelto una intitolata “Straniero in una città lontana”, in cui il poeta ricorda le immagini della sua casa. E’ una casa incantevole, nel suo immaginario di fanciullo, ma, ben presto, su di essa cala una cortina di tristezza,    l’occupazione straniera. Ma questo fanciullo, figlio di una  splendida terra, resta giovane e bello nonostante il buio, le spine e i segni delle  ferite che si imprimono sulla sua fronte.     


 Straniero in una città lontana

  

Quando ero giovane e bello

la rosa era la mia dimora

e il mio mare erano le sorgenti.

 

Ma la rosa è diventata una ferita

e le sorgenti un’arsura.

 

Forse sei cambiato molto ?

No, non sono cambiato molto

 

Quando torneremo come il vento

verso la nostra terra

guarda bene la mia fronte

vedrai le rose diventare palme

e le sorgenti diventare sudore.

 

Mi troverai come ero prima

giovane e bello.

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La seguente poesia intitolata “Diario di una ferita palestinese” è stata scritta dal poeta in  quartine all’età di 25 anni, ed è dedicata alla poetessa Fadwa Tuqan. Essa è il risultato di un’esperienza maturata nella lotta indomita, nel confronto giornaliero con gli occupanti e all’ombra dell’albero dell’amarezza in un mondo ingiusto. Da questa esperienza, il poeta ne e’ certo, nascerà  un nuovo orizzonte, presago di promesse di  vittoria e sorgerà  un sole nuovo, splendente di luce.  Di questa poesia abbiamo scelto alcune quartine che esprimono tutti i sentimenti  di sofferenza, speranza, amore, ricordi ed affermazione della propria identità :


Diario di una ferita palestinese

La mia bandiera è color nero

il mio porto è una bara

e la mia schiena è un ponte.

 

Oh,  autunno del mondo

che dentro di noi sei demolito

Oh,  primavera del mondo

che dentro di noi sei generata. 

 

Il mio fiore è rosso

il mio porto è aperto

e il mio cuore è un albero !

 

La mia lingua è il mormorio dell’acqua 

nel fiume delle tempeste, negli

specchi del sole e del frumento

e nel campo di battaglia.

 

Forse alcune volte ho smarrito l’espressione 

ma sono stato – senza vergogna - splendido

quando ho scambiato il mio cuore con l’oceano

 

Ho per te una parola, che non dissi  ancora:

l’ombra è sulla finestra, ed occupa la luna

 

Il mio paese è un poema,

in esso ero un suonatore

ma poi divenni  una corda musicale !

 

Il geologo è occupato,

analizza  la sua roccia.

Cerca i suoi occhi

nelle rovine dei miti.

Vuole provare, che sono

un viandante senza occhi !

che non ho nemmeno una lettera

nel libro della civiltà !

 

Ma continuo a seminare i miei alberi,

senza fretta, e a cantare per il mio amore.

 

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 Questa voce che frusta gli invasori con le parole…questo prigioniero della libertà, dell’amore per la patria pagò cara la sua dedizione, assaporando più volte  la detenzione nelle prigioni israeliane.  Gli oppressori legarono le sue ali e lo portarono dentro, oltre le lontane sponde …cercarono di spezzare la voce di  questo cantore  Il ricordo della sua nascita nella   poesia dal titolo “Per mia madre”, scritta durante un periodo di prigionia, ci fa capire come è necessario soffermarsi e alimentarsi dell’amore materno per proseguire il cammino verso la libertà. Questo amore   spinse il poeta  ad essere più deciso, radicò la sua appartenenza alla sua terra  e rafforzò i  suoi legami con tutto ciò che era  palestinese. Tutto questo dona ad ogni piccola parola detta da lui mille sapori e mille colori.Per mia Madre” e’  scritta per raccontare la nostalgia di un figlio incarcerato per sua madre, il desiderio di mangiare il suo pane e bere il suo caffè, ed e’ la confessione di un sentimento personale ed universale al tempo stesso, sicché divenne una canzone popolare conosciuta in tutto il mondo arabo.


 Per mia Madre

 

Bramo il pane di mia madre

il caffé di mia madre

il tocco di mia madre

 

Cresce  in me l’infanzia

giorno dopo giorno

ed amo la mia vita… perché

nell'ora della mia morte

mi vergogno delle lacrime di mia madre !

 

E se tornassi indietro un giorno

prendimi  velo per  tue ciglia

e copri le mie ossa con erba

benedetta dalla tua caviglia.

E stringi le mie catene

con un ricciolo dei tuoi capelli

con un filo penzolante dall’orlo del tuo vestito.

 

Forse diverrei un dio

un dio diverrei…

se toccassi le profondità del tuo cuore !

      

Se tornassi indietro … usami

combustibile nella fornace del tuo fuoco,

corda da panni sul tetto della tua casa,

perché divenni debole per stare in piedi

senza la tua preghiera giornaliera.

 

Diventai vecchio decrepito.

Restituiscimi le stelle dell’infanzia

così che io,

condivida con i piccoli uccelli

il percorso di ritorno

verso il nido della tua attesa.

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Tratta dalla raccolta 'Il letto della straniera' - traduzione di Massimo Mandolini-Pesaresi

Niente Piú, Niente Meno

Sono una donna,
Né piú, né meno,
Vivo la mia vita cosí com’ è,
Filo su filo,
E tesso la mia lana per vestire, non
per completare la tela di Penelope o il sole.
E vedo quel che vedo
Cosí com’è, nella sua forma
Eppure a volte resto
Incantata a guardare la sua ombra
Per sentire il battito della sconfitta
E per scrivere il mio domani
Su fogli già trascorsi: non c’è suono
Altro che l’eco. Amo
l’inevitabile vaghezza
Che chi viaggia nella notte mormora
Dell’assenza di voli
Sui pendii della parola
E sui tetti dei villaggi
Sono una donna, né piú, né meno.

Mi fan volare i fiori
Di mandorlo, di marzo, via dal mio balcone,
Nostalgia d’una voce lontana:
“Toccami e porterò i destrieri delle fonti”
Senza motivo piango e amo te
Come tu sei, non come un puntello
O vanamente.
E dalle mie spalle su di te sorge un mattino
Ad abbracciarti , ed una notte.
Ma né l’ uno io son né l’ altra,
No, non son la luna o il sole
Sono una donna, né piú né meno.
Sii pure il Qaiss dell’ anelito
Se vuoi, quanto a me
Voglio essere amata come sono
E non come una foto
E un’idea nata in mezzo a cervi…
Sento la notte il grido
Di Layla lontano nella sua stanza: non lasciarmi
Prigioniera di rime nelle notti tribali
No, non lasciarmi loro come una parola…
Io sono quello che sono
Come tu sei quello che sei, e tu vivi in me
Come io vivo in te, per te e verso te
E amo l’inevitabile chiarezza del nostro mutuo enigma
sono tua quando sulla notte mi riverso
e non sono una terra
o un viaggio
sono una donna, né piú, né meno.
E m’affatica
La luna col suo ciclo
E come cetra mi scordo
Ad una ad una
Una donna sono
Né piú
E né meno.

 

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