C) Fondazione Greca per la Politica Europea ed Estera

1) Organismo , o organismi coinvolti, e sue caratteristiche

Di questa fondazione conosciamo, per il momento, soltanto la relazione su “Evitare un’altra guerra nei Balcani: strategia per la prevenzione del conflitto nel Kossovo” a firma di D.A. Zeginis e A. Heraclides, che è stata pubblicata nel numero di Koha del 26 giugno 1996, ediz.in lingua inglese, pp.8-10, relazione che non dice molto sulla Fondazione stessa. Solo che il nome esatto é ELIAMEP (che sono le sigle in greco del nome della fondazione su citato), e che essa “si impegna a trovare soluzioni nonviolente per mantenere e costruire la pace” (p.8). Anche questa fondazione, come la TFF svedese, opera per l’attenuazione del conflitto, e non si impegna in una mediazione formale a meno che non venga richiesta dalle parti. L’ ELIAMEP mette “analisi e proposte basate sulle sue ricerche a disposizione di tutte le parti coinvolte, della Comunità Internazionale e delle Nazioni Unite, sia direttamente che attraverso i mass-media, in modo totalmente aperto” (ibid.). La ricerca che ha portato alla relazione su citata é stata finanziata dalla Fondazione Ford.

2) Scopi dichiarati dell’intervento e principi ispiratori

Come accennato ELIAMEP opera per l’attenuazione, o mitigazione del conflitto, come pure la TFF svedese. Questo accenno alla TFF è d’obbligo anche perché alcune delle frasi della relazione greca sono esattamente le stesse di quella svedese, scritta tre anni prima, tranne però le proposte che invece divergono abbastanza e sono originali. L’obbiettivo dell’intervento non é quello di trovare “chi é colpevole di cosa, ma che si lavori ad uno sviluppo nonviolento delle relazioni del Kossovo con la Serbia.” (p.9). Facendo la loro ricerca dopo Dayton gli autori fanno riferimento a questo accordo. “Al momento tra gli Albanesi del Kossovo si discutono molto le implicazioni degli accordi di Dayton, rispetto alle indicazioni che danno per la futura sistemazione politica dell’area. Dopo Dayton - scrivono i due studiosi - una parte che non ha partecipato alla guerra non può trovare posto al tavolo delle trattative. Questa potrebbe essere davvero la conseguenza che disturba di più perché può portare le parti in conflitto in Kossovo a considerare la guerra come la levatrice del cambiamento” (ibid.).

3) Modalità e durata del lavoro preliminare che ha portato alla/e proposta/e

Gli autori non parlano molto di questo. Dicono solo che il lavoro è stato fatto da “un gruppo di esperti, coordinato da ELIAMEP,” e che questo “ha intervistato personalità con poteri decisionali e semplici cittadini”, nel corso di tre missioni “verso tutte le parti coinvolte nella questione de Kossovo”, organizzate nel corso del 1995.

4) Proposta/e specifica/he

Mentre le altre parti sono sorvolate quella delle proposte é invece la parte più sviluppata e dettagliata. I relatori partono da Dayton sostenendo che dopo questi accordi tra gli albanesi del Kossovo si stanno sviluppando tre diversi approcci: a) quello di “chi realizza che la chiave per risolvere la questione si trova a Belgrado e che per raggiungere questo scopo sono inevitabili e necessari dei negoziati” (ibid.); b) l’opinione “ che non ci si possa aspettare nulla dalla comunità internazionale sta guadagnano terreno nel settore più radicale che parla dell’indipendenza attraverso la lotta armata”; c) la posizione invece del leader Rugova “che mantiene la sua strategia nonviolenta di resistenza passiva, chiedendo a tutto il mondo l’indipendenza sulla base della vittimizzazione degli albanesi” (ibid.). Andando infine a ricercare le possibili soluzioni gli autori le distinguono in tre categorie distinte: 1) quelle delle soluzioni radicali; 2) diversi tipi di relazioni all’interno della Repubblica Federale Jugoslava; 3) processi interattivi a conclusione aperta, che vengono però visti dagli autori non solo come alternativi ma anche come possibilmente coesistenti col punto 2.

1) Soluzioni radicali

I relatori pongono in questa categoria due soluzioni che essi vedono come “spartizione”, e cioè: a) l’indipendenza del Kossovo; b) la spartizione del Kossovo tra la RFJ e l’Albania. Nello sviluppare queste due soluzioni scrivono i relatori :”Naturalmente ambedue le soluzioni sono inaccettabili per una o per tutte e due le parti in conflitto. Ovviamente la prima viene rifiutata dai Serbi e la seconda dagli Albanesi del Kossovo, ma allo stesso tempo, ufficialmente, anche dai Serbi. Eppure se il vero scopo della RFJ é di creare uno stato nazionale serbo (o un suo equivalente) e gli albanesi continuano ad essere considerati come nemici storici implacabili, allora l’indipendenza del Kossovo o una qualche sua spartizione a favore degli albanesi (ad esempio una divisione del territorio tra il 90% ed il 10%), potrebbe essere la soluzione pacifica più percorribile, quasi un “divorzio di velluto” dopo dialoghi di pace. In altre parole - scrivono sempre i due studiosi - in una “casa serba” non c’é posto per due, specie se nemici giurati. Come molti israeliani hanno concluso, é meglio avere uno stato più piccolo ma ebraico e democratico piuttosto che un “Grande Israele” che inevitabilmente scivoli nell’apartheid.... Per rendere il divorzio più appetibile alla RFJ, il Kossovo può dichiarare il suo impegno a non unirsi all’Albania (potrebbero esserci garanzie internazionali in tal senso), a rispettare scrupolosamente i diritti delle minoranze riguardo ai Serbi del Kossovo, a riconoscere uno status speciale ai vari monumenti storici serbi, a concedere libero accesso ad essi e persino il controllo e la proprietà serba dei luoghi da visitare, ad avere rapporti economici aperti ed estesi e collaborazione con la RFY, ecc.” (Koha, p.9)

2) Varie forme di relazione all’interno della RFJ

Secondo i relatori questo modello di soluzione “é nello spirito e nella lettera delle norme della comunità internazionale, in particolare di quelle dell’area europea, specie per gli standards dell’OSCE e dell’Unione Europea rispetto all’inviolabilità delle frontiere (salvo che per mutuo consenso e pacificamente), all’integrità territoriale ma anche, allo stesso tempo, rispetto alla democrazia, al ruolo della legge e del diritto internazionale, alla protezione delle minoranze, alla non discriminazione per motivi etnici o razziali, alla condanna del nazionalismo aggressivo e delle altre forme di intolleranza.” (ibid.). I relatori, avendo in mente anche altri conflitti e la loro gestione o soluzione, sottolineano sei possibilità, che essi definiscono “realistiche”: 1) una estesa e significativa autonomia per la regione del Kossovo (tra i casi citati come esempio c’é il Sud Tirolo - o Alto Adige - e la Moldavia); 2) “una autonomia concertata con altre unità autonome quali la Voivodina e/o il Montenegro, come nel modello spagnolo di ‘stato delle autonomie’ “; 3) “una condivisione del potere in una cornice unitaria ma con delle concessioni, con le quali i gruppi non serbi godrebbero di una partecipazione maggiore rispetto a quella che i numeri attribuirebbero loro” (come uno degli esempi gli autori citano il caso del Sud Africa); 4) “un sistema federale, del quale il Kossovo sarebbe una delle tre, quattro o più unità federali costituenti della RFJ (le altre sarebbero il Montenegro, la Serbia intera o divisa e la Voivodina)”. I casi citati ad esempio dagli autori sono vari, tra questi il Belgio e l’India. Scrivono gli studiosi greci precisando questo modello: “le minoranze nelle varie unità federali sarebbero adeguatamente protette e godrebbero di pieni diritti (si tratterebbe dei Serbi e delle altre minoranze in Kossovo, degli Albanesi e degli altri nel resto del paese)” (p.10); 5) “un sistema federale asimmetrico nel quale le unità più piccole (numericamente o per altre ragioni), che sono Kossovo e Voivodina, siano protette in modo speciale (“più uguali” delle altre - per prendere a prestito un’espressione orwelliana - come nel caso dei gruppi linguistici minori nei cantoni svizzeri)”; 6) “un sistema federale asimmetrico, nel quale un’unità (repubblica) sia più protetta e abbia più diritti delle altre” (ibid.) (gli esempi citati sono, il Quebec in Canada, ed il Tatarstan nella Federazione Russa).
Nel commentare le soluzioni di questo modello scrivono i due studiosi: “In tutte le soluzioni precedenti gli Albanesi devono essere visti come una nazione costituente della RFJ e non semplicemente come una minoranza nazionale (o nazionalità). La soluzione preferita dai Serbi, quella della semplice minoranza e della protezione dei diritti umani individuali non é sufficiente, data la reciproca animosità esistente, per il fatto che gli Albanesi non sono un piccolo gruppo minoritario, ma un grande gruppo compatto di più di un quinto della popolazione totale della RFJ e con il senso del proprio ruolo” (ibid.) (alcuni degli esempi citati dagli autori come istruttivi per questo caso sono le soluzioni trovate in Nigeria (Biafra), nel Sudan (i sudanesi del sud), ed a Cipro (per i turchi ciprioti)). Continuando nel loro commento scrivono i due studiosi: “Le soluzioni precedenti sono proposte per rompere la diversità tra le due posizioni radicalmente opposte: statualità indipendente (istanza albanese) e protezione della minoranza e/o autonomia molto limitata (istanza serba). E’ ovvio che qualcosa di meno, per esempio un’autonomia limitata o una divisione proporzionale del potere in uno stato unitario, impedirebbe il dialogo da parte albanese. Perfino un’autonomia estesa sarebbe molto difficile da accettare, almeno per gli albanesi estremisti. Un modo per facilitare il coinvolgimento degli Albanesi del Kossovo sarebbe una clausola a loro favore garantita costituzionalmente, accoppiata ad una contro-clausola per i Serbi. Queste clausole reciproche dovrebbero promuovere una soluzione di mutuo rispetto ed accettazione, simile ad un contratto etno-sociale. Inoltre potrebbero esserci delle garanzie internazionali fissate da un accordo con diversi stati garanti e/o con l’ONU, l’Unione Europea o l’OSCE, e possibilmente l’istituzione di un monitoraggio o di un team di osservatori semi-permanenti che seguano la situazione, o anche di un commissario internazionale per i diritti umani o di una corte d’appello internazionale apposita (dentro o fuori la cornice dell’ONU, dell’EU, dell’OSCE o del Consiglio d’Europa)” (ibid.).

3) processi interattivi a conclusione aperta

Ma gli studiosi greci ritengono che affinché soluzioni tipo quelle presentate nei due paragrafi precenti possano fare presa esse “devono essere prodotte da un dialogo e da negoziati estesi tra le due parti con o senza una terza a fare da intermediario. Ciò richiederebbe all’inizio gesti di pace unilaterali da entrambe le parti, piccoli passi per costruire la fiducia e, soprattutto, colloqui diretti tra rappresentanti delle due leadership”(ibid.). Ma i due relatori sono convinti che, vista la divergenza delle attuali posizioni delle due parti (Albanesi: mediazione internazionale; Serbi: nessuna mediazione e la precondizione di accettare l’integrità territoriale della RFJ) “le prospettive migliori sono offerte dal coinvolgimento di una terza parte non ufficiale come facilitatrice (mediazione informale o “diplomazia di secondo livello”, particolarmente nella fase dei pre-negoziati, che portino le parti attorno ad un tavolo con intenzioni serie). Questo metodo non convenzionale - scrivono sempre i due studiosi - é stato sviluppato e raffinato specialmente nell’ambito dell’approccio “problem solving”. Questo approccio non offre soluzioni specifiche alle parti, come fanno i mediatori tradizionali, ma cerca di promuovere una soluzione integrata in maniera graduale a cui le parti arrivino da sole, non tanto per mezzo di trattative e duri negoziati, ma piuttosto soffermandosi sulle cause profonde che sottostanno ai loro conflitti e cercando di capire a vicenda i timori e le paure, nel tentativo di raggiungere una soluzione accettabile per entrambe. La soluzione desiderata può essere l’unica per la loro situazione, e se possibile, risultare a somma positiva (“vincitore-vincitore”), e non a somma zero (“vincitore-vinto”), o negativa (“vinto-vinto”)” (ibid.).

Nella parte conclusiva delle loro proposte i due studiosi scrivono: “Crediamo fermamente che ogni soluzione sostenibile del problema-Kossovo sarà il risultato di negoziati tra le due parti, con o senza una terza parte che funga da intermediario. In ogni caso bisogna accettare, per essere realistici, che nei negoziati il ruolo della comunità internazionale sarà decisivo”. Ma essi ritengono che i punti di partenza per i negoziati dovrebbero essere i seguenti: “a) l’integrità territoriale della RFJ è fuori discussione. Futuri aggiustamenti costituzionali rispetto allo status di Kossovo, Voivodina e Montenegro, comunque, saranno al centro del processo di accordo; b) la maggioranza all’interno del Kossovo è una parte costituente della RFJ; c) la comunità internazionale (ONU, UE, OSCE, Consiglio d’Europa) garantisce il carattere federale della Jugoslavia, ed il Kossovo come parte costituente di essa”. Ed essi concludono: “Il carattere specifico che assumerà la soluzione sarà il risultato di negoziati attenti e aperti nelle conclusioni. In ogni caso la comunità internazionale (specialmente l’Unione Europea e gli USA) dovrebbe offrire alla Serbia garanzie per accordi di cooperazione e per aiuti finanziari, come stimolo al raggiungimento di una soluzione finale”(ibid.).

5) Follow-up delle proposte

Non siamo al corrente sul fatto che queste proposte abbiano avuto un seguito oppure siano restate nei cassetti della Fondazione e dell’organismo che ha finanziato le ricerche. Né sappiamo se il governo greco, che ha cercato in varie occasioni, anche per i recenti fatti di Belgrado, di porsi come mediatore dei conflitti interni alla RFJ, le abbia analizzate e fatte sue. Né siamo al corrente di eventuali altri incontri o discussioni che abbiano preso come base queste proposte. Per questo dobbiamo qui solo prendere atto delle proposte fatte e tenerne conto nell’analisi complessiva, che stiamo facendo, delle varie proposte di mediazione e di soluzione del problema del Kossovo fatte da organismi esterni..

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