Considerazioni in margine all’analisi comparativa delle attività e delle proposte per la mediazione e la risoluzione del conflitto

1. I fatti di Albania e la necessità della “prevenzione”

La situazione attuale é molto grave a causa soprattutto di quelli che sono stati definiti “disordini civili” in Albania, ed al rischio che questi si estendano alle altre zone vicine abitate dagli albanesi. Al momento della nostra partenza da Pristina, il 27 marzo, si parlava con molta preoccupazione di un rischio di esplosione anche della Macedonia, dove pure ha operato il sistema piramidale che ha ridotto al lastrico la popolazione dell’Albania e che é stata una delle cause principali dell’esplodere del conflitto armato in quel paese. Se questa estensione avviene é molto difficile che il conflitto non si estenda anche nel Kossovo dato gli strettissimi rapporti (molto più che con quelli di Albania) tra gli Albanesi del Kossovo e quelli della Macedonia. L’Intervento delle Forze armate multinazionali, su beneplacito dell’ONU, guidate dall’Italia, a protezione dei convogli umanitari, e forse anche per contribuire al cosiddetto ristabilimento dell’ordine (quale? quello di Berisha?), anche a causa dell’increscioso incidente dell’affondamento del battello albanese, non é sicuro che avrà i risultati per i quali é stato deciso. Ma questo intervento ed in genere tutto quanto sta succedendo in Albania ed in questa zona sud dei Balcani ci dovrebbe far riflettere sulle responsabilità italiane ed europee su quanto sta succedendo, e ci dovrebbe porre la domanda: era proprio impossibile prevenire questi fatti ? La risposta non é sicuramente negativa. Citiamo un appello, dei primi di marzo 1997, del CRIC e del COSPE, due organizzazioni umanitarie da tempo presenti in Albania: ”Il fallimento delle finanziarie, che ha ridotto sul lastrico gran parte della popolazione albanese, é solo l’apice di una crisi politico, economica e sociale che vede direttamente coinvolto il governo del Presidente Sali Berisha. In questi anni il governo ha sostenuto apertamente le finanziarie-truffa, alcune delle quali hanno finanziato la campagna elettorale del Partito democratico giunto al potere lo scorso maggio attraverso brogli che tutta l’opposizione, riunita oggi nel Forum Democratico, ha duramente denunciato. Gli appelli lanciati finora dall’opposizione, da tutta la società civile albanese, dagli osservatori internazionali, da ONG e associazioni italiane, non sono bastati per convincere il Governo Italiano e l’Unione Europea a premere perché venissero ripetute le elezioni, legittimando così un governo che rivela oggi il suo volto di regime dittatoriale e corrotto..... che ha recuperato tutte le forme del vecchio regime di Enver Hoxha (oscuramento delle televisioni estere, coprifuoco esteso a tutto il paese, mobilitazione dell’esercito, arresti sommari, chiusura dei giornali di opposizione, intimidazioni e minacce agli oppositori)”. E le due organizzazioni proseguono accennando alla rivolta popolare in atto che “non può essere, in modo semplicistico, ascritta alla mafia ed alla criminalità locale, né può essere ridotta ad azioni di ribelli anarchici, come buona parte della stampa e della televisione italiana ci ha abituato a pensare in questi giorni” (ibid.). Ma questo ci pone il problema del perché abbiamo appoggiato questo governo, avvallato in sostanza i suoi brogli elettorali, e taciuto anche noi sull’esistenza di queste finanziarie predatrici? Anche se l’abbiamo fatto per proteggere le molte ditte italiane che operano in quel paese é certo che la scarsa , se non nulla, attenzione al problema della prevenzione del conflitto, costringe anche qui, come in Bosnia-Erzegovina e nelle altre zone della Ex-Yugoslavia, la comunità internazionale ad intervenire a posteriori in un conflitto già scoppiato, quando tutto questo avrebbe potuto essere prevenuto da una politica più attenta, e meno interessata.
Per questo ci auguriamo che la Comunità Internazionale sia più attenta al conflitto del Kossovo e non aspetti che questo sia esploso per intervenire con intelligenza.

2. La necessità della presenza di una “terza parte”

L’analisi comparativa, qui allegata, di cui cerchiamo ora di tirare alcune considerazioni conclusive, mostra come l’intervento di una terza parte, in modi più o meno energici, sia considerato generalmente indispensabile. Ed effettivamente una rianalisi di tutto il materiale qui prodotto (schede singole e scheda riassuntiva) mostra come i punti di vista delle due parti siano lontanissimi e difficilmente accordabili l’uno con l’altro.
Da parte serba si pensa da tempo ad una riforma costituzionale che elimini gli stati e divida tutto l’attuale territorio (Serbia, comprese le due provincie ex-autonome del Kossovo e della Voivodina, e Montenegro) in circa 15 regioni socio-economiche. E’ la proposta che ripresenta Batakovic al BF ma su cui c’é attualmente l’opposizione non solo dei kossovari ma anche degli abitanti del Montenegro. Sempre da parte serba il massimo che si é disposti a dare è la concessione di una autonomia, - ma secondo uno degli autori che hanno contribuito ai lavori della BF, Batakovic, solo per parte dell’attuale territorio - autonomia che uno degli autori, ed il governo serbo in carica, sostengono del resto esistere già, almeno sulla carta. Infatti Batakovic, nel suo documento per la BF, sostiene che nel marzo 1989 lo status del Kossovo é stato “ridotto al vero significato dell’autonomia”. E né lui né l’altro studioso serbo, Simic, che ha contribuito ai lavori di questa Fondazione, e secondo loro nessun cittadino della Serbia, é disposto ad accettare un ritorno alla Costituzione del 1974, come molti paesi europei e gli USA sembrano richiedere, e tanto meno al “1974-plus” di cui parlano alcuni di questi studi (CSNK, ASPEN, CPA). Dall’altra parte invece gli Albanesi considerano illegale e non valido l’annullamento della Costituzione del 1974, perché fatto con la frode e con la violenza (Surroi, p.33; CSNK, p.10, Pula, p. 36). Ma per ragioni opposte anche loro non accetterebbero il ritorno puro e semplice a tale costituzione perché la Federazione Yugoslava, di cui il Kossovo era parte costitutiva, non esiste più, e molti di loro non sono disponibili ad accettare di restare con l’attuale Federazione (Serbia e Montenegro). Né accetterebbero una autonomia modello “Alto Adige”, come propongono i due studiosi serbi, “perché tutti i diritti riconosciuti da tale statuto .....loro li avevano già, ed anche maggiori, con la Costituzione del 1974, revocata con la forza dal governo serbo. Per loro sarebbe perciò un passo indietro e non uno in avanti” (CSNK, pp.9-10; vedi anche Pula, BF, p.36 che cita un articolo di diritto internazionale che prevede la non degradazione ed il ristabilimento del livello di statualità e di sviluppo costituzionale raggiunto, eventualmente sospeso o eliminato in circostanze straordinarie).
Da parte loro gli albanesi hanno due principali proposte, che in questo momento rappresentano le linee politiche dei due partiti albanesi più forti, l’LDK, ed il Partito Parlamentare.
L’LDK, facendo riferimento alla volontà della popolazione che ha fatto tale scelta in un referendum cui ha partecipato la stragrande maggioranza della popolazione albanese, fa la richiesta dell’indipendenza, senza condizioni. Le argomentazioni principali sono: 1) che il Kossovo era membro costitutivo della Federazione Socialista Jugoslava, ed essendosi questa dissolta per volontà della maggior parte dei costituenti (Sloveni, Croati, Bosniaci, Macedoni, ed anche, alla fine, Serbi e Montenegrini) non c’é alcuna ragione che gli Albanesi, che sono la stragrande maggioranza della popolazione del Kossovo, restino a far parte di una federazione composta solo dai serbi e dai montenegrini; 2) che la Comunità Internazionale ha riconosciuto, sia pur con dei limiti che però non vengono rispettati, la “Republica Srpska” in Bosnia, una entità mai storicamente esistita. Se essa non riconosce l’esistenza ed i diritti del Kossovo, che era riconosciuto ed aveva le prerogative su accennate, questo significa che la Comunità Internazionale accetta solo il linguaggio delle armi, che ha portato al riconoscimento della Serbia Bosniaca, e non quello della nonviolenza con la quale dal 1989 gli albanesi si difendono dall’occupazione militare serba, e grazie alla quale hanno evitato lo scoppio del conflitto armato in questa zona sud dei Balcani; 3) Un terza argomentazione, che viene utilizzata però non solo per questa richiesta ma anche per quella successiva, é basata sul “principio di autodeterminazione”. Questo é un diritto riconosciuto e legalmente obbligatorio per il diritto internazionale, confermato anche dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel suo testo sulle “relazioni amichevoli”. In questo si dice che il diritto di autodeterminazione deve essere realizzato come federazione od altro stato di autonomia in associazione con lo stato esistente, ma che, se lo stato lo ignora o reprime questo diritto, questo può implicare anche il diritto alla secessione con lo scopo della creazione di un nuovo stato, o dell’associazione con un altro esistente” (Pula, BF, p. 36).
La seconda proposta é stata fatta da Demaçi, noto scrittore che é restato in carcere circa 28 anni, anche durante il regime di Tito, per la sua richiesta di unificazione di tutti gli albanesi nella stessa casa, e che é attualmente Presidente del Partito Parlamentare. Egli, in un articolo pubblicato il 26/3/1997 su Bujku di Pristina e su Na_a Borba di Belgrado, l’ha definita “Balkania”. Si tratta di una Federazione o meglio Confederazione di tre stati “liberi, sovrani ed indipendenti” il Kossovo, la Serbia ed il Montenegro, elaborata dall’autore “per mantenere al massimo tutti gli interessi vitali di questi tre paesi, tenendo conto di tutte le richieste internazionali, senza cambiare con la forza i confini nella zona della ex-Jugoslavia” (ibid.). Dal punto di vista tecnico Gazem Pula, nella sua relazione per la BF, sviluppa notevolmente questa proposta. Egli basa questa richiesta sulla contraddizione tra struttura etnica della popolazione della RFJ, basata su tre principali etnie: serbi, albanesi e montenegrini , e struttura costituzionale e politica che é soltanto bi-nazionale, comprendente cioè solo due repubbliche a base etnica, Serbia e Montenegro. Per Pula é perciò indispensabile superare questa contraddizione ed andare verso una rifederalizzazione che ristrutturi la RFY in una “federazione a tre repubbliche con un uguale statuto repubblicano per il Kossovo”(Pula, BF, p.36). In appoggio alla richiesta egli, oltre al principio già citato di autodeterminazione ed alla necessità di restituire i diritti costituzionali già acquisiti, previsto dalla legge internazionale, parla dei documenti approvati dagli USA e dall’U.E. che richiedono, per il Kossovo, il ristabilimento dell’ampia autonomia all’interno della Yugoslavia (e non della Serbia)(ibid.).
Come é possibile che le due parti in causa, partendo da proposte così distanti, ed in un clima di rapporti reciproci come quello attuale che qualcuno ha definito di “muro contro muro” (CSNK, Azione Nonviolenta, ottobre 1994), possano raggiungere da sole un accordo? Ed anche se ufficialmente la Serbia rifiuta qualsiasi intervento esterno perché sostiene che quello del Kossovo é un proprio problema interno, di fatto anche il governo di Milosevic ha accettato il contributo di una terza parte come la CSE per la firma dell’accordo sulle scuole, ed anche almeno uno dei due studiosi serbi che partecipano al progetto BF, Simic, accenna al fatto che le autorità serbe “devono tenere a mente che il Kossovo non é un esclusivo problema interno”(BF, p.35), ed alla necessità di una partecipazione internazionale per una sostanziale (sottolineatura sua) soluzione del problema del Kossovo che possa essere raggiunta pacificamente e che sia in linea con la richiesta albanese di autodeterminazione. Secondo Simic questo é possibile con un rimescolamento politico e territoriale dell’intera regione, come quelli previsti dagli “approcci regionali” all’Unione Europea, che coinvolga tutti gli stati interessati e che risulti da un comune accordo (Simic, BF, p. 37). Ma essendo questa possibilità piuttosto lontana egli opta per una ridefinizione dello stato di autonomia della regione (ibid.).
D’altra parte la soluzione del problema delle elezioni amministrative in Serbia che rischiava di portare ad una vera e propria guerra civile é stata possibile grazie all’intervento dell’OSCE e della commissione di verifica da questa incaricata di controllare i risultati delle elezioni contestate. Ed il problema in questione, e cioè l’annullamento di risultati elettorali invalidati dal regime solo perché non rispondevano ai suoi desiderata, rispetto a quanto successo nel Kossovo dove con la frode e con la forza (come risulta da molti fonti documentarie), sono state annullate le prerogative statuali della Costituzione del 1974, é sicuramente di minor gravità rispetto all’altro. Se c’é stato perciò l’intervento della comunità internazionale per la soluzione del problema delle elezioni in Serbia, a maggior ragione ci dovrebbe essere per la soluzione del problema del Kossovo. Ma su questo comunque non sarà del tutto facile ottenere l’assenso del governo serbo che é stato necessario per l’autorizzazione all’OSCE a fare la sua ricerca. Ma anche in quel caso l’assenso é stato dato non per spontanea volontà del governo, ma per la costante lotta nonviolenta dell’opposizione che non accettava i risultati, e per la forte pressione internazionale anche sotto forma di sanzioni di secondo livello.
Ma, tornando al Kossovo, vediamo meglio come le varie proposte in analisi trattano non solo il problema dell’intervento esterno o meno, quanto la forma che questo dovrebbe prendere.
Queste possono essere 1) di tipo positivo, e cioè di contributi economici alla ricerca di una valida soluzione (e su questo anche i serbi sono, o potrebbero essere, d’accordo), 2) o negativi (sanzioni e simili), e possono essere anche: 3) di intervento e partecipazione diretta, 3.1) o in forma discreta di partecipazione e di mediazione nei colloqui tra le due parti, 3.2) o in forma più diretta di partecipazione alla soluzione in forme varie che avremo occasione di analizzare; infine 4) con l’organizzazione di una specifica conferenza internazionale.

2.1. Le possibili forme della partecipazione internazionale alla soluzione del problema

1) di tipo positivo:

Sono vari i progetti che parlano di questi incentivi, anche se quasi sempre questi sono condizionati all’accettazione delle proposte di soluzione che spesso fanno parte della terza categoria su accennata. Così la TFF parla di piena ammissione della RFY nella comunità internazionale e nelle organizzazioni non governative, compresa l’OSCE” (TFF, p. 5) come prerequisito, precisa la relazione, per l’accettazione da parte sua dell’intervento della comunità internazionale. Così pure l’ELIAMEP che conclude così la sua relazione: “Il carattere specifico che assumerà la soluzione sarà il risultato di negoziati attenti ed aperti nelle conclusioni.
In ogni caso la comunità internazionale (specialmente l’Unione Europea e gli USA) dovrebbe
offrire alla Serbia garanzie per accordi di cooperazione e per aiuti finanziari, come stimolo al raggiungimento di una soluzione finale” (ELIAMEP, p. 15). Ed il rapporto ASPEN parla di un appoggio di questo tipo necessario a ripristinare nel Kossovo una normale vita civile e culturale, ad esempio per riaprire a Pristina “una università unificata, con appoggio finanziario, aiuto tecnico e programmi accademici di scambio che puntino a ricostruire l’Università come una istituzione aperta e pluralistica” (ASPEN, pp.19-20). Ma questo tipo di incentivi é sottolineato in modo molto forte soprattutto dalla proposta della CPA. Gli studiosi di questo gruppo sottolineano infatti come la soluzione del problema del Kossovo non può essere isolato rispetto ai problemi di tutta l’area balcanica. “ A lungo termine l’intera regione dei Balcani richiede una maggiore integrazione economica interna, come pure con l’Europa, per crescere e prosperare...impegni di integrazione economica della regione e della regione con il resto d’Europa dovrebbero essere incoraggiati” (CPA, p. 29). E come prima iniziativa in questo
senso propongono il finanziamento internazionale ed il supporto tecnico per la
costruzione di un corridoio di trasporto che leghi la Bulgaria all’Albania ed ai porti Adriatici, attraversando la Macedonia (ibid.).

2) di tipo negativo

Chi parla esplicitamennte della necessità di mantenere delle sanzioni per arrivare ad un accordo sono gli studiosi del CPA. Essi ritengono infatti che il raggiungimento di un accordo ad interim tra le due parti, la serba e quella albanese, necessiti il mantenimento del “cosiddetto ‘muro esteriore’ delle sanzioni contro la Repubblica Federale dell’Jugoslavia (RFJ) finché non siano fatti dei passi significativi verso la risoluzione del conflitto del Kossovo” (CPA, p, 28). In particolare gli autori precisano che una delle condizioni per l’eliminazione di questo muro esterno dovrebbe essere quello della “implementazione di misure di costruzione della fiducia e la normalizzazione della vita nel Kossovo”(ibid.). Gli studiosi di ASPEN vedono anche loro la necessità di sanzioni negative, ma sotto forma di intervento esterno obbligatorio per le parti (arbitrato), nel caso la situazione resti immodificata e l’intervento della Comunità internazionale per la risoluzione del conflitto non porti, nel limite di due anni, alla definizione di un
accordo tra le parti. E molti dei documenti analizzati non parlano direttamente di sanzioni negative ma della necessità di una vigilanza sul rispetto dei diritti umani, che naturalmente dovrebbe implicare anche delle sanzioni negative nel caso del non rispetto, vigilanza da fare sia nella situazione attuale, sia dopo un eventuale accordo per la normalizzazione della vita nel Kossovo (e che perciò implichi anche la vigilanza sul rispetto dei diritti della minoranza
serba in questa zona). Tale vigilanza dovrebbe essere fatta sia da parte di organizzazioni non governative, sia di organizzazioni governative o sovragovernative (CSNK; TFF; ASPEN, CPA; ELIAMEP) od anche, addirittura, con la presenza di un ”commissario internazionale
per i diritti umani”, o di una corte d’appello apposita (ELIAMEP).

3) intervento e partecipazione diretta

3.1) Le forme più discrete di tale presenza o partecipazione sono quelle previste dalla CSE. Questa infatti non parla del suo lavoro come quello di mediazione, ma come aiuto al dialogo ed alla comunicazione tra le parti. E si augura che gli impegni presi vengano portati avanti per la “disponibilità di tutti coloro che sono obbligati a mettere in opera l’accordo per la normalizzazione del sistema d’educazione e d’istruzione” (CSE, p.23) e per la comune “preoccupazione per l’avvenire degli allievi e degli studenti” (ibid.). Abbiamo visto come in realtà, a sei mesi dalla firma, l’accordo non abbia in realtà fatto dei passi avanti. E questo deve porre il problema se questo ritardo nell’implementazione non sia legato alla mancanza, da parte dell’organismo facilitatore, di strumenti per imporne, od almeno stimolarne, la realizzazione. E pone il problema, di cui accenneremo in seguito, sulla possibilità di fare un lavoro di mediazione in una situazione di conflitto squilibrato, come quello tra serbi ed albanesi. Anche la BF ha un approccio molto discreto alla partecipazione della terza parte, che essa limita alla ricerca di quelli che, nei termini della teoria nonviolenta, si definiscono gli “obiettivi sovraordinati”, e cioè di quegli obiettivi o punti comuni in rapporto a scenari futuri - é su questi infatti che lavora la Fondazione - che la Fondazione aveva trovato essere presenti, in altre esperienze, malgrado le assunzioni, completamente diverse, sulla soluzione finale (BF, p. 32). Vicino a queste, ma in posizione intermedie rispetto alle successive, si trova la proposta dell’ELIAMEP. Gli autori di questa proposta, infatti, sostengono che “ogni soluzione sostenibile del problema-Kossovo sarà il risultato di negoziati tra le due parti, con o senza una terza parte che funga da intermediario” (ELIAMEP, p. 14). Ma questo dubbio sulla necessità dell’intervento di una terza parte viene fugato subito dopo scrivendo: “In ogni caso bisogna, accettare, per essere realistici, che nei negoziati il ruolo della comunità internazionale sarà decisivo”(ibid.).
3.2) Molto più impegnative e dirette le proposte di impegno della terza parte dei restanti progetti. La TFF infatti, pur riducendo il ruolo delle terze parti alla facilitazione del processo di accordo, dato che, secondo il direttore della TFF Øberg, “solo serbi ed albanesi da soli possono trovare una soluzione accettabile e sostenibile per entrambi. Non spetta ad altri imporre o decidere” (TFF, p.2), in realtà sviluppa la propria proposta su quella che la TFF definisce l’”Autorità Temporanea delle Nazioni Unite per una Soluzione Negoziata” (UNTANS). L’ONU, sulla base di questa proposta, in seguito ad un accordo tra Yugoslavia e Consiglio di Sicurezza dell’ONU, assumerebbe l’amministrazione quotidiana dell’area per un periodo di tre anni, per dare avvio ad un processo di normalizzazione della vita della regione e, nello stesso tempo, di negoziazione tra le due parti alla ricerca di una soluzione concordata comune. Durante questo periodo la polizia serba verrebbe sostituita da un contingente di “polizia civile” scelto dall’Amministrazione Temporanea. Non abbiamo trovato, nei testi analizzati, degli accenni a cosa succederebbe se nei tre anni previsti non si arrivasse all’accordo. Comunque, come si vede, il ruolo della terza parte é sicuramente rilevante anche se non prevede, come quella dell’ASPEN, la sostituzione, dopo un tentativo di accordo benevolo, della decisione delle due parti da parte della terza (arbitrato). Anche nelle proposte della CSNK é previsto un ipotetico intervento nel Kossovo di “Corpi Europei Civili di Pace”, non-armati e ben educati all’azione diretta nonviolenta ed alla mediazione e la risoluzione nonviolenta dei conflitti, promossi dal Parlamento Europeo ma da organizzare in collegamento con le N.U., con il compito di aiutare il processo di normalizzazione della vita nel Kossovo e di stimolare il dialogo ed il confronto tra le due parti per la ricerca di soluzioni nonviolente e giuste ai problemi di questa zona. Ma in attesa che questi Corpi vengano organizzati la CSNK fa la proposta di costituire a Pristina un Centro di Cultura Europeo che usi la cultura come strumento di comunicazione, di dialogo e di confronto, e non di separazione. L’ASPEN, come abbiamo visto, é quella che vede questo intervento esterno come più attivo e diretto, e parla addirittura del mantenimento delle forze dell’ONU in Macedonia (UNDREPEP) “fino a progressi sostanziali nella risoluzione del problema del Kossovo” (ASPEN, p. 20). Anche se comunque gli studiosi non propongono una soluzione, ma vogliono solo che la comunità internazionale aiuti l’avvio del dialogo e del negoziato tra le due parti perché raggiungano un accordo in un tempo definito “ragionevole”, che essi quantificano in due anni. In caso di non raggiungimento dell’accordo, come abbiamo visto, gli studiosi dell’ASPEN propongono un arbitrato, da parte di un organismo ad hoc, forse preceduto da un referendum in tutto il Kossovo sulle varie opzioni. Gli studiosi del CPA puntano invece molto sull’attività diplomatica delle terze parti, ad esempio proponendo la nomina , da parte degli USA, di un “inviato speciale” per trattare di questo problema; e l’apertura di un centro USIA a Pristina - poi avvenuto - e di rappresentanze a Pristina di organizzazioni umanitarie internazionali (UNHCR-CRI), o di organismi internazionali (OSCE), ed anche di organizzazioni non governative. Tutti questi attori, secondo gli autori del rapporto, dovrebbero usare i propri buoni uffici “per assistere la comunicazione ed il dialogo tra le autorità della Serbia ed i leaders politici kossovari” (CPA, p.29). Ma come abbiamo visto il CPA dà la massima importanza, per aiutare il processo di accordo, al mantenimento del muro esteriore delle sanzioni fino a quando non si siano fatti dei passi significativi verso la risoluzione del conflitto (CPA, p. 28). Ma essi individuano, come centrale nella soluzione del problema, anche tre fasi di questo processo, fasi che avremo occasione di analizzare più a fondo in seguito: esse sono 1) le misure per costruire fiducia; 2) il dialogo ed i negoziati; 3) un accordo ad interim. Una richiesta di un impegno diretto dell’attore internazionale per la soluzione del problema del Kossovo viene anche dai lavori presentati da studiosi albanesi alla BF. Surroi, ad esempio, nel quadro di una “politica di miglioramenti della situazione attuale, ma senza soluzioni a monte”, individua come cruciale per l’avvio di un processo che tenda a superare le paure reciproche ed a trovare una soluzione accettata da ambo le parti, quella che lui definisce la CODEKO (Commissione o Comitato per un Kossovo Democratico). Questo sarebbe un corpo misto, formato da rappresentanti statali della Serbia, del Kossovo, e di organi politici internazionali, che dovrebbe aiutare l’avvio di una gestione democratica della zona, e dar vita ad una tavola di negoziazione sui problemi in disputa. Ma questo lavoro all’interno dovrebbe essere appoggiato da una presenza internazionale nel Kossovo durante il processo, e da dei garanti internazionali del processo, che per l’autore, sono i paesi e le organizzazioni legate al mantenimento del secondo muro delle sanzioni del dopo Dayton. Ed anche Gazem Pula, nella sua proposta nel quadro del ristabilimento di un’ampia autonomia, fatta sempre alla BF, chiede alla comunità internazionale il mantenimento del muro esterno delle sanzioni condizionando la loro eliminazione ad un appoggio ad una soluzione stabile per il Kossovo, l’aumento della presenza internazionale in questa area, ed un appoggio alle attività delle ONG che tendano a lavorare per l’apertura di un dialogo e di altre forme d comunicazione tra la parte serba e quella albanese (BF, p.38).

4) Una Conferenza Internazionale per il Kossovo

E’ lo stesso Pula che, nella proposta su citata, accenna all’importanza di portare avanti degli sforzi diplomatici per organizzare una “Conferenza Internazionale sul Kossovo” (ibid.). Un accenno all’importanza di una Conferenza di questo tipo é fatto anche dalla CSNK come strumento per aiutare a definire, e portare avanti, da parte della comunità internazionale, una politica comune e coerente verso questa zona (CSNK, p.11). Le altre proposte non fanno accenni espliciti ad una conferenza di questo tipo, ma parlano spesso della necessità di definire una politica comune e coerente verso il problema del Kossovo da parte della comunità internazionale. Ad esempio l’ASPEN, parlando della difficoltà a dare inizio ad un dialogo genuino tra Belgrado e gli Albanesi del Kossovo, scrive: “Questo dialogo sembra improbabile senza maggiori stimoli ed una onesta mediazione a lungo termine da parte dell’Occidente. Perché questo possa avvenire le potenze occidentali devono arrivare ad una comune comprensione dell’alta posta in gioco, ed avere anche qualche idea più chiara di dove potrebbe portare questo dialogo” (ASPEN, p. 19). D’altra parte quasi tutti gli incontri previsti per discutere le proposte delle varie relazioni qui analizzate tendono a configurare delle mini-conferenze internazionali con lo scopo, non taciuto, di preparare il terreno alla diplomazia ufficiale. Questo é esplicitato, in modo chiaro, dall’invito al Seminario di Vienna (18-19-20 aprile c.a.), organizzato, oltre che dall’”European Action Council for Peace in the Balkans”, anche dalla Fondazione Carnegie per la Pace Internazionale (che ha finanziato le ricerche ASPEN e CPA ed organizzato anche il prossimo incontro a New York). Come già accennato infatti nella lettera di invito si dice: “Crediamo che sia tempo per la comunità internazionale di sviluppare un approccio comune di fronte al futuro status del Kossovo.... Il nostro scopo é quello di definire una strategia internazionale in rapporto al Kossovo e di elaborare un programma di azione da presentare ai governi dell’Occidente Europeo ed americano ed alle organizzazioni internazionali” (lettera di invito, Amsterdam 13 febbraio 1997). E questo in linea con le molte dichiarazioni dell’importanza e della necessità di quella che viene definita la “diplomazia di secondo livello” che non sostituisce quella del primo livello, ma che può essere fondamentale per dare idee, stimoli e suggerimenti validi per quest’ultima.

3. Conflitti squilibrati e mediazione

Abbiamo visto come varie organizzazioni, come anche la Comunità di San Egidio, che pure ha ottenuto la firma dalle due parti su un primo accordo per la normalizzazione delle scuole - purtroppo non ancora implementato - hanno timore di parlare di “mediazione” del conflitto. E come varie organizzazioni, pur dichiarandosi disponibili ad un lavoro del genere, rimandano un serio lavoro di questo tipo alla volontà delle due parti. Ma credo sia giusto fare una riflessione su cosa significhi fare un lavoro di mediazione, in una situazione tipo quella analizzata, in cui c’é un chiaro squilibrio di potere tra le due parti. Dal 1989 vige infatti, nel Kossovo, la “legge marziale”, il governo locale e tutti gli organismi di autogestione sono stati sospesi, e la zona é occupata da un esercito e da una polizia che, secondo gli esperti del CPA, é formata da “una forza di sicurezza molto bene armata e fornita di mezzi blindati di 30.000 soldati e 65.000 uomini di riserva”(CPA, p.32). E’ perciò quello che si definisce un conflitto squilibrato
in cui da una parte c’é un potere basato sulle armi, dall’altra la popolazione albanese,
molto più numerosa, ma che si sta difendendo da anni con la nonviolenza, utilizzando
quella che nei termini della teoria della nonviolenza, si definisce la “tecnica del governo parallelo” (Sharp, The politics of nonviolent action, Porter Sargent, Boston, 1973).
Secondo gli studiosi di mediazione e di risoluzione dei conflitti l’attività di “negoziazione” ed anche di “mediazione”, in una situazione in cui ci sia uno squilibrio di potere a favore di una delle due parti, rischia sempre di andare a vantaggio del più forte. Questi é infatti in grado, grazie al suo maggior potere, di realizzare o meno gli accordi a seconda che servano ai suoi scopi e lo portino ad accrescere ulteriormente il proprio potere nei riguardi dell’avversario. Per questo, prima di passare alla fase di “negoziazione”, oppure, nel caso della presenza di una terza parte, di vera e propria “mediazione”, gli studiosi parlano della necessità di fare un lavoro di coscientizzazione della parte che subisce, e di aiutare i gruppi più deboli ad organizzarsi e ridurre gli squilibri (lavoro che in inglese viene definito di “empowerment”). Solo in seguito, quando si sia ottenuta una maggiore uguaglianza tra le due parti, é possibile dare inizio alla fase della “negoziazione”, o, nel caso sia presente una terza parte, della “mediazione” (si veda A. L’Abate, Consenso, conflitto, mutamento sociale, F. Angeli, Milano, 1990, p.269). Se si torna ad analizzare il conflitto nel Kossovo questo riequilibramento può essere fatto in due modi, da parte degli stessi albanesi cercando di superare forti divergenze di strategia e di tattica e di raggiungere una unità di azione, in questo momento lungi dall’essere presente; da parte delle terze parti prendendo coscienza degli aspetti di fondo del conflitto e premendo verso la parte più forte (quella serba) perché riporti la situazione del Kossovo alla “normalità”, e perché riduca la pressione militare e poliziesca sulla popolazione albanese, e si impegni a superare la continua violazione dei loro diritti umani (denunciata ripetutamente dalle N.U., dall’U.E., da Amnesty International e da tante altre organizzazioni, anche albanesi e serbe, per la protezione dei diritti umani). E questo ci riporta al paragrafo precedente nel quale varie proposte pongono la presenza e la pressione internazionale come elemento fondamentale per la soluzione del conflitto. Ma forse la più chiara di tutte, a questo riguardo, é quella dell’ASPEN , che pone come primo passo per l’apertura di un dialogo e di negoziati tra le parti, la seguente condizione: “La Serbia dovrebbe ritirare completamente la legge marziale, ripristinare lo statuto di autonomia del Kossovo, ed effettuare un ritiro graduale delle truppe e della polizia, unilateralmente, prima dell’inizio dei negoziati” (ASPEN, p. 19). Ma il problema del riequilibramento dei rapporti di forza tra le parti lo sentono molto anche gli studiosi del CPA, che per stimolare l’avvio di negoziati parlano del mantenimento del muro esterno delle sanzioni finché non si saranno fatti dei passi importanti verso la normalizzazione della zona e verso la ricerca di una soluzione (CPA, p.28).

4. Le possibili soluzioni

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti la maggior parte delle attività in corso e delle proposte presentate nelle “ricerche per l’azione” analizzate (é questo il termine tecnico per questo tipo di ricerca - in inglese “action-research” - che non ha lo scopo puramente conoscitivo ma in cui, come abbiamo visto, la ricerca é la base per tentativi di modificare la situazione) puntano ad attivare un processo di soluzione lasciando un po' nello sfondo il tipo di soluzione del problema, per non impedire, in caso contrario, visti gli obiettivi completamente diversi delle due parti in conflitto, l’attivazione del processo stesso. Ed infatti, in questo paragrafo, daremo la dovuta importanza al processo, alle caratteristiche di questo che emergano dai vari lavori, ai modi come si pensa di attivarlo, ecc. ecc. Ma c’é anche da dire che per risolvere un problema é bene cominciare a pensare anche al possibile contenuto di una soluzione, ad avere dei modelli, sia pur indicativi, cui cominciare a pensare e, soprattutto, su cui cominciare a discutere. Da questo punto di vista il lavoro forse più interessante é quello dell’ELIAMEP che invece di indicare alcune soluzioni specifiche ne indica una gamma molto ampia, all’interno di tre principali categorie: 1) quella da loro definita delle soluzione radicali, che comprendono sia l’indipendenza che la spartizione del territorio; 2) quella di varie forme di relazioni all’interno della RFY, che comprende varie forme di autonomia, fino anche forme confederative (tipo quella proposta da Demaçi di “Confederazione Balcanica”; 3) e quelli che loro definiscono i “processi interattivi a conclusione aperta”, che invece richiamano quanto accennato prima all’importanza dell’attivazione di un processo di dialogo e di negoziazione tra le parti che non pregiudichi i risultati finali.
C’é da dire, comunque, che la soluzione finale del processo non é del tutto libera. Molte delle relazioni, compresa la precedente dell’ELIAMEP, fanno riferimento a decisioni e trattati internazionali che in gran parte prefigurano già possibili soluzioni e riducono moltissimo la gamma delle scelte. Così il richiamo al Trattato di Parigi sulla stabilizzazione dei Balcani (BF) che ha sancito l’inviolabilità dei confini di questi paesi, in particolare dell’Jugoslavia, della Macedonia e dell’Albania, impedisce di prendere in considerazione, come soluzione possibile, l’ “indipendenza” del Kossovo a meno che questa avvenga attraverso un accordo volontario tra le due parti (come é avvenuto, ad esempio, per la Cecoslovacchia ora divisa in due stati), o addirittura tra più nazioni dell’area (come é ipotizzato, almeno teoricamente, dalla relazione di Simic). Ma questo sull’inviolabilità dei confini é un limite accennato da molti lavori, sia che richiamino il Trattato citato, sia che facciano riferimento a quello di Dayton, o ai principi di Helsinki, o genericamente alla volontà della comunità internazionale (CSNK; ELIAMEP; CPA). Vedremo meglio, quando analizzeremo, tra le possibili soluzioni, anche quella dell’indipendenza, quali elementi emergano in alcuni dei lavori se non proprio del tutto a favore, almeno in appoggio alla proposta citata. Ma come abbiamo accennato altri principi richiamati, oltre a quello dell’intangibilità dei confini, vanno in direzione opposta a questa sostenendo, ad esempio il principio di “autodeterminazione dei popoli”, che però, come abbiamo accennato, per alcune delle proposte analizzate non necessariamente comporta la creazione di un nuovo stato, ma che può trovare spazio anche in forme estese di autonomia (ma non all’interno della Serbia, come sembrano proporre gli studiosi serbi, ma all’interno della Federazione: ELIAMEP; Pula; CSNK). Detto questo vediamo ora le possibili soluzioni, prendendo spunto dalle proposte contenutistiche presentate, che tengano conto dei principi su dichiarati.

4. 1. Le proposte di contenuto

4.1.1. Spartizione del territorio

Le proposte di questo genere cui si fa riferimento nei lavori analizzati sono due: una di divisione del territorio attuale del Kossovo in due zone, una che verrebbe a far parte della Serbia e l’altra cui verrebbe concessa l’indipendenza (CSNK); l’altra proposta invece prevede una spartizione del Kossovo sempre in due parti, ma ambedue all’ interno della Serbia, una parte (circa il 25 % del territorio) verrebbe a far parte integrante della Serbia, l’altra zona, pur sempre parte della Serbia, otterrebbe una certa autonomia del tipo Alto Adige (Batakovic, BF). Le proposte, pur molto diverse tra di loro, non sembrano né facilmente realizzabili né auspicabili. Infatti, come ci hanno accennato vari studiosi intervistati, la divisione del territorio comporta sempre spostamenti di migliaia di persone di un particolare gruppo etnico da una parte all’altra. Perciò non potrebbe essere fatta se non in caso di guerra, od almeno con la forza. Inoltre si può ragionevolmente sostenere che il principio della inviolabilità dei confini non riguarda solo la Serbia o la RFY ma anche il Kossovo come entità storica sviluppatasi con la costituzione del 1974, ed anche prima. E che perciò questa soluzione va contro quel principio accettato internazionalmente.

4.1.2. Forme di autonomia

Le proposte in questo campo sono principalmente tre: a) l’autonomia tipo Alto Adige (ma interna alla Serbia) (Simic, BF) ; b) l’autonomia tipo isole Åland (ma interna alla RFY)(CSNK) ; c) il Kossovo come componente autonoma di una nuova Federazione (o Confederazione) Yugoslava (Pula, BF). A questi vanno aggiunti i molti modelli presentati dall’ELIAMEP, nella seconda categoria di soluzioni da loro individuata e vista prima, che possono aiutare ad allargare la gamma delle possibilità ed aiutare l’individuazione di una soluzione ad hoc per questa situazione, senza necessariamente rifarsi a modelli esterni. Non starò qui a vedere i pro ed i contro di queste diverse soluzioni. E’ certo comunque che la soluzione a), molto cara ai Serbi, non viene assolutamente accettata dagli Albanesi che la vedono come un passo indietro rispetto a quanto veniva loro riconosciuto dalla Costituzione del 1974, Costituzione abrogata con la forza ed illegalmente, come loro sottolineano ripetutamente. La soluzione b) é accennata da vari studiosi (Simic, BF; ELIAMEP) ma sottolineata in modo particolare dalla CSNK. Questa permetterebbe di non modificare i confini degli stati attuali, ma darebbe risposta anche alla richiesta degli Albanesi di neutralità e di smilitarizzazione del territorio (dato che essi richiedono uno stato senza esercito e con confini aperti), che però é realizzabile solo attraverso un preciso impegno della Comunità Internazionale, in particolare dell’ONU e/o della Comunità Europea. Interessante anche la proposta c), che riprende quella di uno dei due leaders albanesi, Demaçi, proposta che é argomentata da Pula in modo molto valido. In particolare sembra rilevante la considerazione di Pula dello squilibrio esistente tra struttura demografica ed etnica della RFY (a tre gruppi numericamente prevalenti: serbi, albanesi e montenegrini) e la sua struttura attuale politico-costituzionale che, invece, riconosce solo la Serbia ed il Montenegro, come entità costitutive. Da lì la richiesta di correggere questa anomalia e di trasformare la struttura politica attuale in una Federazione, o Confederazione, a tre entità costitutive. Questa proposta, anche se ha molti punti di appoggio cui fa riferimento l’autore soprattutto nella legislazione internazionale e nel principio di autodeterminazione, non sarà facilmente accettata dai Serbi che non accettano il Kossovo come parte costituente della Federazione, come veniva riconosciuto dalla Costituzione del 1974, e come vari progetti presi in analisi vorrebbe fosse riconosciuto (oltre a Pula, BF; ELIAMEP; CSNK). Ma i Serbi hanno subìto, ma mai pienamente accettato, il carattere di statualità riconosciuto dalla Costituzione del ‘74 al Kossovo (che essi considerano come un attacco alle loro prerogative di stato sovrano impostogli per svuotare il loro peso di fronte alle altre nazionalità), ed appena hanno potuto, senza guardare troppo ai mezzi impiegati, l’hanno abolito.

4.1.3. Il Kossovo come stato indipendente

E’ questa la proposta più radicale fatta dalla leadership albanese (del partito attualmente predominante, e cioè l’LDK) che chiede il riconoscimento come ‘stato’ sia pur non nel senso pieno della parola (dato che sono disposti a rinunciare a due caratteri considerati fondamentali di uno stato, e cioè a frontiere chiuse ed all’esercito - Zymberi, BF- chiedendo però in cambio una protezione o chiari accordi internazionali). Per il momento questa proposta non sembra avere molti appoggi esterni dato che viene vista come contrastante con il principio della inviolabilità dei confini degli stati (ma a questi gli albanesi contrappongono il fatto che Dayton ha riconosciuto, sia pur con dei limiti, la Repubblica Srpska di Bosnia, che non é mai esistita nemmeno come entità autonoma, come era invece il Kossovo). Ma come dicono chiaramente gli studiosi di ASPEN, se non si interviene al più presto e non si trovano soluzioni accettabili da ambo le parti “l’indipendenza del Kossovo potrebbe essere inevitabile” (ASPEN, p.19). Un accenno alla possibilità di ottenere questo risultato pacificamente é fatto sia da ELIAMEP, sia da Simic (BF). ELIAMEP infatti, nel suo rapporto, scrive che “se il vero scopo della RFY é di creare uno stato nazionale serbo (o un suo equivalente) e gli albanesi continuano ad essere considerati come nemici storici implacabili, allora l’indipendenza del Kossovo.....potrebbe essere la soluzione pacifica più percorribile, quasi un ‘divorzio di velluto’ dopo dialoghi di pace. In altre parole in una ‘casa serba’ non c’é posto per due, specie se nemici giurati. Come molti israeliani hanno concluso - scrivono sempre gli studiosi di questa organizzazione - é meglio avere uno stato più piccolo ma ebraico e democratico piuttosto che un ‘Grande Israele’ che inevitabilmente scivoli nell’apartheid” (ELIAMEP, p. 13). E gli studiosi in questione suggeriscono che, per rendere il divorzio più appetibile, il Kossovo potrebbe impegnarsi a non unirsi all’Albania (offrendo per questo anche garanzie internazionali), a rispettare i diritti delle minoranze serbe del Kossovo, a riconoscere uno status speciale ai vari monumenti storici serbi, a concedere libero accesso ad essi e persino il controllo e la proprietà serba dei luoghi da visitare, ad avere rapporti economici aperti ed estesi e collaborativi con la RFY. (Ibid.). Tutte cose queste che, almeno in gran parte, sono già state pubblicamente dichiarate da parte dell’attuale leadership albanese, si veda , ad esempio, la relazione della Zymberi (BF, pp.38-39). Ed anche Simic, uno degli studiosi serbi che ha partecipato ai lavori della Fondazione Bertelsmann, nel quadro del suo scenario dedicato all’ampia autonomia, vede una possibilità di arrivare pacificamente ad un risultato di questo tipo, ma “solo nel quadro di un sotterraneo rimescolamento politico e territoriale dell’intera regione [come quello previsto dagli ‘approcci regionali’ all’Unione Europea] che dovrebbe coinvolgere tutti gli stati interessati e che risultasse da un comune accordo” (BF, pp. 36-37). Ma le parole minacciose con cui si conclude la relazione dell’altro serbo, che minaccia guerra se si va verso una soluzione di questo tipo (BF, p.36), e la mancanza della terza relazione da parte serba che avrebbe dovuto sviluppare lo scenario di una indipendenza del Kossovo raggiunta pacificamente, fanno diminuire notevolmente l’ottimismo sulla possibilità, al momento attuale, di raggiungere un obiettivo di questo genere ‘senza l’uso delle armi’, a meno di una fortissima pressione internazionale in questo direzione, pressione però che, al momento, sembra inesistente o almeno molto ridotta, e sostituita dall’intenzione di molti paesi europei ad utilizzare, ai fini dei propri interessi commerciali, il mercato della RFY dopo la fine del primo livello dell’embargo. Un’ultima nota a favore del mantenere aperta questa possibile opzione, nel portare avanti il processo di dialogo e di discussione delle due parti, viene da un’altra partecipante albanese ai lavori della Fondazione Bertelsmann, Surroi. Egli trai principi di base che dovrebbero essere accettati dalle due parti per dare inizio ad un vero dialogo, pone quello della “autodeterminazione” dei popoli, e del rifiuto della forza per la risoluzione del conflitto e per la modifica dei confini (il che però - se interpretiamo correttamente il pensiero dell’autore - può implicare anche il non riconoscimento della legittimità della modifica avvenuta con la forza ed unilateralmente, da parte serba, del sistema legale e costituzionale del Kossovo vigente dal 1974). D’altra parte uno dei principi di fondo cui si richiamano tutti i progetti é quello della democrazia, e della volontà della gente, principio riconosciuto anche da molte mozioni dell’ONU e di altri organismi internazionali, e che é richiamato anche dal rapporto ASPEN , che prevede che, se nel periodo di circa due anni, non venga raggiunto un accordo di massima tra le due parti si proceda ad un arbitrato obbligatorio e, se gli arbitri lo raccomandano ad “un referendum in tutto il Kossovo sulle varie opzioni”. E dato che un referendum del genere si é già svolto ed ha dato risultati molto netti a favore di questa opzione, e data la maggioranza della popolazione albanese della zona (circa il 90 % della popolazione totale) i risultati sarebbero abbastanza scontati a meno di cambiamenti sostanziali della politica delle due leadership, sia serba che albanese.

4.1.4. Una Confederazione dei Balcani del Sud

Questa è una proposta che emerge esplicitamente solo nel lavoro del CSNK, ma che é richiamata da varie proposte analizzate che vedono il problema del Kossovo non isolabile da quello della Macedonia, dell’Albania e di tutti i Balcani del Sud. Anche Simic, nella proposta appena accennata, fa riferimento a qualcosa del genere. Così pure la CPA e l’ASPEN. Ma l’ottimismo verso una soluzione del genere, anche se molti interlocutori da ambo le parti la vedono come una soluzione auspicabile, é molto basso data la situazione attuale con gli odi accumulati con la guerra in Croazia ed in Bosnia, e soprattutto, ma questa é una considerazione nostra attuale dato che tutte le proposte sono state fatte quando ancora questo problema non era nato, data la guerra civile, o meglio quelli che sono stati definiti i “disordini civili”, in Albania. Ma l’idea dell’ASPEN e del CPA é quella di dar vita, in tempi brevi (e ci sono anche alcuni suggerimenti su come cominciare) ad un processo di integrazione economica dei Balcani del Sud che solo in un periodo successivo potrebbe trasformarsi anche in un accordo di collaborazione politica. Quindi questa, pur non essendo una soluzione a breve raggio, potrebbe rivelarsi una prospettiva molto importante per tempi molto più lunghi, e potrebbe servire come punto di riferimento della comunità internazionale per l’individuazione di progetti che vadano in questa direzione e che possano accellerare il processo in questione.

4.2. Le proposte di processo

Abbiamo già visto, nella scheda riepilogativa, come questa sia la categoria prevalente di soluzioni messe in opera (CSE) e proposte (tutti gli altri). E questo appunto, come già accennato, perché i punti di partenza e gli obiettivi delle due parti in conflitto sono così distanti che una discussione, fin dall’inizio, sui contenuti di un possibile accordo, rischia di servire solo a sottolineare le differenze ed a dare l’impressione che una soluzione finale sia impossibile. Per questo tutte le proposte si preoccupano molto di individuare modalità, ed alcuni anche i tempi, per l’avvio di un processo che abbia , come esito finale e non iniziale, il raggiungimento di un “accordo ad interim”, e cioè di un accordo provvisorio che serva ulteriormente a stimolare il dialogo ed il confronto in vista di un possibile accordo anche sulla soluzione finale.
Ma il problema di fondo di questo approccio é quello di stallo, e cioè quello che ognuna delle due parti aspetti che sia l’altra a fare il primo passo (gli Albanesi che venga ritirata la legge marziale e smilitarizzato il territorio; i Serbi che gli Albanesi si impegnino a non portare avanti idee da loro considerate “secessioniste”). Tutto questo ricorda molto il disegno cui faceva riferimento Carlo Cassola, il notissimo scrittore italiano, quando si é deciso a lavorare per la pace ed ha messo in vita la “Lega per il Disarmo Unilaterale”. In questo disegno , davanti una porta con scritto sopra “DISARMO”, si vedevano due soldati, nelle divise di due paesi in conflitto, che facevano i complimenti l’uno con l’altro dicendo “prima lei”, “no, prima lei”. E nessuno dei due si muoveva. Per questo é importante che persone delle due parti abbiano il coraggio di andare contro corrente ed inizino un processo opposto di gesti di buona volontà, come richiedono alcuni dei progetti analizzati, che vadano verso l’apertura del dialogo, senza comunque “pregiudicare” la soluzione finale che é ancora contrastante e che non necessariamente pregiudica l’inizio delle trattative. Ma chi é stato a lungo in Serbia e nel Kossovo conosce le difficoltà di rompere il “muro contro muro” che si é creato tra Serbi ed Albanesi, e non solo a livello di base, dove pure il problema é presente (anche a causa del reciproco indottrinamento nelle scuole separate), ma anche e soprattutto a livello di vertice. Ed é noto l’isolamento politico delle persone ed i gruppi che cercano di andare contro corrente e di mantenersi aperti alla presenza interetnica ed al dialogo tra le due parti. Per queste ragioni é difficile per ambedue le parti fare “il primo passo”. Per questo vari progetti ritengono che questo debba essere fatto da una terza parte neutrale che aiuti in questo modo l’avvio del processo. Anche l’esempio dell’accordo sulle scuole, a parte la situazione attuale di stallo che si é venuta a creare e che rischia di trasformarlo nel suo opposto (“Anche gli accordi possono portare alla guerra” é il titolo di un articolo scritto dall’allora Presidente del Partito Parlamentare, il secondo partito albanese del Kossovo - CSE, pp.21 e 26), è un positivo esempio di questo. L’iniziativa é venuta da una comunità religiosa impegnata nel dialogo interreligioso e nella mediazione dei conflitti che ha utilizzato questo suo lavoro precedente per aiutare e stimolare il raggiungimento di un primo accordo. Ed anche gli incontri di New York e di Vienna, ed il lavoro della Bertelsmann Foundation sono un esempio positivo di ONG che si stanno muovendo in questo senso. Ma é chiaro che l’ONU, gli USA e l’U.E. non possono continuare a fare lo gnorri ed a pararsi dietro questi tentativi senza prendere una posizione politica ben chiara da portare avanti per dare l’avvio ad un processo di questo tipo. I fatti di Belgrado, con le continue manifestazioni delle opposizioni e degli studenti che protestavano contro i brogli elettorali del governo in carica, hanno mostrato a sufficienza che la soluzione al conflitto, che rischiava ad un certo momento di trasformarsi in una guerra civile é stata possibile grazie all’offerta di mediazione dell’U.E., ed alla Commissione di verifica dei risultati promossa dall’OSCE. Ed ha rotto l’idea che questi “fossero problemi interni” della Serbia e della RFY, e che la comunità internazionale dovesse intervenire solo dopo, quando ormai i contrasti arrivano a livelli così elevati da fare scoppiare la guerra aperta. D’altra parte questo é ormai chiaro anche per i serbi più aperti. Simic, ad esempio, nella sua relazione per la Fondazione Bertelsmann, scrive: “Le autorità serbe devono ancora tenere a mente che il Kossovo non é un esclusivo problema interno”. Ma egli richiama anche i leaders albanesi del Kossovo che “ devono essere coscienti che, malgrado la simpatia che il mondo esprime per la loro situazione, essi non possono intraprendere azioni separatiste contro la volontà della ’comunità internazionale’ ” (BF, p.36). Ma é bene che questa spesso fantomatica “comunità internazionale” si faccia sentire in prima persona e non solo per denunciare le violazioni dei diritti umani nel Kossovo perpetrati dalla polizia e dal regime serbo attuale, cosa che ha già fatto svariate volte, né solo per ammonire gli Albanesi a restare dentro i confini della RFY, anche questo fatto spesso, ma anche per vagliare i pro ed i contro di tutte le possibili soluzioni e per avviare un processo di accordo che punti alla mediazione ed alla soluzione nonviolenta del conflitto.
Abbiamo già analizzato, nella scheda di sintesi delle proposte, quanto emerge da queste. Si tratta perciò solo, qui, di vedere più a fondo le caratteristiche di questo processo, ed i modi come attivarlo:

4.2.1. Le caratteristiche e le fasi del processo

Come tutti i processi esso dura nel tempo, e si dovrebbe sviluppate in più fasi. La proposta che ha più sviluppato queste fasi é quella del CPA che ne prevede tre: 1) lo sviluppo di misure per costruire fiducia; 2) l’apertura di un vero e proprio dialogo e di negoziati bilaterali o trilaterali; 3) la firma di un primo accordo ad interim.
Vediamo meglio le tre fasi, tenendo conto però non solo della proposta del CPA, che é già presentata nella scheda apposita e nella scheda di sintesi, ma anche di tutte quelle altre che, magari non in modo così preciso, fanno riferimento all’avvio di un processo a più fasi:

1) misure per costruire fiducia

Come abbiamo già visto, la CPA distingue anche gli attori principali del processo individuando specificamente le misure a seconda dei tre attori coinvolti: a) Belgrado; b) la leadership albanese; c) la comunità internazionale.

a) da parte di Belgrado le misure richieste per dimostrare la buona volontà e la disponibilità alla ricerca di una reale soluzione sono: la cessazione della violazione dei diritti umani; il rispetto della libertà di stampa e di associazionismo; il permesso all’incremento della presenza internazionale (compreso il ritorno della missione permanente di osservatori OSCE) ((CPA, p.28; SINT, p.48); il ritiro da parte della Serbia della legge marziale (effettuando unilateralmente il ritiro graduale delle truppe e della polizia); il riconoscimento del diritto degli albanesi all’autogoverno (compreso il diritto a controllare la polizia, la giustizia, e le istituzioni culturali, educative - in particolare per la ricostruzione dell’Università di Pristina come istituzione aperta e pluralistica - e della salute) (ASPEN, p.19; SINT, p. 48); l’accettazione di alcuni principi di base sulla base dei quali sviluppare il lavoro successivo, e cioè l’esclusione all’uso della forza e dell’imposizione; autodeterminazione; l’accettazione degli standards internazionali sul rispetto dei diritti umani e della democrazia; la ricerca di soluzioni ad interim che non pregiudichino i risultati finali (Surroi, in BF, p.33; SINT, p. 45); la disponibilità ad accettare, nella fase del dialogo e per la sorveglianza del rispetto dei diritti umani, la partecipazione di una terza parte autorevole (TFF, p 4; CSNK, p. 10; SINT, p. 47)

b) da parte della leadership albanese del Kossovo: la riaffermazione dell’impegno all’uso della nonviolenza; un ulteriore chiarimento sulle garanzie da dare al rispetto dei diritti della minoranza serba nel Kossovo, che includa un monitoraggio internazionale; la disponibilità a differire la discussione sull’indipendenza mentre si portano avanti le discussioni sulle ‘misure ad interim’ (CPA, p.29; SINT, p.48); la disponibilità ad entrare nei negoziati senza porre la precondizione di discutere solo dell’indipendenza; il riconoscimento del diritto dei Serbi del Kossovo a garanzie affidabili per la protezione dei loro diritti (ASPEN, p. 19; SINT, p. 48); l’accettazione di alcuni principi di base sulla base dei quali sviluppare il lavoro successivo, e cioè l’esclusione all’uso della forza e dell’imposizione; autodeterminazione; l’accettazione degli standard internazionali sul rispetto dei diritti umani e della democrazia; la ricerca di soluzioni ad interim che non pregiudichino i risultati finali (Surroi, in BF, p. 33; SINT, p. 45); la disponibilità ad accettare, nella fase del dialogo e per la sorveglianza del rispetto dei diritti umani, la partecipazione di una terza parte autorevole (TFF, p.4; CSNK, p. 10; SINT, p. 47).
c) da parte della comunità internazionale: pressioni sul governo della RFY per permettere la riapertura della missione permanente dell’OSCE; lo stabilire nel Kossovo centri operativi di organizzazioni umanitarie internazionali (UNHCR; CRI) che attualmente servono la regione da altre sedi; usare i propri buoni uffici per assistere le comunicazioni ed il dialogo tra le autorità della Serbia ed i leaders politici kossovari (CPA, p. 29; SINT, p.48); una maggiore comprensione dell’alta posta in gioco e la disponibilità a svolgere un ruolo di mediazione a lungo termine; il rientro nella zona della missione OSCE per il monitoraggio dei diritti umani (ASPEN, p. 19; SINT, p. 48); la disponibilità a porsi come garanti dell’avvio del processo (Surroi, in BF, p. 33) ed a partecipare o organizzare eventuali organismi che aiutino lo sviluppo dello stesso: CODEKO (Surroi, ibid.), UNTANS (TFF, p. 4), CECP (CSNK, p.10)

2) l’apertura del dialogo e di negoziati

Lo scoglio principale per il passaggio a questa fase é nel rifiuto della Serbia ad accettare l’intervento di organismi esterni per un problema che essa considera interno. Per il momento, per evitare questo scoglio, questo compito é assolto da varie organizzazioni non-governative che si sono assunte il compito di far firmare un primo accordo (CSE) o di organizzare incontri preliminari di studio (CPA, ASPEN, Bertelsmann, Carnegie, ecc.). Il rifiuto di Milosevic di far partecipare all’incontro di New York qualche membro del suo partito é significativo di questa resistenza. Ma é chiaro che questo rifiuto non può durare, e rischia di protrarre la situazione attuale, insostenibile, e che si é ulteriormente deteriorata negli ultimi tempi. Per rompere questo ostacolo e stimolare l’accettazione di una terza parte che tutti i progetti analizzati ritengono necessaria, si possono e si devono utilizzare quegli incentivi positivi e quelle sanzioni negative che abbiamo analizzato all’inizio di questa relazione. Tra queste ultime la CPA propone che sia mantenuto il cosiddetto “muro esterno” delle sanzioni verso la RFY finché non si siano fatti dei passi significativi verso la risoluzione del problema del Kossovo. E l’ASPEN propone che, se entro un periodo di tempo prefissato, che viene valutato in due anni, non viene raggiunto un accordo si dovrebbe procedere ad un arbitrato obbligatorio ed eventualmente anche ad un referendum tra tutta la popolazione della regione.

3) l’accordo ad interim

Questo chiaramente non può essere prefissato, dato che deve emergere dalla fase di dialogo e di negoziazione. Ma varie proposte accennano a qualche possibile contenuto del medesimo. Ad esempio, secondo la CPA, questo potrebbe includere un assenso da parte della Serbia a riaprire ed a riportare sotto il controllo locale degli albanesi le istituzioni culturali ed educative del Kossovo (comprese le scuole e l’Università di Pristina); una normalizzazione della vita nel Kossovo ripristinando le istituzioni pubbliche, facendo ritornare al lavoro le persone licenziate o dimessesi per ragioni politiche, ed eventualmente, anche una riforma costituzionale che ridefinisca, a lungo termine, lo status del Kossovo e la struttura dello stato Yugoslavo. Da parte kossovara, un accordo a partecipare (anche votando nelle prossime elezioni di questo tipo) alle istituzioni politiche della RFY, che dovrebbero comunque essere condotte secondo standards accettati e controllati dall’OSCE. Da parte degli attori internazionali l’incoraggiamento all’avvio di un processo, a lungo termine, di maggiore integrazione economica dell’intera regione dei Balcani al suo interno e verso tutta l’Europa (CPA, p. 29; SINT, p. 49). E per Surroi l’accordo dovrebbe implicare la messa in atto di un organismo, come il CODEKO, formato da rappresentanti statali della Serbia, del Kossovo e di organizzazioni internazionali o di paesi del dopo Dayton con il compito di ripristinare la legalità, di rimettere in moto le istituzioni democratiche e normalizzare la vita nel Kossovo, favorendo la prosecuzione del processo per raggiungere un accordo finale tra un Kossovo ed una Serbia ambedue democratiche (Surroi, BF, p. 34; SINT, p.45). Da parte della TFF esso implicherebbe l’accettazione da ambedue le parti, dell’UNTANS, o “Autorità Temporanea delle Nazioni Unite per una Soluzione Negoziata” che per tre anni assumerebbe l’amministrazione quotidiana della vita nel Kossovo, e darebbe vita ad un gruppo misto per la negoziazione (TFF, p.4; SINT, p. 47). Per la CSNK questo implicherebbe l’accettazione, da ambo le parti, dell’intervento, nel Kossovo, dei “Corpi Europei Civili di Pace”, corpi non armati e bene addestrati alla nonviolenza ed alla risoluzione nonviolenta dei conflitti - in via di costituzione - con i compiti di monitorare il rispetto dei diritti umani da ambo le parti; favorire occasioni di dialogo e di confronto aperto tra le parti in conflitto per la ricerca di soluzioni nonviolente e giuste, non solo a livello di vertice, ma anche di base; aiutare la ripresa della vita economica, sociale e culturale della zona, stimolando il ritorno di tutti gli albanesi ai posti di lavoro dai quali erano stati licenziati, o si erano volontariamente dimessi per ragioni politiche; aiutare il rientro nel Kossovo dei giovani emigrati all’estero per non fare il servizio militare - aiutandoli anche ad esserne esentati come da molti di loro rivendicato - e di tutte le persone e famiglie emigrate perché si sentivano minacciate o perché prive di fonti di reddito adeguate; aiutare l’organizzazione di elezioni che permettano alla popolazione della zona di esprimere la loro volontà rispetto ai destini di questa area (CSNK, p. 10; SINT, p. 47).

5. Elementi positivi e negativi che possono influire sul raggiungimento di una soluzione

5.1 Elementi positivi

5.1.1. L’alto costo della continuazione dell’occupazione militare. E’ stato calcolato che la continuazione dello stato attuale viene a costare per ogni cittadino della Serbia circa l’1% del reddito. In una situazione di crisi economica come l’attuale, di disoccupazione, e di pauperismo diffuso, é chiaro che questo non può continuare a lungo e richiede una soluzione non troppo ritardata.

5.1.2. La sopportazione dimostrata finora dalla popolazione albanese che ha subìto le continue angherie senza sostanzialmente reagire, scegliendo quella che gli studiosi dell’ASPEN definiscono la politica del “tempo e pazienza”, di convinzione cioè che la situazione così non può durare e che, o prima o dopo, ci dovranno essere dei cambiamenti a loro vantaggio.

5.1.3. La crescita di coscienza tra le potenze occidentali che senza la soluzione del problema del Kossovo i rischi di conflagrazione dei Balcani del Sud sono elevatissimi, soprattutto dopo lo sviluppo dei cosiddetti “disordini civili”, che altri definiscono come vera e propria “guerra civile”, in Albania. Questo presa di coscienza é accellerata dalla volontà dei paesi occidentali di rinviare nel Kossovo i molti emigrati da questa e dalle altre zone dei Balcani del Sud, e dalla presa di atto che questo rimpatrio, se non si vuole pregiudicare la vita o la salute e la libertà dei rifugiati, non é possibile se prima non si é normalizzata la vita di questa regione, ed almeno avviato il processo per una risoluzione pacifica del problema del conflitto serbo-albanese nel Kossovo.

5.1.4. Le recenti lotte nonviolente per la democratizzazione della Serbia che - anche se le posizioni dell’opposizione nei riguardi del Kossovo sono abbastanza simili a quelle del governo - hanno rotto il monopolio del potere da parte del regime ed hanno aperto spazi per la democrazia e per la libertà.

5.1.5. L’inizio di un dibattito all’interno degli albanesi del Kossovo su possibili soluzioni alternative che si dovrebbe sviluppare, se vengono aiutate e permesse, nelle prossime elezioni presidenziali e parlamentari, e che potrebbero rappresentare un vero e proprio referendum sulle soluzioni prescelte dalla popolazione albanese.

5.2. Elementi negativi

5.2.1. L’alto costo dell’occupazione militare potrebbe però anche invogliare il regime, invece che a trovare una soluzione pacifica o a continuare nello status attuale troppo costoso, a stimolare disordini interni per intervenire militarmente e risolvere il problema rapidamente e con la forza.

5.2.2. La difficoltà per la popolazione albanese del Kossovo di continuare a sopportare le angherie del regime senza reagire, ed il rischio di aumento di spazio e di appoggio a quella che gli studiosi dell’ASPEN definiscono “una strategia più aggressiva (del tipo dell’Intifada) che, anche se inizialmente non implicherebbe l’uso della violenza armata, potrebbe portare ad una reazione violenta da parte serba con il rischio di una esplosione” (ASPEN, p. 17).

5.2.3. La presenza nella zona di gruppi paramilitari che hanno portato avanti azioni di tipo terroristico. Questi gruppi sono stati tradizionalmente formati da Serbi e fatti contro la popolazione Albanese. Recentemente però sono iniziate azioni del genere contro Serbi e contro Albanesi considerati collaborazionisti, rivendicate da un fantomatico “Esercito di Liberazione del Kossovo”. Secondo molti Albanesi, ed anche alcuni membri dell’opposizione serba, questi sono organizzati dai servizi segreti serbi. Comunque sia la presenza, e la rivitalizzazione in questi ultimi tempi, di queste azioni terroristiche, rende il clima sempre più difficile, ed il rischio di una esplosione sempre più probabile.

5.2.4. Il nazionalismo e la chiusura di ambedue i gruppi nazionali e la mancanza di dialogo e di comunicazione reciproca (il muro contro muro) che rischia di aumentare i pregiudizi reciproci e di ridurre notevolmente gli spazi di manovra per arrivare ad un accordo comune.

5.2.5. Gli interessi economici dei paesi occidentali che vedono la fine dell’embargo alla RFY come occasione di trovare dei nuovi mercati e di fare lauti guadagni, e che tendono a sottovalutare i rischi che una esplosione della zona possa portare, invece che a guadagni, a perdite secche, od alla necessità di interventi a posteriore in difesa delle proprie aziende, come sta succedendo in questi giorni in Albania dove l’intervento militare italiano é anche motivato dalla necessità di difendere le molte industrie italiane impiantatesi in quel paese.

6. Alcune proposte concrete

A parte le indicazioni che emergono da questa analisi, vorremmo anche presentare alcune proposte concrete che potrebbero servire a migliorare la situazione:

6.1. La comunità internazionale dovrebbe aiutare la popolazione del Kossovo a riunire il proprio Parlamento (cosa che é stata finora impedita dal regime) ed a tenere, senza minacce da parte serba e senza alcuna interferenza esterna, le proprie elezioni, che dovrebbero svolgersi in un tempo abbastanza ravvicinato. Dato che questa volta, invece di un candidato unico, Rugova, ce ne saranno due, Rugova e Demaçi, e dato che questi presentano due programmi molto diversi, per l’indipendenza senza condizioni il primo, per la Confederazione a tre (Serbia, Kossovo, Montenegro) il secondo, queste elezioni, che saranno contemporaneamente per la Presidenza della Repubblica e per il Parlamento, possono essere molto importanti e possono rappresentare una specie di “referendum” per saggiare la posizione della popolazione di questa area in vista di possibili accordi e soluzioni future. E sarebbe anche importante che delle commissioni internazionali ne osservino il corretto svolgimento.

6.2. Molti paesi europei tra cui la Germania, la Svizzera, la Svezia, dopo la fine della guerra in Bosnia hanno preso accordi con la RFY per il rinvio dei molti profughi di guerra rifugiatisi in quei paesi (per la Germania 130.000). Ma ogni giorno le organizzazioni per la difesa dei diritti umani denunciano i maltrattamenti, gli arresti, ed anche il rinvio nei paesi di provenienza, di molti di questi rimpatriati nel Kossovo. Per questo si deve premere per un accordo che permetta il rientro dei profughi in collegamento all’incremento delle possibilità di vigilanza e di controllo del loro reinserimento nella vita di questa zona, e contemporaneamente all’attivazione del processo per la normalizzazione della vita di questa regione. E’ chiaro che finché gli albanesi licenziati dai molti posti che ricoprivano, o in Enti Pubblici o in fabbriche, non possono ritornare ai loro lavori, il rientro degli emigrati non può che peggiorare la già grave situazione attuale. Per questo é indispensabile che questi due processi vengano portati avanti in modo coordinato e sotto un controllo internazionale autorevole.

6.3. Senza voler in nessun modo criminalizzare l’attività economica si deve però essere estremamente attenti ad evitare che l’interesse economico prevalga su quello verso la dignità umana, la libertà, e la salvaguardia dei diritti umani. Per questo sarebbe importante lavorare ad un piano di sviluppo economico dei Balcani del Sud che, pur salvaguardando la libertà delle imprese, difenda anche i cittadini dallo sfruttamento di imprenditori spesso privi di scrupoli, e tenda a promuovere uno sviluppo integrato della zona in modo da superare le chiusure di frontiere, di lingua e di religione, ed a stimolare una integrazione reale della zona, anche in vista del suo inserimento, come sotto area, nell’Europa, come richiesto da tutti gli abitanti di questa regione. Ed anche se é bene mantenere le sanzioni esterne finché non siano fatti dei passi reali, come richiesto dalla CPA, verso la soluzione del problema del Kossovo, bisogna lavorare molto con incentivi positivi che permettano la ripresa e lo sviluppo di tutta questa area, ed una sua maggiore integrazione con tutta l’Europa.

6.4. Inoltre, in attesa che vada avanti il processo su delineato di risoluzione del conflitto, che deve partire prima possibile ma che rischia però di non essere rapidissimo date le distanze delle posizioni di partenza, sarebbe opportuna la presenza nel Kossovo, da subito, della Comunità Europea. Una proposta che potrebbe e dovrebbe essere presa in considerazione, e che potrebbe facilmente ottenere l’assenso delle due parti, é quella dell’attivazione, prima possibile, di un “Centro di Cultura Europeo” che usi la lingua e la cultura non come strumento di indottrinamento nazionalistico ma come mezzo di comunicazione e di confronto, e che perciò aiuti, sia pur indirettamente, lo sviluppo del dialogo tra le parti. Un progetto di questo tipo, accluso in appendice, é quello presentato dalla CSNK al Governo Italiano ed alla Commissione Cultura del Parlamento Europeo; progetto che, se ritenuto valido, andrebbe appoggiato e sostenuto.

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