D) Aspen Report “Unfinished Peace”, International Commission for the Balkans, Berlin Washington, Rapporto Aspen “la Pace Incompiuta” Commissione Internazionale per i Balcani, Berlino Washington

1) Organismo , o organismi coinvolti, e sue caratteristiche

Nel 1996 é stata pubblicata la relazione, il cui titolo si potrebbe tradurre in italiano, sulla base della lettura del testo, “Una pace ancora da completare”, che è il frutto del lavoro di una commissione internazionale sui Balcani. Sulla base di questo testo, pubblicato dall’Aspen Institute di Berlino e dalla Fondazione Carnegie di Washington, di un depliant della Fondazione Aspen per il suo ventesimo anniversario, e di alcuni articoli apparsi sul settimanale Koha, ediz. inglese, possiamo fare una analisi della proposta (il testo di parte della relazione, riguardanti specificamente il Kossovo e gli albanesi, é apparso sul numero di Koha, del 2 ottobre 1996, il lavoro complessivo viene presentato in un articolo da Washington di Lindita Imani, La chiave del futuro degli albanesi può essere il Kossovo, apparso sullo stesso numero, la visita della Commissione di studio a Pristina viene descritto in un articolo di H. Hysa apparso su Koha del 31 gennaio 1996 :Come cambiare la situazione del Kossovo?). ASPEN è una istituzione di ricerca americana con sede a Berlino, il cui direttore é l’Ambasciatore David Anderson, che era stato, negli anni 80, Ambasciatore statunitense in Yugoslavia. L’Istituto Aspen di Berlino fa parte di una catena di Istituti con lo stesso nome, la cui sede centrale è a Washington, con sedi decentrate, oltre che a Berlino, in Francia, Italia, e Giappone. Il primo istituto era nato nel 1949 a Aspen, nel Colorado, per iniziativa del presidente di una Corporazione americana. L’Aspen Berlino é “un istituto privato, non a scopo di lucro, “non di parte”, che organizza conferenze internazionali, gruppi di studio, e seminari sui problemi contemporanei più rilevanti.” (Unfinished Peace, p. 194). “Durante i più di venti anni della sua esistenza, l’Istituto di Berlino ha portato regolarmente insieme membri di elites delle due parti dell’Atlantico, come pure dell’Europa dell’Est e dell’Ovest, per scambiare idee e prospettive sui problemi pressanti delle due parti dell’Oceano atlantico e tra Est e Ovest.... La missione dell’Istituto Aspen é quella di migliorare la qualità della leadership attraverso un dialogo informato intorno alle idee ed ai valori senza tempo delle grandi culture e tradizioni del mondo nei loro rapporti con le principali sfide che hanno di fronte le società, le organizzazioni e gli individui” (ibid.). La commissione internazionale sui Balcani é stata messa in vita, nel 1995, in collaborazione con la Fondazione Nazionale Carnegie per la Democrazia e la Pace Internazionale, una Organizzazione Non-Governativa Statunitense con una lunga tradizione che da tempo si occupa dei Balcani. La commissione di studio, di ”ricerca sui fatti”, era presieduta dall’Ex Primo Ministro Belga Leo Tindemans, membro del Parlamento Europeo, ed era composta di commissari europei ed americani. Tutte persone con una notevole esperienza politica, tra cui, per esempio Simone Veil, che é stata per vari anni presidente del Parlamento Europeo, o noti studiosi che avevano già lavorato e pubblicato sui Balcani, o che dirigevano riviste di problemi internazionali. I membri della Commissione provenivano dal Belgio, dagli USA, dalla Polonia, dall’Inghilterra, dalla Germania, dalla Francia. Ma il lavoro del gruppo di studio é stato reso possibile anche da finanziamenti di varie altre fondazioni europee ed americane (10 oltre le due già citate) (Unfinished Peace, p.XII).

2) Scopi dichiarati dell’intervento e principi ispiratori

Come dicono gli estensori del rapporto l’unico modo per preservare gli accordi di Dayton e per dar vita ad una pace duratura nei Balcani, é quello di approfondire i problemi della regione che non sono stati trattati in quella occasione (compreso il problema del Kossovo e degli Albanesi). “ Chiudere gli occhi sui Balcani sarebbe la ricetta per una distruzione verso la fine del 20 secolo, non minore di quella avvenuta agli inizi del secolo” (Unfinished peace, p. XIII). I relatori sono infatti convinti che la stabilità dei Balcani é molto importante per tutto l’Occidente. Per loro infatti, subito dopo la Bosnia, il problema più importante per la pace in questa zona é il Kossovo, perché é l’epicentro di un conflitto che può coinvolgere direttamente la Serbia, l’Albania e la Macedonia, ed indirettamente la Bulgaria, la Turchia e la Grecia. ”Più é ritardata la soluzione del problema del Kossovo, più grande sarà la possibilità che il conflitto sorpassi i confini del Kossovo” (ibid., p. XXII). Secondo i commissari l’esplosione non é ancora avvenuta perché quasi tutti gli albanesi accettano la strategia di Rugova di resistenza nonviolenta, che gli studiosi di ASPEN definiscono di “tempo e pazienza”, di convinzione cioè che la situazione così non può durare e che, o prima o dopo, ci dovranno essere dei cambiamenti a loro vantaggio. Ma, secondo i membri della commissione, “ci sono pressioni crescenti per una strategia più aggressiva (del tipo dell’Intifada) che, anche se inizialmente non implicherebbe l’uso della violenza armata, potrebbe portare ad una reazione violenta da parte serba con il rischio di una esplosione. I collaboratori di Rugova argomentano che la massiccia presenza militare serba nel Kossovo rende una tattica del tipo Intifada pericolosamente irresponsabile. Ma sembra dubbio che questa argomentazione possa prevalere molto a lungo” (ibid., p.116).
Per quanto riguarda i principi, scrive Tindemans, parlando degli altri membri della commissione da lui presieduta: “Il loro obbiettivo era la pace, una pace durevole, per aprire la strada alla democrazia, alla prosperità, al benessere, ed a una società umana. Ed essi non ignoravano che il potere persuasivo delle loro conclusioni e delle loro proposte dipendeva da una corretta analisi dei problemi”. Ma la loro attenzione non si é concentrata solo sul problema del Kossovo e degli Albanesi, ma su tutta la regione, cercando, inizialmente di analizzare le cause di quella che definiscono la “terza guerra dei Balcani”, oltre le prime due studiate da un gruppo della Fondazione Carnegie del 1913 cui spesso gli autori fanno riferimento; studiando poi l’andamento della guerra e le risposte, inadeguate e contraddittorie , della comunità internazionale (con una specifica analisi dei vari progetti di pace); ed infine analizzando le singole aree (Bosnia - Erzegovina; Croazia; Serbia; Kossovo; gli Albanesi; la Macedonia; la Bulgaria e la Turchia; la Grecia); per tutte queste singole aree e per i Balcani in generale la commissione presenta infine una serie di proposte sui seguenti temi: cooperazione regionale balcanica; ricostruzione e sviluppo; democrazia: società civile e mezzi di comunicazione di massa; relazione etniche e trattamento delle minoranze; sicurezza.

3) Modalità e durata del lavoro preliminare che ha portato alla/e proposta/e

La Commissione internazionale di studio ha portato avanti una pluralità di missioni, in modo da cogliere i problemi dei Balcani nella loro interezza e complessità, Il periodo della ricerca complessiva sul terreno, é stato da settembre 1995 all’aprile 1996. Le missioni di studio si sono recate in moltissimi luoghi per intervistare leaders politici, giornalisti e studiosi, in specifici e spesso distinti viaggi-studio: in Turchia, nell’ottobre 1995; in Grecia, nel novembre 1995 e nel gennaio 1996; in Bulgaria, nel novembre 1995; in Albania, nel settembre e nel novembre 1995; in Macedonia, nel novembre 1995 e nel gennaio 1996; in Croazia, nel dicembre 1995 e nell’aprile 1996; in Serbia, nel gennaio 1996; nel Kossovo, nel gennaio 1996; a New York ed a Washington, nel febbraio 1996 e, sempre nel febbraio 1996, a Bruxelles, a Parigi, a Londra ed a Bonn; a Mosca, nel marzo 1996; in Bosnia nel dicembre 1995 e nell’aprile 1996. In fondo al volume sono pubblicati i nomi delle moltissime autorità e personalità incontrate, tra cui i principali leaders di queste zone. Scrive il presidente della commissione internazionale nella sua introduzione: “le visite, le interviste, gli incontri, i commenti, gli scambi di opinioni, e le analisi della presente commissione non ci hanno aiutato soltanto ad approfondire la nostra conoscenza sui problemi, ma ci hanno anche portato alla formazione di una opinione comune sugli elementi necessari per la pace.... Il nostro compito non era facile... Nel nostro lavoro abbiamo dovuto prendere in analisi e valutare i problemi più difficili di una società moderna. Tra questi: i rapporti tra nazione e stato; le aspettative contrastanti delle minoranze etniche e religiose; lo sviluppo del nazionalismo, regionalismo, confederalismo, e federalismo; la possibilità di uno stato multi-etnico; l’accettazione dell’autonomia culturale; i prerequisiti di una democrazia moderna e della società civile; il ruolo dei partiti politici; l’occupazione; la transizione ad una economia di mercato; le attività ed il ruolo dei media; i problemi costituzionali” (Unfinished Peace, p. IX). Ma, conscio dei limiti del lavoro pur notevolissimo e valido come spunto di discussione, il che é un desiderio degli autori, Tidemans conclude: “Le nostre visite agli stati dei Balcani, i considerevoli sforzi di ricerca, la preparazione dello stesso rapporto - tutti questi sono stati una eccezionale avventura politica durante la quale abbiamo cercato del materiale per aiutarci a costruire una società pacifica nei Balcani. Oggi presentiamo i risultati della nostra impresa. Ci possiamo consolare con il detto cinese: ‘se desiderate produrre un libro perfetto, non sarà mai finito’. Il nostro è completato ora” (ibid.).

4) Proposta/e specifica/he

Come abbiamo visto il lavoro ha un respiro moto ampio e tratta i problemi di tutte le aree dei Balcani. Non possiamo, in questa scheda, riprendere tutte le loro considerazioni e proposte, il che ci porterebbe fuori dello scopo del nostro lavoro. Ci limiteremo perciò ad analizzare le analisi e le proposte che riguardano specificamente il Kossovo, o che a questo sono strettamente connessi, rimandando al testo citato gli interessati ad una visione ancora più vasta del problema. Nella loro analisi sulla Serbia e sul Kossovo gli autori del rapporto ci tengono a sottolineare la necessità di analizzare anche gli altri punti di tensione dell’area. Tra questi il Sangiaccato, dove c’é una maggioranza mussulmana (67% nel 1991) cui il Governo Bosniaco ha concesso la propria cittadinanza, ma nel quale la richiesta politica prevalente è quella di esser designata “come una provincia con un elevato livello di autonomia” (ibid., p. 112). Ma, secondo gli studiosi dell’Aspen Institute, i suoi collegamenti con la Bosnia e con il Kossovo (dove la maggioranza é mussulmana) potrebbero creare dei seri problemi a Belgrado. Altra area di potenziale conflitto è la Voivodina, in cui c’é una forte minoranza ungherese (22% nel 1991). Anche questa area, come il Kossovo, aveva nel 1974 una fortissima autonomia. “Dopo il 1990 ambedue le provincie - scrivono i relatori - .hanno perso il loro statuto di autonomia del 1974 e sono state retrocesse ad uno status che, sebbene ufficialmente di autonomia, ha significato la perdita a favore di Belgrado di molti dei precedenti poteri locali” (ibid., p. 113). L’emigrazione dalla provincia di quasi 50.000 ungheresi, e di circa 30-40.000 croati, e l’immigrazione invece di circa 300.000 serbi scappati dalla Croazia e dalla Bosnia ha cambiato la composizione etnica della zona. “Non c’é stata - scrivono i relatori - una “pulizia etnica” di larga scala come in Bosnia, ma le tensioni possono portare ad una scalata di incidenti che potrebbero culminare in un confronto - che potrebbe essere seguito da un ulteriore esodo verso l’Ungheria” (ibid.). Questa situazione ha portato a ripetute proteste del governo ungherese che vede minacciata la stessa sopravvivenza della minoranza ungherese in quella zona. Venendo poi ad analizzare i problemi del Kossovo i relatori scrivono: “Il Kossovo ha rappresentato per molti anni un doppio problema di minoranza. Gli Albanesi - che sono la maggioranza nel Kossovo - sono una minoranza in Serbia mentre i Serbi sono una minoranza nel Kossovo” (ibid., p.114). Ma non staremo qui a riprendere la loro analisi della situazione del Kossovo, che é simile a quella di altri gruppi di studio, se non sottolineando alcuni aspetti originali del loro testo, cercando invece di soffermarsi sulle proposte di soluzione. I relatori trovano che si sia sviluppato nel Kossovo “un blocco mutuamente accettato tra oppressori ed oppressi - tra lo stato ufficiale serbo e quello “parallelo” albanese - con ognuno dei due lati apparentemente attento a non scompaginare il fragile bilancio di attività, responsabilità, ed autorità” (ibid.). Ma, scrivono i relatori : “la situazione non é, comunque, quella di una coesistenza basata sulla tolleranza, ma piuttosto quella di un apartheid basato su un odio ed una paura crescenti” (ibid.). La commissione si pone il problema se ci sia spazio per un compromesso, ma sostiene di aver trovato scarsi segni di una disponibilità al dialogo sia da parte di Belgrado che di Pristina. Parlando di Pristina essi scrivono :“pochissimi interlocutori della Commissione erano disposti ad offrire qualche variazione alla domanda di base degli albanesi: la completa indipendenza per il Kossovo. L’unico restringimento della richiesta era una loro accettazione di un protettorato internazionale temporaneo - difficilmente il tipo di compromesso creativo destinato ad interessare Belgrado” (ibid., p 115). A giustificazione di questa posizione scrivono i membri della commissione “Gli albanesi del Kossovo si considerano i dimenticati da Dayton. Se gli accordi di Dayton riconoscono due entità separate all’interno della Bosnia-Erzegovina, ed i legami tra la Repubblica “Srpska” e la Serbia, essi chiedono, quali argomenti ci sono contro l’indipendenza del Kossovo od anche a dei legami con l’Albania?”( ibid. p. 117). Ma arrivando alle proposte conclusive i membri della Commissione scrivono: “Lo status quo non può - e non deve - durare. La presente dinamica porta alla distruzione violenta di ciò che resta della Yugoslavia. Per evitare questa violenza c’é bisogno di un processo di pace internazionale urgente, ed anche se tale processo iniziasse presto, l’indipendenza del Kossovo potrebbe essere inevitabile. Ma - scrivono sempre i relatori - sono state suggerite anche altre soluzioni, come quella di una federazione riequilibrata consistente di Serbia, Kosovo, Montenegro e Voivodina”(ibid., p. 117) .“Il problema più cruciale - scrivono sempre gli autori -.è di come dare inizio ad un dialogo genuino tra Belgrado e gli Albanesi del Kossovo. Questo dialogo sembra improbabile senza maggiori stimoli ed una onesta mediazione a lungo termine da parte dell’Occidente. Perché questo possa avvenire, le potenze occidentali devono arrivare ad una comune comprensione dell’alta posta in gioco, ed avere anche qualche idea più chiara di dove potrebbe portare questo dialogo. E questo non per dire che necessiti descrivere esplicitamente la forma finale di soluzione. Ma é possibile chiarire alcuni principi di partenza” (Ibid., p. 118). Questi sono, nella traduzione integrale del testo degli studiosi:
* La Serbia dovrebbe ritirare completamente la legge marziale, ripristinare lo statuto di autonomia del Kossovo, ed effettuare un ritiro graduale delle truppe e della polizia, unilateralmente, prima dell’inizio dei negoziati;
* La leadership albanese del Kossovo dovrebbe, in cambio, essere pronta ad entrare nei negoziati senza ulteriori precondizioni, retrocedendo però dal loro rifiuto di discutere su niente altro che l’indipendenza;
* Malgrado la conclusione finale non possa essere prevista in anticipo e pregiudicata, ci si dovrebbe aspettare di prendere in considerazione le preoccupazioni legittime dei serbi ed, allo stesso tempo, di riconoscere il diritto degli albanesi del Kossovo all’autogoverno, inclusi, ma non limitato a:
- il diritto degli albanesi a controllare la loro propria polizia e le proprie istituzioni giudiziarie, come pure quelle della salute, culturali ed educative;
- garanzie affidabili dei diritti della minoranza serba nel Kossovo (ibid.).
E gli autori concludono così la parte della relazione che riguarda questa area: “Se non si può raggiungere alcun accordo in un tempo ragionevole, diciamo due anni, la Commissione ritiene che il futuro status del Kossovo dovrebbe essere sottomesso ad un arbitrato legalmente obbligatorio e, se gli arbitri lo raccomandano, un referendum in tutto il Kossovo sulle varie opzioni. Uno sforzo internazionale concertato dovrebbe appoggiare questo processo. La presenza a lungo termine di una missione di monitoraggio dell’OSCE sarebbe indispensabile.
Congiuntamente all’eliminazione della legge marziale, è necessario uno sforzo coordinato della leadership albanese, delle fondazioni occidentali, delle ONG, e dei Serbi, a ripristinare nel Kossovo una normale vita civile e culturale, Questo significa, tra l’altro, una Università di Pristina unificata, con appoggio finanziario, aiuto tecnico e programmi accademici di scambio che puntino a ricostruire l’Università come una istituzione aperta e pluralistica” (ibid., pp.118-119). E nel presentare le loro specifiche proposte avevano scritto “Ciò che é chiaro che le prospettive di democrazia nel Kossovo e nella Serbia sono legate. Senza la libertà del Kossovo, sembra improbabile ci possa essere una reale democrazia in Serbia - e vice versa” (ibid., p. 117). La commissione studia inoltre anche la tradizionale proposta dell’unificazione di tutti gli Albanesi, dell’Albania, della Macedonia e del Kossovo, in una unione albanese. “Quanto grande sia l’appoggio al concetto di una “Grande Albania” é difficile giudicare. Ma la maggior parte degli albanesi riconosce che, anche se questa fosse desiderabile, non é una opzione praticabile al momento presente” (ibid., p.122). Inoltre gli autori del rapporto sottolineano le diversità tra le tre situazioni, ed in particolare tra quella albanese del Kossovo e quella dell’Albania. E scrivono: “In verità, sebbene queste due parti della nazione albanese non siano state separate completamente l’una dall’altra, la loro situazione e lo sviluppo futuro apparente sono sembrati così diversi che alcuni osservatori hanno parlato di due culture distinte, anche incompatibili tra di loro. L’unione sarà sempre una opzione, ma sarebbe sbagliato vederla come un risultato inevitabile” (ibid.). E per quanto riguarda la Macedonia, gli autori ritengono che “lo scopo primario dell’influenza esterna dovrebbe essere quello incoraggiare il sostegno albanese allo stato Macedone. Questo implica il vedere le relazioni macedoni-albanesi all’interno del quadro dello stato unitario esistente. Ma perché possa funzionare, comunque, questo approccio richiederà un elevato livello di decentralizzazione ed un controllo politico continuato da ambedue le parti” (ibid.,p.130). Essi propongono inoltre il mantenimento delle forze dell’ONU (UNDREDEP) “fino a progressi sostanziali nella risoluzione del problema del Kossovo” (ibid.). E sottolineano l’importanza di risolvere la disputa, molto accesa, sull’università albanese di Tetovo. Per questo propongono “il ripristino del funzionamento normale dell’Università di Pristina” (dato che Tetovo si é aperto anche a causa della chiusura di questa università albanese) e l’apertura nella Macedonia “di una università internazionale dell’ Europa del Sud-Est con un curriculum destinato ad attrarre sia gli albanesi che i macedoni slavi, come pure studenti di altri paesi dei Balcani esterni alla Macedonia” (ibid. p.130).

5) Follow-up delle proposte

Anche per queste proposte non siamo in grado di dire se hanno avuto qualche seguito che possa portare alla realizzabilità di almeno alcune di loro. Ma essendo la Carnegie Foundation alla base di questo come dell’altro progetto del Centro per l’Azione Preventiva che ha organizzato a New York nel prossimo aprile un incontro tra studiosi di vari paesi e politici serbi ed albanesi per discutere sul futuro del Kossovo e confrontare le loro reciproche idee, pensiamo che anche queste proposte, come quelle del Centro su citato, siano al centro del dibattito, per vedere se il sostegno dei politici possa far sì che almeno alcune di queste proposte possano diventare operative.

Un follow-up di queste proposte, e di quelle del CPA, c’é sicuramente stato a New York nell’ incontro del 7-8-9 aprile. organizzato dal “Project on ethnic Relations” (con il contributo economico della “Carnegie Corporation di New York” che ha finanziato anche la ricerca del CPA) tra studiosi di vari paesi e politici serbi ed albanesi per discutere sul futuro del Kossovo e confrontare le loro reciproche idee. Per una analisi dei risutati di questo incontro si veda la scheda della CPA. Ma la Carnegie Endowment for International Peace di Washington (che , a parte il nome sembra non avere rapporti con la Corporazione di New York), che ha finanziato invece le ricerche di Aspen, ha organizzato, insieme con l “European Action Council for Peace in the Balkans” di Amsterdam, il “Forum on Kosovo” a Vienna, nei giorni 18-19-20 aprile 1997. A questo incontro non erano invitati direttamente i politici, come in quello di New York, ma alcuni dei tecnici che erano stati presenti, ed avevano organizzato, anche l’incontro di New York. Al Forum hanno partecipato esperti albanesi del Kossovo ed uno anche dell’Albania, e vari studiosi serbi. Tra gli studiosi europei anche il sottoscritto che ha presentato in quella occasione, in una sintesi in inglese di alcune pagine e sotto forma di cinque diversi interventi su vari temi, questo stesso documento. L’incontro non é terminato con una dichiarazione scritta, ma é sicuramente servito a mettere in luce le complesse questioni del problema ed anche, a mio avviso, a capire le ragioni della richiesta degli albanesi dell’indipendenza del Kossovo. Ma anche qui, come a New York, si é sottolineato moltissimo l’importanza di dare avvio ad un processo che permetta, passo a passo, di migliorare gradualmente la situazione di questa zona, senza pregiudiziali sui possibili esiti finali del processo stesso. La relazione conclusiva, che sembra sia a cura del rappresentante della Carnegie Endowment .... che ha partecipato all’incontro, non é ancora stata distribuita ai partecipanti, ma avrà necessariamene un carattere descrittivo dei lavori svolti, e difficilmente conterrà indicazioni operative, che non sono state discusse in quella occasione, se non in modo molto generico di maggiore attenzione al problema in questione.

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