F) “Toward Comprehensive Peace in Southeast Europe”,
Centro per l’Azione Preventiva, New York, USA

1) Organismo , o organismi coinvolti, e sue caratteristiche

Il “Centro per l’azione preventiva” , é nato per iniziativa del “Consiglio per le Relazioni Internazionali”, con sede a New York, una organizzazione senza scopi di lucro e “nonpartigiana”, “dedicata a promuovere la comprensione degli affari internazionali attraverso il libero scambio di idee”, non affiliata al governo USA. Il Centro é stato costituito per “studiare e sperimentare la prevenzione dei conflitti, cercando di imparare se e come l’azione preventiva può funzionare quando la si metta in pratica”. Il Centro lavora mandando dei gruppi di studio formati da persone di varia professionalità, in questo caso il “Gruppo di lavoro sui Balcani del Sud”, nelle “aree di crisi pre-esplosione”. “ Queste équipes elaborano una strategia per risolvere o gestire i conflitti e stimolano le iniziative dei governi e delle organizzazioni, nazionali ed internazionali, private e pubbliche, appropriati/e”. I rapporti delle équipes vengono poi pubblicati e fatti circolare per stimolare il dibattito e le iniziative a questo riguardo. Il centro organizza anche conferenze e dibattiti per discutere ed approfondire le proposte fatte e per “mobilitare la Comunità Americana ed Internazionale ad organizzare azioni tese a prevenire la scalata del conflitto, o meglio, a risolverlo”. Il Centro è finanziato dalla “Carnegie Corporation” di New York, dal “Twentieth Century Fund” (per progetti comuni), dall’ ”United States Institute for Peace”, dalla ”Winston Foundation”. Le citazioni tra virgolette vengono tutte dal libro “Toward comprehensive peace in Southeast Europe: Conflict Prevention in the South Balkans”, che è il rapporto del Gruppo di lavoro sui Balcani del Sud, sponsorizzato dal “Consiglio per le Relazioni Internazionali” e dal “Twentieth Century Fund” di New York. Il libro citato è stato pubblicato, nel 1996, dalla “Twentieth Century Fund Press” di New York.

2) Scopi dichiarati dell’intervento e principi ispiratori

Gli scopi generali dell’intervento, già presentati al punto 1), sono quelli della prevenzione di una esplosione del conflitto. Ma la relazione sottolinea la necessità, dopo gli accordi di Dayton, e la loro difficile implementazione in Bosnia, su cui si incentra l’attenzione internazionale, di “non sbagliare di nuovo trascurando altri problemi finché non diventano conflitti violenti”, e focalizza l’importanza della soluzione del problema del Kossovo per dare stabilità a tutti i Balcani del Sud. Scrivono, a questo proposito, i relatori: “Ignorati a Dayton i leaders del Kossovo vedono che i Serbi della Bosnia hanno guadagnato un riconoscimento come risultato della violenza, mentre la loro resistenza pacifica non viene premiata. Ci sono perciò pressioni per una militanza più attiva” (pp.3-4). Ma gli autori, all’inizio del loro lavoro, richiamano, come principi ispiratori sulla base dei quali hanno sviluppato le proprie raccomandazioni, “l’implementazione dell’intero pacchetto dei principi e degli impegni di Helsinki”, definiti nel 1975 e specificati nei documenti di Copenaghen del 1990, che hanno stabilito “la ‘dimensione umana’ come elemento integrale della sicurezza in Europa” (p.5). Scrivono i relatori: “Questa visione è quella del rispetto dell’integrità territoriale di tutti gli stati, ma di stati che permettano la libera circolazione di persone e di idee: dove gli stati non combattano più sui confini, perché i confini sono canali di comunicazione e di scambio, e non puri meccanismi di esclusione; dove le nazioni non combattano per il proprio stato, perché le loro identità possono fiorire in società libere, pluralistiche; e dove i popoli non abbiano bisogno di identità esclusive per la loro sicurezza, perché gli stati osservano i principi universali dei diritti umani”(ibid.).
Gli autori si rendono conto che tale visione va contro tutta la storia dei Balcani, e ritengono che le nazioni più deboli e più minacciate, come quella Albanese e quella Macedone, siano le meno interessate a farla propria, ma, secondo loro essa “offre l’unica alternativa ad un passato di sangue, ed è il solo mezzo per la regione per conquistare la sicurezza ed infine anche la prosperità goduta dal resto dell’Europa”(ibid.).

3) Modalità e durata del lavoro preliminare che ha portato alla/e proposta/e

Il gruppo di lavoro sui Balcani del Sud è formato di 10 persone di formazione professionale ed esperienze di tipo diverso (giornalisti, docenti universitari di materie varie - in particolare scienze politiche, legislazione internazionale, e storia dei Balcani - funzionari di industrie e di enti interessati alle relazioni estere, dirigenti di organizzazioni umanitarie interessate ai problemi della pace, ecc.). Il gruppo ha fatto un viaggio di studio nella regione nel dicembre 1995, durante il quale ha visitato Belgrado (Serbia), Pristina (Kossovo), Skopie, Tetovo, e Gostivar (Macedonia),Tirana (Albania). Durante il viaggio studio (non è specificata la durata ma sembra di circa due settimane) il gruppo ha svolto un programma piuttosto esteso di interviste formali, di incontri e di contatti informali con funzionari di alto livello, organizzazioni non governative, giornalisti e leaders delle varie comunità. Tra le altre persone la delegazione ha incontrato Slobodan Milosevic, presidente della Serbia; Stojan Andov, facente funzione di presidente della Macedonia; Sali Berisha, presidente dell’Albania; Bujar Bukoshi, primo ministro del governo autonomista del Kossovo. Un consulente del gruppo, che aveva partecipato anche al primo viaggio, ha svolto delle ulteriori ricerche ed incontri nella RFJ nel febbraio 1996. Il rapporto citato è basato sui risultati di questo/i viaggio/i.

4) Proposta/e specifica/he

Nel rapporto vengono riportate alcune “raccomandazioni” per la stabilizzazione dei Balcani del Sud. Queste si distinguono in: a) generali; b) per la Macedonia; c) per il Kossovo. Queste ultime, a loro volta, sono distinte a seconda dei destinatari, e cioè Belgrado, la leadership del Kossovo, la comunità internazionale.
a) nel primo paragrafo, delle raccomandazioni generali, si chiede che gli Stati Uniti designino un “inviato speciale” per trattare di questi problemi; in caso negativo che venga comunque potenziata l’attività diplomatica, sia pubblica che silenziosa, per raggiungere un accordo, ad interim, sul Kossovo e per l’appoggio alle iniziative governative della Macedonia per risolvere le tensioni interetniche in quella regione. Ma per raggiungere l’accordo ad interim si ritiene “di vitale importanza mantenere il cosiddetto ‘muro esteriore’ delle sanzioni contro la Repubblica Federale dell’Jugoslavia (RFJ) finché non siano fatti dei progressi significativi verso la risoluzione del conflitto nel Kossovo”. In particolare gli autori precisano che una delle condizioni per l’eliminazione di questo muro esterno dovrebbe essere quella della “implementazione di misure di costruzione della fiducia e la normalizzazione della vita nel Kossovo” (p.13)
b) per la stabilizzazione della situazione in Macedonia si richiede l’espansione delle opportunità educative per il gruppo etnico albanese; delle riforme elettorali che rendano più equilibrata la rappresentanza etnica, ora squilibrata a favore delle aree abitate da macedoni; l’aumento del potere dei governi locali, ora schiacciati dall’intervento del governo centrale; e la continuazione del miglioramento dei rapporti bilaterali tra Albania e Macedonia.
c) dato che il gruppo ha trovato le posizioni delle due parti sullo status finale del Kossovo troppo distanti per poter raggiungere un accordo definitivo, esso propone “di cercare di arrivare ad un accordo ad interim che possa sciogliere le tensioni. La nuova situazione che ne emergerebbe potrebbe permettere delle discussioni attualmente impossibili” (p.7). Esso raccomanda una strategia in tre fasi, anche se ritiene difficile distinguere con precisione l’una dall’altra: 1) misure per costruire fiducia; 2) dialogo e negoziati; 3) un accordo ad interim.
1) Le misure per costruire fiducia che dovrebbero essere portate avanti da parte del governo di Belgrado sono, secondo il gruppo di lavoro: la cessazione della violazione dei diritti umani nel Kossovo; l’assicurazione a non ripetere il bando ai mezzi indipendenti ed alla Fondazione Soros; il permesso ad un incremento della presenza internazionale nel Kossovo per il monitoraggio dei diritti umani, incluso il ristabilimento della missione dell’OSCE, e l’apertura di uffici di altre organizzazioni governative e non governative (compresi centri di informazione o consolati).
Da parte della leadership kossovara queste misure dovrebbero includere la riaffermazione ad un impegno all’uso della nonviolenza; un impegno ed un ulteriore chiarimento sulla garanzia da dare al rispetto dei diritti della minoranza serba nel Kossovo, che includa un monitoraggio internazionale; una non dichiarata comunicazione della volontà, per ridurre le tensioni, a differire la discussione sull’indipendenza mentre si portano avanti le discussioni sulle misure “ad interim”.
Da parte della Comunità internazionale far pressione sul governo della Repubblica Federale della Jugoslavia (Serbia e Montenegro) a permettere la riapertura della missione permanente dell’OSCE in Serbia; lo stabilire centri operativi nel Kossovo di organizzazioni umanitarie internazionali come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e il Comitato Internazionale della Croce Rossa, che ora servono la regione da altri uffici. Gli attori internazionali dovrebbero inoltre usare i propri buoni uffici “per assistere le comunicazioni ed il dialogo tra le autorità della Serbia ed i leaders politici kossovari. Anche le Organizzazioni NonGovernative dovrebbero cercare di impegnare le parti, inclusi gli attori non ufficiali ed i leaders sociali, in varie forme di dialogo” (p.8).
2) La speranza del gruppo di lavoro è quella che queste misure per la crescita della fiducia possano portare a delle discussioni più aperte che, a loro volta, possano contribuire a raggiungere un accordo ad interim che sciolga le tensioni senza richiedere a nessuna delle due parti di rinunciare alle sue posizioni consolidate sullo stato finale del Kossovo. Gli autori vedono un grosso ostacolo all’entrata in questa fase di dialogo e negoziazione dall’insistenza dei Kossovari sulla presenza di un mediatore internazionale, da un parte, e dal rifiuto di tale richiesta da parte del governo di Belgrado, dall’altra, che considera questa richiesta come una indebita “internazionalizzazione” di un problema che esso considera interno. “Per questo - scrivono gli autori - il ruolo di portare insieme le due parti può cadere, inizialmente, su organizzazioni non-governative. Lo scopo di discussioni non-ufficiali, di secondo livello, sotto auspici ufficiosi potrebbe essere quello di dar vita e generare idee per le misure di costruzione della fiducia e per l’implementazione di arrangiamenti ad interim” (p.15).
3) Secondo i relatori questo accordo ad interim potrebbe includere, ad esempio, un assenso da parte della Serbia a riaprire ed a riportare al controllo locale degli Albanesi le istituzioni culturali ed educative del Kossovo (incluse le scuole e l’Università di Pristina), ed un accordo, da parte dei Kossovari, a partecipare alle istituzioni politiche della Repubblica Federale della Yugoslavia (ma non a quelle della Serbia), partecipando, ad esempio, alle elezioni federali che dovrebbero essere però condotte secondo standards accettati e controllati dall’OSCE. Secondo gli autori, comunque, la normalizzazione della vita nel Kossovo “richiederebbe il ritorno ad un normale funzionamento di tutte le istituzioni pubbliche, incluso il ritorno al lavoro dei tanti individui che sono stati licenziati o che si sono dimessi dal loro lavoro” (p.16). Essi comunque suggeriscono che l’avvio di questo processo potrebbe prendere la forma di una riforma costituzionale nella quale venga ridefinito, a lungo termine, lo status del Kossovo, e la struttura dello stato Yugoslavo (ibid.)
“Ma a lungo termine - scrivono i relatori - l’intera regione dei Balcani richiede una maggiore integrazione economica interna, come pure con l’Europa, per crescere e prosperare..... impegni di integrazione economica della regione e della regione con il resto dell’Europa dovrebbero essere incoraggiati”. Tra le prime iniziative in questo senso gli autori raccomandano un finanziamento internazionale ed un supporto tecnico alla costruzione di un corridoio di trasporto attraverso la Macedonia che leghi la Bulgaria all’Albania ed ai porti Adriatici.

5) Follow-up delle proposte

Secondo gli autori una prima attuazione di queste proposte si è avuto con l’apertura, a Pristina, il 5 giugno 1996, di un Centro di Informazioni degli Stati Uniti (USIA), e la nomina di un diplomatico statunitense alla sua direzione. Gli autori raccontano di aver direttamente parlato con Milosevic, nel loro incontro durante il viaggio studio, dell’opportunità dell’apertura di questo centro e di aver ottenuto da lui un accordo. Per questo parlano dell’apertura di questo centro come di “un evento che il gruppo di lavoro ha aiutato a portare avanti”(p.7). Ma un altro follow-up delle proposte ci sarà, nel mese di aprile, a New York, in un incontro cui dovrebbero partecipare esponenti della maggioranza di governo e dell’opposizione di Belgrado e rapprentanti politici kossovari. E’ prevista la partecipazione, a questo incontro, anche di un rappresentante del governo statunitense. Dalle ultime notizie avute i rappresentanti dei partiti di Governo non hanno partecipato, e quindi l’inizio sperato del dialogo non sembra esserci stato, almeno con i rappresentanti del Governo Serbo. Si é invece recata la Vesna Pesic, una dei tre leaders di Zajedno, la coalizione serba di opposizione. Non abbiamo ancora notizie sui risultati dei colloqui tra la leadership albanese e quella dell’opposizione. Speriamo che il colloquio sia servito a fare qualche passo avanti nella reciproca comprensione.

Secondo gli autori una prima attuazione di queste proposte si è avuto con l’apertura, a Pristina, il 5 giugno 1996, di un Centro di Informazioni degli Stati Uniti (USIA), e la nomina di un diplomatico statunitense alla sua direzione. Gli autori raccontano di aver direttamente parlato con Milosevic, nel loro incontro durante il viaggio studio, dell’opportunità dell’apertura di questo centro e di aver ottenuto da lui un accordo. Per questo parlano dell’apertura di questo centro come di “un evento che il gruppo di lavoro ha aiutato a portare avanti”(p.7). Ma un altro follow-up delle proposte c’é stato, il 7-8-9 aprile, a New York, in un incontro cui hanno partecipato esponenti dell’opposizione di Belgrado e rapprentanti politici kossovari. Il partito di Milosevic si é rifiutato di partecipare all’incontro con la solita scusa che il problema del Kossovo é un problema interno della Serbia, ed anzi ha accusato i membri dell’opposizione che vi hanno partecipato (Draskovic, Pesic ed altri) di essere dei traditori della Patria. All’ incontro ha partecipato anche R. Perina, Assistente Segretario di Stato del governo statunitense per gli Affari Europei.
Nella dichiarazione finale si parla dell’incontro di New York come del seguito di uno tenuto a Belgrado nel giugno 1995 su “Processi democratici e relazioni etniche nella Jugoslavia”. In questo simposium il Partito Socialista della Serbia, il Partito di Milosevic, aveva proposto di dare inizio a serie discussioni per cercare una soluzione al problema della relazioni serbo-albanesi e la LDK, il partito principale degli albanesi del Kossovo, aveva aderito a questa proposta.
Nella dichiarazione finale si dice che i partecipanti all’incontro si sono impegnati ad incontrarsi regolarmente, ed hanno pianificato una nuova tavola rotonda prima possibile a Belgrado, Pristina , od in altri luoghi validi. “Prendendo atto del fatto che é un processo difficile i partecipanti chiedono che si dia avvio con urgenza ad un approccio ‘passo per passo’ che tenda a facilitare l’inizio di negoziazioni politiche sull’intero complesso di argomenti. I partecipanti si rendono conto della propria responsabilità per il futuro dei Balcani, della Jugoslavia e del Kossovo. I partecipanti riconfermano il loro impegno ad una risoluzione pacifica di tutte le dispute”. Viene poi un invito al Partito Socialista al potere che aveva partecipato al primo incontro e suggerito il secondo, a partecipare ai futuri lavori. Nel comunicato, dopo aver fatto delle dichiarazioni poi riprese nel documento finale, si ringrazia il “Progetto per le Relazioni Etniche”, l’ organizzazione promotrice dell’incontro, e tutte le altre che hanno reso possibile il dialogo, e conclude: “Comunque tutte le parti riconoscono che le soluzioni devono essere raggiunte dagli stessi attori politici serbi, ed albanesi del Kossovo”.
Ma l’incontro si é concluso anche con la sottoscrizione di un documento definito: “Posizioni di comune accordo” in tre punti. Ecco il testo:
“1. Il Kossovo costituisce un serio problema che richiede una soluzione urgente. Senza un incoraggiamento e l’appoggio internazionale non é possible superare l’attuale mancanza di fiducia tra le parti, né raggiungere una soluzione duratura.
2. Il problema può essere risolto solo con un accordo comune raggiunto attraverso un dialogo che venga iniziato senza precondizioni o pregiudizi sui possibili risultati.
3. L’accordo deve essere basato sui principi di democratizzazione, di mutuo rispetto tra le parti, del rispetto dei diritti umani, sia individuali che collettivi, e della promozione della stabilità regionale attraverso il rispetto dei principi di Helsinki in rapporto ai confini. Una soluzione “ad interim” richiede un Kossovo democratico in una democratica Serbia”

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