G) Fondazione “Bertelsmann”, Monaco, Germania

1) Organismo , o organismi coinvolti, e sue caratteristiche

Del lavoro di questa Fondazione siamo venuti a conoscenza solo recentemente, grazie ad alcuni articoli apparsi nella stampa. Per questo, malgrado non l’avessimo prevista nel progetto originale di analisi comparativa, abbiamo deciso di aggiungerla, anche a causa di una certa originalità dell’impostazione del suo lavoro. Gli articoli sono: D. Bisenic, Scenari reali per il compromesso, in “Na_a Borba”, del 21 gennaio 1997; V. Surroi, L’isola delle tre opzioni, Rodi, in “Koha”, ed. inglese, ; P. Simic, Il Kossovo nelle Alpi, in “Koha”, ed. inglese, del 5 febbraio 1997 ; G. Pula, Il Kossovo; Repubblica in una nuova (con)federazione ; in “Koha”, ed. ingl., del 12 febbraio 1997. Il lavoro della Fondazione non risulta ancora completato, per queste ragioni questa scheda é del tutto provvisoria, in attesa di trovare una documentazione più completa. Da questo materiale veniamo a sapere che il lavoro di mediazione sul problema albanese che essa sta cercando di svolgere si inserisce in un più largo progetto denominato “Una strategia per l’Europa”. Nel quadro di questo progetto scienziati ed esperti della Fondazione si occupano dei problemi dei paesi ex-comunisti, di problemi etnici e di modelli di rapporti all’interno dell’Unione Europea. La Fondazione, con sede appunto a Monaco, in Germania, fornisce una consulenza a molte organizzazioni ed istituzioni, a partire dall’Unione Europea fino ai ministeri di vari paesi. Secondo Surroi la Bertelsmann é “la più grande fondazione tedesca” (Surroi, Koha, p. ). Quando ormai questa scheda era già quasi finita siamo riusciti a procurarci i documenti complessivi elaborati dai vari gruppi di lavoro. Questi includono: la lettera di invito all’incontro di Monaco, con relativo programma (21-22 gennaio 1997), e cinque relazioni, come specificato in seguito, per ognuno dei tre temi prescelti (una da parte serba ed una albanese). Manca però, perché non è stata scritta, la relazione dello studioso serbo della terza commissione (Ratomir Tanic, del Partito di “Nuova democrazia” di Belgrado), quella che doveva analizzare lo scenario diell’ ”Indipendenza del Kossovo ottenuta pacificamente”. Per il primo scenario, quello del “come migliorare l’attuale situazione del Kossovo?”, ci sono due documenti ciclostilati, di V. Surroi, direttore di Koha, sullo stesso titolo, ed uno di D. Batakovic, storico dell’Istituto d Studi Balcanici di Belgrado, e membro dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti, intitolato “Strategie e scelte per il Kossovo”; quelli della seconda commissione su “come realizzare un’ampia autonomia per il Kossovo?”, sono già citati su, anche se il titolo del lavoro di Simic é in realtà più scientifico, e cioè: “Lo stato di autonomia del Sud Tirolo in Trentino: un modello europeo per la crisi del Kossovo?”, ma il testo, a parte la mancanza di note nel giornale, risulta lo stesso, così pure quello di G. Pula; per la terza Commissione, che doveva proporre degli scenari su “Come realizzare l’indipendenza della regione?”, é stato scritto, e consegnato ai partecipanti del gruppo di lavoro, solo il documento della studiosa Albanese, I. Zymberi, del Centro di Informazione sul Kossovo, di Londra, intitolato: “Abbozzo di principi per lo stato sovrano della Repubblica del Kossovo”. Su questi altri documenti, per non ampliare troppo la scheda e non creare squilibri con le altre, e per non rifare tutto il lavoro già fatto, saremo costretti ad accennare solo per sommi capi, sottolineando soprattutto gli aspetti fondamentali per l’analisi comparativa che stiamo facendo.

2) Scopi dichiarati dell’intervento e principi ispiratori

Su questo aspetto, dai primi articoli su citati, non veniamo a sapere molto. Solo che la Fondazione, cercando appunto di porsi come mediatrice per il problema albanese del Kossovo prende come base di partenza del suo lavoro il rispetto del Trattato di Parigi per la stabilizzazione dei Balcani, in vista di arrivare alla firma di contratti bilaterali tra i paesi coinvolti. Quindi, mentre, secondo questo trattato, ai paesi interessati (Jugoslavia, Macedonia, Albania) dovrebbe essere garantita “l’inviolabilità dei confini”, dall’altra parte “alla minoranza albanese dovrebbe essere garantita un’ampia autonomia” (Bisenic, p.14). Nella lettera di invito si dice qualcosa di più: “Cerchiamo di sviluppare dei passi concreti per la cooperazione in modo da migliorare la situazione della popolazione albanese anche se le posizioni sullo status futuro sono fortemente opposti l’uno all’altro”, scrivono gli organizzatori dell’incontro. “Nel mettere a punto l’incontro gli organizzatori hanno applicata una esperienza guadagnata nel corso del processo di pace nel Medio Oriente: lasciando fuori di considerazione le differenze sullo stato finale, sono state introdotte, pezzo a pezzo, forme cooperative di risoluzione del conflitto”. I due organizzatori hanno infatti spiegato, dice la lettera citata, “che le differenze, radicate nella storia, impedivano di vedere delle possibili aree di accordo. Sviluppando, al contrario, scelte di cooperazione nel quadro di scenari orientati al futuro, questo avrebbe provato che esistevano dei punti comuni malgrado le assunzioni, completamente diverse, sulla soluzione finale”

3) Modalità e durata del lavoro preliminare che ha portato alla/e proposta/e

Dal materiale su citato sappiamo che la Fondazione ha organizzato due seminari o conferenze internazionali, una nell’isola di Rodi, all’inizio dell’autunno 1996, ed uno a Monaco, alla fine di gennaio 1997. A questi seminari sono stati invitati studiosi serbi ed albanesi del Kossovo. Per il Kossovo hanno partecipato V. Surroi, direttore di Koha, G. Pula, responsabile della sezione locale della H.C.A. (Helsinski Citizens Assembly), I. Zymberi, del “Centro di Informazione sul Kossovo” di Londra. Per la Serbia, P. Simic, direttore dell’Istituto di Politica ed Economia Internazionale di Belgrado, M. Protic, delle stesse istituzioni del Prof. Batakovic, e R.Tanic, già accennato. Da parte tedesca i partecipanti sono i tre studiosi, e docenti universitari, Brusis, Trebst e Pabin (quest’ultimo però non risulta nella lista degli invitati). Alla base degli incontri, tra gli altri materiali, c’era un documento del Prof. Trebst sulla questione albanese nel Kossovo, pubblicato nell’anno precedente. Trebst é il Direttore del Centro Europeo per le Minoranze di Felnsburg, ed é stato impegnato in missioni OSCE in Macedonia ed in Moldavia. In questo lavoro erano presentati sei scenari possibili per la soluzione del nodo del Kossovo: 1) il ritorno all’autonomia prevista dalla Costituzione del 1974; 2) la proposta di A. Demaçi di una nuova Federazione Jugoslava, con il Kossovo come parte costituente; 3) La “Repubblica del Kossovo” come portata avanti dalla linea politica dell’LDK (Lega Democratica del Kossovo); 4) La divisione del Kossovo, proposta ripresa recentemente dall’Accademia delle Scienze e delle Arti di Belgrado (Sanu); 5) un conflitto aperto tra “ribelli albanesi” e polizia e militari serbi; 6) il mantenimento dell’attuale situazione di “status quo” (Bisenic, p. 15). Nella Conferenza di Rodi era stato deciso di costituire tre “gruppi di lavoro con lo scopo di elaborare e valutare tre modelli ipotetici possibili,, per la soluzione dello status politico del Kossovo, dal punto di vista sia delle premesse politico-teoriche, sia del momento politico attuale “ (ibid.). I modelli elaborati - si dice nella premessa al lavoro di G. Pula - sono previsti come base di future discussioni all’interno della conferenza e non implicano l’adesione politica degli autori” (Koha, 12 febbraio 1997, p. 10). Il compito del primo gruppo di lavoro é quello di elaborare un modello “che punti al miglioramento della situazione del Kossovo nel quadro di una continuazione dello status-quo politico attuale, e cioè in mancanza di una soluzione politica per il Kossovo” (ibid.). Quello del secondo gruppo é di elaborare “ i possibili modelli di una soluzione politica all’interno dei confini, riconosciuti internazionalmente, dell’attuale Yugoslavia, suggerita da fattori internazionali e definita come ‘larga autonomia’ “(ibid.). Il terzo gruppo dovrebbe invece elaborare un modello di “ipotetica indipendenza per il Kossovo raggiunta in modo pacifico” (ibid.). Ad ogni gruppo di lavoro partecipano due esperti, uno per parte, senza però “tener conto delle loro personali predisposizioni per una o l’altra delle soluzioni” (Koha, 5 febbraio, p. 10). Il terzo partecipante ad ogni gruppo di lavoro é uno dei tre studiosi tedeschi che svolge un ruolo di mediazione tra le due parti. La fine di questi lavori é prevista nell’estate prossima in un incontro plenario. A questa Conferenza saranno invitati dei consulenti dell’attuale governo serbo, l’opposizione di Belgrado, ed il “governo ombra” del Kossovo. “Gli organizzatori e gli esperti del progetto...intendono presentare un rapporto con delle proposte per l’azione” (lettera cit.)

4) Proposta/e specifica/he

Del primo gruppo di lavoro, sul miglioramento della situazione attuale, ci sono i contributi di Surroi e di Batakovic. Surroi parte dalla constatazione sullo stato di illegalità dell’attuale situazione del Kossovo dal momento che i cambiamenti costituzionali nel 1989 sono stati fatti con la violenza ed unilateralmente ed hanno portato alla gestione diretta da Belgrado della regione. ”Il conflitto kossovaro-serbo negli ultimi sei anni - scrive Surroi - si é espresso nel cercare di imporre ai kossovari un sistema legale che essi non hanno votato, da una parte, e dall’altra parte da un tentativo di costruire un sistema legale ombra contrario al quello serbo” (p. 1). Secondo questo studioso perciò “ogni tentativo di migliorare le condizioni tra i kossovari e la Serbia senza toccare lo status costituzionale é destinato ad essere, in un modo o nell’altro, legato alla questione della legalità e della legittimità, ed in fin dei conti allo stesso status costituzionale” ibid.). Cercando perciò di definire con esattezza il problema, nella fase attuale, scrive Surroi : ”come assicurare miglioramenti alla situazione attuale senza essere impediti dal conflitto sulla legalità?”. L’autore constata in seguito che per il momento il dialogo tra le due parti si é concentrato solo sul problema della scuola ma che la diversa interpretazione su molti temi (finanziamenti e curriculi), spesso legata anche questa alle prerogative costituzionali del Kossovo e della Serbia, impedisce di portare avanti dei miglioramenti. A queste difficoltà di dialogo e di possibilità di migliorare la situazione contribuiscono anche le diverse paure delle parti. Scrive Surroi: “ La paura principale espressa fino ad ora dai serbi é la sovranità (integrità territoriale, l’unità dello stato serbo, ecc.)” e “ciò che potrebbe accadere ai serbi e/o alla loro eredità culturale sotto il dominio della maggioranza albanese” (p.2). La paura principale degli albanesi é quella di “rimanere sotto dominio serbo, in qualsiasi forma”, ed anche quella di “una soluzione violenta al problema del Kossovo che venga da parte serba”.” Il terzo attore (“internazionale”) - scrive Surroi - ha unito le due paure: l’indipendenza del Kossovo porta alla guerra/instabilità; il Kossovo sotto il presente dominio porta alla guerra/instabilità”( ibid.): Perciò, scrive l’autore: “In queste condizioni, ogni tentativo di migliorare la situazione dovrebbe risolvere queste paure, dato che esse fanno parte del problema” (ibid.). La definizione del problema perciò si complica, perché diventa “come assicurare miglioramenti nella situazione data attuale, costruendo una fiducia reciproca, senza essere impediti dal conflitto sulla legalità e dalle interpretazioni arbitrarie delle parti in conflitto?” (ibid.). Per far questo si deve tenere in mente il fatto che nessuna delle due parti vuole abbandonare, se non per scelta propria, i suoi progetti politici e che vorrebbe vedere questi progetti incorporati in ogni gesto destinato a migliorare la situazione (p. 3). Ma per rispondere a queste richieste é necessario tener presente alcuni principi: “a) la forza (includendo in questa nozione anche l’inviolabilità dei confini sulla base della forza) non può essere uno strumento per la risoluzione del conflitto Un accordo negoziato é necessario; b) il principio di autodeterminazione dei popoli; c) le soluzioni devono essere trovate all’interno degli standards accettati internazionalmente sui diritti umani e sulla democrazia; d) le soluzioni devono essere trovate attraverso un periodo ad interim” (ibid.). Secondo Surroi se questi quattro punti venissero accettati come principi in una dichiarazione congiunta, si sarebbe raggiunta una affermazione di intenti nella quale ambedue le parti possono vedere i propri progetti procedere e rispettata la propria soggettività (ibid.). Ma dato che i periodi negoziali sono di solito instabili, e c’é un livello di sfiducia reciproca elevatissimo, “é necessario un altro ‘pacchetto’ per diminuire il livello della paura e crearne uno di fiducia reciproca” (p.4). E questo sarebbe possibile attraverso: a) dei garanti internazionali del processo (paesi ed organizzazioni legate al “secondo muro delle sanzioni” del dopo Dayton); b) una presenza internazionale nel Kossovo durante il processo; c) un corpo politico autorevole in cui siano presenti dei rappresentanti statali del Kossovo, della Serbia e di organi politici internazionali che si occupi dell’andamento del processo; d) un “difensore civico” per i diritti umani responsabile nei riguardi dell’organizzazione prima citata; e) la definizione del problema nei termini di “un miglioramento della situazione all’interno del quadro generale” (ibid.): Surroi poi precisa i compiti, gli strumenti ed i poteri, di questo organismo all’interno del processo. Questi sarebbero : il miglioramento della situazione attraverso una gestione democratica; la costruzione di istituzioni democratiche nei tre rami del potere; con una speciale commissione che si occupi della posizione dei serbi all’interno di una democrazia di maggioranza; la creazione di un ‘quadro legale ad interim’; la definizione di un tempo per la validità del quadro legale ad interim e per la creazione di istituzioni democratiche. Ma Surroi si pone in seguito il problema, viste le difficoltà passate, di quale potrebbe essere il “quadro legale ad interim”. Lui intravede tre possibili soluzioni: a) la creazione di un nuovo sistema legale da parte della Organizzazione su citata (che lui definisce, esemplificativamente come CODEKO - Commissione, o comitato, per un Kossovo democratico), o da parte di un gruppo specificamente incaricato; b) l’accettazione, come base, dell’ultimo sistema legale accettato mutuamente; c) la costruzione di un nuovo sistema legale da parte dell’organizzazione suddetta sulla base dell’ultimo sistema legale accettato mutuamente. E Surroi conclude il suo saggio, scritto in modo sintetico ed asciutto, a mo’ di appunti su cui riflettere, cercando di prevedere gli effetti di questi passi, tra cui lui vede: la rapida diminuzione delle violazioni dei diritti umani; la caduta delle tensioni tra il Kossovo e la Serbia; la creazione di un clima di buona volontà tra le due parti, e di buona volontà tra la Serbia ed il resto del mondo; la creazione di istituzioni democratiche che possono trovare un accordo politico con la Serbia, attraverso meccanismi democratici; la definizione di un quadro per raggiungere “all’accordo finale” attraverso le elezioni di un corpo rappresentativo del Kossovo e la creazione di istituzioni democratiche di gestione, cercando però, nella prima fase, di tenere ‘in ghiaccio’ sia il problema delle finanze (ma mettendo in vita il principio della “tassazione solo con rappresentazione”, che quello della difesa (ma con la definizione che l’unica presenza delle forze armate serbe dovrebbe essere nelle aree militari ristrette. Secondo Surroi questa “organizzazione” o Corpo, darebbe vita ad una tavola rotonda di negoziazione sui problemi in disputa, e stimolerebbe il “processo” verso un accordo finale tra “un Kossovo consolidato dal punto di vista democratico ed anche, si spera - aggiunge Surroi - una Serbia democraticamente consolidata”.
Il documento da parte serba della stessa commissione é invece scritto, come già accennato , da D. Batakovic, uno storico dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti (SANU). L’Accademia é nota per essere stata la “culla” del nazionalismo e dello sciovinismo serbo, e per avere pubblicato, sia pur informalmente, nel 1986, un documento che alcuni studiosi hanno definito “il programma teorico delle recenti guerre jugoslave”. E’ perciò di estremo interesse vedere il contributo che può venire da uno dei membri di questa organizzazione alla delineazione di un processo di pace, e di risoluzione nonviolenta di un conflitto annoso come quello del Kossovo. L’autore fa all’inizio una analisi storica nella quale sostiene che la Costituzione del 1974, quella che aveva regolato i rapporti tra nazionalità e repubbliche della Federazione Socialista Jugoslava, é stata opera della “nomenclatura comunista” ed é stata ispirata ai principi leninisti che “il nazionalismo delle grandi nazioni era più pericoloso di quello delle piccole” (p. 1). Perciò Tito ed i suoi collaboratori, soprattutto Kardelj, hanno elaborato e messo a punto questa costituzione per difendere la Federazione dal rischio di una “egemonia serba”, e “per paura del ‘pericolo della Grande Serbia’”. Scrive l’autore: “Il nazional-comunismo, attraverso la Costituzione del 1974, ha introdotto il governo della maggioranza per le principali nazionalità in ogni repubblica e provincia delle federazione, con il risultato che in queste é continuato ad esserci - a livelli più o meno grandi - una discriminazione contro le nazionalità, o le minoranze nazionali, che risiedevano in ogni repubblica o provincia” (ibid.). L’autore parla poi delle persecuzioni anti serbe nel Kossovo: “ Una serie di pressioni amministrative e fisiche, in successione l’una con l’altra, contro i Serbi del Kossovo, hanno portato alla loro quieta ma costante e forzata emigrazione verso l’interno della Serbia, un processo di cui molti erano al corrente, ma che pochissimi hanno avuto il coraggio di denunciare pubblicamente” (ibid.). Parla in seguito della teoria della diretta discendenza degli albanesi del Kossovo dagli antichi Illiri come di una “mitologia nazionale”, e come una “campagna di propaganda nazionalistica” ispirata da Enver Hoxha, il capo di allora dell’Albania. Queste persecuzioni e questa campagna hanno portato al crescere del discontento tra i Serbi del Kossovo, alla creazione di tensioni interetniche pericolose, ed al movimento di autorganizzazione dei Serbi di questa zona. Secondo lo scrittore questa frustrazione nazionalista é stata utilizzata intelligentemente da Milosevic il quale, attraverso un colpo di stato interno al partito, ed utilizzando metodi populisti, si é assunto il “ruolo di protettore degli interessi nazionali”, ed ha puntato perciò all’abrogazione della Costituzione di Tito. Ma , dice l’autore, gli scioperi e le dimostrazioni degli albanesi del Kossovo in difesa dell’autonomia, e l’appoggio alle richieste degli albanesi da parte della Slovenia e della Croazia, hanno in realtà “rinforzato la posizione di Milosevic” e “cementato il suo carisma” (p. 3). “I risultati - scrive Batakovic - sono stati la limitazione dell’autonomia, disordini e repressione poliziesca nel Kossovo. Nel marzo 1989 lo status semi-repubblicano delle due provincie della Serbia [Kossovo e Voivodina] é stato ridotto al vero significato dell’autonomia”(ibid.). “Gli emendamenti del 1989 alla Costituzione del 1974 hanno annullato il diritto alla legislatura separata delle provincie, hanno abolito il potere di veto dei parlamenti provinciali nei riguardi di quello della Serbia, hanno posto il potere sui rapporti internazionali nelle mani della Repubblica Serba, ed hanno limitato il diritto a discutere su un provvedimento ad un periodo di sei mesi, dopo i quali la materia doveva essere risolta con un referendum. Il referendum, boicottato dalla etnia albanese, si é tenuto nel luglio 1990”(ibid.). Come si vede, al contrario di Surroi che vede l’eliminazione dell’autonomia da parte serba come una azione violenta e forzata, Batakovic ne sottolinea gli aspetti democratici (il referendum). E secondo questo autore la risposta degli albanesi di non accettare i cambiamenti ed organizzare elezioni e governo proprio - all’interno di una politica che lui definisce come “secessionista” - hanno portato a quella che lui chiama “la bilancia dell’intolleranza”. Scrive infatti Batakovic: “Se gli albanesi rinunciassero al loro rifiuto a vivere in Serbia, con i loro voti l’opposizione democratica della Serbia andrebbe facilmente al potere. Dall’altra parte, finché Milosevic é al potere in Serbia, Rugova può sempre sperare nell’internazionalizzazione del problema del Kossovo” (p. 4). E, prima di presentare le sue proposte per la soluzione della questione, sottolinea come la posizione geopolitica di questa area fa sì che “ogni tentativo di raggiungere gli obiettivi degli albanesi del Kossovo, porterebbe ad una guerra di proporzione balcanica con conseguenze difficilmente immaginabili” (ibid.). E questo perché cambierebbero i confini interstatali stabiliti nel 1912-1913, e perché il diritto di autodeterminazione cui si richiamano gli albanesi “non é ammesso in alcun luogo in Europa per le minoranze nazionali, non importa quanto grande sia la loro percentuale in confronto alla complessiva popolazione del paese” (ibid.). Arrivando alle possibili soluzioni, l’autore ne presenta due: 1) la regionalizzazione della Serbia; 2) la delimitazione interna del Kossovo.
1) La regionalizzazione della Serbia. Secondo Batakovic bisognerebbe aprire un dialogo ed arrivare a delle concessioni reciproche ”La prima concessione dell’etnia albanese dovrebbe essere il riconoscimento della sovranità serba sul Kossovo. Il passo successivo sarebbero delle concessioni negoziate in rapporto alla forma di autonomia del Kossovo” (p. 5). Ma secondo l’autore “si dovrebbero eliminare i diritti delle collettività - una eredità comunista - e rimpiazzarli con diritti umani e civili di tutti i cittadini senza riguardi alla nazionalità ed alla religione” (ibid.). In un quadro di questo tipo la Serbia dovrebbe offrire lo status più largo possibile di autonomia in accordo con la legislazione internazionale. E facendo riferimento ai partiti dell’opposizione serba, cui sembra che l’autore si identifichi, fa la proposta della regionalizzazione della Serbia, e cioè della divisione del territorio in più piccole unità regionali, con popolazione etnicamente mista, e basate sulle caratteristiche economiche della zona. In ognuna di queste aree ci dovrebbero essere dei parlamenti regionali con due camere, “quella bassa, i cui membri sarebbero eletti da un voto diretto, e quella alta nella quale ogni gruppo etnico sarebbe rappresentato in modo uguale” (p. 6). Questo impedirebbe l’uso del voto di maggioranza, che secondo l’autore é stato applicato distruttivamente dal regime comunista, e garantirebbe la protezione di tutti i gruppi etnici (ibid.). Sulla base di questo dà poi l’indicazione di alcune proposte pratiche come la restituzione del diritto ad utilizzare gli edifici scolastici per le scuole in lingua albanese che, se non accettano il programma ufficiale, non sarebbero finanziate dalla Serbia. Se invece c’é la possibilità di trovare punti comuni per un programma accettato dalla Serbia “può essere parzialmente finanziato dallo stato” (ibid.). Altre proposte riguardano il rientro del personale sanitario e degli albanesi licenziati nei loro posti di lavoro, ed infine “la loro partecipazione ai corpi esecutivi del sistema politico”(p.7).
2) la delimitazione interna del Kossovo: questa prevede la “divisione del Kossovo in due unità separate, ambedue, naturalmente, all’interno della Serbia, ma con qualche sistemazione politica specifica” (ibid.). Il Kossovo, che lui definisce, sulla scia di Draskovic, “la Gerusalemme dei Serbi”, ha troppi interessi politici, strategici ed economici per la Serbia perché questa possa accettare la sua separazione. Scrive Batakovic . “Qualsiasi governo serbo sarebbe rovesciato se accettasse qualsiasi sistemazione che aprisse, in un modo o nell’altro, la strada alla secessione” (ibid.). Per questo egli propone che circa il 25 % del territorio del Kossovo (quello del nord dove ci sono le risorse minerarie indispensabili all’economia della Serbia, ed alcune zone vicino a Pec, con i più importanti monumenti storici della cultura serba) venga “unito, come unità economico e politica separata, all’interno della Serbia....con l’aperta possibilità dei Serbi espulsi di ritornare e risistemarsi in quella zona”(ibid.). Il resto del territorio, e cioè circa il 75%, sarebbe invece organizzato in una unità separata sotto l’autorità albanese “ma sempre sotto la sovranità della Serbia” (ibid.) Il sistema a due camere, su accennato, sarebbe la garanzia per una uguale protezione dei diritti delle minoranze. E lo stato della Serbia manterrebbe perciò la sua unità. Nel concludere l’autore, che definisce questa come una “soluzione basata sulla ‘real-politik’”, sostiene che qualsiasi governo ci sia a Belgrado, per i Serbi “l’autonomia del Kossovo come prevista dalla Costituzione del 1974 é inaccettabile” (ibid.). E, in tono abbastanza minaccioso, conclude: “La parte serba non é più potente dal punto di vista militare e politico come era qualche anno fa, ma é ancora forte, se necessario, per combattere per la preservazione del territorio della Serbia. Il lato albanese sovrastima l’appoggio internazionale, e sottostima invece la disponibilità dei Serbi a difendere il Kossovo dopo le guerre perse in Croazia ed in parte in Bosnia, anche nei momenti degli attuali importanti tumulti interni” (p.8). Da parte nostra ci viene spontaneo il commento, usando un vecchio proverbio: “Il lupo perde il pelo, ma non il vizio!”
Del secondo gruppo di lavoro su citato, definito come “larga autonomia” sono stati scritti e pubblicati i due contributi di Simic e di Pula. Lo studioso serbo, Simic, pur accennando anche al modello dell’autonomia delle Isole Åland, tra la Svezia e la Finlandia - modello analizzato da un’ altra delle proposte prese in analisi, quella della Campagna per una soluzione nonviolenta del problema del Kossovo - si concentra solo su quello del Sud Tirolo (o Alto Adige), considerato come “una delle forme più avanzate di ‘autodeterminazione interna’ nell’Europa d’oggi” ( p.11). Scrive Simic, nell’introdurre il modello da lui prescelto, parlando della protezione dei diritti civili dei cittadini: “Attraverso l’OSCE la responsabilità del governo verso i suoi cittadini é diventata una materia di standards internazionali, o, in altre parole, la sovranità degli stati é stata internazionalizzata in materia di diritti umani” (ibid.). Ed, a questo proposito, scrive: “Le autorità serbe devono ancora tenere a mente che il Kossovo non é un esclusivo problema interno” (ibid.). Ma, nello stesso tempo, rivolgendosi agli albanesi dice: “ i leaders della popolazione albanese del Kossovo devono essere coscienti che, malgrado la simpatia che il mondo esprime per la loro situazione, essi non possono intraprendere azioni separatiste contro la volontà della “comunità internazionale” “ (ibid.). Simic passa poi ad analizzare il modello sud tirolese che garantisce “ampi diritti all’autogoverno della Provincia di Bolzano in materie legislative, amministrative e, fino ad un certo livello, anche legali” (ibid.). Non staremo qui a riprendere la sua descrizione del modello dato che esso, specie in Italia, é abbastanza noto. Si sembrano invece più interessanti le sue considerazioni sull’applicabilità del modello alla situazione del Kossovo. Scrive Simic, “Finché il Kossovo continua ad essere una minaccia latente alla sicurezza del paese, si continuerà a richiedere la presenza di ingenti forze militari e di distaccamenti della polizia, e questi costituiranno la base di idee politiche e movimenti autoritari e di pratiche non democratiche nel paese” (ibid.). Ma nel paragonare la situazione dell’Alto Adige (da lui definito sempre Sud-Tirolo) egli nota tra le due regioni una notevole differenza. Il Kossovo é una zona povera che non é riuscita a decollare malgrado le ingenti somme spese, dalla ex-Jugoslavia - per il suo sviluppo. Di questo Simic sembra incolpare gli stessi albanesi per una politica sbagliata di privilegio di industrie a capitale intensivo in una regione dove questo era inesistente. Mentre la soluzione del problema dell’Alto Adige é stata aiutata da una parte dallo sviluppo economico della zona, dall’altra dalla partecipazione comune dell’Italia e dell’Austria all’Unione Europea: condizioni ambedue mancanti per il Kossovo. Per questo, secondo l’autore, in mancanza di una prospettiva almeno ravvicinata di una “Federazione Balcanica”, poco realistica per il momento, “una sostanziale soluzione del problema del Kossovo, che possa essere raggiunta pacificamente, ed in linea con la richiesta degli Albanesi all’autodeterminazione, può essere prevista soltanto nel quadro di un sotterraneo rimescolamento politico e territoriale dell’intera regione [come quello previsto dagli “approcci regionali” all’Unione Europea, scrive prima l’autore] che dovrebbe coinvolgere tutti gli stati interessati e che risultasse da un comune accordo” (ibid.). Per questo, conclude l’autore, la soluzione più probabile per il momento é quella della “ridefinizione dello stato di autonomia della regione”.
Gazem Pula, invece, come detto nel titolo del suo lavoro, sviluppa la tesi del Kossovo come Repubblica ma all’interno di una nuova Confederazione Jugoslava, sulle linee della proposta fatta da Demaçi, l’attuale Presidente del Partito Parlamentare. Scrive Pula, nel presentare questa proposta: “Questo approccio presenterebbe un compromesso equilibrato tra la volontà politica dichiarata dagli albanesi per una indipendenza totale e la volontà della comunità internazionale, come pure della parte serba, per l’inviolabilità di confini riconosciuti internazionalmente dell’auto-proclamatasi Repubblica Federale dell’Jugoslavia (RFJ)” (Koha, 12 febbraio, p.10). Egli sottolinea poi la crucialità del problema etnico: “La guerra nell’Ex-Yugoslavia é partita ed é stata alimentata da giustificazioni e paure, immaginate o reali, del cambiamento imposto dello status politico da “popolo” o “nazione costituente” a quello di “minoranza” o viceversa, e dalle loro implicazioni politiche” (Ibid.). Egli accenna poi alla cattiva connotazione, tra gli albanesi, del concetto di “autonomia” che é a sua volta collegato a quello di “minoranza”, concetti, scrive Pula: “cui vengono riportate la maggior parte delle colpe per lo status politico di inferiorità del Kossovo ed i mali e le sofferenze causate in seguito” (ibid.). Analizzando successivamente la composizione etnica della RFJ, riconosciuta dall’U.E. ma non ancora dagli USA, egli nota come essa “ ha una struttura chiaramente prevalente di tre etnie nazionali (Serbi, Albanesi e Montenegrini) mentre, nello stesso tempo, la sua strutturazione costituzionale e politica come stato é strettamente bi-nazionale, comprendente due repubbliche a base etnica, e cioè la Serbia ed il Montenegro” (ibid. pp.10-11). Per questo, sostiene Pula: “La conclusione che si impone immediatamente da sola appena si prende coscienza di questa scioccante incompatibilità [tra struttura etnica e costituzionale] é quella della necessaria armonizzazione attraverso una ri-federalizzazione. La ri-federalizzazione dovrebbe portare alla ristrutturazione della RFJ in una federazione a tre repubbliche con uno uguale statuto repubblicano per il Kossovo” (ibid., p. 11). Pula cerca poi degli appoggi politici e giuridici a questa proposta e li trova sia in documenti politici degli USA e dell’U.E., sia nel diritto internazionale di autodeterminazione. In rapporto al primo punto egli nota come “gli ultimi documenti [di questi organismi] parlano del ‘ristabilimento dell’ampia autonomia’ all’interno della Jugoslavia; in modo significativo omettendo la frase ‘all’interno della Serbia’” (ibid.). In rapporto al secondo punto scrive Pula “Non c’é dubbio che il diritto di autodeterminazione é stato un principio legalmente obbligatorio della legge internazionale” (ibid.). E cita due testi, uno della Dichiarazione sulle “relazioni amichevoli” dell’Assemblea Generali delle Nazioni Unite. In questo si dice che il diritto di autodeterminazione deve essere realizzato come federazione o altro stato di autonomia in associazione con lo stato esistente, ma che, se lo stato ignora o reprime questo diritto, questo può implicare anche il diritto alla secessione con lo scopo della creazione di un nuovo stato, o dell’associazione con un altro esistente (ibid.). Ed il secondo é nella citazione di un importante principio della legge internazionale che recita: “il livello di statualità o di sviluppo costituzionale raggiunto che possa essere sospeso o eliminato in possibili circostante straordinarie, non può essere degradato e dovrebbe essere ristabilito” (ibid.). E l’autore ricorda come “Lo statuto politico federale del Kossovo sia stato eliminato con la forza da Belgrado all’inizio della crisi jugoslava e come questo abbia portato al collasso del paese ed ad una guerra sanguinosa” (ibid.). Per questo egli ritiene che la proposta sia in linea con la politica ed il diritto internazionale, e che a proposito della Jugoslavia si debba parlare, data la consistenza numerica degli albanesi e delle altre etnie, di “un paese multinazionale” cui dovrebbe corrispondere uno stato “Federale” o “Confederale”. Pula conclude la sua proposta con un lungo elenco di impegni e di misure per la costruzione della fiducia reciproca, che le due parti e la comunità internazionale, dovrebbero mettere in vita per facilitare lo status federale repubblicano per il Kossovo. E’ impossibile citarle tutte, dato che prendono una pagina e mezzo delle ampie pagine di Koha. Ne citeremo solo alcune, in via esemplificativa: i serbi si dovrebbero impegnare a cessare la repressione nel Kossovo; a non usare la forza nel caso di serie contraddizioni politiche; a far aumentare la presenza internazionale nel Kossovo; ad essere pronti ad un dialogo sostanziale con i legittimi rappresentanti degli albanesi; ad osservare i principi del diritto internazionale, compreso quello autodeterminazione; a portare avanti l’accordo per la normalizzazione dell’educazione, e poi di altri settori della vita nel Kossovo; ecc. ecc.. Gli albanesi si dovrebbero impegnare a riaffermare la loro opzione nonviolenta per il raggiungimento delle loro aspirazioni politiche; all’inviolabilità dei confini attuali della RFJ rinforzati da garanzie internazionali; ad un dialogo politico ed a soluzioni pacifiche negoziate che rispettino i vitali interessi dei Serbi nel Kossovo, inclusa la proprietà serba ed uno status extraterritoriale agli storici monumenti e monasteri medioevali con libero accesso garantito internazionalmente; ad essere disponibili a posporre le loro dichiarate aspirazioni all’indipendenza per il Kossovo nei limiti di un tempo concordato mutuamente, che sarebbe garantito internazionalmente; a portare avanti una politica amichevole verso la Serbia ed i serbi; ecc. ecc. Gli impegni internazionali dovrebbero essere: la riaffermazione dell’avvertimento a Belgrado a non stimolare un conflitto nel Kossovo; a mantenere forme di pressione positive verso la RFJ (e cioè il “muro esterno” delle sanzioni) condizionandole ad un appoggio ad una soluzione stabile per il Kossovo; ad aumentare la presenza internazionale in questa area; a sforzi diplomatici per organizzare una “Conferenza Internazionale sul Kossovo”; un appoggio alle attività delle ONG che tendano ad appoggiare l’apertura di un dialogo e di altre forme di comunicazione tra la parte serba e quelle albanese; ecc. ecc. E Pula conclude il suo saggio individuando una serie di aspetti rilevanti che dovrebbero servire a facilitare la Status Federale Repubblicano del Kossovo all’interno della RFJ. Tra questi una garanzia internazionale al carattere federale della RFJ dato il carattere multinazionale di questa; garanzie esplicite a livello internazionale all’inviolabilità dei confini della RFJ e del Kossovo; lo statuto di nazione costituente agli albanesi, essendo la seconda più grande nazionalità della RFJ; lo statuto di nazione costituente ai Serbi del Kossovo; il proprio ordine costituzionale per il Kossovo, con autorità auto-nominate a livello legislativo, amministrativo e giudiziario; piena ed uguale partecipazione del Kossovo a livello federale basata sul principio di accordi federali; politica estera basata sul principio del consenso; statuto ufficiale della lingua albanese nel Kossovo ed al livello federale; ecc.ecc.
Come accennato, nel terzo gruppo di lavoro, quello che doveva definire un modo pacifico di transizione ad un Kossovo indipendente, il lato serbo non ha consegnato (obiezione di coscienza?) la sua relazione. Da parte albanese c’é invece un documento di I. Zymberi, dal titolo già citato. Ma questo, invece di delineare una strategia per il raggiungimento di questo obiettivo, il che lo metterebbe al centro di questa analisi, si limita a presentare un modello, interessante, ma abbastanza scontato per chi conosce le posizioni del partito albanese dominante nel Kossovo, di stato sovrano del Kossovo. Per questo ci limiteremo solo ad alcuni accenni al documento, in particolare in rapporto al rispetto dei diritti delle minoranze, che é uno dei problemi fondamentali della creazione di questo stato, rimandando gli interessati al testo stesso. Si prevede un esecutivo formato dal Presidente, capo dello stato, ed un primo ministro, assistito da un gabinetto “che dovrebbe tener conto della rappresentanza etnica”. L’elezione del Presidente sarà diretta, quella del primo ministro a maggioranza di voti del Parlamento. “La discriminazione di ogni genere é proscritta. Ogni gruppo o comunità etnica con almeno il 5% della popolazione complessiva avrà il diritto ad avere la sua lingua come lingua ufficiale e di ottenere servizi pubblici, inclusa la scuola speciale in quella lingua” (p.2). E sempre sullo stesso tema scrive la Zymberi: “Il bisogno di proteggere i diritti delle comunità etniche in tale paese é così pressante che, per assicurare che la giustizia sia raggiunta per ciascuno, non può essere lasciato alle procedure informali. Lo stato deve avere un meccanismo, iscritto nella Costituzione, che ha il potere di: ricercare i problemi di discriminazione, investigare accuse di discriminazione, mediare tra le parti, perseguire i discriminatori, pubblicare quanto scoperto ed anche rapporti generali sullo stato della armonia inter-etnica, delle tensioni, della discriminazione, della segregazione, e prendere delle sanzioni contro coloro che discriminano” (p.5). Secondo la Zymberi questo meccanismo deve essere autonomo rispetto ai partiti politici, e dovrebbe prendere la forma di una “Commissione di Giustizia permanente” indipendente dai poteri politici. Le lingue ufficiali dello stato sarebbero l’albanese e la serba. Ed a proposito delle forze armate, scrive l’autrice: “ in considerazione della speciale posizione del Kossovo tra l’Albania e la Serbia, sarebbe meglio fare senza forze armate eccetto per una limitata guardia di frontiera collegata alle forze di polizia ed alla difesa territoriale” (p. 11). Altri aspetti sono rimandati al testo. In allegato al documento la lunga lista dei diritti umani e di libertà che la Repubblica del Kossovo dovrebbe salvaguardare, e che sono ripresi dalla Convenzione Europea per la protezione dei diritti umani e della libertà fondamentali, dai suoi protocolli e dagli accordi internazionali.

5) Follow-up delle proposte

Dato che il lavoro della Fondazione non é ancora completato é difficile parlare di “follow-up”. C’é da dire comunque che la composizione dei gruppi di studio, di cui non fanno parte politici, se da una parte facilita il lavoro e la comprensione reciproca, dall’altra rischia di far incontrare difficoltà a rendere operative le proposte, quando si conosceranno nella loro interezza, per l’opposizione dei politici che sono stati esclusi dalla loro elaborazione. Ma di questo sono consci gli stessi collaboratori. Scrive infatti Simic: “Il significato di questi dialoghi é limitato dal fatto che non hanno coinvolto persone e politici con potere politico diretto - comunque, questi tentativi non sono del tutto inefficaci, dal momento che identificano e diagnosticano l’essenza del problema in questione ed offrono raccomandazioni e soluzioni professionali” (Koha, 5 febbr., p. 10). C’é da dire comunque che leggendo le varie relazioni presentate, le difficoltà a trovare punti di accordi tra le due parti sono notevoli, e non c’é sicuramente da invidiare gli studiosi tedeschi che devono fare il lavoro di mediazione, e le difficoltà di arrivare a delle proposte comuni ancora più grandi. Queste difficoltà sono aumentate dal rifiuto, sembra, di uno degli studiosi serbi a presentare il suo documento, e dalle conseguenze che questo può portare nell’atteggiamento della controparte albanese. E’ certo che un primo seminario, che avrebbe dovuto portare insieme nei giorni scorsi delle organizzazioni non governative del Kossovo e della Serbia, per discutere di alcune di queste proposte, é stato dovuto cancellare a causa delle proteste dei gruppi politici che si sono sentiti esclusi, e che la LDK sembra intenzionata a non partecipare al seminario conclusivo previsto se le relazioni in programma non sono state presentate nella loro interezza.

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