OPERAZIONE COLOMBA

CORPO NONVIOLENTO DI PACE
DELL’ASSOCIAZIONE COMUNITA’ PAPA GIOVANNI XXIII

DOSSIER
a cura di Alberto Capannini

SOMMARIO


1. Presentazione
2. Storia dell’Operazione Colomba
3. La presenza in Israele e Palestina
4. La presenza in Kossovo
5. La presenza in Nord Uganda
6. Operazione Colomba come Corpo Nonviolento di Pace
7. Attività politica e collaborazioni con Agenzie Internazionali
8. Verso un Corpo Nonviolento di Pace italiano









1. Presentazione

La Comunità Papa Giovanni XXIII è una Associazione internazionale che da oltre trent’anni opera nel vasto mondo dell’emarginazione, con uno stile basato sulla condivisione diretta della vita con i poveri, per la liberazione degli oppressi e la rimozione delle cause che generano le ingiustizie: oltre 200 case famiglia, 15 cooperative sociali, 6 centri diurni, 32 comunità terapeutiche, 7 case di fraternità, 1 casa di accoglienza aperta per i senza fissa dimora e tante altre forme di aggregazione che hanno portato la Comunità di don Benzi ad essere presente in oltre 15 paesi del mondo. (www.apg23.org).

La nascita di Operazione Colomba
In seno a questa esperienza, nel 1992 alcuni ragazzi (obiettori di coscienza) dell'associazione, interrogati dal conflitto jugoslavo che imperversava a poche centinaia di chilometri sull'altra sponda dell'adriatico, iniziarono a trascorrere alcuni periodi nei campi profughi della Croazia: giovani e meno giovani italiani passavano così le proprie “vacanze” con i profughi della guerra. In breve però ci si rese conto che questo non bastava. Si organizzò allora una presenza continuativa, prima solo nella parte croata, successivamente anche nella parte serba e bosniaca. Nasceva il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, denominato Operazione Colomba.
Da allora questa esperienza è stata proposta anche in altri conflitti: in Sierra Leone (1997), in Kossovo e Albania (dal 1998), a Timor Est (1999), in Chiapas-Messico (1998-2002), in Cecenia-Russia (2000-2001), nella Repubblica Democratica del Congo (2001) e nella Striscia di Gaza in Israele-Palestina (dal 2002), in Nord Uganda (dal 2005)

Le caratteristiche
L'Operazione Colomba è aperta a tutte quelle persone, credenti e non credenti, che vogliono sperimentare con la propria vita che la forza della nonviolenza è l'unica strada per ottenere una Pace fondata sulla verità e la giustizia.
I componenti sono tutti volontari, divisi in due gruppi: volontari di lungo periodo, cioè persone che danno 1-2 anni di disponibilità a tempo pieno e volontari di breve periodo, cioè persone che danno 1-6 mesi.
Dal 1992 ad oggi oltre mille persone hanno partecipato all'Operazione Colomba.

Le principali caratteristiche del nostro intervento sono:
- la nonviolenza attiva: cercare sempre l’incontro con “l’altro” con strumenti che permettono non di annientarlo (scontro), ma di colpirlo nella coscienza. Lo scopo della nonviolenza, infatti, è liberare l'oppresso e l'oppressore.
- la condivisione della vita con le persone che più subiscono il conflitto.
- la neutralità o “equivicinanza” rispetto alle parti in conflitto, ma non rispetto alle ingiustizie.

Concretamente le attività che portiamo avanti nelle zone di guerra sono:
a) vivere con i poveri, cercando di aiutarli nei loro bisogni più immediati e condividendo con loro non solo la scomodità delle situazioni d'emergenza, ma anche le paure e i rischi della guerra;
b) la protezione della popolazione civile, attraverso la nostra presenza, neutrale e internazionale, che funge da deterrente verso l'uso della violenza;
c) la promozione del dialogo e della riconciliazione, che si attua soltanto vivendo su più fronti e che si fonda sulla fiducia che le persone instaurano nei nostri confronti.


A partire dal 1995 l’Operazione Colomba ha sperimentato questo modo di entrare nelle guerre e di intervenire attraverso azioni nonviolente di interposizione, di denuncia, di accompagnamento dei profughi, di mediazione, di protezione delle minoranze, di animazione… in diversi conflitti nel mondo.

Andando a vivere con le vittime del conflitto, condividendo con le persone più colpite dalla violenza (donne, bambini, anziani, disabili… indipendentemente da etnia, credo religioso…) i disagi, le paure e le sofferenze che ogni guerra inevitabilmente genera, “vivendo con e come loro sui diversi fronti” (nei campi profughi, nelle case minacciate o sotto assedio, in tende o in case semidistrutte, in sistemazioni precarie, improvvisate o di fortuna) i volontari, sulla base dei rapporti di stima e fiducia instaurati dal basso con la gente, sono sempre diventati punto di riferimento credibile per le diverse comunità locali e conseguentemente ponte di incontro e dialogo tra le parti in conflitto.

E’ stato così possibile riunire alcune famiglie divise dai diversi fronti, proteggere (in maniera disarmata) minoranze etniche e contribuire a ricreare, seppur in spazi proporzionati alle dimensioni della presenza, un clima di convivenza pacifica.






2. STORIA DELL’OPERAZIONE COLOMBA

Croazia, Bosnia Herzegovina, Yugoslavia (1992 – 1997): l’Operazione Colomba, è stata a fianco delle popolazioni e dei rifugiati di ogni gruppo nazionale, hanno lavorato per sostenere i bisogni umanitari della popolazione civile, per promuovere il dialogo fra i belligeranti e le persone divise dalla guerra, lavorando attivamente per la risoluzione pacifica dei conflitti, per riunire famiglie ed amici divisi dai fronti, per proteggere i diritti umani delle popolazioni civili. Siamo stati presenti: a Zara, Karlovac, Sunja, Knin, Plavno, Vukovar, Zagabria in Corazia; Banja Luka, Mostar, Sarajevo in Bosnia Herzegovina; Belgrado, Sabac in Yugoslavia.

Albania (1997): durante la crisi interna e la guerra civile alcuni volontari sono stati presenti sul territorio ed in particolare presso alcuni sacerdoti missionari per sostenerli e dialogare con la popolazione.

Sierra Leone (1997): presenza sviluppata in collaborazione con la Diocesi di Makeni e Mons. Biguzzi per cercare vie di dialogo e di riconciliazione tra le parti coinvolte nella guerra civile. Abbiamo sostenuto attivamente lo sforzo umanitario della diocesi attraverso raccolte di fondi. Manteniamo tuttora i contatti con la diocesi.

Kossovo – Albania – Macedonia (1998 – 1999): dopo alcuni contatti nel 1995 con Padre Lush Giergji, fondatore del Centro Madre Teresa, abbiamo deciso di iniziare una presenza stabile poco dopo il massacro dell’area di Drenica nel Febbraio 1998. Dall’estate 1998 è iniziata la presenza in aree di conflitto ed in particolare nell’area di Suva Reka, villaggio di Recane, per promuovere il dialogo, sostenere gli sfollati, proteggere le popolazioni dalla violenza. L’azione è stata sviluppata in collaborazione con l’UNHCR – ACNUR e con l’OSCE. L’inizio dei bombardamenti NATO ha interrotto la presenza. Nell’Aprile 1999 siamo andati a sostenere un campo profughi in Albania e Macedonia per vivere accanto ai profughi. Dal Giugno siamo rientrati in Kossovo ed abbiamo dato vita a due presenze nell’area di Pec-Peja e Mitrovica, in quelle zone dove erano ancora presenti minoranze etniche.
Timor Est - Indonesia (1999): dopo le violenze perpetrate dai gruppi miliziani filoindonesiani e dall'esercito federale nei confronti della popolazione dell'isola di Timor Est che in Agosto, sotto l'egida dell'ONU, attraverso un referendum si era largamente espressa a favore dell'indipendenza, abbiamo svolto un viaggio esplorativo nell'isola di Timor dove abbiamo avuto la possibilità di conoscere in maniera più diretta la situazione, cercando soluzioni insieme alle centinaia di persone costrette a scappare nella parte Ovest dell'isola e appoggiando economicamente il lavoro svolto dalle suore Salesiane presenti a Dili da anni.

Chiapas - Messico (1998 – 2002): dopo il massacro di Acteal ad opera dei gruppi paramilitari filogovernativi, è iniziata una presenza in collaborazione con la Diocesi di San Cristobal ed il suo Vescovo (Emerito) Mons. Samuel Ruiz Garcia. I volontari della Operazione Colomba hanno vissuto nei villaggi indigeni dove si sono impegnati nella costruzione di un cammino di riconciliazione, promozione del dialogo, tutela dei diritti degli indigeni e protezione dalle violenze dei paramilitari e dell’esercito.

Cecenia – Russia (2000 - 2001): di fronte alla più completa indifferenza della comunità internazionale il conflitto in Cecenia continua a mietere centinaia di vittime sia tra i militari (russi e ribelli ceceni) che tra la popolazione civile. Nonostante le notevoli difficoltà burocratiche e i rischi siamo riusciti ad andare in Ingusetia, repubblica confinante con la Cecenia, dove si è riversata la maggior parte dei profughi (180 mila), entrando nei campi e negli accampamenti. Siamo entrati anche direttamente in Cecenia (Grozny e campi profughi limitrofi) per verificare le disperate condizioni di vita dei sopravvissuti : le persone sono abbandonate alla mercé della violenza senza nessun tipo di assistenza alimentare e igienico – sanitaria. A causa della situazione di rischio eccessivo per degli occidentali, al momento non siamo presenti sul territorio .

Repubblica Democratica del Congo – Africa (2001): in ventidue mesi, la guerra nel Congo ha contato 1.700.000 vittime, soprattutto fra i civili. Tutto nel disinteresse generale come se il fatto non esistesse. La popolazione congolese lotta con forza dal 1990 per la libertà, la democrazia e la dignità umana nella nostra bella regione dei Grandi Laghi. La “Société Civile” ha giocato e tuttora gioca un ruolo importante in questo processo.
Dopo l’esperienza della marcia per la pace “Anch’io a Bukavu” che ha portato più di 200 “bianchi “ a Butembo nel cuore del conflitto, abbiamo realizzato una presenza nella città di Bukavu, in accordo con la Société Civile, un’associazione che raggruppa le rappresentanze della "Società Civile" della città, come osservatori internazionali, vivendo insieme alla popolazione, condividendone la situazione di povertà e le tensioni della guerra.

Israele – Palestina (2002-2003): a partire dal febbraio 2002 siamo presenti in Israele a fianco delle persone colpite ed impoverite dalla guerra, da entrambe le parti. Nel maggio 2002 abbiamo cominciato una presenza stabile nel sud della striscia di Gaza , nei pressi di Kan Younis, in un territorio di scontro aperto tra esercito israeliano, che in quella zona difendeva i coloni insediatisi in territorio palestinese ed irregolari palestinesi. A fianco della popolazione civile abbiamo tentato, con una presenza di monitoraggio internazionale, di attenuare il clima di forte violenza, denunciare gli attacchi contro i civili e sostenere le famiglie più povere a causa del conflitto.

OPERAZIONE COLOMBA OGGI:
ISRAELE-PALESTINA, KOSSOVO, NORD UGANDA






3. La presenza in Israele e Palestina

Siamo presenti in Cisgiordania nel villaggio di Aboud, a nord di Ramallah, e a At-Tuwani, a sud di Hebron . Le attività sono: condivisione e sostegno alle famiglie palestinesi in difficoltà, riduzione della violenza tramite l'accompagnamento delle persone e l'interposizione nonviolenta, monitoraggio della situazione dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. Stiamo lavorando per aprire una presenza in Israele, dove condividiamo il rischio di essere vittime prendendo l'autobus o frequentando luoghi pubblici possibili obiettivi di attentati terroristici. Nell'ambito delle attività che si svolgono, sono regolari le collaborazioni con diverse associazioni israeliane per i diritti umani.

3.1 Operazione Colomba nelle South Hebron Hills

3.1.1 Il contesto

South Hebron Hills è il nome con cui si indica la zona a sud della città di Yatta, compresa tra la fine dell’espansione urbana e la Linea Verde, limite meridionale della West Bank . La zona è in gran parte “area C”, vale a dire sotto totale controllo israeliano . L'area è caratterizzata da secoli dalla presenza di agricoltori (fellayin) che vivono in grotte. E' compresa tra i 400 e i 900 m.s.l., di colline e valli, abitata da una popolazione palestinese di circa 1.100 agricoltori e pastori. I piccoli centri abitati, detti Khirbet, sono sparsi nell’area e spesso raggiungibili solo a piedi, a dorso di asino o con mezzi fuoristrada. Sul limite nord dell'area vi è il villaggio di At-Tuwani, che funge da riferimento per i piccoli centri abitati dell'area. Qui vi è una scuola, una clinica medica e un piccolo negozio. Inoltre At-Tuwani è punto di passaggio obbligato per recarsi a Yatta, luogo di mercato. Da secoli gli abitanti indigeni della zona vivono di agricoltura e pastorizia sviluppando un’economia di sussistenza. Le comunità praticano attività di tradizione millenaria, come la produzione del Leben , la coltivazione di grano (a volte ancora con aratri in legno trainati da asini), la raccolta a mano dei cereali, la produzione di farina con macine in pietra, la cottura del pane sulle braci e sassi ardenti (tabuun), la produzione di formaggio di pecora essiccato al sole e salato, la lavorazione artigianale della lana al telaio ed il ricamo, la coltivazione e lavorazione del tabacco. Solo alcuni abitanti della zona hanno un trattore, pochissimi una casa e quasi nessuno un lavoro che non sia la coltivazione della propria terra. Nel villaggio di Susiya la gente vive in tende, essendo state le loro grotte distrutte qualche hanno fa dall'esercito israeliano. Ad At-Tuwani la popolazione vive in modestissime case di cemento, tutte con un ordine di demolizione da parte dell’Esercito Israeliano

3.1.2 I coloni israeliani
Coloni israeliani hanno installato negli anni ottanta una cintura di insediamenti e outposts illegali nell’area al fine di annettere la terra nell’immediato futuro.
Gli abitanti degli insediamenti nazional-religiosi di Susya, Ma’on, Metsadot Yehuda-Beit Yatir, Karmel e degli outpost di Hill 833 (Havat Ma'on), AviGail, Mizpe Yair-Magen David e Lucifer Farm (Yatir Farm) sono tra i più militanti nei Territori Occupati, e da tempo molti manifestano comportamenti aggressivi verso gli abitanti palestinesi dei villaggi circostanti.
Spesso con la complicità di alcuni membri dell’Esercito di Difesa d’Israele (IDF) e dell’Amministrazione Civile (DCL, ex DCO), i coloni hanno reso la vita impossibile agli abitanti dell’area, distruggendo le grotte, mettendo veleno nelle cisterne dell’acqua, avvelenandone i campi con sostanze tossiche, impedendo i lavori agricoli come l’aratura dei campi, la raccolta di grano e lenticchie, la raccolta delle olive.
In molti casi, le forze di sicurezza d’Israele hanno chiuso gli occhi davanti a queste azioni.
Infine un altro problema che pesa sulle comunità locali palestinesi riguarda il tracciato e la costruzione del Muro di Annessione .

3.1.3 L'esercito
Nel novembre 1999, il Ministero della Difesa ha fisicamente deportato parte della popolazione fuori dall’area, al fine di realizzare un’area di esercitazioni militari. In seguito ad un ricorso legale degli abitanti dell’area all’Alta Corte di Giustizia in Israele, gli abitanti sono potuti tornare nel marzo 2000 nei luoghi in cui sono nati e sempre vissuti, a condizione di vivere nelle strutture esistenti precedentemente all’espulsione dell’IDF (principio dello status quo).
Dal 2000 ad oggi si sono verificate le seguenti azioni dell'IDF nei confronti degli abitanti locali: demolizioni di case, tende, grotte e distruzione dei pozzi dell'acqua; distruzione di raccolti e alberi di olivo; sequestro di mezzi da lavoro; chiusura di strade; divieto di utilizzo delle terre; esercitazioni militari dentro i centri abitati; minacce di morte agli abitanti; percosse; vessazioni e umiliazioni. Contemporaneamente continuano le azioni violente dei coloni nazional-religiosi: aggressioni violente alla popolazione, indistintamente uomini, donne, vecchi o bambini; utilizzo di armi da fuoco per scacciare la gente dal lavoro dei campi; furto di raccolti e greggi; minacce di morte; avvelenamento dei pascoli e delle cisterne dell'acqua; divieto di utilizzo delle vie di comunicazione.

3.1.4 Le conseguenze per i bambini
Una delle conseguenze più drammatiche del conflitto è l'impossibilità per molti bambini dell'area di andare a scuola. Circa un quarto dei bambini non vanno a scuola, a causa delle violenze dei coloni e delle cattive condizioni delle strade (causate dal divieto da parte dell'amministrazione israeliana di sistemare le strade). Un esempio emblematico è quello degli abitanti di Tuba. I bambini di Tuba non potevano recarsi alla scuola elementare più vicina, sita in At-Tuwani, percorrendo la strada diretta (circa 15 minuti a piedi), in quanto la strada è adiacente all'insediamento di Ma'on e all'outpost Hill 833. Dopo alcuni tentativi di percorrere la strada insieme a volontari internazionali (CPT e Operazione Colomba) ed israeliani (Ta'yush), dopo numerose pressioni sull'esercito, la DCO e il Governo Israeliano, e dopo due aggressioni subite da alcuni volontari internazionali (tra cui alcuni feriti gravemente), è stato ottenuto che la Polizia e l'esercito si siano impegnati a scortare i bambini (a condizione che i volontari internazionali interrompessero la loro scorta). Da fine ottobre 2004, quotidianamente Esercito o Polizia Israeliana scortano i bambini di Tuba per una strada secondaria che richiede 30 minuti a piedi. Da allora CPT e Operazione Colomba monitorano quotidianamente la scorta dei bambini e il comportamento dei coloni. Prima della presenza degli internazionali nel villaggio, i bambini erano costretti a percorrere un tragitto di circa un'ora e mezza a piedi.

3.1.5 La presenza di Operazione Colomba
A partire dall'Agosto 2004, Operazione Colomba ha aperto una presenza permanente nell’area, nel villaggio di At-Tuwani. La presenza viene portata avanti insieme al gruppo nonviolento ecumenico Christian Peacemakers Team (CPT) , attivo nella città di Hebron dal 1995, ed in collaborazione con le associazioni pacifiste israeliane Ta’ayush e Rabbis for Human Rights. I volontari vivono nel villaggio di At-Tuwani e ricercano anche il dialogo con i coloni nazional-religiosi, cercando una comunicazione che vada oltre gli schemi conflittuali che da anni si manifestano in quest’area. Da At-Tuwani i volontari si spostano per seguire i problemi dell’intera area delle South Hebron Hills. Si registrano le violazioni dei diritti umani attraverso reports settimanali, che vengono spediti su richiesta all’Ufficio OCHA (UN) di Hebron e ad associazioni pacifiste e per i diritti umani sia palestinesi, che israeliane.
Nell’ambito della presenza ad At-Tuwani, nell’autunno 2004, durante l’accompagnamento a scuola di alcuni bambini tra i 6 e i 12 anni che abitano a Tuba, una frazione poco distante dal villaggio di At-Tuwani, ma la cui strada d’accesso passa vicinissima all’insediamento israeliano, due volontari del Christian Peacemaker Team (il 29 settembre 2004) e un volontario di Operazione Colomba (il 9 ottobre 2004), sono stati aggrediti e picchiati da coloni provenienti dell’insediamento di Ma’on e dell’outpost Hill 833 (Havat Ma'on). In seguito a questi episodi, alla continuazione dell'accompagnamento nonviolento e alle pressioni delle associazioni israeliane, la Commissione dei Diritti dei Bambini del Parlamento Israeliano (Knesset) ha deliberato che l'esercito e la polizia israeliana garantissero la scorta ai bambini che vanno a scuola. Pertanto dal Novembre 2004 Operazione Colomba verifica e registra il corretto svolgimento di tale scorta, passando i dati raccolti al locale ufficio dell'OCHA-Nazioni Unite e, tramite i pacifisti israeliani, alla Commissione della Knesset che vigila sul rispetto della delibera.
I pastori palestinesi di At-Tuwani e di alcuni villaggi limitrofi hanno chiesto anch'essi di poter essere accompagnati mentre si recano al pascolo con le greggi, poiché in passato è stato loro impedito l’accesso ai pascoli sia da parte dell’esercito, che della Civil Administration . Questa attività, rilevante dal punto di vista economico, è un’importante occasione per creare relazioni di conoscenza e fiducia con gli abitanti delle frazioni più lontane e povere. Non sono mancate anche aggressioni ai pastori e alle pecore da parte dei coloni. Nel 2005, i volontari hanno subito numerose minacce da parte dei coloni mentre accompagnavano i pastori dei villaggi di At-Tuwani e UmFagara a pascolare le greggi nelle terre che questi possiedono nelle vicinanza degli outpost di Havat Ma’on (Hill 833) e AviGail. Il 16 febbraio 2005, in una di queste occasioni, un gruppo di volontari di Operazione Colomba è stato aggredito ed uno di loro, un Casco Bianco italiano che stava svolgendo il suo Servizio Civile, è rimasto gravemente ferito. Operazione Colomba ha portato avanti la presenza in quest’area per tutto il 2005, garantendo l’avviso immediato alle autorità in caso di violenze da parte dei coloni, registrando le attività militari nelle aree abitate, cercando di dare conforto psicologico alle persone e visitando periodicamente gli abitanti delle contrade più isolate.
Regolarmente i volontari scrivono reports e comunicati stampa per informare i mass media locali e italiani di quanto accade nelle South Hebron Hills. Attraverso diari cercano di raccontare le storie di cui sono testimoni, oltre che delle violenze subite dalla popolazione civile e delle sistematiche violazioni dei Diritti Umani. Alcuni materiali di documentazione prodotti da Operazione Colomba sono stati utilizzati da B'tselem e Amnesty International, le due maggiori associazioni per i diritti umani che lavorano sul conflitto israelo-palestinese. Si allega a tale documento un DVD con alcuni video prodotti da B'tselem con materiale di Operazione Colomba e un servizio del Tg3-RAI che spiega brevemente l'attività ad At-Tuwani. La presenza quotidiana e permanente di Operazione Colomba e Christian Peacemaker Teams è di supporto anche all'azione di advocay della comunita palestinese locale in collaborazione con l'associazione israeliana ACRI (Association for Civil Right in Israel) che segue gratuitamente, con suoi avvocati israeliani, la tutela del diritto di accesso alle risorse e alle proprietà della comunità palestinese.
La presenza internazionale ha anche ridotto le violenze dei coloni sulla popolazione, pur non eliminandola. È ancora forte infatti l'azione di lobby dei coloni verso gli uffici israeliani che amminitrano l'area. Operazione Colomba intende rimanere presente nell'area fintanto che ci sarà pericolo per i bambini, che nonostnte la scorta militare, sono ancora vittime di soprusi da parte dei coloni, e per i pastori e i contadini ad accedere alle loro risorse naturali.

3.2 Operazione Colomba ad Aboud

3.2.1 Il contesto
Parallelamente alla presenza nelle South Hebron Hills, Operazione Colomba ha stabilito dall'Agosto 2004, una presenza permanente ad Aboud, un villaggio misto cristiano-mussulmano di 2.300 abitanti, situato a nord-ovest di Ramallah, a 6 chilometri dalla Linea Verde , linea di confine tra lo Stato d’Israele e i territori occupati della Cisgiordania. In passato la strada principale che attraversa Aboud collegava il paese a Tel Aviv. Da quando però lo Stato d’ Israele ha confiscato le terre ed ha costruito l’insediamento di Bet Arye, il collegamento è stato interrotto, aggravando molto l’economia del paese.
La comunità cristiana è composta da cattolici, ortodossi e una piccola minoranza protestante. Tra la comunità cristiana e quella mussulmana vige una convivenza centenaria, che non riscontra problemi, se non talvolta tra i giovani adolescenti, che vedono nella diversa religione un motivo di distinzione e confronto a volte conflittuale. I volontari di Operazione Colomba, pur avendo relazioni con persone di diversa religione all’interno del villaggio, collaborano con la parrocchia cattolica e il locale gruppo scout. La parrocchia sostiene la scuola cattolica (frequentata anche da ortodossi e mussulmani), le cui classi vanno dalla prima elementare alla terza superiore. La Caritas sostiene l’unico ambulatorio medico del villaggio e quello dentistico.
La comunità cristiana palestinese è meno del 2% dell’intera popolazione tra Israele e Territori Occupati, ma, in particolare, la presenza nei Territori Occupati è in forte calo a causa delle difficoltà di vita e delle violenze dell’occupazione militare israeliana, che si protrae dal 1967. Solo dal 2000 al 2004 sono fuggiti all’estero dalla West Bank almeno 180.000 palestinesi, tra cui circa 10.000 cristiani. La comunità cristiana palestinese risulta schiacciata dall'occupazone israeliana da un lato e dalla pressione mussulmana dall'altro: essa rischia pertanto di scomparire.

3.2.2 Le conseguenze del conflitto per la popolazione
La popolazione di Aboud dal 2000 è sottoposta ad una recrudescenza dell’occupazione militare, con una violazione continua dei diritti umani e del diritto internazionale. Secondo gli Accordi di Oslo, tuttora formalmente in vigore, il centro abitato di Aboud è locato in “zona B”, area sotto amministrazione civile palestinese, ma sotto amministrazione militare israeliana. Tutta la terra circostante il villaggio è invece “zona C”, vale a dire sotto totale controllo israeliano, sia militare sia civile, il che implica che i palestinesi necessitino dell'autorizzazione israeliana per poter costruire su queste terre. Attualmente il villaggio avrebbe bisogno di nuovi spazi per costruire, ma dal 1994 l’amministrazione civile israeliana non rilascia autorizzazioni per edificare. Così oggi ci sono circa 40 giovani cristiani che non si sposano, perché non possono costruirsi la casa. Il Patriarcato Latino sta valutando di costruire dei mini-appartamenti per questi giovani, su un terreno in area B di sua proprietà.
Dal 2001 lo Stato d’Israele ha imposto il licenziamento forzato con il divieto d’assunzione a tutte le migliaia di palestinesi che da anni lavoravano in regola in Israele. Come in tutta la West Bank, anche ad Aboud la gran parte delle persone ha perso il lavoro e con esso spesso l’unica fonte di reddito della famiglia. Dal 2001 ad oggi almeno 350 capi-famiglia sono rimasti disoccupati.
Molti ragazzi hanno dovuto abbandonare l’università perché non possono più permettersela e sono in situazione d’apatia, senza nessuna prospettiva per il futuro.

3.2.3 Il Muro e il conflitto
Secondo il progetto del Ministero della Difesa Israeliano, il Muro di Separazione sarà costruito vicino al villaggio di Aboud, separandolo dalla gran parte delle terre coltivate e distruggendo una parte considerevole d’alberi d’ulivo, sostentamento basilare per le famiglie del villaggio. Preme sottolineare che il Muro in questo caso sarà costruito attaccato al villaggio, distante 6 chilometri dalla Linea Verde. Il tracciato principale del Muro è già stato eretto sulla Linea Verde stessa, rendendo già ora impossibile il passaggio in Israele. Quello che verrà costruito vicino al villaggio è un secondo muro, che ha lo scopo di “circondare” i vicini insediamenti di Bet Arye e Ofarim, annettendoli così di fatto ad Israele. I lavori sono iniziati lo scorso autunno e il Muro è già terminato poco più a nord di Aboud presso il villaggio di Rantis.

Dal 2002 le autorità israeliane tengono sotto stretto controllo militare il paese di Aboud. Nel 2001 un colono fu ucciso da ignoti a circa 3 chilometri di distanza da Aboud. Poiché il fatto avvenne su un terreno agricolo appartenente al villaggio, l’esercito distrusse circa 3.550 alberi d’ulivo. In quell’occasione alcune famiglie persero tutte le coltivazioni che avevano. Nel 2002 un abitante del villaggio divenne attentatore suicida uccidendo diversi civili israeliani a Gerusalemme. Da allora, dei 4 accessi al villaggio solo due sono aperti e spesso sono presenti in paese mezzi militari che bloccano con check-point l’accesso al villaggio. Talvolta in seguito alle incursioni dei soldati nel villaggio si registra il lancio di sassi da parte di alcuni bambini di 8-10 anni, che rimangono poi feriti dalla risposta dei militari con lancio di bombe sonore, gas lacrimogeni e pallottole di gomma. Inoltre almeno 6 ragazzi tra i 15 e 22 anni sono in carcere militare. A volte, senza motivo, i soldati entrano nelle case della gente di notte.

3.2.4 Le attività di Operazione Colomba
Oltre alla condivisione della difficile quotidianità con gli abitanti del villaggio e il conforto dato ad alcuni di loro, le attività svolte dai volontari di Operazione Colomba sono varie:

- monitoraggio delle violazioni dei diritti umani: settimanalmente vengono scritti dei report in inglese con le presenze ed i comportamenti dei soldati all'interno del villaggio; i report sono stati richiesti dall’Ufficio OCHA (UN) di Ramallah e da noi spediti anche ad associazioni per i Diritti Umani, sia israeliane sia palestinesi;
- intervento nei confronti dei soldati in paese: i volontari interagiscono con i soldati presenti in paese, a volte ottenendo l’interruzione delle azioni da loro compiute, a volte cercando un dialogo costruttivo con alcuni di loro, a volte premendo con la sola presenza di testimonianza;
- condivisione e sostegno alla comunità locale che si oppone alla costruzione del Muro con mezzi legali e con manifestazioni nonviolente di protesta;
- sostegno alla comunità del paese di Aboud: i volontari aiutano nei lavori agricoli alcune famiglie del villaggio bisognose di mano d’opera per la raccolta delle olive e l’aratura dei campi;
- sostegno alle attività della parrocchia cattolica, aiutando il parroco in traduzioni in italiano nell’ambito del gemellaggio della parrocchia con la Chiesa italiana;
- sostegno alle attività del gruppo scout locale collaborando alla realizzazione di alcune attività del gruppo;
- sensibilizzazione verso terzi sulla condizione del villaggio, incontri con pellegrini italiani: i volontari hanno portato numerosi cittadini italiani e internazionali a visitare il villaggio di Aboud e hanno parlato dei problemi del villaggio a numerosi pellegrinaggi italiani in visita a Gerusalemme;
- sensibilizzazione in Italia sulla situazione del villaggio attraverso più di 60 incontri pubblici presso parrocchie, gruppi missionari, municipalità, associazioni;
- sensibilizzazione attraverso mass-media: comunicati stampa, articoli ed interviste su giornali italiani locali e di diocesi, interviste radiofoniche nazionali (Radio Vaticana, Radio Padre Pio, Radio Popolare) e locali;
- sensibilizzazione attraverso internet: Operazione Colomba pubblica regolarmente in internet materiale tramite il proprio sito e alcuni siti italiani .

In particolare è da menzionare tutta l'attività di advocacy fatta negli ultimini mesi da Operazione Colomba per sensibilizzare l'opinione pubblica italiana ed europea sulla questione del Muro ad Aboud. A tale proposito è stata effettuata una raccolta firme a sostegno di una petizione contro il muro che è stata inviata alle competenti autorità israeliane. Il tracciato del Muro è stato così modificato rispetto al progetto iniziale, accogliendo così le principale richieste fatte nella petizione.
Infine la scorsa estate un gruppo di ragazzi di Aboud si è recato in visita in Italia. In quest'occasione una delegazione del gruppo, accompagnata dai volontari di Operazione Colomba, ha avuto modo di incontrare i Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino , sottoponendo loro anche la questione del Muro.

3.3 Gerusalemme ed Israele
Periodicamente i volontari di Operazione Colomba si recano a Gerusalemme ed altri località isareliane per condividere la realtà del conflitto, costruire relazioni e conoscere meglio la cultura ebraica. Nell'ambito di questo lavoro si incontrano persone significative per le lora attività sociali in Israele e per le loro scelte pacifiste nel conflitto in atto. Inoltre si visitano luoghi significativii come lo Yad Vashem, il mausoleo dell'olocausto.
Tutti gli spostamenti avvengono in autobus, al fine di consocere e condividere il rischio di essere vittima in Israele. Tra le tante relazioni solide di Operazione Colomba con il pacifismo israeliano ricordiamo B'tselem, del quale abbiamo pubblicato in Italia il Report “Land Grab” sull'occupazione e gli insediamenti israeliani, e il Parents Circle Family Forum, associazione che riunisce i genitori, sia israeliani che palestinesi, che hanno avuto figli uccisi nel conflitto, che insieme si incontrano e portano il loro messaggio di riconciliazione.





4. La presenza in Kossovo

Operazione Colomba è stata in Kossovo prima e durante i bombardamenti NATO della Primavera del 1999. Tuttavia, come spesso accade, finita la guerra non è tornata la pace. Cosi Operazione Colomba ha deciso di tornare. Dall'Agosto 2003 è presente nell'enclave serba di Gorazdevac, vicino Peja-Pec . Sono presenti 4 volontari in modo continuativo.

4.1 La prima fase dell'intervento (2003-2004)
Operazione Colomba è tornata in Kossovo su stimolo del Tavolo Trentino con il Kossovo . L'obiettivo era facilitare l'affluenza dei serbi presso il neonato centro culturale-giovanile "Zoom", nella città di Pec-Peja. La presenza di volontari internazionali, nell'arco del mese di agosto, si stava delineando, dopo un prima fase di difficoltà, come un buon modo di aggregare i ragazzi serbi e creare le condizioni per l’incontro con i coetanei albanesi attraverso le attività del centro “Zoom”. Anche da parte albanese le cose stavano evolvendo bene. L’episodio, del 13 agosto 2003 che causò la morte di due ragazzi serbi e il ferimento di altri cinque, bloccò tutte le attività di incontro e ha peggiorato la situazione riportandola sul campo a quella del ‘99.
La presenza estiva doveva essere una presenza limitata, un intervento che andava a sostenere un'azione già in atto, ma già alla fine di agosto (dopo i fatti del 13 agosto), si delineava l’importanza di un azione più ad ampio raggio con una presenza fissa che si andava ad inserire nel tessuto dell’enclave per poter entrare meglio nelle dinamiche conflittuali e fungere da elemento di contatto fra le comunità, oltre che da elemento per una lettura approfondita della situazione. In linea con questi obiettivi, ma anche confortati dalla condivisione della vita con la gente, si era proposto ad un gruppo di ragazzi albanesi di Peja, e uno di ragazzi serbi dell’enclave di avviare un piccolo gruppo di discussione sul tema dell'esperienza dei civili in zone di conflitto, al fine di raccontare loro altre situazioni di conflitto e l'esperienza personale di alcuni volontari dell’Operazione Colomba. Lo scopo primario era quello di favorire una visione critica sulla situazione conflittuale del Kossovo. Quando sembrava vicino l’incontro fra le due parti, il 17 marzo 2004 disordini diffusi in tutto il Kossovo hanno nuovamente peggiorato la situazione.
L’equipe di Operazione Colomba ricevette, il 18 marzo, il suggerimento, da parte dell’amministrazione internazionale ad interim Unmik, di abbandonare l’area. La scelta di non lasciare il villaggio da parte dei volontari è stata letta dalla popolazione come un piccolo segno di speranza, nel momento in cui si preparava l’evacuazione di donne e bambini. A più riprese nei mesi successivi si è potuto capire quanto il “rimanere” avesse aumentato la fiducia della popolazione civile nei confronti dei volontari di Operazione Colomba.
Dopo quasi un anno, nel Giugno 2004, era chiaro che la strada da percorrere era quella della creazione di un percorso strutturato di elaborazione e analisi del conflitto. Nell'estate 2004 si organizzò a Ohrid, in Macedonia, il seminario “Ritorno al dialogo” che aveva lo scopo di far incontrare persone che avevano interesse a discutere e a confrontarsi sui fatti di marzo. L’incontro di Ohrid, che coinvolse 5 ragazzi di Gora_devac e 5 di Peja-Pe_, ebbe successo e rafforzò nei ragazzi la volontà di affrontare un percorso più strutturato che approfondisse le questioni del conflitto kossovaro. Questo percorso, strutturato in varie tappe e precisato nei contenuti e metodi, è stato proposto ai due gruppi e avviato. Il percorso vede come protagonisti da una parteun gruppo albanese, aperto ad altre minoranze (egiziani e bosniaci), che ha come riferimento geografico la città di Peja e dall'altra un gruppo serbo dell’enclave di Gorazdevac. Entrambi i gruppi sono espressione di varie realtà e modi di pensare e sono composti da circa una decina di persone ciascuno.
4.2 Il percorso di elaborazione del conflitto
Questo lungo percorso ha portato a delineare sempre più le caratteristiche principali della presenza di Operazione Colomba in Kossovo. Essa si fonda oggi su tre pilastri:
I. Il primo punto si basa sulla condivisione, vivendo in condizioni simili a quelle della popolazione locale, e il sostegno alle famiglie più disagiate. Attraverso la vicinanza con le famiglie più disagiate l'equipe sul campo ha costantemente il polso della situazione nel villaggio di Gorazdevac, inoltre si cerca di trovare soluzioni ai problemi nella logica di avvicinare le persone alle istituzioni, evitando così di dare risposte prettamente "umanitarie". Tutte le volte che ci viene sottoposto un problema sproniamo le persone a rivolgersi al sub-ufficio comunale presente nel villaggio, dopodiché si cerca di seguire la richiesta fino all'ufficio competente. Grazie ad un'attiva collaborazione con l'ufficio delle comunità nella sua controparte internazionale si è riusciti in più occasioni ad avvicinare la municipalità ai problemi concreti della gente del villaggio e, allo stesso tempo, avvicinare gli abitanti alle istituzioni. I serbi vedono che talvolta trovano nella municipalità (albanese) risposte che non riescono ad ottenere da altri soggetti. Nell'ambito di queste azioni abbiamo in particolare seguito la ricostruzione di una casa nei pressi della base Kfor . Inoltre abbiamo seguito la pratica per l'accompagnamento di due studenti di Belo Polje presso la scuola di Gorazdevac. Con questa strategia stiamo interagendo anche con lo staff di Cica per la soluzione definitiva del problema di trasporto di Marina (disabile di etnia serba che frequenta il centro Cica) e per altri casi di portatori di handicap.
II. Il secondo punto che è strettamente legato al primo è l’accompagnamento delle persone che sarebbero in pericolo da sole. Attualmente in Kossovo la minoranza serba non ha completa libertà di movimento e spesso l’unico modo per spostarsi è attraverso convogli scortati da soldati della Kfor. Questa modalità disumanizza però le persone e crea un ostacolo ancor più grande fra le comunità. In questo contesto la presenza dell’Operazione Colomba mira ad essere motore di libertà per le persone dell’enclave e per quanto possibile si impegna anche per poter far fruire anche ai serbi alcuni servizi che si trovano nella città abitata da albanesi.
Nella prima fase del progetto gli accompagnamenti di persone di etnia serba erano dirette principalmente verso altre realtà serbe. La nostra strategia però ha il fine di trasportare sempre più serbi in città. Per ora i trasporti verso le altre realtà serbe rimangono solo nell'ambito delle emergenze oppure per supportare il lavoro di Radio Gorazdevac , avendo così la possibilità di conoscere altre realtà presenti sul territorio. Sempre più spesso accompagniamo i cittadini serbi a fare acquisti nella città di Peja-Pec' e li sproniamo ad utilizzare i servizi presenti in città, come l'ospedale civile e i vari ambulatori privati. La difficoltà costante su questo versante sta nel fatto che spesso l'equipe è oberata di lavoro e non riesce a percorrere tutte le strade utili per l'integrazione e per il riavvicinamento dei serbi alla città.
III. Il terzo punto è il percorso di elaborazione e analisi del conflitto che dovrebbe riuscire a dare la possibilità ad un piccolo gruppo di persone di liberarsi almeno in parte dalla logica dell’appartenenza e dovrebbe aiutare a cercare e creare piccole soluzioni per piccoli problemi quotidiani. In prospettiva il gruppo potrebbe essere motore di proposte a più alto livello e dovrebbe riuscire a crescere anche numericamente per creare opinione.
Nell'ambito del percorso di elaborazione e analisi del conflitto le dinamiche fra i due gruppi fanno sperare che alla fine del progetto avremmo sì due gruppi distinti ed autonomi, ma anche che scelgono liberamente di collaborare. Speriamo che la collaborazione che si vede solo in una fase embrionale possa fiorire.
a) In un primo momento ogni gruppo ha fatto una propria analisi del conflitto e successivamente i due gruppi si sono confrontati ed hanno esposto l'uno all'altro la propria analisi. Questo ha creato le premesse per una fattiva collaborazzione dei due gruppi.
b) E' stata realizzata nel mese di settembre la visita congiunta dei due gruppi a Prijedor, nella Rep. Srpska in Bosnia. Hanno partecipato all'attività circa 15 membri del gruppo di Peja-Pe_ e 5 del gruppo di Gora_devac. La visita ha dato la possibilità ai gruppi di vedere una realtà dove alcuni problemi inter-etnici sono già stati almeno in parte superati. Il programma a Prijedor ha compreso incontri con le varie realtà che formano la società civile della città. Abbiamo avuto la possibilità di incontrare gli attori principali del processo di rientro dei profughi dopo il conflitto. È stato creato un forte legame con alcuni giovani rappresentati di vari centri giovanili. Nello scorso mese di dicembre 2005, inoltre, una delegazione di giovani della rappresentanti vari centri giovanili della realtà di Prijedor, sono stati in visita in Kossovo. La visita aveva lo scopo di rafforzare i rapporti fra i giovani dei gruppi studio e quelli di Prijedor. Si cerca così di rafforzare una futura collaborazione fra i gruppi studio e i giovani di Prijedor.
c) Un'altra fase è data dalla condivisione del vissuto personale. L’obiettivo è che i due gruppi si conoscano e comprendano che raccontandosi si può creare una reale collaborazione che parte dalla comprensione. I gruppi, albanesi e serbi insieme, stanno partecipando con serietà e tutte le volte che un membro comincia a parlare si crea subito un clima di rispetto e attenzione. La disponibilità dei membri dei due gruppi a raccontarsi sta andando oltre le nostre aspettative per partecipazione, dedizione e interesse.
d) In questi giorni (Febbraio 2006) due componenti del Parents’ Circle Family Forum da Israele e Palestina sono in Kossovo per portare ai ragazzi serbi e albanesi la loro drammatica esperinza di vita e di riconciliazione. L’esperienza di questa organizzazione risulta particolarmente rilevante per il percorso dal momento che i suoi membri sono partiti dal riconoscimento del dolore e vissuto comune causato dalla guerra. Inlotre nel mese di aprile prevediamo di realizzare la visita di due testimoni della Commissione per la Verità e Riconcliazione Sud Africa. L’obiettivo è di portare un esempio positivo all’attenzione anzitutto dei gruppi di studio e anche della popolazione del Kossovo.







5. La presenza in Nord Uganda

5.1 La guerra
5.1.1 Il conflitto
Il Nord Uganda è martoriato da un conflitto civile che va avanti dal 1986 e che vede contrapposti il Governo ugandese contro i ribelli del Lord Resistance Army (LRA), comandato da un pazzo visionario, Joseph Kony, che dice di essere mandato da Dio per imporre in Uganda un sistema basato sui Dieci Comandamenti e per scacciare l’attuale Presidente Museveni.
Nel 1995, il LRA dalle sue basi in Sud Sudan cominciò delle incursioni, creando scompiglio nell’Uganda settentrionale con il massacro di molte migliaia di persone, la distruzione di case e numerosissimi rapimenti di bambini per il reclutamento forzato nelle file dell’esercito ribelle. I ribelli attaccano le città di notte, incendiano e ammazzano centinaia di persone, con l’unico scopo di seminare il terrore e tenere in scacco un intero popolo. Il conflitto ha costretto la popolazione del Nord Uganda a vivere in campi per sfollati. In quasi vent'anni 100 mila persone sono morte, 25 mila bambini sono stati rapiti per combattere, un milione e mezzo di persone sono state costrette a lasciare le loro case e a vivere in accampamenti per rifugiati. Ancora oggi ogni sera 40 mila bambini migrano in cerca di rifugio dai loro villaggi verso le città: sono chiamati i night commuters.

5.1.2 La sofferenza dei bambini
I metodi di addestramento sono brutali: i bambini, spesso drogati, sono costretti a mutilare ed uccidere con il machete, per non incorrere in punizioni gravissime o addirittura essere uccisi a loro volta. In battaglia portano una bottiglia d'acqua ed una pietra in tasca che dovrebbero proteggerli dal nemico e dalle pallottole degli avversari. Mai ritirarsi di fronte alla battaglia dice la dottrina di Kony che, comunque, rimane ben al riparo nelle retrovie a compiere le sue divinazioni. Le femmine, oltre a combattere, sono di continuo abusate sessualmente dai comandanti. Numerosi sono gli agguati nelle strade contro la popolazione civile. Oltre le ferite esteriori, vi sono quelle interiori, le più difficili da guarire: il timore e la sfiducia, il senso di colpa, il disprezzo di sé stessi, la rabbia verso una società che non li ha protetti. L’obiettivo dell’Esercito di Liberazione del Signore (LRA) è quello di disumanizzare i bambini. Infine c'è il serio rischio di vendette una volta che questa situazione sarà risolta: gli ex bambini soldato, infatti, sono stati vittime e carnefici al medesimo tempo. Questo problema non è stato mai affrontato: sui ragazzi scappati dalla guerriglia non è stato mai cominciato un lavoro di riabilitazione serio. Queste creature che non hanno vissuto la loro adolescenza, ma sono stati per anni solo macchine di crudeltà, sono anch’essi abbandonati nei campi, con il loro trauma e senza prospettive.
5.1.3 La tragedia di un popolo
IL 95% della popolazione Acholi, circa un milione e mezzo di persone, continua a vivere nei campi per sfollati. Le persone vi languono, senza fare niente, dovendo vivere con 4-5 Kg di cereali a testa al mese. Con poca acqua, nessun servizio e nessuna prospettiva. Sono aumentati i suicidi, la morte per AIDS, per violenze e per altro. È confermata dai missionari la cifra di 1000 morti la settimana, secondo una ricerca compiuta nel 1° semestre 2005, pubblicata lo scorso Settembre e subito smentita dal governo.
A dispetto delle dichiarazioni governative di maggior sicurezza e del miglioramento generale della situazione, non si capisce perché vengano aperti nuovi campi e non si favorisca il rientro nei villaggi d'origine. C'è il dubbio che dietro questa politica ci sia un disegno governativo di estirpare la gente dalle proprie terre (di cui sono proprietari) per appropriarsene e poi venderle alle multinazionali o sfruttarle in altro modo. A oggi la metà della popolazione nei campi ha meno di 16 anni: bambini e ragazzi che sono nati e cresciuti nei campi, che spesso non conoscono neanche la terra di famiglia, perché i genitori hanno dovuto lasciare i propri villaggi prima della loro nascita a causa della guerra.
Già alla fine del 2004 il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Jan Egeland, aveva definito questa situazione “la più grande emergenza umanitaria dimenticata del mondo”.

5.2 La missione di Operazione Colomba in Nord Uganda
Nel novembre 2004 e nel maggio 2005 Operazione Colomba ha compiuto due missioni esplorative durante le quali sono stati presi i primi contatti. Dopo tanti incontri con le ONG locali e internazionali, le agenzie delle Nazioni Unite, i missionari comboniani, l’Arcivescovo di Gulu, mons. Odama, finalmente un padre missionario comboniano, padre Carlos Rodriguez Soto, molto coinvolto nella promozione del dialogo e della pace in loco, ci ha dato disponibilità per lavorare nel territorio della sua parrocchia, a Minakulu.

5.2.1 L'area di Minakulu
L'area di Minakulu, nel distretto di Gulu, comprende circa 45.000 abitanti, la maggior parte dei quali sono giovani al di sotto dei vent'anni. Si tratta di un'area solo ultimamente colpita direttamente dal conflitto in corso. In quet'area esistono già due campi per sfollati dove vivono ammassate 35.000 persone. In questi ultimi mesi il conflitto ha toccato anche questi luoghi: diversi attacchi dei ribelli, nei quali diverse persone sono state uccise, si sono verificati a pochi chilometri dal villaggio.
I volontari di Operazione Colomba operano soprattutto in quest'area vivendo nella struttura della parrocchia e portando avanti le seguenti attività:
- visita ai campi per sfollati per conoscere la gente e valutare i loro bisogni, cercando fin dall'inizio di dare una risposta a quelli più semplici;
- accompagnare la gente durante il giorno nei campi a lavorare la terra, così da darle maggior sicurezza;
- sostenere l'attività del comitato Giustizia e Pace della Diocesi di Gulu – Kitgum;
- presenza notturna con i 2.000 sfollati che per ragioni di sicurezza dormono all'aperto;
- approfondire la conoscenza sul conflitto.

Inoltre in quest'ultimo anno e mezzo sono stati raccolti fondi per finanziare:
(a) la costruzione di un dispensario a Minakulu;
(b) lo scavo di due pozzi nell’area della stessa parrocchia;
(c) sostenere gli studi di alcuni ex bambini – soldato.

La modalità di presenza dell'Operazione Colomba è molto apprezzata. La stessa signora Bigombe, mediatrice ufficiale nel conflitto, da noi incontrata più volte, ci ha confermato che, in questo contesto così disumanizzato, una presenza che si mette a fianco di questo popolo, in maniera semplice, contribuisce a lenire le ferite interiori, a favorire la riconciliazione, a riconquistare fiducia verso la vita.
Questa modalità di presenza riconciliatrice è necessaria e preziosa anche perché le comunità sono divise al loro interno. Per esempio c’è il problema di accogliere le ragazze rapite, che ritornano con i figli e non sono più accettate dalle famiglie d'origine. Le comunità non accettano gli ex-ribelli, così si spaccano: ci sono famiglie con figli rapiti, uccisi, oppure diventati spietati assassini e poi tornati; vittime e assassini sono mescolati e allora la comunità devono essere aiutate e preparate a far fronte a questa situazione. Se anche la guerra finisse domani questo problema rimarrebbe.

5.2.2 Le recenti missioni
La scorsa estate, nei mesi di Luglio e Agosto, una delegazione di Operazione Colomba si è recata per una terza missione. Obiettivo di quest'ultimo viaggio è stato quello di continuare a sostenere le vittime di questa guerra e cercare di facilitare il dialogo in atto tra il Governo ugandese e l'esercito ribelle. In quest'occasione don Oreste Benzi ha incontrato la mediatrice del Governo ugandese, Betty Bigombe (nella foto a lato) che tratta con i ribelli, offrendo l'aiuto della Comunità Papa Giovanni XXIII nei colloqui di pace. Infine Operazione Colomba è tornata nel mese di Dicembre. Dopo questo lungo lavoro preparatorio, oggi c'è la prospettiva concreta che Operazione Colomba possa aprire una presenza stabile nell'area dalla prossima primavera.

5.2.3 Il lavoro diplomatico
Lo scorso autunno abbiamo incontrato il consigliere particolare del Ministro degli Esteri italiano per esporgli la tragedia umanitaria dell'Uganda e per chiedergli di sostenere i negoziati di pace, così come ci aveva proposto la sig.ra Bigombe. L'incontro però non ha sortito alcun risultato.
Un'altra strada percorsa è stata quella della Repubblica di San Marino. Sebbene si tratti di un piccolissimo Stato, detiene però un seggio presso l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Dopo aver avuto diversi colloqui con il Governo sammarinese, lo scorso settembre i due Capitani Reggenti, durante i lavori dell'Assemblea Generale, hanno parlato della situazione in Nord Uganda. Contemporaneamente il Segretario di Stato per gli Affari Esteri ha incontrato l'Ambasciatore ugandese presso le Nazioni Unite, perorando la causa della pace nel martoriato paese africano.
Infine abbiamo incontrato il Nunzio Apostolico presso gli Stati Uniti d'America per chiedergli di affrontare il caso del Nord Uganda con il governo americano.

5.2.4 Attività di sensibilizzazione in Italia
In Italia si fanno attività di sensibilizzazione su questo conflitto dimenticato. Numerosi sono gli incontri pubblici in cui siamo chiamati a portare una testimonianza. Un altro aspetto è quello della stampa, dove a livello locale in più parti d’Italia e a livello nazionale si è riusciti a parlare di questa immane tragedia. Attualmente, come detto precedentemente, stiamo lavorando alla traduzione di un video fatto da cineoperatori americani dal titolo “Bambini invisibili”. In cantiere c’è la diffusione su vasta scala di questo documentario.






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6. Operazione Colomba come Corpo Nonviolento di Pace

L' operazione Colomba è un modello significativo ed efficace di corpo civile di pace, un esercito disarmato che interviene nei conflitti armati e sociali acuti.
Insieme a tante altre realtà italiane ed internazionali - Beati i Costruttori di Pace di Padova, ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà) Berretti Bianchi di Lucca, Caritas Italiana, GAVCI - CEFA di Bologna, PBI (Peace Brigades International), Pax Christi, MIR- riteniamo sia tempo di proporre e realizzare alternative efficaci e credibili allo strumento militare per intervenire nei conflitti internazionali, inter-statali ed intra-statali.
Durante quest’ultimo decennio la società civile mondiale ha proposto forme nuove di intervento in diversi settori della vita internazionale. Come ha riconosciuto l'allora Segretario Generale dell’ONU, Boutros Ghali, nella sua Agenda per la Pace, le ONG, la società civile possono ricoprire un ruolo fondamentale nella prevenzione del conflitti, nel mantenimento della pace, nella costruzione della pace dopo conflitti. Numerose risoluzione della Assemblea Generale dell'ONU affermano il diritto/dovere di intervenire a tutela dei diritti umani.

Livello istituzionale – legislativo italiano
- Il primo importante passo è stato quello del 1972, con l'approvazione della legge n.772 che istituiva il servizio civile e riconosceva l'obiezione di coscienza

- Nel 1985 con la sentenza n. 165 del 24 maggio la Corte Costituzionale ha dichiarato che l'obbligo di "difesa della Patria" può essere adempiuto anche senza l'uso delle armi.
- La nuova legge sull'obiezione di coscienza, n.230/1998, permette all'obiettore di svolgere il servizio civile allo scopo di ricercare e sperimentare forme di difesa civile non armata e nonviolenta (art. 8 comma e). Inoltre sempre la medesima legge all'art. 9 comma 7 e 11 disciplina la possibilità per l'obiettore di prendere parte a missioni umanitarie all'estero.
Collegati alla legge sull’obiezione di coscienza il 14 aprile 1998 sono stati approvati anche tre ordini del giorno: sulla formazione alla difesa nonviolenta, sull'obiezione alle spese militari e sulla costituzione dei caschi bianchi.
- Risoluzione Saonara 7-00987 del 16/11/2000 della XIV Commissione della Camera dei Deputati Politiche della Unione Europea in materia di " Evoluzione del servizio civile volontario " dove il Governo si impegna:
- ad elaborare un piano di azione per interventi nel settore della gestione delle crisi con strumenti non militari
- perfezionare risposte non militari dell’Unione Europea
- evolvere il servizio civile volontario in ambito europeo, con l’impegno a rafforzare i principi di costruzione della pace

Il 06 marzo 2001 è entrata in vigore la nuova legge n.64 di “Istituzione del servizio civile nazionale” che all’art. 9 prevede la possibilità che il servizio sia svolto all’estero per “interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa Unione Europea o da organismi internazionali operanti con le medesime finalità (…) resta salvo quanto previsto dalla legge 230/98”
(d) DPCM del 18/2/2004, integrato col DPCM del 29 /4/2004: costituzione di un “Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e nonviolenta”
Livello istituzionale – legislativo europeo

Nel contesto Europeo (sia nell’Unione Europea sia nell' OSCE) il dibattito coinvolge la società civile e le sue istituzioni. Lo stesso Parlamento Europeo a più riprese si è espresso in materia di interventi civili per la pace, chiedendo al Consiglio dei Ministri della UE ed alla Commissione Europea il varo di un vero e proprio Corpo di Pace Civile Europeo.
- 1995. nel rapporto Martin Boulanger Alex Langer inserisce la proposta di un Corpo civile di pace europeo.
- 1999. Raccomandazione A4-0047/99 del Parlamento europeo sull'istituzione di un Corpo di pace civile europeo
- 2001: Il Parlamento Europeo ribadisce con una nuova risoluzione , la A5-0394/2001 la necessità di istituire un Corpo Civile di Pace
Nella Costituzione Europea (art. III-213) in via di ratificazione, vengono tenuti insieme concetti come volontariato, coinvolgimento dei giovani, intervento civile all’estero, aiuto umanitario.
Come ultimo appuntamento ricordiamo l’incontro a Bruxelles organizzato dal Gruppo dei Verdi al Parlamento Europeo, dello scorso 15 Marzo 2006 su "Le capacità della UE di intervento civile nelle crisi: riunire i concetti e prossimi passi avanti"






7. Attività politica e collaborazioni con agenzie internazionali

Incontro con Elisabeth Rehn, nel 1995 relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani nella ex-Jugoslavia, materiale sulla relazione verrà utilizzato nel rapporto del Segretariato Generale.

Incontro con il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, presso l’ambasciata italiana a Zagabria con i volontari italiani operanti in Croazia 1996.

Collaborazione in Croazia con UNHCR nel periodo 1992 - 1997 attraverso i field officer che si sono susseguiti, Yvetta Pass, Benny T. Otim, Alessandra Morelli, Olivier Moquette, Maria Teresa Mauro.

Collaborazione in Kossovo dal 1999 al 2001 con UNHCR nelle persone di John Hagenauer UNHCR Pristina office chief, con il responsabile della sicurezza John Campbell.

Incontro con il Senatore Brutti e l'ambasciatore italiano a Sarajevo 1997.

Audizione presso Parlamento Europeo: il 9 Dicembre 1999 si è svolto presso il Parlamento Europeo un incontro dal titolo “La creazione di un Corpo Civile di Pace Europeo”. Questo incontro è stato promosso da un gruppo di parlamentari europei (58) di diverse nazionalità e gruppi politici che hanno costituito l’intergruppo per le “Iniziative per la pace” al Parlamento Europeo, presieduto dalla deputata Luisa Morgantini.
All’incontro hanno preso parte numerosi gruppi pacifisti europei e fra i relatori comparivano “Le donne in nero”, le Peace Brigades International (Brigate internazionali di pace) e l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini che ha raccontato l’esperienza della Operazione Colomba e degli Obiettori di Coscienza in aree di conflitto.

Copromotori insieme a Beati i costruttori di Pace e a “Chiama l’Africa” della marcia internazionale nella Repubblica Democratiche del Congo “Anch’io a Bukavu” febbraio 2001.

Copromotori e relatori in un seminario sulla nonviolenza al WSF di Mumbai in Gennaio 2004, presieduto dal dottor Martini, presidente della regione Toscana.
Incontro con il relatore speciale della commissione per i diritti umani dell’ONU per i diritti umani per il Medio oriente John Dugard Luglio 2005 e relazione sulla situazione della zona di Sud Hebron.
Collaborazione in Medio Oriente con l’ufficio locale del’ OCHA, Ufficio Coordinamento Affari Umanitari delle Nazioni Unite, ref. per l'area di Hebron, Andrea Recchia.

Audizione con la commissione esteri della Camera dei Deputati il 12 Luglio 2004.

Partecipazione a Dublino dal 31 /3 al 2/4/ 2004 della Global Partership for the prevention of armed conflict sul ruolo della società civile europea nella prevenzione dei conflitti.

Collaborazione con le Università degli Studi di Pisa e di Firenze al corso di laurea in Scienze per la pace come relatori a giornate seminariali.

Protagonisti della lotta per l’invio degli obiettori di coscienza in servizio civile alle missioni umanitarie e di pace all’estero, fin da quando molti dei giovani impegnati in servizio civile nella nostra associazione si sono recati per primi attraverso l’Operazione Colomba illegalmente in ex Yugoslavia negli anni 1992 – 1995, durante il conflitto nei Balcani, ottenendo che la materia fosse regolamentata in Italia, fino ad oggi che l’associazione promuove con la FOCSIV, la Caritas, il CEFA il corpo dei Caschi Bianchi, ragazzi in servizio civile volontario impegnati nelle missioni all’estero. Attualmente, tramite la comunità Papa Giovanni XXIII ci sono giovani nei progetti all’estero.

Dal suo nascere un nostro rappresentante, Giovanni Grandi è stato membro del COMITATO DI CONSULENZA PER LA DIFESA CIVILE NON ARMATA E NONVIOLENTA dell’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dove ha ricoperto la carica di vice presidente.

Fin dall’inizio della sua costituzione siamo stati attivi, anche con un incarico di segreteria, nella Rete Italiana dei Corpi Civili di Pace.

Dal suo nascere (2006) siamo presenti al “Tavolo Interventi Civili di Pace” per la creazione di un Corpo Civile di Pace italiano in collaborazione con il ministero degli Affari Esteri su proposta della ViceMinistra Sentinelli.






8. Verso un Corpo Nonviolento di Pace italiano

Guardando la situazione del dopo (?) guerra in Libano mi vengono in mente alcune riflessioni.
La prima, evidente: Israele, nonostante abbia una politica interna democratica, con la sua politica estera fortemente militarista alimenta reazioni estreme da parte delle popolazioni arabe che lo circondano; pare chiaro che intervenire in Libano significa, per forza di cose, anche intervenire su tutta la questione mediorientale, a partire da quella israelo-palestinese;
la seconda riguarda la comunità internazionale, in particolare l’Europa: scottata dal fallimento dell'intervento militare in Iraq, comincia a chiedersi se davvero la guerra al terrorismo sia stata fatta con strumenti efficaci ed è in ricerca di soluzioni che non facciano della forza armata l'unica via percorribile. In Italia, accanto all'invio di un contingente di caschi blu sotto l'egida dell'ONU, il governo ha auspicato, attraverso il ViceMinistro Sentinelli, l'invio di un Corpo Civile di Pace. Mi sembra importante, se davvero si desidera partire col piede giusto, distinguere bene e con molta chiarezza le tre modalità di possibile intervento in determinate situazioni di conflitto, modalità diverse che hanno obbiettivi differenti:
l'intervento militare, lo dice la Costituzione del nostro paese, non può e non deve essere di guerra: allo stato attuale mi sembra che ci siano i presupposti (il mandato ONU e l'accordo delle parti) affinché l’intervento in Libano si delinei soprattutto come azione di polizia internazionale, con obiettivi più tecnici, come lo sminamento, la collaborazione con le forze di polizia locali per la lotta al traffico delle armi…;
la cooperazione ha come obbiettivo quello di alleviare le sofferenze di chi è in uno stato di bisogno: dal farsi carico delle necessità impellenti e basilari al ricreare le condizioni per uno sviluppo sostenibile;
l'intervento di un Corpo Civile di Pace ha come obiettivo la risoluzione del conflitto in maniera nonviolenta e ha come fine la riconciliazione tra le parti. Di questi tre l'ultimo è sicuramente il più debole perché è il meno sostenuto politicamente ed economicamente, nondimeno può indicare la direzione anche agli altri due: ha certo numerosi punti di contatto con la cooperazione, molti meno con l'intervento militare. Dato che nessuno cresce all'ombra di qualcun altro è bene distinguere: la pace non si costruisce con la minaccia delle armi e neanche solo con gli aiuti umanitari.
La trasformazione nonviolenta dei conflitti è oggi più che mai la via da intraprendere, ma la parte da scoprire è ancora grandissima, occorrono gli sforzi, l'impegno e l'attenzione di tutti perchè questo cammino progredisca fino a diventare strada ampia e percorribile da tutti. Provo a pensare ad una azione come corpo di intervento nonviolento in Libano. Mi pare ovvio che debba coinvolgere anche Israele, non solo come corresponsabile e covittima di questa guerra, ma anche come parte che necessariamente sarà coinvolta in un futuro, speriamo non lontano, percorso di riconciliazione dell’intera area. Nell'intervento nonviolento l'azione è sempre preceduta e accompagnata da un ascolto profondo delle ragioni e delle sofferenze di ogni parte, in particolare delle persone più deboli e quindi più soggette a subire la violenza.
Questa azione di ascolto e sostegno dei più poveri si è sempre dimostrata efficace in passato per elaborare strategie nonviolente adatte ad intervenire nello specifico conflitto: strategie non pensabili da “fuori”, da “lontano”: Un primo viaggio esplorativo, di incontro e ascolto, per vedere come, dove e quando ma soprattutto per capire se e perché intervenire, sarebbe secondo noi un primo passo indispensabile.
Come volontari dell’Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che da oltre 15 anni operiamo in diversi conflitti nel mondo insieme ai Caschi Bianchi dell’Associazione, volontari in servizio civile che con la loro scelta istituzionalmente riconosciuta danno un valore Pubblico all’impegno di centinaia di civili in aree di conflitto, ci rendiamo disponibili a fare questo primo passo. Lo abbiamo fatto già per diversi conflitti e lo continueremo a fare anche in futuro, con il nostro stile che parte dalla condivisione con i più poveri e con la nostra scelta imprescindibile per la nonviolenza; ma se questa volta fosse anche il modo per dare un contributo ad un percorso più ampio e condiviso (per quanto sin da subito chiaro e senza ambiguità), allora saremmo ancor più lieti di fare la nostra parte. Il mondo nonviolento italiano non ha finora dato vita ad un intervento coordinato, continuativo e numericamente consistente, potrebbe essere questo il momento per farlo.
La società civile italiana ha espresso in questi anni una vivacità notevole dal punto di vista dell’interposizione nonviolenta, della diplomazia popolare, della formazione alla nonviolenza e dell’accompagnamento in processi di riconciliazione. I diversi gruppi, associazioni, movimenti hanno espresso un “tesoro di capacità” straordinario nel saper leggere e comprendere le situazioni di conflitto e nell’inventare e attuare interventi nonviolenti, tesoro che credo sia unico al mondo e che mi pare abbia come naturale sbocco quello di un coordinamento per un intervento comune, nel rispetto delle diverse sensibilità e capacità, verso un Corpo Nonviolento di Pace italiano.

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