La Nonviolenza In Cammino Numero 837 del 31 maggio 2009
4. UNA SOLA UMANITA'.
Marco Aime: Una Lettera a Dragan

[Dal supplemento librario "Tuttolibri" del quotidiano "La stampa" del 23
maggio 2009 col titolo "Allarme siam razzisti: paura e vilta'", il sommario
"Lettera aperta di un antropologo a un bambino rom: perche' tanti italiani,
a lungo stranieri nel mondo, respingono l'altro" e la nota redazionale
"Anticipiamo qui alcuni passi dal capitolo finale del libro di Marco Aime,
La macchia della razza, in uscita da Ponte alle Grazie (pp. 96, euro 8): in
forma di lettera aperta a un bambino rom, uno di quelli cui si vogliono
prendere le impronte digitali, spiega come e perche' si e' diffuso nella
nostra societa' il pregiudizio contro gli stranieri. Di Aime, docente di
antropologia culturale all'Universita' di Genova, e' in libreria anche Il
diverso come icona del male, un dialogo con Emanuele Severino (Bollati
Boringhieri, pp. 53, euro 8)]


La solitudine fa crescere la paura, Dragan, e ci inventiamo un nemico comune
per credere di essere uniti e solidali. In realta' siamo solo capaci di un
individualismo collettivo. Piu' ci sentiamo soli e piu' ci aggrappiamo a
idee astratte e vaghe come identita', altra parola divenuta buona per
nascondere tutte le avarizie, tutti gli egoismi. L'identita' la pensiamo, ma
poi non la pratichiamo. La impugnamo come un bastone contro gli altri, ma
non la frequentiamo nemmeno con quelli come noi. Identita' significa
pensarsi uguali a qualcun altro. Ma facciamo di tutto per essere diversi gli
uni dagli altri.
Anche identita' e' una parola ambigua, non ha plurale, si presenta come
portatrice di un'idea solitaria. Eppure il plurale ce l'ha: abbiamo
un'identita' di genere, religiosa, politica, di fede calcistica... siamo
portatori multipli di identita'. Ne possediamo un mazzo e giochiamo di volta
in volta quella che scegliamo o che ci e' concessa. Pero' oggi, quando
pronunciamo la parola identita', pensiamo subito a quella etnica. Oggi,
identita' significa terra e sangue.
Siamo diventati "tribali", ci siamo stretti attorno al totem della nostra
cultura, pronti a difenderlo. In realta' vogliamo difendere i nostri soldi,
la nostra abitudine, non la nostra cultura. Non sapevamo nemmeno di averla,
non lo sappiamo nemmeno ora. Ce lo dicono. Lo fanno per farci credere che
abbiamo qualcosa da perdere e che solo loro possono difenderci. Il sapere,
la cultura sono le uniche ricchezze che possiamo condividere, senza che ci
vengano meno, Dragan. "Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ci scambiamo
le mele, avremo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un'idea e io ho
un'idea, e ci scambiamo le idee, allora avremo entrambi due idee" ha detto
George Bernard Shaw.
Abbiamo preferito tenerci ognuno la nostra idea e siamo diventati sempre
piu' soli. E piu' poveri, di idee e nel linguaggio. Non riusciamo piu' a
guardare lontano, che e' cio' che ha fatto umani gli esseri umani. Animali
stanziali nel pensiero, ecco cosa siamo oggi. Usiamo poche parole, sempre le
stesse, perche' abbiamo poco da dire, ripetiamo sempre le stesse cose.
Aprirsi all'altro e' il motore della cultura. La diversita' offre nuove
scelte, arricchisce il nostro mondo, arricchisce noi, fa entrare aria nuova.
Ma abbiamo preferito chiudere le paratie e respirare l'aria stagnante della
purezza. Piccolo non sempre e' bello, se non sai cosa c'e' fuori. Se non
respiri ossigeno nuovo, che fertilizzi il tuo campicello. E' sempre stato
cosi', Dragan, gli uomini si sono scambiati merci e idee. Anche colpi di
spada e di fucile, si', e' vero. Si incontravano e si scontravano. Nessuno
e' stato fermo, ancorato alle sue radici.
Quanta differenza possiamo sopportare? Non troppa, lo so, non troppa, ma
molto piu' di quanto crediamo. E lo facciamo, tutti i giorni, ma non ce ne
rendiamo conto. Sai, Dragan, cosa c'era scritto su un manifesto tedesco
degli anni Novanta? "Il tuo Cristo e' ebreo. La tua macchina e' giapponese.
La tua pizza e' italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffe' brasiliano.
La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il
tuo vicino e' uno straniero".
Sopportiamo tutta la differenza del mondo, se ci fa comodo, e nemmeno ce ne
accorgiamo. Consumiamo cibi stranieri, usiamo oggetti di tutto il mondo, ma
difendiamo la nostra terra, le nostre radici, la nostra tradizione, la
nostra identita'.
Fa paura, questo troppo parlare di identita', questo negare la natura
multiforme delle nostre culture, delle nostre esistenze. Italianita', popoli
padani... si sentono voci alle nostre spalle, Dragan, appena accennate, ma
si fanno via via piu' forti. E' una leggenda l'apporto di masse ingenti di
uomini in tempi storici, dice una. Cancelliamo il passato, neghiamo di avere
preso e dato cultura, come tutti i popoli.
"Dobbiamo difendere la nostra cultura" dicono e le voci, le voci, Dragan...
I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono
essere alterati in nessun modo.
Diciamo cultura, ma pensiamo razza. [...]
Sai, Dragan, anch'io avevo pensato che certi atteggiamenti non fossero per
forza razzisti. E lo penso ancora. Molte volte non e' un problema di razza,
ma di gente che lotta per le stesse, poche, scarse risorse. Odi l'altro non
perche' e' altro, ma perche' e' o credi che sia contro di te. Accade spesso
tra chi ha paura e puo' persino essere comprensibile. Ma ora non e' cosi'.
Ora c'e' anche odio fine a se stesso, c'e' un bullismo razziale ignorante e
senza alcuno scopo se non di riempire il vuoto emotivo di certa gente e le
urne di schede per certi politici fomentatori. Il razzismo e' una malattia
sottile, scava nei cuori della gente, cancella pezzi di memoria, deforma lo
sguardo.
Non e' il razzista che mi spaventa, Dragan, sono gli altri a fare paura.
Tutti quelli che sanno, che vedono e tacciono. I complici silenziosi.
Guardano il tuo dito sporco di nero e... Nulla. Qualcuno tace, pensando che
in fondo te lo meriti, ma non ha il coraggio di dirlo apertamente. Zingaro,
ladro, in fondo cosa vuoi da noi? Altri pensano che sia sbagliato, ma
tacciono anche loro. Perche' complicarsi la vita? E poi, cosa ci posso fare
io? [...]
Quando eravamo bambini, si faceva un gioco: se tu fossi il capo del mondo
cosa faresti? E tu dovevi dire cova avresti voluto fare. Cosa farei ora?
Sicuramente prenderei una spugnetta e ti pulirei il ditino, Dragan. E poi?
Vorrei chiederti scusa, spiegarti che non siamo tutti cosi', ma servirebbe?
E a chi? A te? No, cosa te ne fai delle mie scuse. Lo sai benissimo che non
posso fare promesse a nome di altri. A me? Nemmeno, non mi sentirei
migliore. Meglio tenersi ognuno cio' che prova, tu la tua rabbia e io la mia
vergogna. Sono piu' sane di mille ipocrisie.




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