L’Arrivo a Gaza
di Alfredo TRadardi

Riprendo solo ora, a qualche giorno dal rientro in Italia, la cronaca del convoglio VivaPalestina5. L’ultima settimana, quella decisiva è stata molto convulsa e intensa e non c’è stato il tempo per stendere comunicati e rapporti in diretta.

Ma, mentre si annuncia, per i prossimi mesi, la partenza di una nuova Flottiglia, l’esperienza di questo convoglio, il suo carattere e la sua dimensione internazionale, il coinvolgimento assai significativo di delegazioni dei paesi arabi, meriterebbe e richiederebbe un bilancio e una analisi politica ben più approfondita.

 19 ottobre

Dopo 17 giorni di stallo e di un duro braccio di ferro con le autorità egiziane, la situazione si sblocca. Prima ancora della comunicazione ufficiale, lo intuiamo incrociando un Galloway sorridente e rilassato che passeggia fumando un grosso sigaro.

Da questo momento, tutto acquista un ritmo frenetico.

Primo passo: il trasferimento delle vetture al porto che si trasforma in un gioioso e rumoroso carosello per le vie di Lattakya. Al porto una banda di giovanissimi ottoni ci accoglie intonando (omaggio a noi europei?) l’Inno alla gioia. Il cargo Strofades IV ingoia nel suo enorme ventre, una ad una tutte le 145 vetture. Nelle poche cabine che ha a disposizione, accoglie anche una parte dei 30 attivisti, il gruppo dirigente e la security, altri dormiranno sul ponte. Per la delegazione italiana ne fa parte Alfredo. La partenza avverrà poi a notte inoltrata.

 20 ottobre

Il compound che ci ha ospitato per tanti giorni appare ormai vuoto, vuoto per la partenza dei 145 veicoli. In mattinata riceviamo la visita molto cortese del dott. Haroun, rappresentante del console onorario italiano a Lattakya. Ci mette in contatto telefonico con il console e poi con una funzionaria dell’ambasciata italiana a Damasco. E’ il risultato del nostro appello lanciato il giorno precedente e che avevamo trasmesso anche alle ambasciate italiane a Damasco e al Cairo. Nel pomeriggio inizia il trasferimento degli oltre 300 attivisti a El Arish con due voli, il primo parte verso le 17, il secondo alle 22 con tutto il gruppo degli italiani. Atterriamo dopo circa un’ora di volo. Dalla relativa rapidità dei controlli si intuisce che le autorità egiziane hanno ormai deciso di non frapporre altri ostacoli; c’è solo da pagare il visto di ingresso, operazione apparentemente molto complessa per il funzionario che si arrabatta a fatica nella conversione degli euro in pound egiziani. Fuori ci attendono i pullman che ci accompagnano in un albergo sulla costa. E’ un albergo di lusso (cinque stelle, camere da tre posti a soli 125 euro). Ormai sono le due di notte ma ci viene servita, compresa nel prezzo, una abbondantissima e ottima cena. Qualcuno non capisce o fa finta di non capire e protesta per … il trattamento (troppo lussuoso, troppo costoso!). Poi, sono ormai le 4 del mattino, finalmente a letto.

21 ottobre

Alle 8 un sms di Alfredo informa che il cargo è già arrivato al porto di El Arish. Colazione abbondante, poi alle 11 di nuovo sui pullman verso il porto dove riprendiamo possesso dei mezzi che in nottata i 30 avevano scaricato dal cargo. Alle 13 il convoglio è in condizione di riprendere la marcia, questa volta verso il border della Striscia di Gaza a circa 40 km di distanza. Attraversiamo una zona desertica, il deserto del Sinai. Poche le case e le persone che incrociamo ma, nota significativa, anche qui riceviamo sorrisi e segnali di amicizia.

Ore 16: giungiamo a Rafah, superiamo il check point senza nessuna difficoltà. Lo stato d’assedio almeno per oggi e almeno per noi è sospeso. Abbiamo raggiunto lo scopo e la meta del nostro viaggio, entriamo finalmente nella Striscia di Gaza. Ci attende una festosa cerimonia, di autorità e di popolo, Vittorio Arrigoni e altri internazionali. Il gruppo italiano scatena particolare entusiasmo con lo striscione in cui abbiamo scritto “From Italy to Gaza we broke the siege”. Assalto dei fotografi.

Si è fatta ormai sera.

A fatica le macchine vengono di nuovo incolonnate per riprendere la marcia, gli ultimi 30 km che ci separano da Gaza City. E’ il momento più intenso e indimenticabile. Viaggiamo a velocità sostenuta, con lampeggianti e girofari accesi, sirene e clacson a tutto volume; viaggiamo per lunghi tratti fra ali di folla, bambini, ragazzi, donne, una selva di braccia alzate per salutarci, per toccarci. Lotfi, il mio co-driver, è bravissimo nel guidare l’ambulanza. Fendiamo la folla fortunatamente senza investire nessuno, senza provocare incidenti. Una bandiera mi viene strappata, mille mani mi toccano; a volte sono tocchi delicati, che solo mi sfiorano, a volte strette violente, schiaffi a causa della velocità del mezzo, ma forse, ho il sospetto, anche una sorta di rimprovero perché arriviamo qui a Gaza, solo ora, così tardi, per rompere un assedio che dura ormai da 4 anni.

Qui, in questo ultimo tratto di strada, si consuma il senso di questo viaggio, il suo significato più profondo, in questo fugace, allegro, doloroso abbraccio collettivo, di un popolo di bambini e bambine, di ragazze e ragazzi, scalzi, denutriti, magri, un popolo di giovanissimi, non piegato, non disperato, non reso triste e umiliato da una feroce punizione collettiva, che gli viene inflitta giorno dopo giorno, in uno stato di cattività, una prigione a cielo aperto che non ha paragoni nel mondo.

Avrà fine tutto ciò? Non potrà che avere fine. Questo popolo di bambini è il frutto di questa speranza, si nutre di questa speranza.

 E per Israele? L’operazione “Piombo fuso” (Cast lead) del gennaio 2009 ha provocato fra le 1414 vittime. quasi tutti “civili”, la morte di 322 bambini.

Solo involontari “effetti collaterali”?

Mi viene da pensare che gli israeliani, dai generali più alti in grado fino all’ultimo soldatino rannicchiato all’interno del suo carro armato, guardino con odio infinito questi bambini. Sono il segnale del loro fallimento e della loro futura sconfitta. Da qui, forse, nasce una insensata coazione a uccidere, uccidere, uccidere.

Se 1,5 milioni di persone vivono a Gaza, chiuse dentro, diventerà una catastrofe umana. Quelle persone diventeranno animali più di quanto lo sono oggi, con l’aiuto di un Islam fondamentalista demente. La pressione alla frontiera sarà terribile. Sarà una guerra terribile. Se vorremo rimanere vivi, noi dovremo uccidere, uccidere e uccidere. Tutti i giorni, ogni giorno.”

Arnon Soffer, geografo e demografo, intervista al Jerusalem Post del 20 maggio 2004

Se non si fermano dopo che noi ne abbiamo uccisi 100, allora dobbiamo ucciderne mille, e se non si fermano dopo mille allora dobbiamo ucciderne 10.000. E se ancora non si fermano dobbiamo ucciderne 100.000, e anche un milione. Dobbiamo fare qualsiasi cosa per farli smettere.

Shmuel Eliyahu, rabbino capo di Safed

 “I bambini, sono obiettivi legittimi perché vivono in case che si suppone siano usate per costruire razzi artigianali da tirare su Israele, sono essi stessi ‘terroristi”

un portavoce israeliano

 Restiamo a Gaza tre giorni, ospitati in due alberghi che denotano una antica bellezza, il Palestine e il Commodore. Davanti a noi una splendida spiaggia dorata e il mare, un mare sorvegliato a vista dalle motovedette israeliane, un mare da cui è vietato entrare e uscire, dove è vietato perfino pescare.

La città svela i segni dolorosi dell’aggressione, dello stato di guerra. Li svela, sui muri di tante case e scuole, il rosario di colpi di mitraglia, le occhiaie vuote dei colpi di cannone, le macerie, gli improvvisi spazi vuoti, in un tessuto urbano densamente abitato, che si aprono dove i missili hanno polverizzato interi caseggiati. Lo svela il rumore assordante dei generatori quasi in perenne azione perché l’unica centrale elettrica della Striscia funziona a singhiozzo, innescando a cascata tutta una serie di altri problemi ed emergenze, a cominciare dall’erogazione dell’acqua.

Alcuni momenti da ricordare.

22 ottobre: pranzo all’aperto sulla spiaggia con la partecipazione del primo ministro Ismail Haniyeh, alto, sorridente, sereno, vestito di una tunica bianca.

23 ottobre: incontro con il prof. Haider Eid, membro dello Steering Committee PACBI (Palestinian Campaign for the Academic & Cultural Boycott of Israel), nella sede della sua associazione: una riflessione appassionata e lucida sul fallimento della soluzione “due stati” e sulle ragioni della soluzione “uno stato”, laico e democratico, multietnico, per tutti, palestinesi e ebrei.

23 ottobre: visita ai superstiti della famiglia Al-Samouni1, un massacro atroce consumato a freddo durante l’operazione Piombo fuso.

24 ottobre : incontro presso il palazzo municipale con il sindaco di Gaza City, Rafiq al-Makki.

24 ottobre

Alle ore 13.30 lasciamo la Striscia di Gaza. In pullman, otto ore di viaggio, sequestrati dalla polizia egiziana, verso l’aeroporto internazionale del Cairo, dove trascorriamo la notte, gli egiziani ci impediscono di andare in un albergo. i diversi gruppi del convoglio, sempre sotto stretta sorveglianza, si lasciano, si salutano, si dividono per rientrare nei rispettivi paesi.

25 ottobre

Il gruppo italiano, tranne 3 diretti a Fiumicino, si imbarca alle 12 su un volo Air One diretto a Malpensa.

Arriviamo alle ore 17.30 accolti con calore da un gruppo di attivisti provenienti da Torino, Milano, Cremona e Verona: Diana, Grazia, Alberta, Enrico, Ugo, Alberto, Marco e altri dei quali non conosco il nome.

Io e Lotfi rientriamo in treno a Parma. Fa molto freddo, la kefia ci protegge. Leggo su Repubblica una nota di Mario Pirani, che si scaglia contro la Fiom e contro l’Iran di Amadinejad che minaccerebbe la sopravvivenza di Israele.

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