Sin dai suoi primi lavori, Gene Sharp ha dichiarato, pur essendo uno studioso e ammiratore del pensiero e dell’opera di Gandhi, di voler proporre un approccio pragmatico alla nonviolenza. Così come è meglio “contare le teste che tagliarle”, in democrazia, egli sostiene che è meglio lottare con i metodi della nonviolenza piuttosto che con quelli violenti. Aldo Capitini direbbe, forse: “una aggiunta alla democrazia”.

Oggi, improvvisamente, dopo la cosiddetta primavera araba, Gene Sharp è salito agli onori della cronaca, nel bene e nel male. Nel bene, perché considerato l’ispiratore delle rivolte e delle rivoluzioni cosiddette “colorate” (da quella del movimento Otpor contro Milosevic, nel 1999, alle successive, in Georgia, Ucraina, Tahilandia, sino alle più recenti nel Maghreb), da parte di chi le condivide. Nel male, perché secondo altri queste rivoluzioni sono solo un tentativo di destabilizzazione per imporre l’egemonia USA, con supporto CIA e di altri organismi creati appositamente.