Protagonista di queso libro è il grande patrimonio rappresentato da un certo tipo di agricoltura: quell’agricoltura che opera per i beni comuni, conscia del concetto di limite, di tempo, di complessità dell’ambiente. Un’agricoltura che è azione di salvaguardia dei diritti e della legalità, azione di salvaguardia ambientale, azione di tutela del territorio, del paesaggio, della biodiversità. Il termine bioresistenze vuole descrivere una pluralità di azioni che ruotano attorno ad un “sano” rapporto con il territorio dimostrando che l’agricoltura non è solo azione economica-finanziaria. E' invece e soprattuttoma pratica di resistenza alle forme di illegalità, resistenza all’uniformazione (che è appiattimento e non uguaglianza) sia culturale che alimentare, resistenza alla violenza con cui vengono trattate e gestite le risorse naturali, resistenza alla scomparsa di biodiversità. "La terra insegna la costanza, perché richiede cure quotidiane. Scrupolosità, perché non sopporta il lavoro sciatto e superficiale. Fiducia, percné non sempre il raccolto corrisponde alle aspettative. La terra insegna collaborazione, perché richiede molte mani e molte braccia. Insegna umiltà e condivisione, perché è bene comune per eccellenza."

Dalla postfazione di Luigi Ciotti

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19 giugno 2014

Una mappa di bioresistenze
di Gianni Belloni

Disegnare mappe è attività prettamente politica. Bene lo sapevano i geografi a servizio dei nascenti stati nazionali impegnati a descrivere spazi geometricamente raffigurabili e recintati. All’ombra della crisi – che è insieme politica, ecologica e di possibilità di raffigurazioni uniche ed unitarie del mondo – nascono nuove mappe utili a produrre nuovi significati. Una di queste l’ha tratteggiata Guido Turus, testardo promotore del progetto Bioresistenze che ha raccolto, in un bel volume uscito da poco per le edizioni Esedra, ventidue esperienze che, in giro per l’Italia – da Orbiciano Camaiore, nel lucchese, a Palermo, da Agrigento a Monrupino [Trieste] -, praticano «agricoltura responsabile». Da vecchie e «resistenti» cooperative votate al biologico presidiando «aree marginali», a nuove realtà impegnate nella diffusione degli orti urbani tra gli interstizi – il celebrato «terzo paesaggio» – delle aree urbane, passando per classiche realtà contadine che nella tradizione colturale (non è un errore di battitura) hanno tratto il meglio per perseguire il rispetto della terra e dei suoi prodotti.

Guido, e con lui il progetto Bioresistenze – supportato dal Movimento per il Volontariato Italiano [Movi] e dalla Confederazione italiana agricoltori [Cia] -, ha orchestrato lo spartito delle diverse esperienze grazie ad una serie di contributi.

Giovanni Serra accorda il tema delle responsabilità ai tempi del straripante trionfo dell’ideologia individualista e consumista. I fondamentali dell’agricoltura – le politiche, il land grabbing, l’innovazione responsabile – sono passati in rassegna da Giuseppe Politi, mentre a Massimo Montanari il compito di declinare il tema delle culture gastronomiche attraverso le composizioni sociali e i flussi storici. Conoscere i dispositivi che muovono gli immaginari moderni ci aiuta a decifrare le pratiche dell’omologazione anche quando inneggiano alla “ruralità” ci spiega Alessandra Guigoni. Un biologo del calibro di Marcello Buiatti ci introduce agli alfabeti della biodiversità approfonditi da un intervento di Nadia Marchettini (dedicato ad un indimenticato, ed indimenticabile, ambientalista quale Enzo Tiezzi). Ad addentrarsi nella critica all’economia nel tempo della crisi ci ha pensato Roberta Carlini passando in rassegna le possibili «filiere del noi», mentre un appassionato aggiornamento sulle lotte per il riconoscimento della «terra bene comune» è affidato – a chi, se no? – a Luca Martinelli.

L’impaginazione invita ad alternare all’analisi il racconto delle esperienze che ci vengono consegnate da brevi presentazioni e da fotografie (accorte e non scontate).

La traccia che lega queste esperienze in una mappa è la politicizzazione delle pratiche della società civile: coltivare un terreno confiscato alle mafie, alimentare un mercato a chilometrozero, presidiare un territorio in abbandono sono propriamente pratiche politiche. Movimenti opposti alla politica utilizzata per legittimare tra le masse l’autorità statuale. Piuttosto una politica adeguata ai tempi nuovi della responsabilità globale per la limitatezza delle risorse. Disobbedendo alle etichette – e questo è un altro merito della mappa di Bioresistenze – che anche i circuiti della società civile hanno alimentato [equo e solidale, biologico, chilometro zero e via cantando] specchiandosi nella logica del marketing, ma rischiando seriamente di svuotare di senso ogni generosa pratica di (bio)resistenza.