Il primo a narrare dei prodigi dei «maghi» indiani è stato certamente Marco Polo, col racconto dei prestigiatori del Kashmir che «fanno cambiare lo tempo… e fanno tali cose che non si potrebbe credere». Uno dei primi fu certamente anche Ibn Battuta, il viaggiatore marocchino che, alla corte imperiale di Delhi, narra di aver visto uno yogi prendere la forma di un cubo e «in questa forma cubica occupare nell'aria un posto sopra le nostre teste».
A questi racconti straordinari seguirono, nei secoli immediatamente successivi, molti altri pieni di aneddoti meravigliosi: scimmie in grado di «divinare e profetare», bastoncelli piantati per terra che si trasformano in rigogliosi manghi, uomini fatti a pezzi e poi perfettamente integri nel giro di qualche secondo…
Fu in epoca vittoriana, tuttavia, che le narrazioni meravigliose provenienti dall'India, i racconti di prodigi e trucchi mai visti, oltre ad accrescersi in una maniera inusitata, contribuirono alla nascita dell'immagine dell'Oriente mistico e oscuro, un luogo altro dalla civiltà occidentale, una terra primitiva che giustificava il dominio coloniale.
Tra bestsellers che, come Confessions of a Thug, narravano delle efferetazze compiute in nome della sanguinaria Kali, racconti di fachiri comodamente seduti in aria a più di un metro da terra, resoconti di raccapriccianti roghi rituali di vedove sulla pira funebre dei mariti deceduti, si creò il clima per la creazione e diffusione di quella che è stata definita la più grande leggenda dell'Oriente: il trucco della corda e del bambino che scompare.
Secondo la leggenda, un mago getta in aria l'estremità di una corda e la corda si innalza verso il cielo fino ad assumere una posizione completamente verticale. Poi un bambino si arrampica sulla corda, fino in cima. Infine, nella piena luce del giorno e circondato dal pubblico, il bambino scompare.
Questo straordinario trucco ha sempre suscitato le congetture più varie, nessuno però è stato mai in grado di scoprire come realmente è fatto.
Nella Leggenda della corda e del bambino che scompare, Peter Lamont ne svela non solo la natura ma anche la verità storica.
Dall'incantamento vittoriano per l'Oriente al Circolo Magico, da Chicago e Londra fino alle spiagge indiane dei nostri giorni, viene narrata in queste pagine una storia che, più di mille saggi, illumina il complesso rapporto tra Oriente e Occidente e, più di mille romanzi, avvince nel suo viaggio attraverso i secoli e i continenti, in compagnia di fachiri, visir, maghi, soldati di ventura, mercanti e avventurieri, imperi e contrade.

https://www.cicap.org
19-04-2001

Svelato il segreto della corda indiana

Chi non ha sentito parlare della leggendaria illusione orientale secondo cui alcuni fachiri sarebbero in grado di far sollevare da sola in aria una corda fino a farla rimanere rigida? Nella versione classica di questo misterioso resoconto un ragazzo saliva sulla corda e poi scompariva dalla vista; inoltre, in alcune variazioni del racconto, il fachiro saliva sulla corda tenendo in mano un coltello: qualche istante dopo volavano a terra pezzi del ragazzo, poi il fachiro scendeva nuovamente, raccoglieva i pezzi del giovane in un cesto da cui, alla fine dell'esibizione, ne usciva il ragazzo, sano e salvo.

Come si spiega questo famoso mistero?

Qualche anno fa (nel 1996), i parapsicologi inglesi Richard Wiseman e Peter Lamont avevano condotto una ricerca su tutte le più attendibili testimonianze oculari esistenti del fenomeno (Nature 383, 1996, p. 212-13) e avevano scoperto che: più tempo passava, tra l'anno in cui il fenomeno era stato osservato e l'anno in cui veniva descritto (in un articolo o su un libro), tanto più le descrizioni si arricchivano di particolari improbabili.

Con la loro ricerca, dunque, Wiseman e Lamont avevano dimostrato che tali testimonianze non andavano prese sul serio e che l'intera storia era quasi certamente una leggenda, ispirata magari dalla fiaba di Jack e i fagioli magici.

Oggi, Lamont, che non ha mai smesso le ricerche sull'argomento, è riuscito a mettere la parola fine all'intera vicenda dopo aver scoperto che l'illusione era stata inventata di sana pianta 111 anni fa da un quotidiano americano nel tentativo di aumentare le vendite.

Il quotidiano era il Chicago Tribune e, nel 1890, raccontava esattamente il numero della corda indiana in tutti i suoi dettagli più incredibili (il ragazzo che scompare in aria, viene fatto a pezzi e ricomposto nel cesto).
Solo dopo l'enorme clamore suscitato dall'articolo, quasi quattro mesi dopo, il Tribune aveva rivelato che si trattava solamente di una trovata pubblicitaria. I redattori del giornale ritenevano, infatti, che i lettori si sarebbero accorti della burla leggendo il nome dell'autore dell'articolo: "Fred S. Ellmore" (che tradotto suona un po' come: Fred Vendi di più!)

Secondo Lamont, che scriverà un libro sulla vicenda, l'idea per l'articolo venne ai suoi autori probabilmente da un autentico numero di equilibrismo indiano in cui un ragazzo rimane in bilico, in piedi su un alto bastone.
(19.4.2001)

Massimo Polidoro

Per saperne di più:

Un articolo dell'Independent che racconta la scoperta di Lamont.