Un maestro di scuola elementare viene trasferito in un villaggio desolato ai margini del deserto dell'Arabia Saudita, e si ritrova a dividere con un compagno, suo omonimo, una stanza che diventa lo spazio dilatato della coscienza e degli incubi. Rinchiuso entro un tempo inesorabilmente scandito dall'arsura del giorno e l'insonnia notturna, il maestro scoprirà nel collega il suo doppio, l'Altro che è in sé. Il tema centrale della dualità si snoda così in un gioco di riverberi e di riflessi fra l'io/tu narrante e un mondo dominato da un paesaggio appena al di qua della preistoria, dove regnano in maniera stabile le forme minerali e animali, e dal quale i personaggi affiorano per poco, per essere riassorbiti in un processo impercettibile di metamorfosi della condizione umana in una condizione petrosa o animale.

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giovedì 11 luglio 2013 08:47

La "febbre" del deserto arabo di Nasrallah
di Cristina Micalusi

Nel suo romanzo, il poeta palestinese conduce il lettore occidentale tra le dune e ai margini della Storia. Alla ricerca del professor Muhammad.

Roma, 11 luglio 2013, Nena News - La lettura di questo romanzo è esporsi completamente al suo sinistro contagio, partecipare della sua febbre allucinatoria, immergersi nella calura del primo pomeriggio, dentro "quell'ora che sembra colare dalla bocca di un vulcano". Ma è soprattutto precipitare nel grande vuoto insondabile, vertiginoso lungo quello "cavità" che costituisce il fondo stesso dei ricordi. 



Forse, soltanto quando si è vuoti del tutto si può conoscere l'anima del mondo. "Tanto ricche di risorse naturali, quelle rocce quasi disabitate. La montagna abitava in noi, noi così vuoti di tutto" (pag.33). Il vuoto qui è punto di partenza e di arrivo dell'esperienza umana.



L'incipit del romanzo è quasi un thriller. Il protagonista si accorge che è improvvisamente scomparso il suo amico e collega, il professor Muhammad, un uomo buono, con una "sfumatura di tristezza", che si è sentito male dopo un incontro con degli sconosciuti che gli chiedevano i soldi per il suo funerale. È un'atmosfera angosciosa e allucinatoria. Ma chi è questo professor Muhammad? Sappiamo che si chiama come il protagonista, che gli assomiglia, sta sempre al suo fianco, che vive con lui; poi ad un certo punto ci imbattiamo in una confessione: "Sai che ti amo, maledetto. Sei parte di me, perché vivi nella zona più profonda del mio io". Non è così difficile ritrovare Il Sosia di Dostoevskij.


La tecnica narrativa di Nasrallah rende in modo efficace la doppiezza e la lacerazione della coscienza. La febbre dà senso e unità al romanzo, ricopre figure e motivi, trama e personaggi. Sembra essere estinta come "un incendio domato" ma mai del tutto. Nasrallah ha scritto un romanzo-allucinazione, in una prosa che sembra contagiata da un virus mentale.



Cornice della storia è il deserto, una terra arida che non dà vita. Simbolo del silenzio, un silenzio insopportabile che tutto avvolge. Il lettore occidentale smarrito in mezzo a queste dune bruciate dal sole, ai margini di un luogo sconfinato, ai margini della Storia (perfino le guerre come quella citate dell'invasione israeliana del Libano arrivano con i giornali di tre settimane prima), senza più il riferimento dei punti cardinali, proverà la stessa esperienza del protagonista.



L'improvvisa scomparsa di qualcuno, di una persona cara o di una parte di sé, innesca una interrogazione sul proprio destino, per finire al senso della vita stessa. Non sappiamo se al termine delle notti insonni ritroveremo il professor Muhammad, se ritorneremo dal deserto, se la febbre comincerà prima o poi a scendere.



Ibrahim Nasrallah di origini palestinesi, è nato nel 1953 ad Amman in Giordania dove tuttora risiede. Dal 1978 ha pubblicato diverse poesie, facendosi apprezzare in tutto il mondo arabo come poeta. Con il romanzo "Febbre" ha cominciato ad affiancare, accanto all'attività di poeta, anche quella di romanziere. Uscito nel 1958 e tradotto in inglese. Nena News