«Degradata e ferita e scippata e sfruttata e derisa e presa a schiaffi: la mia città. Mi vergognavo di non salvarla. Non potevo far altro che guardare e ascoltare e restare e marciare e ribadirle il mio amore. E lei ostenta indifferenza. Cade a pezzi con spavalderia. Ogni filo di quella trama un tempo rigorosamente ordinata si allenta: il blu e il verde e il rosso e il nero e tutte le tinte e gli intrecci, tutto schizza via dal ricamo, scompigliato, aggrovigliato, annodato, plateale, irrequieto, presente».

Il 25 gennaio 2011, quando scoppia la rivoluzione in Egitto, Ahdaf Soueif, giornalista e scrittrice di fama internazionale, è colta da un unico, irrefrenabile istinto: scendere in strada per mescolarsi ai milioni di giovani che sciamano verso piazza Tahrir. Nessuno sa ancora, neppure lei, che la folla deciderà di fermarsi in quella piazza per diciotto interminabili giorni. Poco più di due settimane: il tempo di una rivoluzione tanto fulminea quanto covata per decenni. Diciotto giorni che hanno segnato la storia presente di un popolo tuttora in pieno fermento, raccontati da chi li ha vissuti in quel luogo simbolo della «primavera araba». Ahdaf Soueif ci conduce per mano tra i vicoli affollati del Cairo in rivolta; ci fa respirare quella straordinaria atmosfera, quella spinta collettiva che porta il singolo a sentirsi finalmente parte attiva di una comunità. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, l’autrice segue il succedersi dei drammatici sconvolgimenti che hanno determinato la caduta del regime di Hosni Mubarak; il racconto, tuttavia, non si traduce mai in semplice cronaca: «la storia che ho scritto non riguarda solo gli eventi oggettivi ma anche il modo in cui io, noi, li abbiamo vissuti, sentiti, interpretati. Ed è anche una storia che riguarda me, la mia famiglia e la mia città». La rivoluzione, comunque, è un processo, ha una vita propria, che si dipana indipendentemente dal modo in cui i suoi stessi artefici l’avevano immaginata. E Ahdaf Soueif non può fermarsi a quei decisivi diciotto giorni: deve andare avanti, perché la rivoluzione stessa va avanti, e conduce fino all’oggi, a un paese profondamente cambiato ma ben lontano dall’aver concluso il suo percorso verso una vera democrazia partecipativa. Le violenze, gli scontri, le proteste non si sono fermati, hanno preso una piega diversa, sono l’altro volto di una rivoluzione che sulle prime sembrava condurre altrove. «La nostra rivoluzione continua – scrive l’autrice –ma è diventata più grande, più dura, più reale, ha perduto molta della sua innocenza e, forse, ancora ne perderà».

IL MANIFESTO
http://nena-news.globalist.it
sabato 14 dicembre 2013

Il racconto aperto di piazza Tahrir
di Giuseppe Acconcia

Il significato personale e collettivo degli eventi narrati dalla scrittrice e giornalista egiziana Ahdaf Soueif tra sogni e drammi

Roma, 14 dicembre, Nena News

La mia città la nostra rivoluzione è l'originale racconto delle rivolte egiziane del 2011 della scrittrice e giornalista Ahdaf Soueif (Donzelli, pp. 236, 18 euro). Ogni luogo dei movimenti, scoppiati il 25 gennaio di due anni fa, acquista per l'editorialista del Guardian, che ha vissuto per anni a Londra, un significato personale e familiare: dall'ospedale dov'è nata, al bastone di sua madre, dalla casa di Abdin allo zio Khalu, schiacciato tra due mezzi pesanti dell'esercito nel 1967.



Tutti gli eventi, in particolare della notte cruciale del 28 gennaio, quando la polizia è sparita dalle strade e il regime di Mubarak ha mostrato le sue crepe, vengono raccontati con dettagli inediti. Ahdaf fa parte di una famiglia di attivisti, erano comunisti i suoi genitori accademici, sono protagonisti delle rivolte i suoi nipoti, Alaa Abdel Fatteh e sua moglie Manal. Il primo, più volte intervistato dal Manifesto , avrebbe subìto un lungo periodo di detenzione nel novembre 2011, mentre i suoi familiari lo attendevano per ore ai cancelli del carcere e sua madre Laila avviava lo sciopero della fame. 



Il racconto di Ahdaf entra nei particolari, i comitati popolari di Zamalek, ricca isola al centro del Nilo, erano formati anche da una «signora su una sedia pieghevole con in mano un bicchiere di gin tonic». Eppure le cose non sono poi cambiate molto con il Consiglio supremo delle Forze armate che ha ripreso le stesse tecniche di Mubarak dagli arresti sommari ai tribunali militari per processare i civili fino all'uso di infiltrati per innescare gli scontri.



Non solo, la scrittrice, sempre in collegamento con decine di testate di tutto il mondo per raccontare lo svolgersi degli eventi, descrive l'ampio uso di criminali (ingaggiati dal vecchio regime, sono oltre 500mila per le strade del Cairo, secondo Ahdaf), e l'accordo tra esercito e polizia, al via sin dalle manifestazioni di Abbasseya nell'autunno del 2011. Di grande impatto è la contrattazione, portata avanti dalla stessa Ahdaf, con il governo ad interim di Essam Sharaf per uno sgombero volontario di piazza Tahrir, che è rimasta per mesi occupata dalle tende. Incredibile è poi il racconto dell'assassinio dell'attivista copto Mina Daniel, alle porte del Maspero nella strage del 2011. Dal Cinema Tahrir ai giornali di piazza, dai farmacisti impegnati a fornire medicamenti gratuiti: ogni gesto, acquista nella narrazione di Ahdaf un significato rivoluzionario.

La «battaglia del cammello» è stata innescata dal deputato del Partito nazionale democratico di Nazlet el-Semman, quartiere ai piedi delle Piramidi dove vivono molti proprietari di cammelli e cavalli. Mentre terribili sono le descrizioni delle torture subìte dai manifestanti nel Museo egizio e la gioia dell'annuncio delle dimissioni di Mubarak, festeggiato in piazza dalle note de bel-Ahdan di Abd el-Halim che recita «il nostro splendido paese tra le braccia». Ma che i giorni di occupazione della piazza non fossero bastati lo hanno dimostrato gli scontri di piazza Mohammed Mahmud del novembre 2011: sette ospedali da campo, il dramma dei familiari dei martiri della rivoluzione e la creatività (come nel caso della statua del leone del ponte Qasr el-Nil bendato, immediatamente dopo l'accecamento dei manifestanti da parte dei cecchini). Mentre di grande impatto erano le proiezioni del collettivo Mosireen che si svolgevano in aree densamente popolate contro la condotta dell'esercito.

Il racconto non si conclude perché gli eventi sono ancora in corso, ma Ahdaf, nella sua profonda laicità, ha preferito eleggere Morsi piuttosto che restituire il paese al vecchio regime.Nena News