"Il libro - ci ha detto - si pone questa domanda fondamentale: come è possibile che così tanto male nel mondo oggi sia chiamato il minore dei mali possibili". Weizman, docente a Londra, cita i casi delle torture a Guantanamo e della pressione israeliana intorno a Gaza e lancia un'accusa all'Occidente. "Tutto quello che facciamo - ha aggiunto - prospetta sempre un altro male peggiore, in modo da poter dire che quello che mettiamo in atto non è così grave e ci evita il male peggiore. Io credo che la teoria del male minore sia il modo in cui il male si manifesta oggi". Al centro del saggio di Weizman, documentato e toccante, anche il ragionamento sulla volontaria deformazione del linguaggio e la teoria delle rovine. Ma la speranza è che si possa presto tornare a parlare anche del bene che si può fare. "Abbiamo dimenticato - ha concluso - di batterci per la giustizia, per l'uguaglianza, per la condivisione di un solo Stato. Non dobbiamo limitarci a protestare e denunciare l'occupazione, ma dobbiamo progettare qualcosa per il futuro. Questo credo sia davvero il compito della sinistra oggi". Un compito tutt'altro che facile, ma che se ne cominci a parlare è già un passo avanti.

http://www.contropiano.org
Sabato 25 Maggio 2013 12:23

Israele, il minore dei mali possibile
di  Enrico Campofreda

Un recente rapporto di una Commissione Israeliana voluta dal premier Netanyahu ha messo in dubbio la morte del dodicenne palestinese Muhammad al-Dura.

Il bambino era finito fatalmente insieme al padre nei pressi del check-point di Netzarim (Striscia di Gaza) controllato da Israeli Defence Forces dov’erano in corso tafferugli fra giovani palestinesi e Tsahal, i cui militari sparavano copiosamente. Era il 30 settembre 2000 e iniziava la Seconda Intifada. I due, lasciati lì da un taxi che non voleva più proseguire proprio per timore d’essere colpito, scesero dall’auto riparandosi dietro i blocchi di cemento. Una troupe dell’emittente France 2 filmò quei drammatici momenti (il tiro al bersaglio durò complessivamente 45 minuti) mostrando il volto terrorizzato del bambino, le braccia avvinghiate al ventre paterno. Quindi il corpicino afflosciato forse svenuto, ferito, ucciso. In seguito un’ambulanza portò padre e figlio all’Ospedale di Shifa in Gaza City, il primo ferito, Muhammad senza vita. Quelle immagini fecero il giro del mondo disonorando Israele, il proprio esercito, la sua leadership.

Ora la Commissione sostiene che Muhammad non fu colpito, insinuando che sia vivo. Così il padre che s’inginocchia sulla sua lapide, i fratelli di cui uno si chiama come lui e fu voluto dai genitori per ricordarne la memoria, il reliquario che c’è nella casa del campo di Bureij ricostruita dopo le distruzioni portate da “Piombo fuso”, farebbero parte d’una cinica recita. Tutto per confermare nel tempo l’intento propagandistico che avrebbe avuto il filmato. Della vicenda se ne è occupato The Guardian  che ha sentito l’operatore di France 2 Abu Rahma, esperto di riprese in situazioni altamente rischiose con 27 anni di mestiere sulle spalle per l’emittente francese e CNN. Oltre alla deontologia Rahma ha sentenziato che le riprese non mentono. La Commissione ritiene che il montaggio della scena sia omissivo, non si mostrerebbe il recupero dei due tramite l’ambulanza dove appunto il ragazzo sarebbe salito senza ferite. Sic. Mancano però le fonti di questa versione. Come egualmente non sono rivelati i riferimenti secondo cui il corpo seppellito al posto di Muhammad avrebbe differenti tratti anatomici.

Dove sono le prove? Dove sarebbe Muhammad oggi venticinquenne? Può il Mossad o chi per lui svelare tali “segreti”? Ma accanto a quest’ipotesi, il gioco della propaganda – essa sì – del governo di Tel Aviv è ben più subdolo. Mettendo in dubbio la veridicità della cinepresa di Abu Rahma la dirigenza israeliana cerca di svicolare dalle tante immagini che spesso inchiodano i suoi soldati e i politici che ne comandano le gesta. Scene orribili, capaci d’infastidire non poco la repressione e gli omicidi, mirati e non, che lo Stato israeliano pratica da decenni. Parliamo ovviamente d’un fastidio mediatico, che usando fotogrammi racconta all’opinione pubblica ciò che Israele si vergogna di far vedere ma non di praticare anche verso bambini, vecchi, donne. Se Muhammad fosse scampato alle pallottole dell’Idf, la cosa dovrebbe far gioire Netanyahu e colleghi. Difficilmente potranno dimostralo. Sicuramente non possono smentire la strage di  centinaia di bambini bruciati dal fosforo bianco di “Piombo fuso”. Ma lì la giustificazione è già pronta: come sostiene Eyal Weizman parleranno del “Minore dei mali possibile”.