Vincitore del premio come miglior romanzo al Festival di Isfahan nel 2005, Osso di maiale e mani di lebbroso è un breve ma denso romanzo di una delle voci più originali della letteratura contemporanea d’Iran. Utilizzando la scrittura come una macchina da presa, Mostafa Mastur esplora la quotidianità palpitante di un condominio di Tehran, megalopoli metafisica nella quale si coagulano le contraddizioni irrisolte di un’intera società. Decine di appartamenti di un grattacielo ultramoderno, angusti come celle o risplendenti di uno sfarzo desolante come le vite dei proprietari, costituiscono il fondale di uno spettacolo nel quale il lettore si trasforma in spettatore di un mondo in frantumi, in cui le fondamenta di qualsiasi fede stanno crollando. Porte e finestre si aprono e si chiudono lasciando filtrare tracce di quella sostanza amara che è la vita. Nonostante i continui riferimenti religiosi, i personaggi di Mastur sono in preda ad un’assoluta mancanza di certezze, scaraventati nel caos della vita fino a sfiorare talvolta il baratro della pazzia. Ad ogni pagina, il lettore viene trascinato in un vortice dove Susan, Nowzar, Malul, Bandar e tutti le altre monadi angosciate di questo microcosmo simbolico di un Iran che non riesce a trovare se stesso, si agitano freneticamente alla ricerca della fortuna come una terra promessa o una patria perduta.

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03/09/2011

Mustafa Mastur, l'indagatore dell'esistenza

E' uno dei migliori autori persani contemporanei. Spesso gli rinfacciano di essere minimale e di ignorare i problemi dell'Iran odierno. Ma lui punta più in profondità, al dramma dell'esistere

Non importano il tempo e lo spazio: sono solo dimensioni limitanti, che obbligano a circoscrivere le storie e schematizzano i comportamenti di chi le vive. Meglio liberarsene, almeno in letteratura. È questo uno dei concetti chiave del pensiero di Mustafa Mastur, uno degli autori più prolifici della letteratura persiana contemporanea. L'unico scrittore vivente a rientrare nella classifica dei dieci autori più letti dagli universitari iraniani. Nei suoi libri non c'è traccia di chador, di questione femminile e di tutti quegli altri elementi esotici che rendono visibile la società islamica agli occhi dell'Occidente, di solito ingredienti necessari al successo di un libro che proviene dal Vicino Oriente nel mondo occidentale. Mastur li rifiuta, perché sono cliché che imbrigliano i personaggi. "Chi fa lo scrittore in questo mondo soffre perché conosce la condizione in cui vive l'umano", dice Mastur. E i personaggi sono il tramite attraverso cui l'autore s'interroga sulle grandi domande esistenziali, "domande che se ripetute spingono alla follia, perché non hanno risposte".

Ingegnere di professione, Mastur ha scelto di scrivere perché non voleva lasciare come traccia del suo passaggio sulla terra solo dei palazzi. Il suo ultimo romanzo, pubblicato dalla casa editrice Ponte33, ha già nel titolo tutta la carica di dolore che grava sulle vicende dei personaggi: "Osso di maiale e mani di lebbroso". "Abbiamo deciso di mantenere il titolo originale, anche se in molti ce lo avevano sconsigliato, per conservare intatto il messaggio di Mastur", spiega Felicetta Ferraro, una delle responsabili della casa editrice. Il titolo, il cui significato è rivelato d'improvviso nel romanzo, cita un verso dell'imam Alì.

Agli occhi di chi guarda la Repubblica islamica d'Iran da centinaia di chilometri di distanza, pare strana la modernità che caratterizza certe trovate letterarie e certe tematiche di cui parla Mastur. Nelle ultime pagine di "Osso di maiale", ad esempio,le voci di personaggi si rincorrono in un coro disordinato. Eppure i personaggi fisicamente non si incontrano mai, come capita agli inquilini di un mega palazzone di New York. "Da dieci-dodici anni - afferma Sara Hejazi, antropologa italo-iraniana che lavora all'università di Torino - non siamo più capaci di leggere le altre culture. Edward Said direbbe che abbiamo ancora un pregiudizio orientalista. E restiamo stupiti da Mastur, perché tratta temi universali, cari a tutta la modernità".

Alla presentazione dell'opera, a Milano, qualche iraniano presente tra il pubblico rumoreggia: "Non c'è traccia della repressione politica, invece in Iran ormai è complicato anche pubblicare. C'è un veto ideologico su ciò che va letto e il signor Mastur ha successo anche perché non c'è nessun altro da leggere". Un'accusa che non tocca minimamente l'autore. "Uno scrittore deve scrivere ciò che sente, con onestà ", risponde. E a lui la politica non interessa.

Le capita anche in Iran di subire questo tipo di critiche?

Sì, sono accusato di non parlare del vero Iran. Io penso che noi intellettuali veniamo un gradino sotto la politica. È la politica che decide, la cultura per cambiare le cose ha bisogno di centinaia di anni e un singolo uomo non ha a disposizione tutto questo tempo.

Che relazione c'è tra politica e letteratura?

La letteratura semplifica le domande complesse sull'esistenza e cerca di avvicinarsi a una risposta. La politica fa il contrario: cerca di convincerti che un cattivo è buono e un buono è cattivo, perché dispone del potere e del denaro. Non credo che la letteratura possa cambiare la vita. Ci sono lettori che scrivono e dicono questo, ma non è vero. Credo che l'effetto dei miei libri possa durare al massimo qualche minuto.

Quale pensa che sia il significato della letteratura?

Avere una visione più profonda e complicata della società, non semplificarla. Ma io penso che sia più utile un tassista che uno scrittore, che non fa nulla di concreto. Ritengo però che chi voglia davvero capire la società iraniana debba, più che libri di storia.

Cosa pensa del modo in cui l'Occidente guarda all'Iran?

Penso che ci guardano come gli "Altri", come qualcuno con cui non si ha nulla a che fare, a cui stare lontano. Fonda la sua conoscenza su dei luoghi comuni.