Recensione e Scheda: Terra Madre (2009) di Ermanno Olmi. Tornare alle origini. Tornare al seme del problema. Capire perché il “biologico” è così importante per tutti e perché va perseguito senza esitazioni. Ma senza per questo perdere i buoni frutti del progresso. Ermanno Olmi usa lo stesso procedimento con questo film. Torna al documentario, alle proprie origini, quando riprendeva le condizioni del lavoro in fabbrica e le conseguenze sulla società. Ma adesso sono passati diversi decenni e il concetto di industria si è spostato all’agricoltura e a tutto ciò che è riconducibile al cibo.

Stanno scomparendo i contadini che usano le mani e il bastone per arare il proprio campo o i pescatori come i coniugi olandesi che, con l’acqua buttano le reti tra i polders e vanno a pestare l’acqua per far muovere i pesci perchè non pescano a largo o gli allevatori che lasciano ampi spazi al proprio bestiame per andare a procacciarsi il foraggio naturale. Questa era una delle maggiori preoccupazioni del WTO di Seattle nel 1999, quando vide la luce il movimento no-global. Ma sicuramente anche di Slow Food Italia e del suo presidente Carlo Petrini, tanto da organizzare un evento di rimando mondiale sull’argomento: Terra Madre, appunto. Si parte da un brano de Le Georgiche di Virgilio interpretate dalla voce narrante di Omero Antonutti, passando dalle interviste e dalla telecamera sul cavalletto per inquadrare i volti, le scarpe e i corpi dei partecipanti al Forum Terra Madre 2006, svoltosi a Torino. Non tralasciando le loro storie. Così che dal ritorno alle origini contadine di una senzatetto in India, si parla della lotta al diritto di “selvaticità” degli Indiani d’America oppure delle peculiarità di alcune colture degli Indios sudamericani. Sorvolando una norvegese isola dell’arcipelago delle Svalbard, Spitsbergen, dove dal 2008 si stanno immagazzinando i semi in una “Banca mondiale del seme” costruita dentro ad un blocco di ghiaccio. Per evitare forse di essere salvati dal Wall-e di turno e dunque prevenire l’estinzione certa della vegetazione a causa del riscaldamento globale o di una guerra nucleare. Usa immagini di repertorio, interviste, pochissimi commenti off e molta telecamera ferma, statica. Lascia che il documentario cresca e gonfi un’onda capace di travolgere lo spettatore. O quantomeno lo obbliga ad un linguaggio antico come l’odore di legna vera (e non pellet) arsa nel camino. E aspetta che insegni, come etimologia vuole (dal latino Doceo), la dinamica della natura. Per essere più incisivo il regista bergamasco affida il finale ad un pezzo di un film di Franco Piavoli da Pozzolengo (Bs), Al Primo Soffio di Vento del 2002. Un contadino interpreta se stesso, solca il suo orto con un bastone e mette i semi uno ad uno come se mettesse a dormire i propri nipoti. Raccoglie i frutti e li cataloga. Poi si siede in adorazione di questo scambio di coccole, innaffiato con il sudore e la pazienza. Nel frattempo si sono alternati mesi di pioggie, insetti, vento e animali da cortile che si alimentavano. Ed è questo il messaggio che sembrano aver raccolto dei quindicenni del Massachussets (USA). Dall’altro capo mondo: non sono dei ricercatori, non sono degli agronomi, non sono contadini ma con il loro “Progetto Germoglio” hanno piantato dei semi nel giardino della scuola. Hanno scommesso di poter mangiare un giorno alla settimana quello che coltivavano. La loro mensa adesso ha solo i frutti del loro giardino. E anche le mense di tutti gli altri istituti negli Stati Uniti fino al Senegal (!), che hanno aderito a questo progetto. Per cui la speranza è viva. La Cineteca di Bologna, patria ufficiale di tutti gli studenti di cinema, per la prima volta non finanzia un restauro di un film, ma produce in prima persona un film. Dopo anni di attiva proposizione di eventi in tutto il mondo attraverso il restauro di capolavori della storia del cinema (ricordiamo anche l’esclusivo archivio Chaplin), scende in campo per piantare questo seed-ocumentary. E tutti noi gliene rendiamo merito.