«La storia dell’azione sociale collettiva interessa centinaia di migliaia di piccole e grandi esperienze spesso nascoste e dimenticate, e coinvolge decine di migliaia di persone; storie di minoranze attive che, pur senza raggiungere una dimensione di massa, sono riuscite a condizionare la realtà locale di un paese o di un territorio, i percorsi quotidiani di uomini e di donne, seminando i germi di una nuova cultura sociale e politica, portando testimonianza di nuovi modi di agire che sono poi divenuti, con il passare del tempo, pratica diffusa».

http://www.nonluoghi.info
12/06/04/

"Le utopie del ben fare" di Giulio Marcon
di Enzo Ferrara



… e però mal cammina qual si fa danno del ben fare altrui.
- Paradiso, Canto VI

Credo che il libro di Giulio Marcon, “Le Utopie del Ben Fare”, sia quello col titolo più bello (e fra i più interessanti) presentato quest’anno alla fiera del libro di Torino. Una fiera, nonostante tutto, ben seguita dal pubblico, ma sempre più pronta e disposta a vendersi nelle menti dei suoi organizzatori.

E infatti, significativamente, quest’anno sono riusciti a dedicarla all’umorismo. “Libri di evasione, non di disimpegno”, tentano di spiegare, ma il sospetto è che l’ispirazione vera sia quella dell’usa e getta, del libro come prolungamento del televisore. Il sospetto si consolida quando, girando in cerca di argomenti, si nota il numero di stand di imbonitori che vendono metodi autodidattici per l’inglese, la memoria, l’equilibrio psichico, o una sottoscrizione all’American Express. Paese ospite: la Grecia, d’obbligo, per le olimpiadi. Tant’è! Però, sappiamo che la televisione (come tutte le tecnologie moderne) invecchia assai precocemente, non vale la pena di affezionarcisi e di curarsene troppo. Lasciamo questo agli organizzatori e impegniamoci, piuttosto, a seguire i non pochi autori giunti a Torino ancora fuori degli schemi di mercato e per incontrare un gran bel numero di piccoli editori indipendenti e giovani (come “Non Luoghi” e “L’Ancora Del Mediterraneo”).

La presentazione del volume di Marcon avviene davanti a una trentina di persone, con disposizione più al dialogo più che alla lezione. Giulio Marcon è un personaggio autorevole per i discorsi della solidarietà, legittimato tanto dalla sua posizione (presidente del consorzio italiano di solidarietà e coordinatore di Lunaria, il consorzio che raggruppa le maggiori organizzazioni del volontariato) quanto dall’impegno che continua a profondere sul campo. Il suo libro si propone come una raccolta storica, una rassegna cronologica degli sviluppi di quella che l’autore - per aiutare a far chiarezza - chiama “Azione sociale collettiva”, dagli albori del mutualismo (1850) ad oggi. Si tratta di una storia, anche del nostro paese, importante, ma poco conosciuta; una sorta di preistoria della solidarietà. Molte strade sono state già percorse e molti errori già commessi, ripetutamente, e ripetutamente pagati. Molte informazioni sono date sulle modalità tecniche di gestione e sulle forme delle organizzazioni, informazioni di cui quasi mai viene conservata, la memoria.

Nell’introduzione Marcon seleziona i soggetti dell’azione sociale collettiva, vale a dire “quelle organizzazioni e quei movimenti che hanno avuto - e hanno – per obiettivi l’emancipazione collettiva, la promozione dei diritti, la giustizia sociale, la diffusione della democrazia, la costruzione di un’economia alternativa e di attività solidali; da questi si differenziano i soggetti che si pongono come obiettivo la rappresentanza politica (i partiti) … come pure quelli che muovono dalla specifica finalità di rappresentanza sociale fina dai luoghi di lavoro e dalle categorie professionali (i sindacati)” (p. 7).

La ricostruzione della storia di queste forme di associazionismo appare ancor più significativa in questa nostra difficile congiuntura: i movimenti internazionali, le quasi 20.000 Organizzazioni Non Governative sparse per il mondo, costituiscono uno dei fenomeni sociali più importanti dell’ultimo ventennio: la superpotenza alternativa agli USA nel terzo millennio, dopo il crollo dell’impero sovietico.

L’analisi è compiuta dall’autore nella sua veste di operatore sociale, preoccupato dalle moderne difficoltà (o storture) del linguaggio, o, per esempio, dall’incepparsi dei meccanismi virtuosi della solidarietà di fronte a problemi come l’autogestione del lavoro, la precarietà dei tempi, i percorsi formativi nelle strade del terzo settore, la dimensione economica, tutti sintomi di deriva progressiva, tipica di quelle forme del terzo settore che sono - alla fine - riproposizioni delle forme di precariato. Le osservazioni fondamentali, le motivazioni che hanno portato a questo libro sono due.

La prima è che nelle numerose occasioni avute di girare per l’Italia e per il mondo, Marcon ha osservato l’assenza di memoria propria e collettiva come dato comune dell’associazionismo. Non si conoscono le radici storiche del volontariato, né le tappe di origine del terzo settore e del privato sociale. Questa situazione è data dall’autore come particolarmente grave: è importante conoscere sempre meglio per sapere come comportarsi. I rischi che si corrono, altrimenti, sono gli stessi di sempre, così come le debolezze: la strumentalizzazione, il profitto, l’ambizione individuale, il conformismo, l’avidità di potere.

La seconda osservazione è la somiglianza notevole di alcuni passaggi critici che hanno contrassegnato e contrassegnano la storia dell’azione sociale collettiva lungo crinali pericolosi: come quando spontaneità, autogestione, autonomia, partecipazione e solidarietà si trovano a fare i conti con le dinamiche dell’istituzionalizzazione, della professionalizzazione, coi problemi di gestione creati dalle diverse forme di cooptazione e collateralismo.

Anche solo un’analisi del linguaggio della azione sociale collettiva, mostra quali profonde analogie possono emergere fra situazioni ed esperienze del passato e contraddizioni e problemi attuali, tanto nelle motivazioni dell’azione svolta quanto nei pericoli di diverso genere che incombono su di esse. Scrive Marcon: “La vulgata della storia che si ripete purtroppo è vera. In alcuni casi assume la forma di tragedia, in altre di farsa … quasi sempre insegna assai poco, come dimostra oggi il caso di una serie di organizzazione del terzo settore che – inconsapevoli delle scelte (e degli errori) del passato – ripercorrono le stesse strade perdendo così la propria identità e trasformandosi in qualcosa di diverso, prese dalle dinamiche del business di mercato o da quelle parastatali di supplenza delle istituzioni” (p. 6).

La chiave di lettura proposta è l’interpretazione critica del rapporto tra l’azione sociale collettiva e la politica, le istituzioni, l’economia, i valori sociali della solidarietà.. Per questo motivo, il discorso si distende sui quattro temi nodali seguenti:

1) Il rapporto con le istituzioni, da collocare in uno spazio angusto, conteso fra autonomia, subalternità e integrazione;
2) Il rapporto col sistema economico, giocato oggi in una sfida (possibile solo fino a un certo punto) fra imprenditoria sociale, terzo settore, regole del mercato, forme di economia alternative (il passaggio da struttura no-profit a profit è sottile, con annesso il rischio di scimmiottamento dei modelli tradizionali);
3) L’identità e i valori delle varie forme di relazione sociale, nuove e diverse da quelle tradizionali (crescere per i movimenti vuol dire perdere questa identità, sovente attraverso una deriva che produce un meccanismo di osmosi, sintomatico di crisi e a più passaggi riproposto nel corso della storia);
4) Il rapporto con la politica e i partiti, a cavallo, ancora, tra autonomia, collateralismo (tipico degli anni ’50) e trasformazione del movimento stesso in un partito, tipicamente a rischio di subalternità (i movimenti del ‘68, i verdi).

Nella struttura il libro parte dal 1848. Il primo capitolo, Tra solidarietà e beneficenza, 1848 – 1922, è dedicato alla nascita delle prime società operaie di mutuo soccorso e allo sviluppo del solidarismo cattolico e cooperativo, negli anni di nascita del movimento operaio. Il discorso arriva fino all’avvento del fascismo, che tronca e fagocita iniziative e idee nelle strutture del governo dittatoriale. Segue, La società in catene, 1922- 1944, un capitolo che racconta del riutilizzo della dimensione sociale, da parte del regime, per la costruzione del consenso.

Il terzo capitolo, La liberazione e la rinascita, 1943 – 196”, segue la ricostruzione e il “miracolo economico” sorretti dal collateralismo cattolico e comunista, assieme a moltissime esperienze libere nel pacifismo, nella pedagogia, nel lavoro sociale e comunitario, partendo dal basso. Il successivo quarto capitolo, L’assalto al cielo, 1966 – 1977, parte dai movimenti del sessantotto e segue le crisi di una società costretta dentro valori e vincoli vecchi, fino al troncarsi tragico del percorso per l’azione terrorista e, poi, al riflusso. Sono questi gli anni del primo impegno terzomondista, della nascita delle prime azioni di volontariato dentro le istituzioni e le professioni (magistratura, psichiatria, esercito, medicina).

Il quinto capitolo, Le nuove strade dell’impegno, 1977 – 1991, segue gli anni del terrorismo e la crisi del sistema dei partiti, dell’industria e dell’indebitamento della finanza pubblica, mentre si impongono i movimenti pacifisti e ambientalisti antinucleari, il volontariato e la cooperazione sociale. Il sesto e ultimo capitolo, Un altro mondo è possibile, 1991 – 2004, parte dagli anni 90 (quando si esaurisce il sogno dell’impresa sociale e si depotenziano le garanzie per la riforma del mondo del lavoro) e dalla riflessione sulle “leggi quadro” sul volontariato e la cooperazione sociale. I commenti sono sullo sfascio definitivo del sistema politico, sull’infinità delle riforme mai concluse, sull’affermazione del neoliberismo negli anni che dalle guerre etniche portano alla guerra permanente, preventiva. Allo steso tempo questi ultimi decenni sono contrassegnati dall’opposizione internazionale al neoliberismo e alla guerra, dall’inizio di una scelta di nuova economia, fondata sul commercio equo, la finanza etica, l’economia solidale, della proposizione di politiche alternative e di un nuovo modello di sviluppo. Il commercio equo e solidale – si fa notare nello specifico – sta crescendo tantissimo. Sarà interessante vedere come nel tempo esso varierà e verificare se esistono possibilità di integrazione di un sistema di azioni (Altreconomia, Banca del tempo etc…) finora molto simboliche che cercano di inserire nel sistema meccanismi economici diversi, alternativi.

La ricostruzione storica compiuta da Marcon è certamente utile: Le utopie del ben fare è probabilmente il primo volume sistematico sulla storia dei movimenti. La ricostruzione, anche del linguaggio, arricchisce e aiuta alla comprensione delle dinamiche attuali: si nota, per esempio, che mentre il collateralismo di metà novecento era comunque dotato di una forza e di obiettivi autonomi, quello moderno è un collateralismo “straccione”. È di questi giorni un cartellone elettorale, di quelli enormi, con la scritta “Per una solidarietà più generosa”, in piena confusione rispetto alla solidarietà delle origini (quella derivata della rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité) intesa come fraternità condivisa. Alla solidarietà si sostituisce oggi il concetto di eguaglianza, e il concetto di eguaglianza si esaurisce, alla fine, quasi esclusivamente nella offerta di condivisione dei beni commerciali (forme di beneficenza o di elemosina). Questo mentre “Médicine Sans Frontières” afferma che l’area del disagio, anche nel mondo occidentale, si sta spostando nuovamente sulla fisicità, sui bisogni del corpo.

Il libro appare prezioso. Come sempre, il recupero della memoria aiuta a far chiarezza e, in questo caso, anche a smascherare alcuni dei presupposti e delle finalità poco innocenti dell’associazionismo, le quali, per riduzionismo, rischiano sovente di portare alla incapacità di una visione completa dei problemi e di volontà sincere di cambiamento. Per esempio, è significativo il mettere in dubbio le forme di rappresentanza dei movimenti: quelle che più appaiono a livello nazionale e internazionale, sono definite su basi incerte e poco democratiche. Quello della democrazia interna delle organizzazioni e della loro rappresentazione, è tuttora un problema aperto. La rappresentanza nel “forum del III settore” (definita come parte sociale ai tavoli delle trattative, in 35a - 36a posizione) appare abbastanza fasulla e corporativa.

Le conclusioni di Giulio Marcon fanno il punto sui nodi critici emersi e sulle potenzialità di trasformazione e di innovazione espresse dalle esperienze dell’azione sociale collettiva. “Il dovere di chi è attivo … e di chi ha a cuore le sorti dell’intervento sociale è di contribuire a mantenere vivo uno spirito critico, non cedendo alla retorica delle buone azioni, ma cercando di praticare quel “ben fare” cui ci richiama Dante …. Spronandoci al riscatto dal “fiacco e lento” fluire di una vita piena di accidia. Le utopie del ben fare sono concretissime. A noi il compito di farne la “religione civile” della società” (p.10).