Tratto da:
“Il Manifesto” del 06 febbraio 1992
Beati i Costruttori di Guerra
di Don Tonino Bello

Si racconta di Sisifio che, condannato da Zeus a sospingere un masso enorme sulla fiancata di un pendio, giunto sulla sommità, il macigno gli rotolava a valle, e il lavoro doveva essere rifatto daccapo. E’ l’immagine più ovvia che è balzata alla mente, allorquando Cossiga ha deciso di rimandare alle camere la legge sull’obiezione di coscienza. Un exploit che, visto lo stile del nostro presidente, non possiamo neppure chiamare inatteso, e che, comunque, ha introdotto nel dibattito della gente comune, poco avvezza a certe discussioni di alto cabotaggio, due ordini di problemi. Il primo si traduce nella domanda più ovvia: che cosa vogliono gli obbiettori? Se il nostro paese viene attaccato, abbiamo il diritto di difenderci?
Il secondo problema, più inquietante, suona così: ma è giusto che il capo dello stato, come Zeus con Sisifo, se la prenda così tanto con gli obiettori, da negare loro un diritto proprio nel momento in cui questo stava raggiungendo, in salita, il traguardo del pieno riconoscimento legislativo? Al primo problema non è difficile rispondere. Basterà dire che il diritto a difendersi non l’ha mai contestato nessuno. Neppure il cristiano. Tollerare la prepotenza senza reagire non rientra nella logica del Vangelo. Arrendersi supinamente dinnanzi a un tiranno non è stato mai un atto meritorio. Rassegnarsi al sopruso appartiene al genere della vigliaccheria, non all’esercizio della virtù cristiana. Il ministero della difesa, insomma, va mantenuto, e come! Va, anzi, potenziato, visto che nel mondo la razza dei sopraffattori sembra tutt’altro che destinata all’estinzione.
Ma difendersi come? E’ questo l’interrogativo cruciale che continua e dividere la gente, e dalla cui risposta dipende il futuro dell’umanità. Oggi, dopo il lampo di Hiroshima, non è più possibile difendersi con la guerra. L’esplosione atomica, spartiacque nella specie umana, ha posto fine per sempre alle regole del vecchio realismo politico secondo cui, per dirimere i conflitti, diventa indispensabile l’uso della forza. Da quel tragico fungo nucleare, è finita l’epoca della guerra giusta. Nulla può essere più come prima. Ogni guerra è divenuta iniqua. La difesa armata, perciò, risponde ad una logica preatomica che tutto può partorire fuorché pace e giustizia.
Ed ecco l’alternativa della difesa nonviolenta. Che non è un tenero sentimento per novizie. Ma che oggi è divenuta una scienza articolata e complessa che si avvale di grandi maestri e di un ormai incontenibile produzione bibliografia. Che fa perno attorno all’educazione e rielabora, in termini laici, l’antico monito dei profeti: o convertirsi o morire. Che ha già una storia di successi alle spalle. Che trova il suo grande teorizzatore in Gandhi, il quale affermava: "Io cerco di spuntare completamente la spada del tiranno, non urtandola con un acciaio meglio affilato, ma ingannando la sua attesa di vedermi offrire una resistenza fisica. Troverà in me una resistenza dell’anima che sfuggirà alla sua stretta".
Più difficile, invece, rispondere al secondo ordine di problemi. Anche perché significherebbe violare il mondo interiore di un uomo con la pretesa digiudicarlo. Non me la sento di entrare nel merito delle ragioni che hanno indotto il presidente della repubblica a respingere la legge. Non tanto per il rispetto dell’autorità costituita, quanto per il tremore che ti coglie ogni volta che si è tentati di non far credito all’altro di quella buona fede a cui, fino a prova contraria, ognuno a diritto. Ci sono, comunque, degli aspetti inquietanti nella successione dei fatti così come oggettivamente si sono manifestati: è su questi, e non sulla coscienza altrui, che intendo fare qualche rilievo.
Fa tanta tristezza, soprattutto nei giovani che si vanno aprendo agli ideali di solidarietà universale, il rinvio di questa legge alle camere, quasi contestualmente al loro scioglimento. Il che significa, più che procrastinazione, probabilità di azzeramento di tutto un cammino di maturazione civile che era partito, tra innumerevoli pregiudizi e difficoltà, da molto lontano, e stava ormai, col consenso quasi unanime di tutte le forze politiche, tagliando lo striscione d’arrivo della piena tutela giuridica. Una scelta, dunque, quella del presidente, da collocare non certo nella categoria del rispetto. Ma in quella del dispetto, o del sospetto.
Se rientra nella categoria del dispetto, ci amareggia che una conquista di civiltà quale l’obiezione di coscienza entri nel calderone del ripicco politico e sia assoggettata agli intrighi di vertice, a cui si sente estraneo l’uomo onesto che si batte per i grandi valori umani.
Se entra nella categoria del sospetto, il fatto che il presidente faccia gravare l’ombra del dubbio sull’autenticità dell’amore verso la patria espresso dagli obiettori di coscienza ci amareggia ancora di più. La loro è difesa della patria. Difesa intrepida, generosa, appassionata, di fronte a tutte le altre pesanti aggressioni di cui, quelle militari sono quasi l’epifenomeno e l’ultimo camuffamento.
Ecco perché quest’uscita a sorpresa del presidente Cossiga non solo turba il popolo onesto della pace, già sconcertato da riviviscenze di fantasmi militaristi, ma turba anche quanti, pur non condividendo le idee degli altri sull’obiezione, ne rispettano la libertà e si battono perché questa venga esercitata in un clima di reciproca tolleranza e nel pieno rispetto ossequio delle leggi.

* articolo recuperato grazie alla preziosa collaborazione di Giuseppe Nappi e Laura Cirillo

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