Gli "scritti di pace"
di Don Tonino Bello

La passione per la pace
"Oggi il Vescovo è entrato nella sala da pranzo alquanto agitato. Sedendosi ha quasi urlato: “Mi dimetto, mi dimetto”. Nel suo risentimento ha detto che tutto quello che fa non serve a niente se su di un palco, a parlare di pace, tutti di applaudono e poi non sono capaci di scelte radicali; ad andare fino in fondo. E’ successo che a causa del precipitare degli eventi concernenti la guerra del Golfo, il Vescovo ha elaborato un testo col quale si invita all’obiezione di coscienza all’uso delle armi. Ancora ieri sperava di trovare almeno altri due vescovi disposti a firmare con lui quel testo. Ma oggi, dopo un lungo giro di telefonate, nessuno è stato disposto a sostenerlo e ciò lo ha scoraggiato".
Queste parole annotavo nel mio diario l’11 gennaio del 1991, in piena crisi del Golfo, momento storico che ha visto più di altri mons. Bello esposto nell’impegno per la pace.
Un appello, quello proposto, che non trovò seguito; e come tale non è stato riportato nella raccolta di Scritti di pace. Rileggerlo, però, ci servirà per penetrare meglio quella che potremmo definire la passione che don Tonino ebbe per la pace:

"Tu non uccidere.
Nell’omelia di Natale il Papa ha ulteriormente invitato i responsabili ad abbandonare la logica della violenza, definendo la guerra “avventura senza ritorno”. Nonostante questo accorato appello, i preparativi di morte continuano e le speranze di pace nel Golfo si allontanano sempre di più.
Prima di udire il crepitio delle armi e di sperimentare le conseguenze tragiche di un’altra “inutile strage” (Benedetto XV), ci sentiamo in dovere di ricordare che uccidere è sempre azione immorale, contraria al vangelo e alla dottrina cristina.
Gli assetti di guerra ripropongono logiche inaccettabili e disumane.
E poiché unica garanzia per la sopravvivenza dei popoli è la soluzione nonviolenta dei conflitti, invitiamo tutti coloro che sono impegnati nelle operazioni militari, specie i soldati italiani di leva e di ferma, ad ascoltare la loro coscienza e a non uccidere.
Chiediamo ai nostri soldati, nel caso deprecabile della guerra, un gesto chiaro di obiezione di coscienza all’uso delle armi e alla soppressione dei propri simili.
I continui appelli dei cristiani e del Papa, inascoltati dai potenti, siano direttamente accolti dalla coscienza e dal cuore dei nostri soldati. Li invitiamo a riflettere sulle parole di S. Massimiliano martire il quale, di fronte al proconsole romano che voleva imporgli l’uso delle armi, rispose: “Io sono cristiano e non posso fare del male”.
E’ ormai chiaro che la guerra, devastante più per i civili che per i militari, è del tutto superata dalla storia e dagli scenari dello sviluppo umano. Non lo affermano solo i credenti in Gesù Cristo, ma tutta una schiera di uomini di buona volontà appartenenti alle più diverse estrazioni culturali e religiose.
Dando voce, pertanto a queste convinzioni che partono dalle viscere della terra, oltre che dalla logica delle beatitudini, proclamiamo pure noi, come Pietro che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”".

L’invito rivolto agli altri vescovi, che tra l’altro non ci è dato sapere quali fossero, era voluto per dare più forza a quell’ appello. Ma il vescovo non si arrese. Ne sono testimonianza gli scritti che, a partire dal 1991, si riferiscono a quella vicenda, e che sono riportati nel 4° volume degli Scritti di mons. Antonio Bello. Troviamo così la Lettera ai parlamentari, e Nel collo di bottiglia, scritto apparso come inserto di "Luce e Vita", inserito all’ultimo momento con questo occhiello: "La guerra è deflagrata questa notte. Assurda. Prevista, forse, ma comunque non attesa. E neppure voluta, almeno dai più. Ci lascia attoniti, sconcertati, persino impreparati all’appuntamento col lettore perché oggi, giovedì, il settimanale è già allestito. L’unico balbettio possibile nel “giorno dopo”, che non è oggi ma sarà quando avremo la gioia di vedere tutte le spade rimesse nel fodero, è che la giustizia e solidarietà – anche ad opera nostra – rispuntino, come nuove gemme, sulla pianta d’ulivo, nodosa e contorta, di questo nostro mondo". Le ragioni della speranza, messaggio rivolto ai membri dell’associazione "Beati i costruttori di pace" riuniti il 27 gennaio nell’Arena di Verona. E ancora i tanti altri appelli, scritti e messaggi che precedettero e seguirono.
Potremmo dire che in questi scritti viene messa in evidenza la passione di don Tonino per la pace. E qui passione è da intendersi nella doppia accezione di impegno forte a favore della pace e di sofferenza subita a causa di essa.
In quegli stessi giorni egli subì una serie di attacchi con lettere anonime piene di parolacce e anche telefonate dello stesso tenore.
Il 25 gennaio così, ancora , annotavo nel mio diario: "Il Vescovo oggi a pranzo era molto abbattuto. Ha ricevuto una lettera per conoscenza. Lettera inviata a “Il giornale” diretto da Montanelli contro i pacifisti e in appoggio alla scelta di guerra e all’articolo pubblicato sullo stesso giornale che attacca il Vescovo. Seguono centoquaranta firme". Le firme erano di alunni e docenti della Scuola Media 1° gruppo di Molfetta. Ma anche allora seppe reagire da par suo, ne è testimonianza il carteggio pubblico sviluppatosi tra il Vescovo e i ragazzi e riportato in Scritti di pace alle pagine 238-244.
Una passione che si manifesterà in tutti i suoi drammatici effetti con quella malattia che lo porterà alla prematura morte e che trova in quei giorni le sue prime manifestazioni. Infatti , cito ancora dal mio diario al 19 febbraio: "Nel pomeriggio accompagno il Vescovo per l’ecografia allo stomaco. Diagnosticano una gastroduodenite. Lui in verità non voleva che lo accompagnassi ma io ho insistito perché quell’esame lo facesse". Sette mesi dopo si scoprirà che non di gastroduodenite si trattava.
Mons. Bello, come sottilea don Nino Prisciandaro nella sue presentazione al volume Scritti di pace, "non si è mai adagiato nelle retrovie della storia o nei protetti accampamenti dei miseri progetti degli uomini, ma è sceso sempre in prima fila, accanto a chi soffre, a chi subisce ingiustizie, alle famiglie senza casa né lavoro, ai giovani senza ideali e senza futuro, a tutti coloro ai quali la vita nega anche il più elementare dei diritti. Infatti sotto le parole, c’è sempre l’esperienza continua di darsi agli altri senza misure, senza risparmio e senza farlo pesare. Per questo i suoi scritti hanno un’incidenza forte, una carica rivoluzionaria, una chiarezza che avvince e convince: sono come una polla, l’acqua limpida che affiora, avvolge, penetra e solleva, ora in silenzio, ora in modo più dirompente".

La fonte della pace
C’è da chiedersi questa sorgente dove trova la sua fonte?
La risposta possiamo trovarla ancora in una serie di scritti inerenti a quella che possiamo definire a buon diritto teologia della pace. Fra questi scritti, infatti, "si annidano intuizioni e prospettive originate dalla ricchezza speculativa del mistero trinitario e cristologico, che aprono nuovi percorsi per una riflessione organica adeguata alle sfide che la società contemporanea, con le sue interdipendenze e le sue strutture di peccato, pone al cammino della pace". Si veda, a tal proposito, il discorso Giustizia, pace e salvaguardia del creato, pronunciato il 1989 a Verona, in cui le radici della pace vengono ricercate nel "monoteismo trinitario di Dio". E dove alla pace del mondo si contrappone la pace di Gesù Cristo, così come al Dio dei filosofi si contrappone il Dio di Gesù Cristo. E nello scritto La pace: una scommessa per l’uomo d’oggi si pone la domanda fondamentale: "su quale pace è conveniente scommettere". Egli dopo aver detto che non conviene scommettere né sulla pace che non viene dall’alto perché inquinata, né su quella non connotata da scelte storiche concrete perché è un bluff, continua dicendo che non conviene scommettere nemmeno sulla pace che prende le distanze dalla giustizia perché è peggio della guerra, o su quella che non provoca sofferenza, perché è sterile; tanto meno conviene investire sulla pace intesa come "prodotto finito" perché scoraggia. Perciò conclude: "Coraggio, allora! Nonostante questa esperienza frammentata di pace, scommettere si di essa significa scommettere sull’uomo. Anzi, sull’Uomo nuovo. Su Gesù Cristo: egli è la nostra pace. E lui non delude".
Una pace che ha il suo archetipo nella Trinità, e che trova il suo laboratorio nella famiglia. Si vedano i due testi La famiglia come laboratorio di pace.
Una teologia della pace che ricerca i suoi percorsi nella Parola di Dio. Va in questo senso la riflessione tenuta al convegno organizzato dalla "Casa per la pace" di Molfetta e dal "Gruppo Exodus" di Milano sulla nonviolenza nella società civile. In quella circostanza tenne una relazione dal titolo: Nonviolenza: dissipare l’ombra di Caino, in cui, con fine intuizione, commenta il capitolo quarto della Genesi, quello in cui si racconta "della irruzione della violenza nella storia della fraternità umana". Nella stessa ottica è da leggere la relazione tenuta al convegno sulla nonviolenza e il bisogno di identità dal titolo: Al pozzo di Sichar. Appunti sulle alterità. Essa è incentrata sul commento al capitolo quarto del Vangelo di Giovanni, dove la Samaritana viene presa a simbolo di ogni alterità e Gesù col suo atteggiamento è paradigma di vera relazione.
E ci sorprende ancora come al Convegno nazionale "contro i mercanti di morte", tenutosi a Roma il 24 ottobre 1987 sul tema: L’Italia ripudia la guerra; riflessioni sull’art. 11 della Costituzione, egli non sviluppa un discorso di ordine sociologico o giuridico, ma va più a fondo rifacendosi al profeta Isaia e all’epistolario paolino. Esprime così tutta la forza dei profeti in conclusioni di questo tenore:

"Quando avrò finito tutto questo, io che vi parlo di Isaia dovrò ancora dichiarare la mia scontentezza, dal momento che l’anelito del profeta si placa quando le spade si cambieranno in vomeri e non si accorceranno, semmai, in pugnaletti e le lance si trasformeranno in falci e non si ridurranno semplicemente in coltelli a serramanico".


La pace come giudizio sulla storia
La consuetudine con la Parola di Dio lo portò a riflettere su alcuni episodi o personaggi biblici. Queste riflessioni, apparse periodicamente sul mensile di Pax Christi, Mosaico di pace, esprimono un vero e proprio giudizio sulla storia contemporanea a partire proprio dal discrimine della pace. Personaggi come Abramo, Sara, Esaù, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Aronne, Myriam, Giosuè, la figlia di Iefte, Samuele, Saul, Davide, Rizpa, Salomone, e Rut vengono passati in rassegna e diventano interlocutori, nemmeno tanto immaginari, di un discorso profetico sulla pace.
In questi scritti vengono esaminate situazioni di "non pace" proprie dei giorni nostri: la guerra, la violenza, le lotte fratricide, la mancanza di sogni, e con anticipo sui tempi, la crisi della politica. A tal proposito così si esprime don Tonino:

"La paralisi della pubblica amministrazione, da una parte, e il progressivo declino del parlamento, dall’altra, accreditano analisi impietose sulla nostra democrazia bloccata. Il preoccupante immobilismo di quasi tutti gli organi costituzionali autorizza diagnosi sommarie di avvitamento involutivo…intendiamoci, caro Samuele: io non ce l’ho né con i re, né con i titolari di un presidenzialismo sanguigno. Ma mi lascia scettico il pensiero che si voglia porre riparo al nostro malessere nazionale irrobustendo il capo, e non, invece, aiutando la crescita della coscienza democratica… Più che scommettere sull’uomo del palazzo , perciò, bisogna scommettere sull’uomo della strada, promovendo un massiccio referendum abrogativo del suo vecchio modo di pensare. Ogni altro espediente istituzionale, che privilegi sofisticate terapie d’urto sul capo e disattenda le cellule marginali dell’organismo popolare, è destinato al fallimento. Ce l’ha insegnato la tua esperienza, Samuele. Ce lo insegnerebbe, oggi anche l’esperienza italiana di una eventuale Seconda repubblica. Che senza fervore di un più ampio respiro etico, morirebbe per asfissia. Prima ancora di nascere".


Gli impegni per la pace
Il quarto volume degli scritti di mons. Antonio Bello, che ancora una volta appare nella sua elegante forma grazie ai tipi, ai suggerimenti e all’impegno del mai compiutamente lodato Angelo Alfonso Mezzana, contiene ancora una gran parte di scritti da cui emergono quelli che potremmo chiamare gli impegni per la pace. Perché mons. Bello se era cosciente che la Pace è un dono che va continuamente invocato da Dio, era altresì consapevole che la pace è un compito che va costruito continuamente e diuturnamente ,mettendoci del proprio. Così esortava i partecipanti al corso "Nonviolenza come educazione ai rapporti", in uno dei suoi ultimi scritti:

"Io penso che è ora che si cominci proprio dalle parrocchie, dalle nostre piccole comunità, a capire davvero il significato profetico-evangelico della nonviolenza attiva: come la pensava Gesù a riguardo. Come egli la pensava a proposito dei cannoni che non c’erano ma che erano sostituiti, a quel tempo, da tante altre violenze subdole: le violenze alle quali noi forse non poniamo attenzione oggi. Perché, non c’è solo la violenza delle armi. C’è la violenza del linguaggio quando, per esempio, si risponde male ad una persona anche se si ha ragione. Quello è linguaggio violento".

Bisogna perciò diventare operatori di pace ed egli stesso si fece tale incarnando gli slanci profetici che furono già di Francesco di Assisi. Così scriveva alla vigilia del viaggio a Sarajevo:

"Il cammino verso Sarajevo, che si compirà dal 7 al 13 dicembre, da un esercito disarmato di operatori di pace, ha un celebre precedente: l’irruzione di Francesco d’Assisi nel campo militare di Damietta, in Palestina presidiata dal sultano Melik el kamil. Nel giugno del 1219, la flotta dei crociati partì da Ancona verso la Palestina, alla conquista dei Luoghi Santi. Su una nave salì anche Francesco, col segreto disegno di convertire i soldati a propositi di nonviolenza, ma anche col desiderio di frapporsi, disarmato, tra i Saraceni e i crociati. Una autentica rottura della logica corrente, che sconcertò positivamente il sultano e lo Stato generale del suon esercito. Il cammino verso Sarajevo, che partirà anch’esso da Ancona, vuole ripetere lo stesso gesto di Francesco. Porsi come richiamo alla tragicità della violenza che non potrà mai risolvere i problemi dei popoli".

Un impegno per la pace suggerito, assunto e realizzato fin negli ultimi giorni di vita con un ultimo accorato appello a tutti i responsabili della guerra nella ex Jugoslavia:

"A tutti diciamo: deponete le armi, sottraetevi all’oppressione dei mercanti della guerra… Dove vorreste che, nel libro della storia dell’umanità, negli anni futuri, il vostro nome venisse letto: nel libro della vista o nel libro della morte? Purtroppo quello che si sta scrivendo è il libro della morte. E voi, responsabili dei Paesi più ricchi e potenti del mondo, dagli Stati Uniti d’America ai paesi dell’Europa, non sottraetevi alla responsabilità di influire in modo determinante, non con le armi che consolidano la vostra potenza e le vostre economie, ma con efficaci mezzi di pressione e di dissuasione, per fermare questa carneficina, che disonora insieme che la compie e chi la tollera".

Sono le parole ultime di chi ha combattuto la buona battaglia della pace. Consegna fatta a tutti gli uomini e donne che vogliono essere generosi artefici della pace sulla terra in attesa di quella Pace che l’umanità tutta intera godrà nel Cristo glorioso.


Conclusione
Don Tonino ha trovato tanti seguaci nel suo cammino. Primi tra tutti i giovani. Nei giorni già ricordati del conflitto del Golfo, furono i giovani a raccogliere la fiaccola della pace e a portarla. E così quei messaggi censurati dalla grande stampa venivano veicolati dai volantini, come la lettera aperta al Presidente della Repubblica circa l’intervento dell’esercito italiano nella guerra del Golfo, sottoscritta da mons. Bello insieme al senatore Raniero La Valle, che gli studenti avevano ciclostilato di propria iniziativa e distribuivano nelle scuole e nelle piazze. Quei giovani che , per bocca della vicepresidente del Settore Giovani di Azione Cattolica, così si rivolgevano a don Tonino il giorno dei suoi funerali:

"Sei stato giovane per noi, don Tonino. E in un tempo dove si dice che è difficile comunicare ai giovani la fede, tu hai saputo avvicinarci tutti e trovare le parole, gli sguardi, i gesti per parlare a noi di Gesù Cristo, per dirci tutto il Suo amore. Ma non sei stato solo un Vescovo giovane. Sei stato pure un adulto credibile, un saldo punto di riferimento per tutti i giovani "vicini"e "lontani" dalla tua Chiesa".

Mons. Bello, nonostante quella sua passione per la pace, non si è mai sentito uno sconfitto. Rivolgendosi a Mosè afferma: "forse avrai capito il motivo per il quale ti ho scritto: per recuperare, nella lettura dei suoi comportamenti, lo stile che deve caratterizzare la nostra speranza. Tu sei, infatti, l’icona di tutti coloro che entreranno mai nelle terre promesse che hanno additato agli altri come a portata di mano. Sei il simbolo, cioè di tutti i profeti dalla carriera stroncata. Oggi, di questi profeti, ce ne sono tanti. Solo che spesso a differenza di te, corrono il rischio di interpretare la stroncatura come fallimento". E così concludeva: "Grazie, carissimo Mosè, per il dono dei tuoi occhi non ancora stanchi di scrutare e per la simbologia del tuo braccio non ancora pago di additare traguardi. Grazie, sì, per la lezione che ci hai impartito dalla cattedra del Sinai. Ma infinitamente più grazie per la lezione che ci hai offerto dalla cattedra del Nebo. Perché da quella cattedra sei sceso dopo quaranta giorni. Su questa, invece, ci sei rimasto per sempre. Come una statua di marmo, eretta alla speranza".
E anch’io vorrei concludere parafrasando questo splendido testo di speranza: Grazie, carissimo don Tonino, per il dono dei tuoi occhi non ancora stanchi di scrutare e per la simbologia del tuo braccio non ancora pago di additare traguardi. Grazie, sì, per la lezione che ci hai impartito dalla cattedra di questa chiesa locale. Ma infinitamente più grazie per la lezione che ci hai offerto dalla cattedra dell’umiltà. Perché da quella cattedra sei sceso dopo 10 anni. Su questa, invece, ci sei rimasto per sempre. Come una statua di marmo, eretta alla speranza.

* articolo recuperato grazie alla preziosa collaborazione di Giuseppe Nappi e Laura Cirillo

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